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SFRUTTAMENTO DEGLI IMMIGRATI NEL SETTORE PRIMARIO

Nel documento Confin(at)i/Bound(aries) (pagine 43-53)

1. INTRODUZIONE. – Il focus di questa sessione è incentrato sugli scenari di marginalizzazione dei migranti in Italia e nel Mediterraneo, con particolare riguardo al settore dell’agricoltura. Fenomeno ormai consolidato nel nostro Paese, la migrazione inizialmente ha visto una concentrazione massiva nei centri urbani, sebbene negli ultimi anni anche le aree periurbane e rurali siano state coinvolte da questo fenomeno. Il Sud in particolare ha avuto una concentrazione maggiore di presenze di migranti, richiamati da aziende agricole specializzate in coltivazioni intensive. Gli stranieri che arrivano nel nostro paese per lavorare nel settore agroalimentare sono i nuovi protagonisti in questa attività, ma spesso vengono tenuti in una situazione di confinamento socio-abitativo e costretti a metodi di sfruttamento socio-lavorativo. Il loro stato di necessità e vulnerabilità li espone di frequente allo sfruttamento fisico e psicologico, causando una situazione di marginalizzazione, che determina segregazioni di ordine lavorativo, sociale e anche abitativo. Le condizioni accennate sono terreno fertile per il fenomeno del caporalato, vera piaga che attecchisce in modo diffuso laddove l’agricoltura è caratterizzata dal solo profitto.

Questo intervento vuole cercare di dare il quadro di una diversa realtà che si può sviluppare dalla relazione agricoltura-immigrazione. Si vuole provare a dimostrare che l’agricoltura può essere un’opportunità di inserimento lavorativo e di partecipazione sociale e che è possibile ribaltare il rapporto marginalità in agricoltura-migranti-inclusione socio-lavorativa. Di seguito si presenta una piccola introduzione sull’agricoltura sociale (di seguito AS), vista anche in contrapposizione all’agricoltura capitalistica; segue il racconto di un’esperienza di ricerca relativa all’AS come laboratorio di inclusione di soggetti con disagio mentale; infine il paper si chiude con la menzione di alcune esperienze di aziende agricole che operano nel territorio urbano e periurbano di Roma Capitale e che vedono la presenza di lavoratori di origine straniera.

2. OLTRE LAGRICOLTURA CAPITALISTICA: PERCORSI EVOLUTIVI DELLAS. – Secondo il parere di molti l’agricoltura da sempre è sociale1 e questo carattere di socialità attraversa la storia degli uomini e connette tradizione e innovazione. Nell’attitudine antica dell’agricoltura, nel legame che esisteva tra famiglia e azienda agricola già si ritrovano i valori della sussidiarietà, del mutuo aiuto e il permesso per ognuno di esprimersi secondo le proprie abilità.

L’agricoltura è certamente sociale nella sua capacità di fare “rete” con altre associazioni o cooperative, ma anche perché crea una relazione nel territorio e nella comunità, connettendo città e campagna attraverso la filiera corta e anche tramite la costituzione dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale). Di fatto si crea una sorta di welfare2 (partecipativo, generativo, di

1 “L’agricoltura è sociale perché rappresenta un modello di sviluppo economico e culturale innovativo, perché promuove integrazione, capacità collettive e individuali, produce lavoro e reddito, restituisce felicità, o almeno un senso proprio dell’esistenza” (Brioschi, 2017, p. 7).

2 Dalla Carta dei Principi dell’Agricoltura Sociale del Forum Nazionale Agricoltura Sociale: “WELFARE PARTECIPATIVO. L’A.S. propone un modello di welfare territoriale e di prossimità, basato sull’azione pubblica di regolazione e salvaguardia delle tutele dei cittadini a partire dalle fasce deboli, e vede protagonisti gli operatori dell’AS, le istituzioni locali, il terzo settore e gli altri soggetti del territorio. L’organizzazione del

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territorio, di comunità, di prossimità), che sta a indicare come nella relazione tra produttori, beneficiari e fruitori si generino azioni positive che perseguono il bene della comunità intera.

