In seguito ad alcune prime sperimentazioni locali in campo scolastico e sanitario, il sistema dei voucher trova una collocazione nella legislazione sociale
italiana a partire dal 2000. Il principio di sussidiarietà verrà invece introdotto con la riforma del Titolo V della Costituzione Repubblicana.
1.2.1. La Legge 328/2000 e la progettazione del sistema integrato
Il tema della sussidiarietà come principio operativo delle politiche sociali viene inaugurato in Italia dalla Legge n. 328 del 8 novembre 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).
Pubblicata nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale. 13 novembre 2000, n. 265), che introduce il sistema integrato di servizi sociali, che annovera fra i propri scopi la promozione della solidarietà nell’ambito della valorizzazione della persona, dei nuclei familiari e delle forme di auto e mutuo aiuto e della reciprocità organizzata.
All’art. 17, la legge prevede l’istituzione di voucher, che nel corpus del documento assumono la denominazione di buoni di servizio.
«I Comuni possono prevedere la concessione, su richiesta dell’interessato, di titoli validi per l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema integrato di interventi e servizi sociali».
Inquadrato 1.1.
Chi adotta una prospettiva conforme con il welfare mix, e quindi concepisce la riforma del welfare come risposta alla crisi di sostenibilità dei costi, rischia – pur cogliendo elementi di assoluta concretezza – di percepire la sussidiarietà come una forma sofisticata e ideologica di decentramento amministrativo (se espressa in senso verticale all’interno del sistema pubblico, cioè come delega di competenze dallo Stato centrale alle dimensioni locali della Pubblica Amministrazione), oppure come un principio comprendente logiche diversificate di esternalizzazione dei costi (in caso di accreditamento di competenze a soggetti non pubblici, ma appartenenti al mercato o al terzo settore). Come emerge dalla tab. 1.8, la rilevazione del bisogno spetta comunque al soggetto che impartisce le linee guida, cioè il settore pubblico. A questo livello la sussidiarietà confluisce in un accordo
tra il soggetto ritenuto adeguato e la rilevazione del bisogno. La gestione dell’intervento o del dispositivo di servizio spetta all’ente accreditato che continua a essere sostenuto dal settore pubblico nell’affrontare le proprie responsabilità.
Logica di esternalizzazione Logica sussidiaria
Rilevazione del bisogno ↓
Progettazione del servizio ↓
Make or Buy ↓
Gara ↓
Scelta del fornitore (Accreditamento) ↓
Contratto
Rilevazione del bisogno ↓
Ricerca di risorse sociali adeguate ↓
Scelta della risorsa ritenuta maggiormente idonea
↓
Accordo e sostegno
Tab. 1.8. Esternalizzazione dei costi Vs. Principio di sussidiarietà. Fonte: Raffaele Tomba. www.osservatorionazionalefamiglie.it
Nella relazione tenuta allo European Congress organizzato dall’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia e tenutosi a Bologna nelle giornate 6, 7 e 8 ottobre 2005, Raffaele Tomba asserisce che le difficoltà incontrate a questo livello dalle Amministrazioni pubbliche stanno nell’applicazione del principio di sussidiarietà, in assenza di norme adeguate.
• Le forme di sostegno vanno formalizzate e comunicate;
• I sostegni devono essere stabili nel tempo;
• I sostegni devono essere garantiti a tutti gli aventi diritto;
• I sostegni non sono alternativi ai servizi;
• Le famiglie hanno diritto di scegliere le strategie;
• La valutazione delle politiche deve essere partecipata dalle famiglie.
Tab. 1.9. Principio di sussidiarietà. Norme per l’applicazione dei principi. Fonte: Raffaele Tomba. www.osservatorionazionalefamiglie.it
Il suo suggerimento, va nella direzione di un chiarimento delle condizioni di applicazione dei principi operativi sottesi a una relazione sussidiaria fra interventi pubblici e sostegno alle famiglie. (Si veda la tab. 1.9).
