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Trasporto verso la superficie

Capitolo 3 Progettazione del prototipo

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione

3.2.2 Trasporto verso la superficie

3.2.4 Fasci polarizzati in spin 3.3 Studio della geometria di emissione

3.3.1 β per emettitore singolo 3.3.2 β per array di emettitori

3.3.3 Caratteristiche del fascio elettronico 3.4 Validità di impiego e limitazioni

Il panorama delle sorgenti elettroniche offre numerose soluzioni in base all’applicazione richiesta. La conoscenza delle loro principali caratteristiche e dei loro limiti consente di valutare la possibilità di migliorarne i punti deboli preservandone le qualità. In questo capitolo descrivo i principali limiti dei fotocatodi convenzionali e le soluzioni che ho proposto per il loro superamento. La conoscenza delle possibilità offerte dalle nanotecnologie e lo studio dei meccanismi di fotogenerazione ed emissione, costituiscono i punti chiave alla base della progettazione fatta in questo lavoro di tesi, di un dispositivo innovativo basato su un’eterostruttura di germanio su silicio, in grado di offrire non solo caratteristiche confrontabili con quelle di sorgenti convenzionali impiegate principalmente come cannoni elettronici per fotoiniettori, ma anche soluzioni innovative per il miglioramento di alcune di esse. La progettazione del prototipo di fotoemettitore che ho condotto, si basa sull’analisi approfondita di tre

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sottoproblemi, che, secondo il Three Step Model, rappresentano il fulcro per lo studio di un dispositivo optoelettronico: lo studio dei meccanismi di fotoeccitazione ha portato a selezionare materiali in grado di assorbire radiazione luminosa a determinate lunghezze d’onda massimizzando l’efficienza quantica; l’analisi dei meccanismi di trasporto verso la superficie ha consentito di ottimizzare il processo di crescita, controllando spessori e drogaggi, per ridurre i difetti nel materiale; lo studio dei meccanismi di emissione ha determinato la selezione del meccanismo più adatto per superare le limitazioni operative proprie dei fotocatodi basati su semiconduttori con affinità elettronica negativa. Il prototipo progettato in questo lavoro funziona per emissione di campo intensificata da radiazione. Le caratteristiche di emissione, che sono direttamente legate alla geometria delle strutture emettitrici da realizzare sul materiale, hanno richiesto uno studio approfondito con un simulatore dedicato alla propagazione di cariche in campi elettromagnetici. In aggiunta, è stata considerata e verificata da calcoli teorici, la possibilità che, agendo direttamente sulla struttura cristallina del materiale durante il processo di crescita, il prototipo progettato è in grado di produrre fasci polarizzati in spin, caratteristica esclusiva di fotocatodi basati su eterostrutture di arseniuro di gallio opportunamente ricoperti di ossido di cesio.

3.1 Sorgenti elettroniche per fotoiniettori

Le caratteristiche richieste per un cannone elettronico per fotoiniettori sono attualmente distribuite in diverse tipologie di sorgenti. L’impiego di dispositivi basati su metalli e su semiconduttori consente di coprire totalmente le richieste operative, ma ogni dispositivo deve far fronte ad un compromesso in termini di vantaggi offerti e limitazioni di utilizzo.

In particolare sono richiesti:

alta efficienza quantica a lunghezze d’onda più lunghe possibili

I fotocatodi basati su metallo presentano efficienze inferiori a 10-3 e la regione di funzionamento è nell’ultravioletto. I fotocatodi basati su semiconduttore consentono di massimizzare l’efficienza quantica fino a 0,5 nel visibile e vicino infrarosso. Lo spostamento della regione di fotoeccitazione verso il rosso viene realizzata riducendo l’affinità elettronica del catodo per mezzo di deposizioni di materiali a bassa funzione lavoro, come l’ossido di cesio.

tunabilità con la lunghezza d’onda

I fotocatodi metallici presentano lunghezze d’onda di soglia per l’emissione nell’ultravioletto; la soglia è determinata dallo specifico materiale impiegato. I fotocatodi basati su semiconduttore, invece, permettono di regolare il massimo di efficienza in un intervallo di lunghezze d’onda agendo sulla composizione delle leghe di semiconduttori. In questo modo è possibile progettare un emettitore in base alle caratteristiche dell’eccitazione luminosa e selezionare una regione di fotoeccitazione più o meno estesa che va dall’ultravioletto al vicino infrarosso.

