• Non ci sono risultati.

LA SFIDA AMBIENTALE E IL SUPERAMENTO DEL “LIMES” ATTRAVERSO INNOVAZIONE E TECNOLOGIA

Nel documento Confin(at)i/Bound(aries) (pagine 107-121)

1.EVOLUZIONE DELLA NOZIONE DI CONFINE. – Una delle nozioni geografiche più radicate, sulla quale probabilmente ha poggiato l’idea stessa di “geografia politica” a partire da Ratzel in poi (Farinelli, 2000), è proprio quella di confine. Discrimine, spazio di demarcazione, a partire dal quale è possibile suddividere il sistema-mondo in unità distinte attribuendo ad ognuna di esse una serie di elementi accomunanti e, conseguentemente, un’identità statuale. La necessità di porre ordine nell’indistinto geografico, di segnare appunto un limes, una traccia spaziale netta, ossia, una dimensione finita, entro la quale contenere oggetti e costruire di conseguenza un senso di appartenenza a quegli stessi, è la motivazione che, lungo la storia, ha originariamente sostenuto l’istituzione dei confini territoriali.

Il confine di per sé stesso contiene, crea, e trasmette, per questo esplicito motivo, certezza. Probabilmente, il culmine dell’ideologia ostile al principio della moltiplicazione di ogni limes coincide con la percezione del valore di vincolo sofferto legato all’abbattimento del muro di Berlino, nel novembre dell’89, simbolo di libertà riconquistata, espressione estrema dell’aspirazione al superamento di ogni tipo di separazioni artificialmente edificate.

Con l’affermarsi della cosiddetta “società liquida” (Bauman, 2000) il discorso sui confini si è arricchito di nuovi modelli interpretativi tra l’altro legati sempre più esplicitamente alla questione identitaria. E, dunque, proprio l’affermarsi degli scenari globalizzanti, con la loro fluidità, ben espressa dai sempre più consistenti movimenti di migrazione internazionale, hanno suggerito di discutere diffusamente della possibilità di una progressiva frantumazione virtuale di quelle stesse barriere (D’Aponte T., 2004).

Il dibattito che ha animato la comunità scientifica, in direzione dell’opportunità di un liberismo economico sempre più diffuso, portava ad affermare, infatti, la teoria secondo la quale la globalizzazione, in particolar modo attraverso la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione avrebbe necessariamente portato all’abbattimento delle barriere, dei confini, determinando l’affermazione di uno spazio omologato e flessibile.

Tuttavia, proprio in contrasto con quanto si iniziava a teorizzare, in conseguenza del riemergere di fermenti sovranisti legati alla paventata preoccupazione per le crescenti pressioni migratorie, proprio i Paesi maggiormente sviluppati, cioè il fulcro della globalizzazione, dall’Europa all’America, in netto contrasto con ogni forma di apertura integralista, hanno fatto riemergere la tendenza all’isolamento, semmai declinato in termini di “sicurezza” personale ed economica. Spesso, provocando, con l’impulso al rafforzarsi dei confini, l’emergere di diffusi scenari di forti tensioni, lotte violente e finanche tragedie umanitarie.

In altri termini, la paura nei confronti del “diverso” e dello “sconosciuto”, che alimenta il moltiplicarsi di “limes”, sia concettuali, sia fisici, rende del tutto illusoria l’aspettativa di quanti avevano ritenuto che i moderni processi di globalizzazione contribuissero a produrre un mondo senza barriere, mentre, nella concretezza del reale, si assiste sempre più esplicitamente ad una vera moltiplicazione di confini in uno scenario che vede acuirsi i contrasti e rafforzarsi le disparità (Mezzadra, 2014).

-106 -

La concezione di confine è dunque, come si comprende, assai ricca di sfumature e soggetta ad interpretazioni ed adeguamenti multiformi, a seconda dell’angolo di visuale, da un lato, e, dall’altro, in funzione della scala di riferimento a partire dalla quale si pone l’attenzione.

