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Configurazione ad anodo mobile

Capitolo 5 Setup sperimentale

5.2 Configurazione ad anodo mobile

5.4 Strumentazione di misura 5.5 Sistema ottico

In questo capitolo descrivo l’apparato di misura che ho allestito e utilizzato per la caratterizzazione delle strutture emettitrici. Il sistema da vuoto si compone di una camera dedicata in grado di raggiungere pressioni dell’ordine di 10-8 Torr,

allestita opportunamente con finestre per l’illuminazione esterna, flange con micromanipolatori a tre assi e flange per passanti elettrici. Il sistema meccanico permette di variare la distanza anodo-catodo in modo controllato e la strumentazione HV è stata predisposta per misurazioni floating e riferite a massa, con circuiti limitatori e di protezione, con interfacciamento al calcolatore e in modalità manuale. Sono stati utilizzati anodi planari, sferici e a punta. La configurazione ottimale per le misurazioni eseguite, ha richiesto la progettazione e la realizzazione di un supporto ad hoc ad anodo fisso con spacer e aperture per l’illuminazione frontale e dal retro. Le sorgenti ottiche a disposizione sono diodi laser a stato solido di potenza inferiore a 200 mW e lunghezze d’onda da 800 nm a 1550 nm predisposti per illuminare il campione in modalità CW (Constant Wave).

5.1 Camera di misura 132

5.1 Camera di misura

Per la caratterizzazione dei campioni, ho allestito una camera di misura in grado di raggiungere pressione limite di 2·10-8 Torr tramite una pompa ionica. La

camera da vuoto è connessa ad un sistema di camere comunicanti fra loro con pressione di gas residuo migliore di 5·10-9 Torr, monitorata da sensori a filamento

tenuti spenti durante le operazioni di misura. La camera è provvista di finestre ottiche per la visione dell’interno e l’illuminazione esterna da sorgenti laser, flange con micromanipolatori xyzθ con corsa di 5 cm e passo 5 μm, e passanti elettrici per alta tensione (HV). L’utilizzo di una pompa ionica in esperimenti di emissione di campo, sebbene non introduca vibrazioni meccaniche come le criopompe e le turbomolecolari, necessita di alcune accortezze operative derivanti dalla natura stessa del suo funzionamento. La pompa ionica genera, infatti, cariche libere che circolano all’interno della camera di misura. Il campo elettrico applicato per l’emissione di campo tende ad attrarre tali cariche, addensandole sui terminali di anodo e catodo, producendo, perciò, una corrente di fondo che deve essere valutata ed eventualmente sottratta al vero segnale di emissione di campo dei campioni esaminati.

A tal scopo ho valutato la corrente di fondo della camera registrando la corrente al variare della tensione applicata fra i terminali di anodo e catodo posti a distanza di 50 μm in assenza di campioni in due configurazioni diverse di anodo, utilizzando una sfera di acciaio inossidabile di diametro 4 mm e un filo di tungsteno di diametro 250 μm. Dal grafico di Fig. 5.1 si vede che la corrente di fondo nella camera di crescita, pur dipendendo dalla tipologia di anodo utilizzata, non supera il valore di 50 pA. Considerando che, come comunemente viene assunto, la soglia di emissione si ha in corrispondenza di campi che producono 100 pA di corrente, si può concludere che la corrente di fondo non incide sulla misura della corrente emessa dai campioni e può essere considerata come rumore elettrico

del sistema. Il valore di corrente più basso per la configurazione con filo di tungsteno è da collegare alla superficie minore rispetto a quella dell’anodo sferico in grado di raccogliere un minor numero di cariche mobili.

Figura 5.1: corrente di fondo del sistema in assenza di campioni. Le cariche libere

generate dalla pompa ionica producono un fondo di corrente che non incide sulle misure in presenza del campione.

