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(CONFINI) DEL RISCHIO AMBIENTALE

Nel documento Confin(at)i/Bound(aries) (pagine 147-159)

1. INTRODUZIONE. – Pur se sempre più frequentemente si assiste ad una sorta di ossessivo ritorno verso una cultura del “particolare”, che assume il “confine” quale esplicita barriera verso l’altrove, non vi è dubbio alcuno che nella concezione ambientalista la dimensione “virtuale”, ovvero, la completa indifferenza ad ogni forma di partizione geopolitica dello spazio geografico costituisca un’inevitabile evidenza (D’Aponte, 2004). I fenomeni naturali, diversamente dalle ideologie sociali, coinvolgono l’intero pianeta, con effetti e conseguenze “globali” sia sul piano del relativo “rischio”, sia della conseguente “salvaguardia”. La convivenza con il rischio ambientale a tutte le diverse scale geografiche rappresenta una realtà con la quale è indispensabile confrontarsi per adottare le più opportune misure di contrasto al verificarsi di eventi disastrosi. La ricerca scientifica e le applicazioni tecnologiche possono offrire un valido contributo per monitorare le aree geografiche caratterizzate da più elevato rischio conseguente sia a fenomeni naturali estremi, sia a cattiva gestione dell’ambiente locale da parte dei gruppi umani (Leone, 2015). Pensiamo alle discariche dismesse, alle zone minerarie, ai complessi chimici e petrolchimici ad elevato rischio di contaminazione che necessitano un intervento urgente di bonifica nei diversi ambiti regionali (Meli, 2019). Da qui la necessità di utilizzare gli strumenti idonei a prevenire gli squilibri in ottica di pianificazione sostenibile nella dimensione regionale e territoriale dei piani paesaggistici, liberati dalla mera percezione estetica e focalizzati sulla qualità e il benessere ambientale e sociale. Dunque, il monitoraggio costante del territorio, attraverso strumenti innovativi e relativamente poco costosi e invasivi, permette una mappatura non più statica, bensì dinamica favorendo la valutazione di scenari previsionali di impatto ambientale (Leone, 2019). In quest'ottica, la tutela dell'ambiente può essere intensa come una sorta di metapolitica, la cornice indispensabile nella quale ricondurre il quadro di una reale sostenibilità dell'economia e della società (Bulsei, 2005). Ancor di più sorge l’esigenza di un riconoscimento giuridico, di livello costituzionale, che tenga conto di un “diritto allo sviluppo sostenibile” con l’obiettivo di scongiurare l’evanescenza dei concetti di ambiente e territorio (Niola, 2019). Proprio in tale ottica, la questione della delimitazione dello spazio geografico, il concetto di “separazione” dello spazio relazionale, impone una riflessione attenta circa l’identità territoriale intesa, non tanto attraverso un confine geografico, quanto, piuttosto, considerando le interazioni tra ambiente, strutture fisiche, reti e funzioni economiche, organizzazione sociale e contiguità simboliche di uno spazio tutelato, partecipato, reso coeso attraverso un processo di programmazione territoriale improntato a livelli crescenti di vivibilità sostenibile (Nicolais, 2016). In tale prospettiva l’innovazione tecnologica, ed in particolare gli strumenti operativi che consentono un controllo diretto del territorio di cui si discute in questo contributo, possono fornire, attraverso il controllo aereo, un concreto contributo di prevenzione e repressione di comportamenti umani dannosi per l’ambiente, tutelando, di conseguenza, la salute pubblica1.

1 Il riferimento considera la categoria di veicoli identificata con il termine “drone” (dal verbo inglese “to drone”, emettere un basso ronzio somigliante al rumore del fuco), ossia veicoli volanti controllati a distanza in grado di compiere missioni attraverso operatore remoto. In una più ampia accezione, il termine “drone” si riferisce a

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2.LO SVILUPPO DEI SISTEMI DIGITALI PER IL RILEVAMENTO REMOTO.– L’Organizzazione mondiale dell’aviazione civile ha adottato il più corretto termine di Remotely Piloted Aircraft System (RPAS), ossia Sistemi Aeromobili a Pilotaggio Remoto (SAPR), sostituendo la precedente dicitura di Unmanned Aerial Vehicle (UAV), cioè veicolo aereo senza equipaggio. I primi sviluppi della tecnologia dei velivoli senza pilota a bordo si sono realizzati in ambito scientifico grazie allo sviluppo di progetti sostenuti dalla National Aeronautics and Space Administration (NASA), attraverso ricerche per la realizzazione di veicoli volanti, controllati da un pilota remoto, in grado di effettuare esplorazioni della superficie planetaria a distanze più ravvicinate rispetto a quelle dei satelliti, grazie ad un elevato livello di automatizzazione. Inizialmente, gli elevati costi di realizzazione costrinsero ad un drastico ridimensionamento dell’iniziale programma operativo, limitandone la sperimentazione a settori prevalentemente di ricerca.