In altri termini, il “confine” è una categoria concettuale squisitamente geografica, proprio perché sia la sua fisicità, sia la relativa virtualizzazione presuppongono uno spazio puntuale di riferimento, ossia un territorio e una comunità che vi si insedia stabilmente e legittimamente.

Una chiave interpretativa del tutto originale viene offerta da Marc Augè (2009), che in un suo recente saggio centrato sulla disamina del concetto di confine, chiarisce come il processo di globalizzazione abbia in realtà generato un fenomeno che definisce di “coscienza planetaria”, il cui spazio privilegiato, sottolinea l’etnologo francese, sembra essere quello urbano. La città, infatti, è, secondo lo studioso, il luogo nel quale emergono in maniera particolarmente evidente le contraddizioni insite nel sistema di globalizzazione. La città rappresenta il nucleo centrale dello spazio geografico in cui si addensano i reali rapporti di forza del mondo contemporaneo, ed è il luogo nel quale, contemporaneamente, data la particolare concentrazione umana, si manifesta in modo più marcato l’inquinamento ambientale1 che alimenta nell’individuo l’insorgenza di una diffusa coscienza ecologica. Modalità che è, inequivocabilmente, espressione di una coscienza planetaria, di per se stessa, quindi, senza confine.

L’esigenza di un innovativo modello di declinazione del concetto stesso di confine, di conseguenza, scaturisce dalla crescente consapevolezza della rischiosità insita nella diffusione “globale” dell’inquinamento, con le conseguenti alterazioni del clima e della stessa sicurezza dei luoghi e dei beni.

La polluzione atmosferica, movimentata nell’atmosfera dalla circolazione generale dell’aria, finisce per rendere ancora una volta desueto ogni concetto e qualsivoglia formulazione fisica di “confine” tra entità politico-amministrative all’interno dell’intero mondo contemporaneo, costringendo a polarizzare l’attenzione dei Governi su politiche e tecniche di salvaguardia di non semplice implementazione, proprio per motivazioni dipendenti dalle distinzioni imposte dalla molteplicità delle scale geografiche, dal locale al regionale, all’interno di uno spazio atmosferico a cui non può applicarsi alcun limes intermedio.

In questo contributo, dopo aver riflettuto sull’evoluzione recente, teorica e politica, del concetto di “confine”, nelle sue varie declinazioni scalari, tenendo debito conto del corretto nesso tra “coscienza planetaria” e “sensibilità ecologica” si riflette sulla dicotomia che nei confronti della polluzione atmosferica si produce nella realtà tra le diverse scale geografiche di applicazione, concludendo circa l’indispensabilità di una riassunzione delle specifiche politiche di contenimento alla scala locale, in esplicito contrasto con il principio del contenimento della polluzione atmosferica secondo parametri a scala nazionale e globale.

2. IL PROBLEMA AMBIENTALE NELLA PROSPETTIVA EUROPEA. – Le più recenti stime del Global Burden of Desease2 (2017) pongono l’inquinamento atmosferico al quinto posto nel mondo tra le cause di malattia e di mortalità, in particolare all’interno delle aree urbane3,

1 Emerge con sempre maggiore forza, proprio in risposta alle numerose criticità concentrate nell’insediamento a carattere urbano, un modello di disurbanizzazione favorito dal diffondersi dello smart working. Sembra cioè che la prassi diffusa negli ultimissimi tempi, in Italia in particolar modo, all’indomani dall’emergenza legata al Covid 19, sia quella di spostarsi nei piccoli centri e godere di condizioni di vita più salutari, gestendo la pratica dello svolgimento delle attività lavorative a distanza.

2 Il GBD Study è un programma di ricerca regionale e globale che valuta la mortalità e la disabilità a causa di importanti malattie, lesioni e fattori di rischio.