L’AS si contrappone all’agricoltura capitalistica menzionata nel titolo della sessione, basata sullo sfruttamento del terreno e della forza lavoro, con poca attenzione alla qualità del prodotto e alla tutela della salute. In questo tipo di attività industrializzata, il rapporto agricoltura-forza lavoro aderisce a una visione del mondo dove il profitto è lo scopo principale a detrimento dei diritti delle persone. Nel contesto della globalizzazione dei mercati degli ultimi decenni, ispirato a modelli liberisti, le aziende sono state inserite in sistemi di produzione altamente intensiva, a causa della crescente competitività delle catene agroalimentari. Questo processo condizionato dalle grandi imprese, dalle industrie alimentari di trasformazione e dalla grande distribuzione ha portato un’incontrollata variabilità dei prezzi e una conseguente riduzione dei ricavi per i produttori. Si è avviata una ripartizione sempre più iniqua dei rischi, dei costi e dunque dei profitti lungo l’arco dell’intera filiera, attraverso la quale si sono imposti agli agricoltori prezzi e condizioni inique (Ciconte e Liberti, 2017). Le politiche europee e nazionali non sono riuscite a ristabilire logiche corrette, lasciando che aumentassero le disuguaglianze e la diffusione di forme di lavoro sommerso e illegale. In queste logiche si inserisce il caporalato nel ruolo di mediazione tra produttori agricoli e lavoratori migranti, ampiamente disponibili ad accettare qualsiasi condizione e salari sotto la soglia sindacale.

L’AS rappresenta un modo di promuovere lavoro, reddito e inclusione alternativo rispetto a quello appena descritto. In primo luogo, la caratteristica dell’AS è proprio la sua multifunzionalità3, cioè la capacità di produrre beni alimentari e allo stesso tempo di offrire anche servizi utili per la società: dalla tutela dell’ambiente alla salvaguardia del territorio, dall’uso sostenibile delle risorse naturali (diversificazione e rotazione delle colture, adeguamento ai cicli stagionali) alla sicurezza alimentare (uso vietato di sostanze chimiche e conseguente produzione di cibo sano). La sua funzione produttiva è affiancata dai servizi alla persona, destinati a quella fascia di persone svantaggiate, fragili e vulnerabili, soggetti con bassa contrattualità. L’altro aspetto della multifunzionalità dell’AS consiste nella variegata offerta che si ritrova in tutte le attività produttive legate ai diversi settori di un’azienda agricola, come l’orticoltura, la viticoltura, la frutticoltura e gli allevamenti di vario tipo, comprese tutte le attività che favoriscono la formazione di un tessuto sociale come le fattorie didattiche, gli agriturismi, gli agri-asili e l’accoglienza diurna per gli anziani.

In Italia l’AS, si rivolge inizialmente a categorie particolarmente vulnerabili di difficile allocazione occupazionale come i disabili mentali e i tossicodipendenti, ma in esperienze successive è evoluta sino a diventare un’occasione di lavoro anche per altri soggetti esclusi da un circuito socio-lavorativo come ex-detenuti, donne vittime di tratta, disoccupati e immigrati. L’AS è per molti una risposta alla crisi istituzionale dei sistemi tradizionali di welfare, soprattutto alla logica del modello assistenzialistico; le istituzioni possono collaborare, come di fatto già fanno, insieme ai soggetti privati, come gli imprenditori agricoli, e a quelli del Terzo Settore, favorendo percorsi di inclusione che si allontanano da modelli che escludono qualsiasi logica di emancipazione e di spinta verso l’autonomia economica e sociale. Questo segmento di organizzazione del settore primario mostra così di essere una possibilità di inclusione, di offerta di lavoro e formazione, e permette di andare oltre l’assistenzialismo

sistema di welfare è finalizzata al benessere delle persone, alla realizzazione di comunità accoglienti, che partecipano alla sua definizione e ne usufruiscono; essa valorizza l’interazione e la relazione tra i diversi soggetti coinvolti nei processi di costruzione, realizzazione e utilizzo dei servizi. Si tratta per lo più di reti informali, a geografia variabile, nate nei diversi contesti territoriali, che rappresentano il primo riconoscimento delle realtà di AS. Questo riconoscimento informale rappresenta la condizione necessaria per qualsiasi altro accreditamento formale”.