Adattare la legge quadro al contesto regionale diventa dunque un momento fondamentale per l’elaborazione delle politiche sociali in un ottica integrata e sussidiaria fra pubblico e privato. La disciplina della Legge quadro 328/2000 è stata elaborata dalle Regioni italiane, e convertita in leggi regionali specifiche approvate e promulgate dai rispettivi ordinamenti locali. In alcuni casi, questa disciplina ha permesso l’avvio di una serie di esperienze significative, non ultime alcune innovative prassi di regolazione di politiche che si avvalgono del sistema dei voucher.
Per esempio, con la Legge regionale 14/2002 la Regione Liguria ha seguito l’esempio inaugurato dalla Lombardia10 introducendo i buoni scuola, che per certi versi possono essere assimilabili ai voucher per la scelta scolastica ideati per la prima volta negli anni Sessanta da Milton Friedman11, ma che se ne discostano per alcuni tratti essenziali. Si tratta di titoli attribuiti alle famiglie con reddito imponibile complessivo non superiore a € 40.000 e rivolti a promuovere la libertà per i genitori di scegliere la formazione scolastica ritenuta più adeguata per i propri figli.
Un articolo recentemente pubblicato sul periodico on-line «La voce» ne illustra le caratteristiche di base, e ne propone qualche primo elemento di valutazione in termini di efficacia. I buoni scuola hanno un valore compreso fra € 250 e € 750, il cui ammontare non deve in alcun caso superare il 50% delle spese di iscrizione. Si tratta di trasferimenti che vengono accreditati ai genitori ex post rispetto all’iscrizione scolastica effettiva dei propri figli.
10
La Lombardia è stata la prima Regione italiana a introdurre la disciplina del voucher, sia dal punto di vista scolastico che da quello socio-sanitario. Lo ha fatto addirittura prima della promulgazione della Legge 328/2000, presentando fin dal 1999 una proposta di legge per l’introduzione sui buoni scuola. Sulla scia della sperimentazione dei voucher per la scelta scolastica (Delibera di Giunta n. 242 del 31 giugno 2000), anche altre Regioni (come la Liguria, il Piemonte, il Veneto e la Sicilia) hanno inaugurato l’iniziativa.
11 Per una ricognizione storica delle origini del voucher come strumento per le politiche sociali rimando alla prima parte del capitolo seguente.
I buoni scuola agiscono dunque come un rimborso spese attribuito ai genitori soltanto alcuni mesi dopo rispetto alla data di inserimento del proprio figlio in una determinata struttura scolastica.
Questa caratteristica del modello di accreditamento incide notevolmente sulle aspettative della Regione, riconducibili prettamente alla previsione di un incremento nelle iscrizioni agli istituti privati.
Pubblico/Privato Livello scolastico 2001 2002 2003 2004 Elementari 10.70% 10.33% 9.83% 10.09% Medie 6.13% 6.14% 6.10% 6.07% Scuole pubbliche Superiori 8.58% 8.41% 7.76% 7.78% Elementari 89.30% 89.67% 90.17% 89.91% Medie 93.87% 93.86% 93.90% 93.93% Scuole private Superiori 91.42% 91.59% 92.24% 92.32%
Tab. 1.10. Iscrizioni a scuole pubbliche e private in Liguria dopo l’adozione dei buoni scuola. Fonte: «La voce» (29 marzo 2005).
La tab. 1.10 illustra che il risultato atteso non ha in effetti avuto luogo. Le ipotesi più attendibili per valutare l’inefficacia del modello riguardano principalmente i suoi connotati intrinseci.
I limiti di equità (intimamente connessi con quelli di efficacia-efficienza) riscontrabili nell’architettura del dispositivo sono descritti di seguito:
(1) Erogazione ex post. La logica del rimborso ex post pone delle difficoltà immediate alle famiglie che presentano limiti di liquidità contingenti. I buoni scuola non sono dunque immediatamente efficaci, nemmeno nel breve periodo, a causa dell’effetto perverso di iniquità che penalizza immediatamente le famiglie a basso reddito, o quelle che mostrano scarse disponibilità di capitale risparmiato.