3 Nel 2014, il 16% della popolazione urbana dell’Ue-28 è stato esposto a livelli di PM10 superiori al valore limite giornaliero, mentre l’8% è stato esposto a livelli di PM2,5 al di sopra del valore obiettivo determinato

-107 -

lasciando così comprendere quanto la polluzione atmosferica rappresenti, tuttora, uno dei maggiori problemi che l’umanità intera, al di là di ogni confine, si trovi, a dover affrontare. Proprio in conseguenza dell’enorme spinta della comunità scientifica a contrastare gli effetti negativi dell’esposizione ad alcuni agenti, quali il particolato fine, gli ossidi di azoto, e non in ultimo l’ozono, negli anni più recenti l’attenzione degli Stati, a scala globale, si è sempre più diffusamente concentrata nel tentativo di sviluppare strategie volte al monitoraggio degli agenti inquinanti nell’aria, e alla conseguente implementazione di tecniche improntate al contenimento delle conseguenze dannose derivanti dall’esposizione ai fattori inquinanti. Per effetto delle politiche di contrasto dell’inquinamento atmosferico adottate negli ultimi decenni, pur se con lenta progressione, la qualità dell’aria risulta complessivamente migliore in tutto il continente europeo, come testimoniano i dati veicolati dall’Agenzia Europea per l’ambiente, che mostrano come nell’intervallo che va dal 2000 al 2014, i livelli medi annuali di PM10, siano diminuiti in percentuale considerevole (75% in media), pur mantenendosi ancora elevati e dannosi per la salute dell’uomo.

Il processo attivato dalla Commissione Europea, ancor prima che intervenissero le determinazioni prospettate a seguito della Conferenza di Parigi (Dir. 2009/28/CE, è stato, successivamente, ulteriormente dettagliato e rafforzato con l’adozione dalla Dir. 2015/1513/CE) realizza in termini del tutto incisivi il radicamento di un approccio condiviso per l’attuazione di una politica di sostenibilità ambientale, articolata attraverso puntuali obiettivi di progressiva riduzione delle emissioni inquinanti, all’interno dello spazio geografico dell’Unione Europea.

Per la complessa gestione e il governo dei processi conseguenti alla puntuale adozione di adeguate azioni da parte degli Stati, l’U.E. ha istituito una speciale Agenzia, l’EEA (European Environment Agency, che fornisce dettagliate informazioni pubbliche sui risultati conseguiti, rispondendo a quella filosofia di esplicita partecipazione e condivisione definita come insostituibile strumento pubblico di “Planning and persuasion” in direzione di politiche rivolte alla più ampia diffusione delle energie rinnovabili (Haggett, C., 2011).

Ciò nonostante, proprio l’Agenzia europea dell’ambiente all’interno del report Air quality in Europe (2016) mette in evidenza come nel 2014 circa l’85% della popolazione urbana nell’Unione sia stata esposta a livelli di particolato fine (PM2.5) ritenuti dannosi per la salute dall’Oms, chiarendo, in definitiva, come, nonostante siano stati compiuti progressi significativi, molti settori produttivi e diversi ambiti geografici debbano giocoforza essere considerati ancora lungi dal rientrare entro limiti virtuosi.

L’azione dell’Unione Europea in tema ambientale è stata affidata fino al 2020 al 7th Environment Action Programme (EAP), un programma ampio e condiviso la cui azione mirava a contenere come si diceva l’emissione di gas nocivi nell’ambiente, e a garantire, entro il 2020, quale termine ultimo, il pieno rispetto della normativa relativa al contenimento degli agenti inquinanti, con il fine di conseguire in tutta Europa il miglioramento della qualità dell’aria entro il 2030, abbattendo drasticamente il numero delle morti premature dipendenti da cause ambientali aumentate di più della metà rispetto al livello del 2005. La valutazione degli obiettivi raggiunti mostra come la maggior parte dei progressi sia avvenuta in relazione alle azioni legate al raggiungimento del secondo obiettivo prioritario, quello cioè di muovere verso un'economia a basse emissioni di carbonio, dove fosse promosso un efficiente impiego delle risorse.

dall’Ue. Se però si assumono come riferimento i più rigorosi valori di qualità delle Linee guida dell’Oms per la protezione della salute umana, circa il 50% e l’85% degli abitanti delle città è stato esposto a concentrazioni di PM10 e di PM2.5 superiori a quelli raccomandati.