L’introduzione dei campioni all’interno della camera avviene tramite una flangia comunicante con l’esterno che, dopo aver isolato la camera dalla pompa ionica per mezzo di una valvola, può essere aperta o richiusa per le operazioni di manutenzione e posizionamento. Dopo la chiusura, una pompa turbomolecolare connessa alla camera permette il raggiungimento di una pressione di 5·10-6 Torr,

sufficiente per l’apertura della valvola tra la camera e la ionica. Dopo un ciclo di pompaggio non inferiore alle 12 ore, la camera si porta ad una pressione di 5·10-8 Torr, viene spenta la turbomolecolare e il sistema è pronto per le misurazioni.

Il raggiungimento di un tali bassi valori di pressione sono necessari per garantire una corrente di fondo inferiore a 100 pA: un vuoto residuo peggiore si riflette

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direttamente su un aumento della corrente di fondo e, di conseguenza, sulle misure dei campioni.

5.2 Configurazione ad anodo mobile

Il sistema di micromovimentazioni utilizzato si compone di un manipolatore rototraslatorio su cui è fissato l’elettrodo che compone il catodo, e un manipolatore traslatorio per l’anodo. Entrambi sono separati elettricamente dalla camera, connessa alla massa comune del sistema di misura, da distanziatori di Teflon (Fig. 5.2). I manipolatori hanno una corsa di 5 cm e passo 5 μm: è possibile regolarne la posizione relativa in modo da spazzare la superficie del campione fino a distanze di 5 μm.

Figura 5.2: schema dei manipolatori per la movimentazione dell’anodo e del catodo.

La connessione elettrica con il passante per alta tensione di tipo MHV (Medium High Voltage) e SHV (Super High Voltage) è realizzata con dei cavi di rame per

UHV in grado di sopportare temperature di 200°C (in previsione di procedure di baking per le camera da vuoto). L’utilizzo di anodi mobili è diffuso in esperimenti di emissione di campo perché offre il vantaggio di modulare il campo elettrico applicato (F=V/d) agendo non solo sulla tensione, ma anche sulla distanza anodo- catodo. Tipicamente, una serie di cicli di misure a diverse distanze fornisce in modo accurato informazioni sul campo di attivazione, sull’integrità dell’emissione e sulla variazione della funzione lavoro causata da fenomeni di riscaldamento locale o erosione dei siti emettitori per effetto Nottingham [117].

Gli anodi utilizzati in questo lavoro sono costituiti da una sfera di acciaio inossidabile di diametro 4 mm e da un filo di tungsteno di diametro 250 μm. L’utilizzo della sfera è necessario per prevenire problemi di allineamento tra catodo e anodo, tipicamente presenti con anodi planari ed è, perciò, motivato dal fatto di voler approssimare il sistema ad un condensatore a facce piane e parallele in modo da garantire una distribuzione uniforme di campo anche in condizioni di disallineamento. Nell’approssimazione di distanze micrometriche fra anodo e catodo, la superficie emettitrice vede la calotta sferica come un piano parallelo, requisito che è di difficile realizzazione con un anodo piatto per la difficoltà di porre in parallelo oggetti macroscopici a distanze micrometriche.

Il campo prodotto da un anodo sferico su una superficie idealmente piatta ha la forma seguente [118]:

(

)

(

)

+    =  +   2  2 a a d a V F d d a (5.1)

in cui Va è la tensione applicata tra anodo e catodo, d è la distanza

anodo-catodo di un ipotetico condensatore a facce piane e parallele, e a il raggio dell’anodo sferico. Per a>>d (ipotesi verificata nel setup di misura) il termine tra parentesi quadre tende a 1 e il campo totale tende al caso ideale del condensatore a

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facce piane e parallele. Nel caso, perciò, di anodo sferico, viene meno il significato di disallineamento, data la simmetria di rotazione della sfera, ed è possibile considerare nei calcoli una distanza efficace pari alla distanza minima tra anodo e catodo. In Fig. 5.3 è schematizzata l’influenza del disallineamento tra anodo e catodo nel caso planare e sferico. Nel primo caso un disallineamento provoca un addensamento delle linee del campo in una regione laterale del campione per cui l’emissione è localizzata in una stretta regione e l’area utile di cattura è limitata a questa zona. La dipendenza esponenziale tra campo elettrico e densità di corrente nell’emissione di campo, si riflette in una grande variazione di corrente per piccole variazioni di distanza anodo-catodo. L’ipotesi di uniformità di campo elettrico per questa configurazione, è raggiunta sotto la condizione operativa di Δd<<d, ovvero con una riduzione del disallineamento (difficoltoso da garantire per scale micrometriche) o una distanza minima anodo catodo vincolante per la caratterizzazione, che si traduce nell’applicazione di campi elettrici maggiori.