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perché il beneficiario diventa parte attiva, ricoprendo un ruolo all’interno dell’azienda o della cooperativa. I progetti di AS devono coniugare obiettivi sociali e allo stesso tempo adempiere politiche economiche: le aziende o le cooperative coinvolte in questi progetti sono imprese che quindi devono avere sostentamento e ricavo dalle loro attività.

Nella pratica l’AS attua un cambio di prospettiva: dalla logica della produzione estrema, dello sfruttamento umano e ambientale, accompagnato da uno scarso interesse per la salute in generale, a una logica di condivisione, inclusione e sostenibilità ambientale, economica e sociale. Nell’assenza o nella scarsa efficacia di servizi ufficiali o istituzionali, l’AS può quindi essere considerata alla stregua di un modello di sviluppo sostenibile, e in questo senso può diventare strumento di reazione ad attività illecite e di sfruttamento come le agromafie con le loro speculazioni e il caporalato.

3. UNOPPORTUNITÀ DI INCLUSIONE SOCIO-LAVORATIVA PER PERSONE IN CONDIZIONE DI SVANTAGGIO. – Nel 2018 INAPP ha pubblicato una ricerca realizzata in collaborazione con CREA (Pavoncello, 2018), con la quale ci si proponeva di indagare l’efficacia dell’agricoltura nell’attuazione di politiche di inclusione attiva e nel miglioramento del benessere e della qualità della vita dei destinatari. La ricerca era mirata al complesso mondo della disabilità, anche se all’interno delle strutture coinvolte vi era la presenza di beneficiari di altre categorie svantaggiate. Il lavoro di queste aziende4 è stato condurre i disabili da una dimensione patologica a una costruttiva, attraverso un percorso di apprendimento di competenze, e di favorire il passaggio da una condizione assistenziale a un empowerment delle persone, accrescendo la loro autonomia5. Gli operatori intervistati hanno sostenuto che per i ragazzi disabili fosse molto importante, a livello di benessere fisico e di autostima, seguire il processo produttivo, sapere che il seme piantato sarebbe divenuto una pianta attraverso le loro cure e infine un prodotto richiesto da una comunità. La ricerca ha rilevato che l’AS offre a soggetti svantaggiati concrete prospettive di inclusione sociale e lavorativa, contribuisce a promuovere l’autostima e sviluppare l’autonomia. L’incontro tra i servizi pubblici, sociali e non, il mondo agricolo dei privati e il Terzo Settore, sembra essere stato un modello di politica sociale di riferimento per l’inclusione socio-lavorativa delle persone con disabilità. I suddetti modelli possono essere trasferibili in altri ambiti e applicabili ad altre categorie. L’agricoltura potrebbe dunque diventare una possibilità di inserimento per immigrati, che passerebbero dalla condizione subalterna e di sfruttamento a parte attiva, da soggetti marginalizzati a persone incluse in un contesto sociale e lavorativo compatibile con un progetto di vita autonomo.

Lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), le aziende agricole e le cooperative hanno creato numerosi progetti e collaborazioni, in modo analogo a quanto accennato in materia di disabilità. La costruzione dell’inclusione socio-lavorativa di rifugiati,

4 È stato inviato un questionario a 1197 organizzazioni in Italia, al quale hanno risposto 411 operatori, ma ai fini dell’indagine sono stati utilizzati 367 questionari, di cui 200 hanno dichiarato di avere tra i beneficiari persone con disabilità. Tra queste 200 aziende sono state selezionate 5 realtà rispetto alle quali sono stati realizzati approfondimenti come casi di studio: Agricoopecetto di Pecetto (TO), Le agricole di Lamezia Terme (CZ), Agricoltura Capodarco di Roma, La Semente di Spello (PG) e Conca d’Oro di Bassano del Grappa (VI). Le 5 aziende scelte come casi di studio sono state ritenute modello di buone pratiche di AS, in quanto dimostrano come sia possibile inserire nel mondo del lavoro agricolo persone che avrebbero difficoltà in qualsiasi altro ambiente e settore.

5 “L’effetto terapeutico del lavorare la terra come riabilitazione è riconosciuto come effetto positivo sulle persone con disabilità fisiche e mentali permettendo di acquisire sicurezza e autonomia, di impegnarsi con tenacia e precisione nei percorsi produttivi, di promuovere con entusiasmo il prodotto agricolo e di apportare con la propria diversità un valore aggiunto all’azienda” (Pavoncello, 2018, p. 125). Dalla ricerca è emerso che l’agricoltura ha avuto effetti positivi su diverse patologie, in modo principale sull’autismo. Per altri tipi di patologie è risultato significativo un riscontro sull’uso più ridotto degli psicofarmaci e sulla diminuzione dei ricoveri.

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richiedenti asilo e titolari di una forma di protezione internazionale passa attraverso la valorizzazione delle loro competenze e capacità in un contesto protetto, contribuendo così al benessere loro e della comunità. In una rete di seconda accoglienza è fondamentale il ruolo dei Comuni italiani che richiedono fondi specifici per progetti rivolti ai rifugiati, al fine di accompagnarli in percorsi di autonomia attraverso formazione lavorativa, apprendimento della lingua, conoscenza del sistema sanitario, individuazione di alloggi, in una sorta di accoglienza diffusa e integrata6. Comuni e Regioni coinvolte partono da una valorizzazione del territorio (terre e comuni abbandonati, terre pubbliche), che contempla una valutazione delle risorse e delle potenzialità per l’accoglienza. Contro lo spopolamento di molti paesi del sud7 il modello di accoglienza dei migranti può essere una via praticabile, lasciando spazio alla progettualità: politiche inclusive hanno dato nuova linfa alla scuola, al terziario, alla riapertura delle attività artigianali, agricole e zootecniche, al turismo e al recupero edilizio delle case abbandonate. Anche per questa esperienza è stato fondamentale creare una relazione, che ha visto comuni “fare rete”8 nella realizzazione dei valori di solidarietà, del perseguimento dei diritti civili e della cura del territorio e dell’ambiente. Nella correttezza della gestione dei fondi nazionali ed europei, nella legalità del rapporto di lavoro, il recupero di terreni e alloggi dismessi può essere un progetto da intraprendere per permettere l’inclusione di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate. Il modello è valido anche e soprattutto se conferma una sostenibilità economica e si emancipa dalla erogazione di soldi in forma assistenziale e caritatevole, che spesso sembrano condizioni dalle quali non è possibile prescindere.

4. ESPERIENZE NELLAREA URBANA E PERIURBANA DI ROMA. – Nella zona urbana e periurbana di Roma esistono numerose realtà di AS che vedono la partecipazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Questa che segue non è una mappatura, ma una testimonianza di alcune aziende in cui viene coniugata l’agricoltura con l’inserimento lavorativo dei migranti. Le esperienze qui considerate, caratterizzate dai valori e dagli elementi attraverso cui è stata finora descritta l’AS, sono le seguenti: Villaggio 95, Casa Scalabrini 634, Kairos, PID, Agricoltura Capodarco.