-108 -

In buona sostanza, pur considerando i significativi progressi conseguiti dall’insieme dei Partner europei in termini di riduzione delle emissioni nocive nell’atmosfera4 – essenzialmente PM10 e NO2 – la questione ambientale lascia trasparire con assoluta evidenza l’esigenza di articolare gli interventi in rapporto a livelli scalari di ordine geografico in grado di esprimere condizioni di adeguata considerazione per le concentrazioni demografiche e la distribuzione territoriale delle emissioni dannose (Adil, A.M., and Ko, Y., 2016; Sarrica, M., et al., 2016).

Esigenza imprescindibile che, tuttavia, si rivela estremamente complessa, sia sul piano tecnico, sia per le interferenze geopolitiche5 che intervengono nella gestione delle fonti energetiche a scala globale, di cui i diversi Paesi dell’UE sono nell’impossibilità di liberarsi nel medio periodo (Ruggiero L., 2016).

Nel senso che le soluzioni da adottare e gli obiettivi da ottenere nel tempo implicano conseguenze che interferiscono con assetti strutturali di natura politica e di ordine economico, di competenza nazionale, che presuppongono ampia condivisione e coincidente iniziativa virtuosa, mentre i relativi oneri e il conseguente impatto sui singoli sistemi nazionali si differenziano decisamente, sia per le soluzioni tecniche che, a seconda dei casi, sono richieste, sia per i costi che ne conseguono.

In buona sostanza, appare evidente come il nodo centrale della questione del contenimento dell’inquinamento atmosferico risieda nell’estrema eterogeneità dei livelli di carico di biossido di carbonio e di polveri sottili derivanti dall’insieme delle attività di produzione e di consumi domestici che producono il carico inquinante immesso nell’atmosfera da parte dei singoli stati, nelle relative articolazioni geografiche.

Tuttavia, non può non emergere come il problema, sia pur diffuso alla complessiva scala comunitaria, assuma consistenza ben diversa a seconda della posizione in cui si colloca ogni singolo Paese all’interno di ciascuno dei quattro Gruppi individuati in applicazione dell’ETS6. Infatti, principalmente la Germania, maggiore economia industriale d’Europa, ma anche Francia, Regno Unito ed Italia detengono aliquote decisamente elevate di carichi inquinanti, il cui insieme rappresenta i ¾ del totale UE.

4 L’azione dell’UE in materia ambientale ha un’origine esplicita che risale al 2009 (Dir. 2009/28/CE), recentemente rafforzata al fine di anticipare gli esiti di contenimento del danno ambientale (Dir. 2015/1513/CE). Si tratta di un’articolata iniziativa per il conseguimento di un obiettivo, rivolto a tutti gli Stati Membri, con un orizzonte a breve (2020), ed uno di medio periodo (2030. Le finalità perseguite concernono, da un lato, la necessità generalizzata di un contenimento dei consumi legati all’utilizzo dei mezzi di trasporto, da raggiungersi entro il 2030, e dall’altro, l’incentivazione di azioni immediate rivolte all’impiego nello stesso settore di un’aliquota di almeno il 10% di fonti energetiche rinnovabili, già entro il 2020. Le procedure per la misurazione dell’inquinamento e per la determinazione dei target obiettivo e delle relative distanze di soglia rientrano nell’attività valutativa dell’European Environment Agency. Con l’approvazione del nuovo Regolamento (14 maggio 2018) gli obiettivi 2030 sono stati ulteriormente incrementati, stabilendo, rispetto ai livelli del 2005, la loro relativa variazione dallo 0%, precedentemente individuato come target atteso, al -40% stabilito come nuova soglia al 2030.