3.1 Sorgenti elettroniche per fotoiniettori 60

tempi di risposta ultracorti (inferiore a 1 ps)

I fotocatodi metallici forniscono tempi di risposta dell’ordine delle decine di femtosecondi operando in riflessione. I meccanismi di trasporto differenti nei semiconduttori rispetto ai metalli determinano limitazioni nel tempo di transito del materiale e, conseguentemente, nella velocità di risposta all’impulso di luce. Regolando lo spessore del materiale in modo opportuno è possibile agire sul tempo di risposta a scapito della quantità di carica fotogenerata. Selezionando substrati trasparenti a determinate lunghezze d’onda, è possibile realizzare fotocatodi a semiconduttore che operano in trasmissione.

emittanza intrinseca ridotta

I fotocatodi metallici e quelli basati su semiconduttore consentono di generare fasci elettronici la cui forma ricalca quella del’impulso di luce incidente. I meccanismi di scattering e le condizioni delle superfici tendono a deformare la geometria del fascio elettronico. La proporzionalità diretta dell’emittanza intrinseca sia con l’energia della radiazione incidente (maggiore per i metalli) sia con l’efficienza quantica (maggiore per i semiconduttori), consente di ottenere valori estremamente bassi per entrambe le categorie di fotocatodi. Ridurre l’area di emissione contribuisce ad una riduzione dell’emittanza intrinseca, ma riduce anche la quantità di carica generata.

uniformità di emissione

La preparazione delle superfici è un elemento fondamentale per evitare disomogeneità del fascio elettronico. La riduzione della rugosità superficiale

al di sotto di 1 nm picco-picco preserva l’emissione da fluttuazioni nella distribuzione energetica del pacchetto elettronico generato. Sia per i metalli sia per i semiconduttori è richiesto un pre-trattamento della superficie ed eventualmente un condizionamento in situ per eliminare gli adsorbati. Tali trattamenti variano da materiale a materiale e richiedono un’analisi dedicata in funzione delle caratteristiche di superficie.

bassa corrente di buio

Le caratteristiche del pacchetto elettronico generato devono essere, in linea teorica, determinate esclusivamente dalle caratteristiche dell’impulso di luce incidente sul fotocatodo. In assenza di eccitazione ottica, il dispositivo non deve poter emettere alcuna carica elettrica. In pratica, l’obiettivo è massimizzare il rapporto segnale-rumore, avendo definito con segnale la quantità di carica fotogenerata e con rumore la quantità di carica letta dal sistema di misura in condizioni di buio. La presenza di alti campi elettrici (DC o RF) può indurre fenomeni di emissione di campo in protrusioni presenti sulla superficie, da cui un livello di carica vista come rumore in assenza di luce. Per minimizzare questo tipo di fenomeni, la sorgente laser viene sincronizzata con il campo RF sinusoidale in modo da massimizzare il campo elettrico solo in corrispondenza della durata temporale dell’impulso di luce e ridurre il contributo di corrente generata per emissione di campo.

possibilità di generare fasci elettronici polarizzati in spin

I fotocatodi su semiconduttore basati su eterostrutture di GaAs hanno dimostrato valori di polarizzazione in spin superiori al 90% agendo sul profilo di banda del materiale mediante particolari processi di crescita controllata. In esperimenti di fisica per le alte energie, disporre di una

3.1 Sorgenti elettroniche per fotoiniettori 62

sorgente coerente di elettroni, polarizzati in spin, è di fondamentale importanza.

passivazione controllata della superficie

L’integrità della superficie, come già esposto, si riflette direttamente sulle caratteristiche del pacchetto elettronico generato. L’alta reattività dimostrata dai fotocatodi basati su semiconduttore richiede una passivazione della superficie e un processo di packaging per il trasporto e la manipolazione. L’ossidazione naturale della superficie dei fotocatodi metallici tende a preservarne l’integrità dalle contaminazioni esterne. Lo strato passivante deve esser rimosso con facilità durante le operazioni di condizionamento in situ del fotocatodo senza alterare le caratteristiche di superficie.

tempo di vita prolungato

I fotocatodi metallici hanno cicli di durata che variano da alcuni mesi a diversi anni senza mostrare evidenti deterioramenti nella qualità dell’emissione elettronica. Per i semiconduttori, il tempo di vita si assesta da qualche ora a qualche settimana a causa dell’alta reattività chimica dei metalli alcalini e loro ossidi depositati in superficie, necessari alla riduzione dell’affinità elettronica.

condizioni di UHV non eccessivamente stringenti

Rispetto alle consuete condizioni operative di vuoto nella macchina acceleratrice, a differenza dei fotocatodi metallici, l’utilizzo di fotocatodi a semiconduttore necessita di vuoto ultra spinto (10-11 – 10-12 Torr) per ridurre le contaminazioni e prolungarne il tempo di vita.