Tuttavia, una significativa spinta alla ripresa dello sviluppo del volo a controllo remoto si concretizzò per finalità di natura militare con prototipi in grado di coprire apprezzabili distanze a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Vennero realizzati velivoli impiegati in attività di ricognizione tattica ravvicinata, oltre che di attacco a distanza, con il vantaggio di effettuare missioni senza mettere a rischio la vita dei piloti. Stati Uniti, Israele e paesi della Nato hanno tutti sviluppato i propri droni militari con profili operativi di ricognizione o attacco. Per garantire l’autonomia e la capacità di carico necessarie a queste prime applicazioni, i droni erano necessariamente velivoli ad ala fissa, con motore a pistoni o a reazione, del tutto simili agli analoghi velivoli con pilota, bensì di dimensioni e tipologie di armamento dissimili. Le funzioni di controllo venivano svolte da piloti in stazioni di controllo remoto, assistiti da opportuni strumenti di rilevamento posti a bordo del drone, come sensori di volo (altimetro, barometro, giroscopio) e telecamere in grado di assistere il pilota e immergerlo in una realtà percepita, del tutto adeguata allo svolgimento della missione operativa.

Lo sviluppo dei droni, fino al raggiungimento della configurazione ormai diffusa, si è prodotto con accelerazione esponenziale negli ultimi trent’anni, spinta dalla realizzazione, in campo elettronico ed energetico, di strumenti di precisione estrema e grazie alla sempre più evoluta miniaturizzazione dei componenti per il controllo a distanza degli apparati di volo. Una prima rivoluzione fondamentale è infatti associata allo sviluppo di sistemi compatti di accumulo di energia. Batterie leggere e con densità di carica enormemente elevata hanno reso possibile la realizzazione di quella che pochi anni prima appariva pura utopia. Si è così diffuso l’utilizzo della propulsione elettrica dei velivoli, aprendo quindi la via allo sviluppo dei droni ad ala rotante e dei multirotori2.

A questo punto la semplificazione dei meccanismi e la disponibilità di elettronica potente e a basso costo, ottenuta come ricaduta dello sviluppo dei dispositivi cellulari di comunicazione, hanno permesso il miglioramento delle prestazioni e una considerevole diminuzione del costo dei droni.

qualsiasi veicolo senza pilota a bordo, in grado di compiere missioni in ambiente aereo, terrestre o acquatico. Anche se più rari, questi ultimi possono affiancare i droni volanti nella mappatura di confini acquatico superficiali e anche sommersi, offrendo quindi l’opportunità di esplorazione multidmensionale le profondità di acque interne o marine, quella che potremmo definire la “quarta dimensione”.

2 E’ interessante rilevare come già Leonardo da Vinci, disegnando la sua elica a passo variabile, che si avvita nell’aria, prefigurava il principio dell’ala rotante. Sostituendo la vite con un’opportuna elica, e dotando il velivolo di propulsione meccanica, nei primi anni Venti del secolo scorso, sono iniziati gli studi di velivoli dai quali derivano gli elicotteri. Tuttavia, la transizione ai moderni droni è diretta conseguenza della più recente rivoluzione digitale che ha reso disponibili dispositivi elettronici, sensori e batterie capaci di controllare e alimentare in misura efficiente questo genere di velivoli tattici.

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Un ulteriore passo epocale è stato possibile introducendo nel sistema di controllo dei droni applicazioni di intelligenza artificiale. Inizialmente, la mancanza del pilota a bordo era sostituita con sistemi di pilotaggio remoto. Il pilota remoto era considerato, in questo modello di configurazione, come la componente principale del sistema complessivo, costituito appunto operatore a distanza, dal sistema di comunicazione e controllo e dal drone.

La necessità di personale altamente specializzato, in grado di operare in contesti complessi di carattere politico-militare, costituisce un vincolo non indifferente che, con le applicazioni dell’intelligenza artificiale nella struttura funzionale dell’apparato di volo, può essere rimosso, ampliando enormemente l’operatività del nuovo velivolo. I droni di ultima generazione sono dotati di capacità autonome di controllo e di missione, alleviando quindi il compito dell’operatore remoto al quale compete il ruolo di supervisore della missione piuttosto che quello di pilota remoto.