5 Interessi contrapposti tra differenti “attori” internazionali – essenzialmente Stati Uniti e Federazione Russa – interferiscono nella determinazione delle scelte più opportune in un settore particolarmente critico, quello che concerne lo sfruttamento delle fonti primarie di ordine fossile, attraverso strategie di gestione della produzione, e quindi di prezzo, impostate, allo scopo di contrastare, ovvero sostenere, politiche alternative da parte di specifici competitor.

6 Il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading Scheme - EU ETS) è il principale strumento adottato dall’Unione europea per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione. Il sistema è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea dalla Direttiva 2003/87/CE (Direttiva ETS). Il meccanismo è di tipo cap&trade ovvero fissa un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati (cap) cui corrisponde un equivalente numero “quote” (1 ton di CO2eq. = 1 quota) che possono essere acquistate/vendute su un apposito mercato (cfr. Min. dell’Ambiente/clima/Emission Trading, agg. 02/3/2018).

-109 -

TAB. I CARICHI INQUINANTI PER GRUPPI NAZIONALI IN BASE ALL’ETS (EMISSION TRADING

SYSTEM).

GRUPPI DI PAESI (UE 28)

ESD GHG TOTALE 2015 ESD TARGET 2015 DISTANZA DAL TARGET PERCENTUALE CUMULATA SU TOT. UE

GRUPPO 1 (Paesi che immettono carichi inquinanti con

livelli di soglia tra 4% e 18% del

totale UE28)

Germania (17,8), Francia, Regno Unito, Italia (10,8), Spagna,

Polonia, Olanda (4) 2035,75 1897,9 137,85 75,3

GRUPPO 2 (Paesi che

immettono carichi inquinanti con

livelli di soglia tra 2% e 3%)

Romania, Cecoslovacchia, Belgio,

Austria 270,07 248,84 21,23 85,2

GRUPPO 3 (Paesi che immettono carichi inquinanti con

livelli di soglia <2% >1%)

Grecia (1,8), Ungheria, Irlanda, Portogallo, Svezia, Danimarca,

Finlandia (1,2) 312,95 264,09 48,86 95,6

GRUPPO 4 (Paesi che immettono

carichi inquinanti con livelli di

soglia <1%)

Bulgaria (0,9), Slovacchia, Croazia, Lituania, Slovenia, Lettonia, Lussemburgo, Estonia,

Cipro, Malta (0,1) 130,28 109,81 20,47 100

Fonte: ns.elab. su dati European Environment Agency. Valori espressi in Mt CO2 Eq.riferiti a 31 Paesi:28 UE con l’aggiunta di Islanda, Liechtenstein e Norvegia, 2018.

Di conseguenza, l’attuale condizione ambientale in cui versa il territorio europeo conduce a valutare la politica ambientale dell’Unione Europea, in termini complessivi, del tutto coerente con gli obiettivi dei Vertici di Parigi e di Bonn, mentre restano inalterate le preoccupazioni circa la possibilità di superamento, nel breve-medio periodo, delle dicotomie che caratterizzano la distribuzione regionale delle emissioni nocive a livello dei singoli stati membri. Non tanto per il rispetto degli standard fissati, in quanto opportunamente adeguati attraverso severe procedure che la Commissione UE aggiorna sistematicamente, quanto per le concrete possibilità di razionali ed efficaci interventi in direzione di un contenimento dei consumi energetici e della rimodulazione tipologica degli stessi, a singolo livello nazionale7. Circostanza che non può non richiamare l’assoluta esigenza di precipui approfondimenti da svolgere a livello geografico, secondo progressive scale differenziate degli assetti in atto e degli effetti indotti dalle politiche attuate a livello territoriale per il progressivo abbattimento delle emissioni rilevate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente.

