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La conformità della legislazione italiana rispetto alla normativa internazionale ed europea in materia di commercio di armi convenzional

LA LEGISLAZIONE ITALIANA RELATIVA AL COMMERCIO DI ARMI CONVENZIONAL

4. La conformità della legislazione italiana rispetto alla normativa internazionale ed europea in materia di commercio di armi convenzional

1. Riflessioni preliminari sulla conformità dell’ordinamento interno rispetto agli obblighi internazionali ed europei. Questioni terminologiche.

Prima di avviare la nostra analisi sulla conformità dell’ordinamento interno rispetto agli obblighi internazionali ed europei assunti, si propone qualche breve considerazione, di carattere generale, volta a favorire, almeno sotto il profilo terminologico, il completo adeguamento della legislazione domestica alla normativa sovranazionale.

A questo proposito, è utile notare che l’ordinamento giuridico italiano che disciplina il settore del commercio delle armi convenzionali contempla almeno 4 categorie di armi che non

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sempre trovano un corrispettivo preciso a livello internazionale ed europeo. La legislazione interna, secondo quanto si è appreso nei paragrafi precedenti, distingue tra armi comuni da sparo, armi da guerra, armi tipo guerra e materiale di armamento. Queste categorie, che spesso appaiono sfumate ed incerte531, rientrano, in misura diversa nelle nozioni internazionali di

“firearms”, “conventional arms” e “small arms and light weapons” (SALW).

Per quanto riguarda il concetto internazionale di “SALW”532, ad esempio, esso sembra

ricondurci sia alle armi da guerra che alle armi tipo guerra che, come abbiamo specificato nel paragrafo precedente, sono disciplinate da strumenti legislativi differenti533. In maniera simile,

nella nozione internazionale di “conventional arms”534 potrebbe rientrare sia il concetto di

materiale di armamento di cui alla legge 185/90, sia quello di armi da guerra di cui alla legge 110/75. Dubbi restano, invece, sull’applicabilità della nozione di “conventional arms” alla categoria delle “armi tipo guerra” che pur non essendo congeniate appositamente per un uso militare, attraverso una semplice modifica, possono assumere caratteristiche pressoché identiche al materiale da guerra. Similmente, il concetto di materiale di armamento sebbene includa la nozione internazionale di “conventional arms” comprende anche le armi chimiche, biologiche e nucleari, che a livello internazionale, invece, sono sottoposte ad un regime giuridico proprio535.

Questa asincronia terminologica tra le definizioni utilizzate nell’ordinamento italiano e quelle presenti nell’ordinamento internazionale ed europeo genera una sovrapposizione e una confusione di normative che non solo rende piuttosto complessa l’attività interpretativa del

531 A questo proposito, si rimanda alle riflessioni proposte nel paragrafo precedente, dove si è messo in evidenza,

ad esempio, come il concetto di arma da guerra rientri in parte nella nozione di materiale di armamento di cui alla legge 185/90 e in parte (con riferimento alle armi corte non automatiche), nella disciplina di cui all’art. 28 del T.U.L.P.S.

532 Per quanto riguarda la definizione di SALW (Arma leggera e di piccolo calibro) a livello internazionale, si

rimanda al capitolo precedente.

533 Il commercio internazionale di armi da guerra è regolato dalla legge 185/90 (salvo per le armi da guerra a canna

corta non automatiche) mentre il commercio delle armi tipo guerra trova la propria disciplina nell’art. 28 del T.U.L.P.S. e nella legislazione speciale di cui si parlato nel paragrafo precedente.

534 La nozione di arma convenzionale la possiamo rinvenire sia nell’Arms Trade Treaty sia nell’UNROCA (United Nations Register of Conventional Arms). Entrambi gli strumenti sono stati approfonditi nel primo capitolo di questo

elaborato.

535 Riflessioni del tutto analoghe potrebbero presentarsi con riferimento alle cosiddette “firearms” che

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giudice nazionale536, ma non rende agevole neppure l’individuazione degli obblighi

internazionali che trovano applicazione rispetto ad ogni tipologia di arma537.