Villaggio 95 – Sorge in un terreno concesso in comodato d’uso gratuito dalla Fondazione La Civiltà Cattolica alla cooperativa sociale Europe Consulting Onlus (cooperativa sociale di tipo AB, opera nell’ambito dell’assistenza sociosanitaria, dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, dell’accoglienza, dell’orientamento ed inclusione sociale, dell’immigrazione), che lo gestisce. Le attività principali sono l’accoglienza, la formazione, l’integrazione e la sostenibilità.

La prima iniziativa di Villaggio 95 è stata un progetto di orti sociali e urbani. L’idea iniziale era quella di sottrarre i terreni all’abbandono e al degrado, successivamente lo scopo dell’associazione è stato trasformato nella creazione di un luogo di incontri generativi, dove vengono offerti spazi sia per la comunità locale che per le persone con più difficoltà.

6 Cfr. il numero monografico di Geotema curato da Flavia Cristaldi “Migrazioni e processi territoriali in Italia”, pubblicato nel 2019.

7 Nelle aree interne gli immobili sono a basso costo e la richiesta di manodopera in agricoltura è molto alta. Ad esempio, le province di Avellino e Benevento sono le meno popolose d’Italia, per la denatalità più che per l’emigrazione dei nativi: in compenso la presenza degli stranieri è raddoppiata nella prima e triplicata nella seconda. La provincia di Caserta risulta essere la più “africana” della Campania con la presenza del 30% di immigrati africani rispetto al 25% della regione stessa. Nelle province interne gli immobili sono a basso costo e la richiesta di manodopera in agricoltura è molto alta.

8 L’Associazione Recosol – Reti dei Comuni Solidali è una rete di comuni che nasce nel 2003 per creare progetti di solidarietà internazionale e di cooperazione che mette in discussione anche il quotidiano legato ai “nostri consumi, nostri stili di vita e nostri sprechi”.

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Casa Scalabrini – È sostenuta dalla Congregazione dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani, che da molti anni è al servizio dei migranti e dei rifugiati. Nella mission di questa realtà risaltano l’accoglienza, l’integrazione, la promozione di attività di sensibilizzazione della comunità locale sul fenomeno migratorio, la formazione rivolta a richiedenti asilo, rifugiati e migranti ma anche a chi vive il territorio.

Collabora con altre strutture, come la cooperativa Kairos e l’Associazione Insieme Onlus, con le quali è nato un progetto formativo di AS. L’obiettivo è fornire ai beneficiari un periodo di orientamento, formazione e tirocinio con l’offerta di una borsa lavoro per l’attività agricola. I beneficiari vengono accompagnati in un contesto multifunzionale offerto da un’azienda agricola per approfondire la conoscenza delle risorse, competenze e attitudini in contesti produttivi diversificati.

Kairos – È una cooperativa sociale di tipo B che si occupa di progetti di reinserimento socio-lavorativo rivolto a categorie marginalizzate e svantaggiate attraverso progetti di formazione di AS, sostenibili e replicabili e che si basano sulla creazione di reti territoriali.

La cooperativa attua percorsi di AS in rete, in cui vengono coinvolte realtà di ambiti diversi (agricolo, pubblico e terzo settore), che mantengono la loro identità. La creazione della rete9 inizia con la ricerca di aziende (in territorio urbano e periurbano) che siano disponibili a colloquiare con il mondo del sociale e che siano produttive e con fatturato agricolo. In seguito, si richiedono la disponibilità e le risorse degli stakeholder (organizzazioni del Terzo Settore) e il coinvolgimento anche dei municipi. Da questo incontro iniziano i workshop e le giornate di AS per cominciare percorsi di inclusione di tipo socio-educativo, che diventeranno percorsi individualizzati, declinati in relazione alle diverse specificità10.

Da questa visione nasce il progetto di AS Campi Ri-Aperti, in collaborazione con Casa Scalabrini e ASCS (Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo), rivolto a rifugiati e a richiedenti asilo: progetto con una prima fase di orientamento e formazione al lavoro e con un tirocinio retribuito all’interno di un’azienda agricola, che in seguito può diventare un’occupazione fissa.