facilità nella pulizia e riattivazione

Durante le operazioni di emissione, la superficie del fotocatodo tende a degradarsi a causa di gradienti termici locali o per bombardamento ionico attivato dal campo elettrico accelerante, provocando una riduzione dell’efficienza quantica. Solitamente, raggiunta una determinata soglia di efficienza quantica, il fotocatodo viene pulito tramite trattamenti termici e ablazione laser in situ, oppure trasportato in camere adiacenti la camera dove opera la macchina acceleratrice, per essere ricondizionato e riattivato tramite deposizioni di opportuni materiali, quali, ad esempio, l’ossido di cesio nel caso dei semiconduttori. Queste operazioni determinano un’interruzione della funzionalità del fotocatodo e un processo dispendioso che non garantisce il ripristino totale delle prestazioni iniziali. Cicli di misure distanti temporalmente sono perciò caratterizzati da condizioni operative differenti, per cui è necessario considerare la “storia” del fotocatodo utilizzato.

facilità e riproducibilità nella fabbricazione

I fotocatodi metallici sono relativamente semplici da realizzare rispetto a quelli basati su semiconduttore che richiedono una tecnologia sofisticata per la crescita del materiale. In aggiunta, la bassa resa nella realizzazione a partire da wafer di larga area non consente di ottimizzare il processo per i semiconduttori ed è necessario processare separatamente i catodi, con dirette conseguenze sui costi realizzativi e sulla riproducibilità nella fabbricazione.

I requisiti richiesti per un fotocatodo non possono essere realizzati con un’unica tipologia di catodo. I fotocatodi metallici vantano tempi di risposta dell’ordine delle decine di femtosecondi, alta densità di corrente, bassa emittanza intrinseca, tempi di vita prolungati e una tecnologia di realizzazione semplice. Tuttavia

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione 64

possiedono efficienze quantiche molto basse, richiedono un’eccitazione luminosa nell’ultravioletto e altissime potenze per generare una carica dell’ordine del nanocoulomb. Inoltre operano in riflessione e non possono generare fasci polarizzati. I fotocatodi basati su semiconduttore hanno alte efficienze quantiche nella regione del visibile e vicino infrarosso, tempi di risposta dell’ordine del picosecondo, operano anche in trasmissione, possono generare fasci polarizzati, ma difettano principalmente nel tempo di vita data l’alta reattività chimica dei materiali a bassa funzione lavoro con cui sono realizzati. Processi di rigenerazione riescono ad allungarne la durata, ma a fronte di difficoltà tecnologiche e operative.

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione

La progettazione del prototipo di fotoemettittore, che ho condotto in questo lavoro di tesi, è stata suddivisa in tre sottoproblemi riguardanti la regione di fotoeccitazione, il meccanismo di trasporto verso la superficie e lo studio dell’emissione dalla superficie. Ho valutato le caratteristiche richieste per i fotoemettitori convenzionali e ho studiato la possibilità di realizzazione, in base alla tecnologia a disposizione, su un dispositivo basato su un’eterostruttura di germanio su silicio che funzionasse per emissione di campo intensificata da radiazione.

3.2.1 Regione di fotoeccitazione

I requisiti esposti in precedenza nei punti a) (alta efficienza quantica a lunghezze d’onda più lunghe possibili) e b) (tunabilità con la lunghezza d’onda), focalizzano la progettazione sulla tipologia di materiale e il suo coefficiente di assorbimento. A questo scopo ho valutato le proprietà di fotoeccitazione di

semiconduttori notoriamente impiegati nella regione del vicino infrarosso (Fig. 3.1). Tra questi si annoverano da un lato il germanio e leghe di silicio-germanio che presentano un alto valore del coefficiente di assorbimento e, caratteristica fondamentale, la cui tecnologia è compatibile con la consolidata tecnologia del silicio; dall’altro leghe binarie di elementi dei gruppi III-V, principalmente GaAs e InP, e loro leghe ternarie e quaternarie, che, sebbene presentino il vantaggio di avere una gap diretta e perciò essere facilitati nel meccanismo di fotoassorbimento, tuttavia richiedono una tecnologia dedicata e onerosa, data la incompatibilità con quella del silicio.

Figura 3.1: coefficiente di assorbimento per alcuni semiconduttori. Per radiazione

luminosa di 800 nm e 1064 nm, lunghezze d’onda tipiche dei laser impulsati ultraveloci ad alta potenza, il coefficiente di assorbimento del germanio e dei III-V è molto alto e ciò li rende ideali come dispositivi fotoassorbenti nella regione di interesse.