In vista di un completo adeguamento della normativa interna al diritto internazionale ed europeo in materia di commercio di armi convenzionali si ritiene necessario, in via preliminare, un intervento normativo del Legislatore nazionale che rimoduli, nella forma e nel contenuto, le categorie di armi previste nell’ordinamento italiano così da allineare la terminologia utilizzata dalla legislazione nazionale al linguaggio internazionale ed europeo. 2. La conformità dell’ordinamento interno rispetto al diritto internazionale generale e convenzionale in

materia di commercio di armi convenzionali.

Per quanto concerne il commercio di armi convenzionali538, il diritto internazionale

stabilisce una serie di obblighi che derivano sia dal diritto internazionale generale sia dal diritto internazionale convenzionale539.

Rivolgendo l’attenzione al diritto internazionale consuetudinario, assumono un certo rilievo in materia di commercio di armi convenzionali: il principio di non interferenza negli affari interni di uno stato, il principio di autodeterminazione dei popoli, il divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali e il diritto di legittima difesa540. Rispetto al ruolo che tali

536 Si consulti, a titolo di esempio, la giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa alla pistola Beretta calibro 9

per lungo tempo considerata arma da guerra – quindi sottoposta ad un preciso regime giuridico - poi, a partire dal 2014, definita senza remore arma comune da sparo sebbene non sia commerciabile in Italia. Per approfondimenti, si veda, Corte di Cassazione, sez. 5 penale, sentenza n. 18509 del 17 febbraio 2017.

537 Le armi comuni da sparo e le armi tipo guerra, ad esempio, restano disciplinate da una normativa speciale

(legge 110/75 e art. 28 del T.U.L.P.S.) che prevede sistemi di controllo del commercio decisamente meno stringenti rispetto alle normativa contenuta nella legge 185/90. Al contrario, le armi da guerra, che pure sono definite nella legge 110/75 rientrano ormai nella disciplina della legge 185/90 dal momento che presentano le caratteristiche del materiale di armamento e sono destinate ad un uso specificamente militare. Il giudice nazionale, inoltre, è chiamato ad individuare, di volta in volta, il sistema sanzionatorio di riferimento, che nel caso delle armi tipo guerra, ad esempio, potrebbe essere sia quello previsto dall’art. 28 del T.U.L.P.S. sia quello contenuto nella legge 895/67 qualora il fatto costituisca più grave reato. Nel caso delle armi da guerra o del materiale di armamento, invece, il regime sanzionatorio è quello previsto nella legge 185/90.

538 Nella nozione internazionale di armi convenzionali rientrano in parte i materiali di armamento di cui alla legge

185/90 (fatta eccezione per le armi chimiche, biologiche e nucleari e altri prodotti militari) e in parte le cosiddette armi da guerra (con l’esclusione delle armi da guerra corte non automatiche).

539 Gli obblighi previsti dal diritto internazionale, sia generale che convenzionale, sono stati esaminati nel corso del

primo capitolo di questo elaborato.

540 Per approfondire il ruolo che tali principi svolgono nella regolazione del commercio di armi, si rimanda al

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principi svolgono nella regolazione del commercio internazionale di armi, la legge 185/90 resta silente.

Sebbene la normativa interna non tenga in debito conto i principi di diritto internazionale generale, si deve considerare che il diritto consuetudinario entra nell’ordinamento giuridico italiano in modo automatico, immediato e permanente541, senza che

si rendano necessari interventi normativi ad hoc. Ciò significa che le autorità italiane preposte all’autorizzazione dei trasferimenti sono vincolate al rispetto dei principi giuridici richiamati sebbene questi non siano esplicitamente menzionati nella legge del ’90.

Pur tuttavia, si ritiene utile un’integrazione del testo della legge 185/90 che richiami tali principi e stabilisca inequivocabilmente che “[l]’esportazione, l’importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia e ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”542.