In altri termini, riducendo la sfera delle competenze decisionali dell’operatore umano, implementando modelli integrati di automazione, emergono ben più ampie opzioni d’impiego, che mentre rendono il teatro operativo dei droni più complesso, aprono innovativi scenari di applicazioni in ambito civile, nel cui ambito, proprio le tecniche d’intelligenza artificiale consentono livelli di sicurezza attraverso la preventiva implementazione di opportuni parametri di controllo nell’esercizio di attività di monitoraggio concepiti per impedire il verificarsi di eventi catastrofici per errore umano o malfunzionamento del sistema remoto.

L’importanza di tale aspetto dipende dalla circostanza che i droni sono velivoli che possono raggiungere alcuni chilogrammi di peso, in grado di volare anche a 40-50 km/h e sono azionati da motori con eliche in rapida rotazione. Si tratta quindi di uno strumento potenzialmente pericoloso, in mancanza di adeguati strumenti di controllo e di protocolli formali per l’espletamento delle missioni.

L’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale ha abilitato quest’ulteriore transizione verso lo sviluppo di droni potenti, efficienti e sicuri, in grado di esplorare ambienti aerei, terrestri e acquatici e di raccogliere immagini e dati georeferenziati relativi ad una vasta gamma di parametri ambientali3.

Quello dei droni è un settore che, da fenomeno di nicchia, limitato ad una ristretta cerchia di esperti ed appassionati, sta progressivamente conquistando interesse e consensi, e quindi lascia prefigurare interessanti opportunità di sviluppo, anche commerciale, nei diversi ambiti in cui la tecnologia trova applicazione. L’Italia è stata uno dei primi paesi ad aver adottato una normativa ufficiale in materia attraverso l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) che ha elaborato il Regolamento sui Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto, che contiene indicazioni specifiche sulle autorizzazioni necessarie per i piloti, equipaggiamento, certificazioni da ottenere prima del volo e specifiche norme di sicurezza. Infine, l’11 giugno 2019 la commissione europea ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Regolamento delegato (EU) 2019/945 che stabilisce le regole per l’immissione nel mercato dei SAPR e il relativo Regolamento di esecuzione (EU) 2019/947 che definisce le regole applicabili alle operazioni dei SAPR, ai piloti e agli operatori (https://eur-lex.europa.eu).

Si tratta di un passaggio importante, che potrebbe dare ulteriore impulso ad un settore già in notevole espansione, che annovera circa 700 imprese (al 11/02/2020) che compongono la filiera italiana dei droni (https://www.dronezine.it, 2020).

3 Con decorrenza 1° luglio 2016 è obbligatorio registrare i droni professionali presso un pubblico registro a disposizione delle autorità. D-Flight (www.d-flight.it) è il sito sperimentale che permette la registrazione dei droni nella banca dati italiana e l’assegnazione di un codice univoco di identificazione per ciascuno di essi. Il portale D-Flight, inoltre, offre informazioni utili per far volare i droni in sicurezza ed in conformità alle normative vigenti.

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3. I PRINCIPALI STRUMENTI UTILIZZATI. – I droni volanti possono essere classificati in velivoli ad ala fissa e velivoli ad ala rotante. I primi somigliano prevalentemente a piccoli aerei e hanno una maggiore velocità e autonomia di volo rispetto ai loro omologhi ad ala rotante. Il loro profilo di volo è tuttavia meno flessibile, e non possono effettuare sorvoli in condizioni stazionarie o in ambienti geograficamente e morfologicamente complessi. Vedono il principale impiego in applicazioni di agricoltura di precisione o per il monitoraggio delle coste e rilevazioni estese ad ampie aree marine.

I velivoli ad ala rotante, presentano una configurazione più compatta, una maggiore semplicità d’uso e la possibilità di operare in spazi ristretti, grazie alla loro capacità di volo verticale e all’adozione di volo stazionario (hovering) che consente una maggiore precisione sui dati acquisiti (Ecoscienza, 2015). Possono quindi essere utilizzati per il monitoraggio di un sito contaminato, di un’emergenza a seguito di calamità naturale o per assistere le Forze dell’Ordine in missioni sul territorio.

Interessante è anche il possibile utilizzo di droni acquatici, ossia natanti di superficie o sommergibili di piccole dimensioni. Sono dotati di sensori in grado misurare i principali parametri chimico-fisici delle acque (temperatura, densità, conducibilità elettrica, pH, presenza di metalli e idrocarburi) e di fornire mappature parametriche georeferenziate, ad esempio per monitorare gli scarichi accidentali o illegali sia in specchi di acque interne che lungo le coste.