Figura 5.3: schema del disallineamento per anodo planare (a) e anodo sferico (b).

Nel caso di anodo sferico, il disallineamento rispetto alla posizione ottima non produce un dislivello massimo di 2Δd come nel caso planare, e la simmetria

sferica permette di distribuire il campo in maniera omogenea su l’intera area di emissione. Nel limite di raggio della sfera molto maggiore della distanza d, il dislivello Δd tende a zero e il campo diviene costante6. In questa configurazione non viene imposto alcun limite inferiore alla distanza d: i campi massimi applicabili sono legati unicamente alla tensione e al passo minimo dei manipolatori.

Nel caso dell’anodo composto da un filo di tungsteno di diametro di 250 µm, l’emissione avviene principalmente dalla regione direttamente affacciata alla punta dell’anodo, in quanto il campo decresce rapidamente nelle regioni adiacenti (Fig. 5.4). Questa configurazione si presta quindi allo studio locale di un catodo distribuito su un’area di mm2: è possibile mappare in xy la distribuzione di campo

totale tramite l’emissione localizzata, verificando l’uniformità del catodo stesso oppure per evidenziare l’emissione da strutture singole il cui contributo verrebbe mascherato da una emissione collettiva.

Figura 5.4: schema per anodo filiforme per la mappatura del campione.

6 Nello schema proposto non si sta considerando l’intensificazione di campo indotta dalle strutture a punta del catodo, ma si assume l’equipotenzialità della superficie del catodo, come se fosse un catodo planare. Le distanze considerate dell’ordine dei micrometri sono ordini di grandezza superiori ai raggi di curvatura delle punte.

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Il vantaggio offerto dall’utilizzo dell’anodo mobile in termini di estrapolazione di parametri chiave per l’emissione, presuppone la conoscenza della distanza anodo-catodo durante le misurazioni. Sebbene in alcuni avanzati setup vengano utilizzati sistemi interferometrici con laser per la stima accurata della distanza, solitamente si ricorre a determinare la quota zero attuando il contatto tra anodo e catodo, monitorandolo con una misura di resistenza elettrica o di capacità, per poi regolare la distanza tramite i micormanipolatori. La caratterizzazione di strutture con campi di soglia relativamente bassi (< 5 Vµm-1) consente di estendere

la dinamica di distanze anodo-catodo da un minimo di 5 µm ad un massimo stabilito dalla massima tensione applicabile dal generatore. Nel caso, invece, di strutture con campi di soglia relativamente alti (~20 Vµm-1), è necessario ridurre il

più possibile l’intervallo di distanze in maniera da poter seguire la dinamica dell’emissione in funzione del campo applicato, ovvero lavorare a distanze inferiori a 20 µm. Tuttavia in questo intervallo di distanze la condizione di distanza anodo-catodo fissa durante un ciclo di misurazione potrebbe non essere garantita a causa delle eventuali vibrazioni meccaniche che il sistema può introdurre.

Nel caso del setup allestito in questo lavoro, è stato valutato7 che il sistema

introduce vibrazioni meccaniche di ±10 µm dovute al sistema di pompaggio delle camere adiacenti alla camera di misura e al montaggio in sospensione delle strutture di manipolazione (Fig. 5.5).

7 Avvicinando progressivamente anodo e catodo e monitorando su un oscilloscopio i picchi dovuti al contatto accidentale degli elettrodi, si è verificato come, al di sotto di distanze di 10 um, il sistema tenda a essere meccanicamente instabile, impedendo una caratterizzazione adeguata.

Figura 5.5: interno della camera di misura: a) supporto per il manipolatore

rototraslazionale; b) sensore a filamento per la misura del vuoto; c) isolatori in Teflon; d) alloggiamento del campione; e) anodo con filo di tungsteno.

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