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione 66

Per questo la scelta del materiale fotoassorbente si è orientata sul germanio, cresciuto su silicio il quale ha il ruolo di substrato per la crescita epitassiale. Per determinare la quantità di carica fotogenerata è necessario valutare, secondo la legge di Lambert-Beer [98], l’intensità di radiazione (o equivalentemente la potenza ottica) che viene assorbita in un determinato spessore ad una fissata lunghezza d’onda (non considerando fenomeni di riflessione):

α α

− −

= 0 d = 0 d

I I e P P e (3.1)

con I (o P) intensità (o potenza) della radiazione incidente all’interno del materiale, I0 (o P0) intensità (o potenza) della radiazione incidente sulla superficie (avendo già

considerato la frazione di radiazione riflessa), con α coefficiente di assorbimento del materiale e con d la distanza dalla superficie verso l’interno del materiale. Definendo con dp il reciproco di α come la lunghezza di penetrazione della

radiazione, ovvero la distanza dalla superficie per cui la potenza ottica si è ridotta al 33% della potenza iniziale, è possibile quantificare gli spessori ottimali entro i quali la radiazione ad una determinata lunghezza d’onda viene assorbita. Nel caso di un’eterostruttura di germanio su silicio, ho valutato la possibilità di realizzare un fotoemettitore che lavorasse in trasmissione, in cui la radiazione luminosa proviene dal lato del silicio, non viene assorbita in grande percentuale, e sopravvive fino alla regione dove è cresciuto il germanio, nella quale viene completamente assorbita.

Analizzando il problema per una radiazione di 800 nm, si ricava [99] che dp

per il silicio è 10 μm e per il germanio è 200 nm (Tab. 3.1 ). La radiazione incidente dalla parte del silicio si estingue per il 67% entro 10 μm di spessore. I substrati di silicio su cui si crescono le eterostrutture di germanio hanno spessori di centinaia di micrometri e, quindi, non consentono la fotoeccitazione dello strato di germanio.

Materiale lunghezza

d’onda λ (nm) assorbimento α (cmcoefficiente di -1) penetrazione dlunghezza di

p (μm)

Silicio 800 1020 9,80

Germanio 800 50996 0,196

Silicio 1064 9,65 1036

Germanio 1064 13602 0,735

Tabella 3.1: lunghezza di penetrazione per il silicio e per il germanio con radiazione

incidente di 800 nm.

Infatti, considerando uno spessore del substrato di silicio pari a 400 μm, su cui viene cresciuto lo strato di germanio, si ricava che la potenza ottica che arriva all’interfaccia germanio-silicio è ~10-18%, praticamente trascurabile. Il problema

trova soluzione se si opera un assottigliamento del substrato di silicio in modo da permettere alla radiazione luminosa di arrivare nella regione dove è presente il germanio. Ovvero, modificando lo spessore è possibile selezionare la quantità di potenza ottica che viene “persa” nel substrato; realizzando delle membrane di silicio di spessore opportuno (< 10 µm) e di dimensioni pari all’area desiderata di emissione del fascio elettronico, si riduce la potenza ottica assorbita dal silicio, che diminuisce al diminuire dello spessore della membrana, e si riesce a eccitare lo strato di germanio solo in un’area limitata (Fig. 3.2), evitando fenditure aggiuntive, tipicamente presenti nei fotocatodi semitrasparenti a semiconduttore, che operano il filtraggio spaziale della radiazione incidente. Nel caso di radiazione a 1064 nm, la lunghezza di penetrazione per un substrato di 400 μm di silicio è dell’ordine del millimetro e, quindi, la frazione di potenza ottica “persa” nel silicio è solo del 32%. In presenza di membrana di 10 μm, la potenza ottica “persa” scende fino a ~1%.

In questo modo la membrana assume due importanti ruoli: quello di filtraggio della radiazione ottica incidente, ovvero di selezione della potenza ottica che arriva nella regione dello strato del germanio, e quello di filtraggio spaziale, cioè di

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione 68

determinare la geometria del fascio ottico che effettivamente eccita il germanio e, di conseguenza, determinando la forma del fascio elettronico fotogenerato.

Figura 3.2: simulazione dell’andamento della potenza ottica incidente su una

membrana di silicio spessa 10 µm per radiazione luminosa di 800 nm entrante dal retro. La porzione di luce che sopravvive è confinata in una geometria definita dalle dimensioni della membrana.