Queste applicazioni ne caratterizzano il particolare rilievo che la relativa applicazione assume in ambito geografico, dove rende possibili ed efficaci attività di prevenzione e, in particolari circostanza, di repressione di azioni delittuose, legate all’ampia e remunerativa filiera dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi nel territorio.

La dotazione elettronica di un drone, indipendentemente dalla sua configurazione operativa, deve essere in grado di assolvere i seguenti compiti principali:

• pilotaggio, controllo, e georeferenziazione;

• acquisizione dei parametri di rilevamento e trasmissione dei dati.

Il primo set di funzioni è imprescindibile e connesso con la configurazione ed esecuzione di una missione autonoma o guidata a distanza, in quanto il drone deve essere localizzato, anche in un sistema georeferenziato, e guidato verso l’obiettivo prefissato con assoluta precisione. Lo svolgimento in sicurezza della missione implica inoltre che il drone sia in grado di evitare ostacoli di diversa natura, che potrebbero arrecare danno alla sua stessa integrità o a terzi. Nel caso di sistemi guidati a distanza, il controllo viene effettuato con guida a vista o mediante immagini acquisite dal drone e trasmesse in tempo reale al pilota, mediante le quali esso si immerge nel contesto operativo del drone stesso. Nel caso d’implementazione di un sistema di guida autonoma mediante algoritmi di intelligenza artificiale, il sistema di controllo viene attivato attraverso un sistema integrato che analizza le informazioni fornite da sensori multipli, che includono telecamere HD e termiche, giroscopi, accelerometri, magnetometri, sensori di pressione, sensori di prossimità, sistemi di localizzazione satellitare, in grado di acquisire ed elaborare immagini ad elevatissima risoluzione.

La mappatura dei dati acquisiti viene, successivamente, eseguita attraverso la correlazione delle immagini raccolte con la distribuzione di specifici parametri d’interesse, quali temperatura e umidità del suolo, presenza di aree verdi e stato di crescita della flora, presenza di contaminanti, modificazioni dirette ed indotte dei profili del terreno. È inoltre possibile equipaggiare i droni con sensori chimici specifici per effettuare analisi puntali e mappature tridimensionali dei risultati rilevati in atmosfera o nelle acque. Infine, i dati sono trasmessi alla stazione di rilevamento a terra, che ha il compito coordinare l’intervento e di raccogliere i dati per una successiva elaborazione (https://www.dronezine.it, 2020).

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4. “BEST PRACTICES PER UNA GEOGRAFIA INNOVATIVA. – Le recenti esperienze realizzate sul territorio nazionale costituiscono dei modelli operativi sviluppati mediante l’utilizzo di moderne tecnologie di rilevamento e mappatura tramite droni per la definizione di aree a rischio di contaminazione ambientale o soggette ad eventi naturali rischiosi, di carattere idrogeologico e/o atmosferico. I progetti hanno dimostrato le enormi potenzialità della tecnologia, combinate a semplicità d’impiego e rapidità di messa in opera, il tutto facilitato dall’utilizzo di risorse relativamente economiche e di basso impatto ambientale. Questi modelli rappresentano dei benchmark operativi ed è auspicabile che possano essere implementati dalle Pubbliche Amministrazioni in termini sistemici in ogni contesto regionale del nostro Paese.

Una pratica virtuosa che si ritiene interessante diffondere in ambito geografico deriva dal protocollo d’intesa sulla Terra dei Fuochi siglato il 19 novembre 2018 dal Governo nazionale e la Regione Campania, che coinvolge il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), in particolare l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e Arpa Campania (https://www.minambiente.it, 2020).

Contenuto fondamentale dell’accordo è il Piano d’azione per il contrasto ai roghi di rifiuti, che fa capo a un’unità di coordinamento presieduta da un delegato del presidente del Consiglio dei ministri, ed è articolato in tre ambiti di intervento: salute, tutela ambientale e presidio del territorio.

La normativa vigente definisce un piano di sorveglianza e di controllo periodico delle discariche, per il rispetto di specifici parametri chimici, chimico-fisici, idrogeologici, meteo-climatici e topografici. Le discariche richiedono un monitoraggio costante, in tutte le fasi della loro vita, attraverso una serie di parametri da acquisire attraverso sistemi di prelevamento ed analisi prestabilite dei relativi dati. Il monitoraggio deve essere effettuato sulle acque sotterranee, sul percolato, sulle acque di drenaggio superficiale, sui gas di discarica, sulla qualità dell'aria.