(2) Ammontare poco elevato. Lo scarso ammontare del buono, che peraltro è tale perché associato a un elevato limite di reddito.
(3) Avversione al rischio. Anche nel medio o lungo periodo le cose non vanno meglio. Nel momento in cui presentano la domanda, i genitori non hanno la certezza che otterranno il buono, né quale sarà l’ammontare effettivo della cifra
ricevuta. Questo elemento penalizza ulteriormente le famiglie a basso reddito, che saranno indotte a ridurre la loro propensione al ricorso ai buoni scuola.
In sintesi, l’idea che condivido sui buoni scuola è quella di un dispositivo la cui funzione dichiarata è quella di garantire la libertà di scelta per le famiglie, ma che in realtà perfeziona un profilo di selettività tale da far pensare a una manovra rivolta a incrementare il consenso politico rispetto ad alcune fasce di utenza.
1.2.2. Il Libro Bianco sul welfare
Un altro documento fondamentale che, sulla scia della Legge 328/2000, prosegue nella definizione di strategie di rimodulazione del welfare che contemplano anche il ruolo dei voucher è rappresentato dal celebre Libro Bianco.
Dall’analisi delle due sezioni estratte dal documento e riportate in questa sede (si vedano rispettivamente gli inquadrati 1.2 e 1.3) emergono due strategie principali percorse dal progetto di riforma delle politiche sociali.
(I) La prima strategia è di tipo economico, si fonda sul parametro dell’efficienza e ha per obiettivo la riduzione della spesa pubblica e l’esternalizzazione dei costi di gestione del welfare.
(II) La seconda strategia è di natura politica e richiama la cultura dell’assistenza che per oltre mezzo secolo ha fatto da sfondo alla realizzazione dei programmi nazionali di politica del benessere. Alla ricerca della sostenibilità dei costi di realizzazione delle politiche sociali si accompagna l’emergere di nuovi bisogni fondamentali, legati all’evoluzione della società del benessere. La seconda strategia sta dunque nel perfezionamento dell’inclusione sociale dei bisogni crescenti degli individui, in particolare nel campo sanitario (dato il progressivo invecchiamento della popolazione) e nel campo della formazione e della cura dell’infanzia (in quanto logica rivolta a compensare la diffusione delle politiche attive per favorire l’occupazione femminile).
In questo frangente i voucher si diffondono come strumento per accordare l’accesso a servizi nell’ambito di un welfare che cerca di imitare strutture di mercato allo scopo di realizzare interventi meno costosi, diffusi in modo
maggiormente capillare nei contesti locali e qualitativamente più soddisfacenti attraverso l’incoraggiamento della competizione fra gli erogatori.
Obiettivi. Garantire il diritto di tutti al “servizio universale” (servizi di base sociali e servizi di base in senso allargato) mediante anche lo sviluppo di reti di solidarietà formali ed informali.
Soggetti interessati: soggetti individuali che per la loro condizione rischiano di non poter accedere a particolari servizi, famiglie della categoria precedente.
Attori coinvolti: attori istituzionali ai vari livelli di governance, famiglie, associazioni familiari, volontariato e terzo settore, società erogatrici dei servizi di base ecc.
Priorità dell’intervento: definire un nuovo quadro normativo che comprenda misure particolari di defiscalizzazione, voucher e strumenti analoghi per migliorare le condizioni di accesso ai servizi. Nel quadro di servizi liberalizzati introdurre nuove garanzie per l’accesso alle prestazioni da ricompensare sotto la voce di servizio universale a beneficio del gestore del servizio stesso. Nel settore dei servizi sociali di base, migliorare e incrementare l’attivazione delle reti di solidarietà, delle reti di mutuo aiuto familiare promuovendone l’interazione e l’integrazione con gli attori già presenti, siano essi pubblici o privati; promuovere l’integrazione dell’innovazione tecnologica e sostegno alla creazione di strutture apposite di formazione per gli attori e gli utenti del servizio; attuare misure particolari per le categorie più fragili con particolare attenzione ai servizi legati al diritto all’alloggio. Predisporre, in questo contesto, misure particolari di sostegno per le giovani coppie, anche in forma di aiuti all’acquisto. Prevedere azioni di lotta alla dispersione scolastica.