3.LA RICERCA DI UNA VIA ITALIANA AL BENESSERE AMBIENTALE. – Nel nostro paese, il conseguimento degli obiettivi europei in materia di qualità dell’aria è persino ostacolato da

7 La regolamentazione per conseguire la drastica contrazione di inquinanti non può affatto tradursi in un processo indifferenziato a carico del sistema produttivo, bensì richiede attente politiche e soluzioni tecnologiche improntate a comportamenti virtuosi nella gestione delle attività, per l’impiego di fonti energetiche primarie in grado di immettere in atmosfera aliquote di CO2 e di PM compatibili, in termini di equilibrio ambientale, per la salute umana e per quella globale del pianeta. In concreto, si tratta d’intervenire su due fattori principali nelle relative configurazioni distributive: da un lato, la produzione industriale ed agricola, con la conseguente circolazione dei beni; dall’altro, l’offerta di servizi e la mobilità delle persone, in funzione dei conseguenti consumi energetici, e delle relative fonti da cui ciascun sistema economico nazionale trae l’energia necessaria al proprio funzionamento ottimale.

-110 -

condizioni di particolari difficoltà meteo-climatiche, orografiche, oltre che da complesse combinazioni di fattori emissivi di natura industriale e civile. Inoltre, pesa non poco la tradizionale mancanza di integrazione tra i diversi livelli amministrativi e la tendenza, tutt’ora diffusa, ad adottare misure sulla base dell’emergenza, nonostante la risoluzione dei problemi legati all’inquinamento ambientale richieda l’adozione di una programmazione pluriennale degli interventi e scelte di ordine strutturale delle politiche di settore. Negli anni più recenti sono state comunque poste in essere dal ministero dell’Ambiente, con il supporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, tutta una serie di iniziative volte a supportare le Regioni, a cui è demandata la valutazione e la gestione della qualità dell’aria, al fine di orientare azioni in grado di conseguire il raggiungimento dei valori di soglia prefissati dall’autorità europea competente8.

In estrema sintesi, non può non rilevarsi che le criticità ambientali finora registrate assumano un’ampia valenza che coinvolge svariate situazioni in termini di protezione della natura, dell'ambiente e della salute, nonchè l’incompiuta integrazione a scala regionale delle

best practices ambientali suggerite a scala europea e ulteriormente precisate e approfondite

con riferimento alle raccomandazioni dell’OMS9.

La condizione in cui soggiace l’Italia sul piano ambientale, per le gravi carenze che emergono, in assenza di valide politiche di contrasto, ha spinto la Commissione Europea a deferire il Paese alla Corte di Giustizia dell’UE per “mancato rispetto dei valori limite

stabiliti per la qualità dell'aria e per aver omesso di prendere misure appropriate per ridurre al minimo i periodi di superamento (Senato della Repubblica, 2018).10

8 Gli attori che nel nostro Paese sono impegnati in prima linea nell’azione a tutela dell’ambiente sono, da un lato, l’Ispra e, dall’altro, le Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente, con il ruolo di supporto tecnico-scientifico dell’informazione ambientale, e di supporto al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, in linea con quanto previsto dall’art. 3 della legge 28 giugno 2016, n. 132, il. In particolare, nel contesto del Protocollo di intesa, il Sistema dovrà fornire assistenza tecnico scientifica al Ministero dell’Ambiente ai fini della definizione di linee guida per la redazione dei piani di qualità dell’aria, assicurando, inoltre, la produzione di un bollettino periodico di dati up-to-date sull’inquinamento atmosferico. Attraverso queste due attività, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente svolgerà un ruolo importantissimo al fine di garantire la disponibilità dei dati di qualità dell’aria in tempo reale a tutte le amministrazioni e ai cittadini, e di definire criteri di programmazione delle azioni di risanamento coordinati sul territorio e coerenti con gli obiettivi

Nel documento Confin(at)i/Bound(aries) (pagine 107-121)