Lo spessore dello strato di germanio cresciuto sul substrato di silicio, invece, determina la quantità di carica fotogenerata ed è inversamente dipendente al tempo di risposta tra l’eccitazione luminosa e l’emissione. Lo strato di germanio cresciuto è dell’ordine del micrometro, e considerando il coefficiente di assorbimento del germanio alle lunghezze d’onda di riferimento (800 nm e 1064 nm), in linea di principio, si ottiene che il 67% della potenza arrivata all’interfaccia silicio-germanio viene assorbita rispettivamente in 200 nm e in 700 nm. In uno spessore di 1 μm, verrebbe assorbita il 99,994% della radiazione a 800nm e il 74% della radiazione a 1064 nm. Per valutare i tempi di risposta in funzione dello spessore è necessario considerare che α per il germanio è compreso tra 104 e 105

cm-1 e l’efficienza quantica teorica massima si ottiene per spessori maggiori di 300

nm (Fig. 3.3), a cui corrispondono tempi superiori a 3 ps. Nel caso riguardante il progetto del dispositivo in questione, considerando spessori dell’ordine di centinaia di nanometri, e una velocità di saturazione dell’ordine di 107 cm/s [100], il tempo

Figura 3.3: stima della efficienza quantica e del tempo di transito in funzione dello

spessore di germanio. Per radiazione con lunghezza d’onda tra 800 nm e 1064 nm il coefficiente di assorbimento individua la zona colorata [101].

3.2.2 Trasporto verso la superficie

I fotoelettroni generati all’interno dello strato submicrometrico di germanio migrano verso la superficie in un tempo direttamente legato allo spessore dello strato cresciuto, all’energia acquisita nel processo di fotoassorbimento, all’intensità del campo elettrico esterno e alle caratteristiche del materiale. Per questo è necessario disporre di un materiale con il minor numero possibile di difetti per incrementare il tempo di vita dei fotoelettroni senza che questi possano essere ricombinati o intrappolati, e per ridurre il tempo di transito dalla zona di fotogenerazione alla superficie di emissione. L’eterostruttura costituita da germanio su silicio, cresciuta in modo da rilassare lo strato epitassiale, presenta difetti di

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione 70

dislocazioni legati al disaccordo reticolare tra i due materiali (Fig. 3.4) che possono funzionare da centri di trappola per gli elettroni, abbassando l’efficienza quantica interna e dilatando i tempi di risposta del dispositivo.

Figura 3.4: disaccordo reticolare tra silicio (substrato) e germanio (epitassiale).

L’epitassia può produrre un materiale tensile, il cui parametro reticolare si conforma a quello del substrato, oppure può crescere rilassato inducendo dislocazioni all’interfaccia (misfit) o nel materiale (threading).

Oltre ai difetti dovuti al disaccordo reticolare, il materiale presenta difetti derivanti dal drogaggio p-type. Secondo il meccanismo di funzionamento di un emettitore di campo intensificato da radiazione, il materiale assorbente deve risultare con un drogaggio p-type per incrementare il segnale di fotocorrente emessa rispetto alla corrente di buio. In questo modo gli elettroni emessi saranno in maggioranza quelli fotogenerati rispetto a quelli termici. Il substrato di silicio, a sua volta, deve avere un drogaggio p-type per evitare l’insorgere di zone di svuotamento all’interfaccia dei materiali, che ostacolerebbero il flusso elettronico e, contemporaneamente, per garantire una bassa resistività per migliorare il contatto elettrico con il supporto collegato al generatore di tensione, producendo un profilo di banda come in Fig. 3.5.

Figura 3.5: profilo di bande per l’eterostruttura Ge on Si. Entrambi i semiconduttori

sono p-type.

Alti valori di drogaggio per il germanio, tuttavia, se da un lato riducono la corrente di buio, dall’altro producono una maggiore densità di difetti del cristallo con dirette conseguenze sulle proprietà di trasporto; non è escluso, inoltre, che in presenza di alti campi e densità di cariche elevate, la trasparenza della barriera consenta l’emissione di campo anche dalla banda di valenza e da livelli ad essa prossimi come quelli determinati da drogaggi pesanti p-type. In questa circostanza, ampiamente trattata nel modello di Stratton per l’emissione di campo da semiconduttori prossimi alla degenerazione [69], la corrente di buio consisterebbe nel contributo di due emissioni distinte: quella dalla banda di conduzione popolata da elettroni “termici” e quella dalla banda di valenza, che, sebbene veda una larghezza di barriera maggiore, può innescare l’effetto tunnel grazie all’alta densità di cariche. Valutare quale sia il valore di drogaggio ideale richiede una conoscenza approfondita del meccanismo di emissione di campo, che, per i semiconduttori p-type, si discosta notevolmente dal classico meccanismo alla Fowler-Nordheim, per cui, solitamente, si ricorre ad un approccio empirico.

3.2 Scelta del materiale e del meccanismo di emissione 72

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