Inquadrato 1.2.
Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Libro Bianco sul Welfare. (2003, 36).
Per riprendere le parole utilizzate nel Libro Bianco (si veda l’inquadrato 1.2), il voucher si inserisce in una logica di più ampio respiro, che è quella della definizione di un «quadro di servizi liberalizzati [rivolti a] introdurre nuove garanzie per l’accesso alle prestazioni da ricompensare sotto la voce di servizio universale a beneficio del gestore del servizio stesso». (C.vo mio).
Quindi, mi pare evidente che il voucher si conferma come uno strumento che sorge e si sviluppa in conformità con una cultura prevalentemente lib. Questa è un’osservazione che può essere estesa anche ai modelli di sviluppo locale inerenti la realtà italiana, benché lo strumento venga introdotto secondo una logica che
ratifica positivamente il profilo dei servizi integrati e assume il postulato della sussidiarietà come principio operativo delle politiche sociali.
Obiettivi: garantire l’accesso al lavoro ed all’assistenza per tutti quei soggetti che presentano gravi limitazioni alla loro autonomia fisica e psichica.
Soggetti interessati: individui e famiglie di appartenenza con disabilità fisiche e/o psichiche, dipendenza senile di carattere motorio, malattie croniche […].
Attori coinvolti: attori istituzionali ai vari livelli, famiglie e loro associazioni, mondo del lavoro e partner sociali.
Priorità dell’intervento: sviluppare programmi e progetti che aiutino le persone con disabilità alla partecipazione alla vita del lavoro, sociale e collettiva in maniera da permettere una piena realizzazione delle potenzialità individuali unitamente ad un arricchimento delle dinamiche sociali; attivare reti di assistenza per una migliore gestione della dipendenza fisica in condizione di trattamento domiciliare, con particolare enfasi all’iniziativa organizzata delle famiglie; strettamente legata all’attivazione di reti familiari di assistenza è l’implementazione di misure di sviluppo di nuovi strumenti di sostegno finanziario come i “buoni” e i “voucher”; definire standards comuni per abilitare al trattamento delle malattie croniche e della dipendenza; promuovere la diffusione delle buone prassi, l’incentivazione e lo sviluppo della ricerca applicata e delle innovazioni gestionali per migliorare l’efficienza globale del sistema.
Inquadrato 1.3.
Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Libro Bianco sul Welfare. (2003, 38).
Inoltre, per lo meno nella prospettiva del settore politico, emerge ancora una semantica della sussidiarietà legata alla strategia del decentramento amministrativo finalizzato all’esternalizzazione dei costi di produzione-gestione degli interventi e al perfezionamento dell’inclusione sociale dei bisogni individuali. Tutto questo avviene sotto l’egida dello Stato, che se da un lato è costretto a ricorrere a varie forme di accreditamento per delegare a sfere private o di terzo settore parte delle proprie competenze in politica sociale, dall’altro tende ad attribuire a queste realtà uno statuto del tutto residuale e – alla meglio – integrativo.
Come abbiamo già affermato in precedenza trattando il welfare mix, e come stabiliremo di nuovo in seguito (si vedano in particolare le figg. 1.3 e 1.4 riportate
nel paragrafo conclusivo di questo capitolo) alla morfogenesi dell’organizzazione del welfare non sembra corrispondere una piena morfogenesi culturale della logica di sviluppo dello Stato sociale, che rimane limitata al solo versante della cultura organizzativa e operativa. A questo livello, il progresso culturale del welfare che interessa il principio di sussidiarietà si arresta alla sola presa di coscienza della necessità di dover coinvolgere soggetti appartenenti alla sfera privata (forprofit e nonprofit) per ri-orientare la propria azione in politica sociale e familiare.