Pid – Pronto intervento disagio - La cooperativa nasce nel 1998 con l’obiettivo di rispondere ai bisogni di chi vive una condizione di esclusione e vulnerabilità sociale, soprattutto di chi vive in una situazione di detenzione.

Nel 2012 viene promosso il progetto Fattorie Migranti, che ha lo scopo di reinserire nel mondo del lavoro, attraverso l’AS, ex-detenuti e migranti. Il PID ha avuto modo di realizzare questo progetto con l’aiuto del Comune di Roma, in particolare dei Dipartimenti della Promozione delle Politiche Sociali e della Tutela Ambientale e del Verde, facendo svolgere le attività agricole all’interno della Tenuta del Cavaliere. Il progetto si è poi trasformato in una piccola attività imprenditoriale del settore agricolo e della trasformazione e per questa ragione è stata costituita la Cooperativa CADIS, che vede tra i soci e lavoratori, proprio alcuni dei partecipanti al progetto, che proseguono le attività già avviate.

Agricoltura Capodarco – È una cooperativa sociale di tipo B, fondata più di 30 anni fa, e che si è insediata da subito nel territorio di Grottaferrata, creando in un secondo momento la Fattoria Sociale “Tenuta della Mistica” su terreni pubblici situati tra Tor Tre Teste, Torre Maura e Tor Sapienza, assegnati da Roma Capitale. La mission è fare dell’accoglienza e della solidarietà i mezzi per l’inclusione socio-lavorativa di soggetti svantaggiati, con un’attenzione

9 Kairos opera all’interno di una rete: R.E.Te – Rete Educativa Territoriale.

10 “I percorsi di AS, infatti, non hanno come unico fine l’inserimento lavorativo delle persone che vi partecipano ma rappresentano una possibilità attraverso la quale si fa esperienza di quei diritti altrove negati, all’interno di un contesto che tutela e costruisce delle opportunità per chi fuori è stigmatizzato, sfruttato o deprivato dal contesto socioeconomico da cui proviene.” (dal sito di Kairos).

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alla centralità della persona, al benessere della comunità locale e al rispetto dell’ambiente, all’interno di progetti di AS.

La cooperativa, insieme a Fondazione Roma Solidale e a Fondazione Prima del dopo Capodarco Onlus, con il progetto AgriSocial Network ha condiviso una serie di azioni volte a promuovere l’AS nella sua multifunzionalità, data dalla relazione tra impresa agricola e intervento sociale, attraverso azioni di sensibilizzazione, formazione, ricerca fondi, integrazione e inserimento lavorativo. L’intento è quello di: a) mappare e quindi interconnettere le esperienze esistenti; b) definire e sperimentare modelli di inserimento lavorativo in agricoltura per soggetti svantaggiati, con particolare riferimento ai migranti, mediante percorsi formativi e di orientamento al lavoro, connessioni attive tra i soggetti privati del mondo agricolo, sensibilizzazione territoriale all’auto-imprenditorialità e ai temi dell’AS.

5. NOTE FINALI PER POLITICHE INCLUSIVE NEI CONFRONTI DEI MIGRANTI. – Fin qui si è tentato di spiegare che l’AS può essere uno strumento di miglioramento di qualità della vita per categorie svantaggiate: con questo contributo si intende affermare che attraverso avvedute politiche migratorie, economiche e pubbliche, si possono dare alternative allo stato di cose corrente. L’agricoltura può fungere da grimaldello per ripensare l’inclusione dei migranti, in generale, e dei rifugiati e richiedenti asilo nello specifico.

L’aspettativa di politiche adeguate farebbe addirittura declinare cadere quelle qualificazioni oppositive da cui siamo partiti («capitalistica» vs «sociale»), perché è l’agricoltura in sé, in quanto attività multifunzionale e versatile, a essere capace di dare

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