L’iniziativa consiste in quattro voli destinati al monitoraggio delle discariche e di altre zone ad alto rischio ambientale nella “Terra dei Fuochi”, tra le provincie di Napoli e Caserta, che nel corso degli anni è stata purtroppo vittima di attività criminose legate allo sversamento di rifiuti tossici e a numerosi roghi di rifiuti. In quest’attività gli elicotteri della Guardia di Finanza sono stati affiancati dai droni dell'esercito, consentendo un più ampio controllo del territorio. L’uso dei droni assicura un monitoraggio tempestivo di attività sospette (ad esempio i roghi), ma anche l’aerofotogrammetria di vaste aree per monitorarne lo stato attuale e verificare, tramite i voli successivi, eventuali nuove anomalie. In particolare, ricorrendo a percorsi e viewpoints prefissati, è possibile una costante comparazione dei rilievi morfologici, termici e delle analisi dei biogas rilasciati in punti specifici, che consente l’immediato rilevamento di anomalie, sinonimo di problematiche nella struttura della discarica o nei contenuti dei rifiuti depositati nella stessa.

Anche nella Regione Toscana (nel corso del 2017) sono stati utilizzati sistemi di controllo da remoto, in particolare in aree di cava. A seguito della convenzione attivata tra ARPAT e Dipartimento di Scienze della Terra (Facoltà di Scienze Geologiche, Università di Firenze) nell’ambito del progetto regionale di monitoraggio delle cave del bacino marmifero apuano e versiliese (il cosiddetto Progetto Cave), sono state avviate le attività sul campo in un sito campione per la messa a punto della metodologia di rilievo tramite droni. Un sensore di immagini a colori posizionato sul drone consente la ricostruzione della morfologia del territorio a partire da una serie di fotografie per individuare le modifiche geomorfologiche che si sono succedute nel tempo e individuare le criticità da approfondire con attività ispettiva sul posto. In particolare, con l’ausilio di foto satellitari e voli di ricognizione dei droni, si mira a individuare l’espansione delle aree di cava, dimensionare le zone di accumulo del materiale diverso dai blocchi, esaminare gli spostamenti del materiale sciolto prodotto in cava al fine di

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tracciarne i flussi. I test effettuati hanno messo in evidenza l’elevata precisione raggiungibile nella caratterizzazione dell’area di lavoro, che consente di valutare lo stato di avanzamento delle attività di coltivazione in riferimento ai quantitativi autorizzati e al rispetto delle prescrizioni in materia di tutela ambientale.

I prodotti finali del rilievo consistono in modelli digitali tridimensionali del terreno (DEM/DSM), l’ortofotocarta dell'area rilevata, le curve di livello con risoluzione di 50cm e la nuvola di punti (point cloud) densa e rada per la rappresentazione tridimensionale e il calcolo dei volumi e hanno permesso la caratterizzazione puntuale dello stato dei lavori di escavazione in un ambiente soggetto a frequenti trasformazioni, quale quello delle aree estrattive ubicate nelle Alpi Apuane (https://www.arpat.toscana.it, 2020).

Nell’ambito dei droni acquatici un’esperienza interessante è stata quella denominata “Venus Swarm”, consistente in uno sciame di droni sottomarini che imitano il comportamento dei pesci per il controllo dei fondali, che nel 2015 è stata sperimentata nella laguna di Venezia per monitorare gli effetti del sistema MOSE.

Questo tipo di formazione robotica a “sciame denso” utilizza decine di droni a distanza di pochi metri tra loro, a differenza delle attuali applicazioni in cui ogni dispositivo naviga a centinaia di metri l’uno dall’altro. Per gli sciami di droni si prefigura uno scenario di lavoro intenso. Si parte con la sorveglianza delle strutture in mare come piattaforme petrolifere, gasdotti e porti che potrebbero essere bersaglio di sabotaggi e attacchi terroristici. L’accesso ai porti attualmente viene controllato solo dalla superficie. La nuova formazione robotica dell’ENEA invece è in grado di individuare l’eventuale attacco dai fondali. Gli esperti spiegano che la flotta di pesci ipertecnologici bio-inspired potrebbe essere utilizzata anche per la salvaguardia di fauna e flora sottomarine, per il controllo dell’inquinamento e per il rilevamento di reperti archeologici sui fondali. ENEA e Università Tor Vergata stanno inoltre lavorando ad una proposta di progetto europeo su vita marina e alimentazione umana che si basa sullo studio dell’interazione tra sistemi robotici e banchi di pesci per migliorare le condizioni di salute e di benessere generale degli allevamenti di itticoltura (https://www.enea.it, 2020).

Nel 2019 sulla sponda veneta del lago di Garda, una sperimentazione ha segnato l’avanzamento di un progetto molto promettente ai fini del governo e della gestione del

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