Con riferimento al diritto internazionale convenzionale, invece, nel corso del primo capitolo si è notato come obblighi penetranti in materia di commercio di armi sorgano sia dal diritto internazionale umanitario543 sia da una serie di trattati e convenzioni ratificati dall’Italia

che regolano specificamente il commercio di armi544.

In particolare, si ricorderà che l’art. 1 comune alle 4 convenzioni di Ginevra stabilisce l’obbligo per gli Stati di “rispettare e far rispettare il diritto umanitario”. Tale obbligo, stando alle interpretazioni che ne ha fornito la Corte internazionale di giustizia dovrebbe includere il divieto di assistere gli Stati che pongono in essere violazioni del diritto di Ginevra545. A questo

proposito, è utile notare che nei divieti contenuti nell’art. 1 della legge 185/90 manca del tutto

541 Il riferimento è all’art. 10 della Costituzione italiana definita dall’internazionalista e politico italiano Tomaso

Perassi come un trasformatore permanente, in grado di adeguare in modo immediato, automatico, continuo e completo l’ordinamento interno al diritto internazionale generale.

542 Art. 1, comma 1 della legge 185/90. Corsivo aggiunto.

543 Meno efficaci e più sfumati sono gli obblighi derivanti dal diritto internazionale dei diritti umani che sono

riconducibili esclusivamente al concetto di “due diligence”. Per approfondimenti su questo aspetto, si rimanda al primo capitolo di questo elaborato.

544 Il riferimento è non solo all’ATT, ma anche alle convenzioni di Ottawa e di Oslo in materia mine antiuomo e

munizioni cluster che saranno oggetto di approfondimento nel paragrafo 5 di questo capitolo.

545 Per ulteriori dettagli si rimanda all’analisi della sentenza “Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua”

e del parere relativo alle “Conseguenze giuridiche della Costruzione del Muro in Palestina costruzione del Muro”, che abbiamo proposto nel capitolo primo.

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sia un riferimento generale agli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario sia un richiamo specifico al divieto di assistere, anche attraverso la fornitura di armi, i Paesi che violano le Convenzioni di Ginevra546.

Si potrebbe argomentare che questa lacuna normativa sia stata sanata dalla legge di ratifica del Trattato sul commercio di armi547, che stabilisce all’art. 7 l’obbligo a carico degli

Stati parti di valutare, tra le altre cose, anche il rischio che le armi oggetto dell’esportazione possano contribuire alla violazione del diritto umanitario. In tal caso, “the exporting State Party shall not authorize the export”548.

A questo proposito, è bene notare che il contenuto dell’obbligo richiamato nell’art. 1 delle Convenzioni di Ginevra ha natura completamente diversa da quello sancito nell’art. 7 dell’ATT. Mentre il primo costituisce un obbligo di tipo assoluto che include obblighi di facere e non facere, il secondo istituisce esclusivamente un obbligo relativo, subordinato al riscontro da parte dello Stato esportatore del rischio che le armi possano essere utilizzate per commettere violazioni del diritto umanitario.

Sebbene le 4 Convenzioni di Ginevra siano state ratificate dall’Italia con legge ordinaria n. 1739 del 27 ottobre 1951549 si ritiene opportuno, in vista di un completo adeguamento

dell’ordinamento interno alla normativa internazionale in materia di commercio di armi, integrare la legge 185/90 con un riferimento esplicito al diritto internazionale umanitario che istituisca chiaramente il divieto di esportare armi verso quei Paesi che pongono in essere violazioni del diritto di Ginevra.

Ulteriori obblighi in materia di commercio di armi convenzionali sorgono poi dal cosiddetto diritto derivato e in particolare dagli embarghi militari istituiti dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea. Sotto questo profilo, la legislazione interna sembra essere perfettamente conforme al diritto internazionale dal momento che prevede espressamente il divieto di

546 Al contrario, è presente un chiaro divieto di esportare armi “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di

gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”, sebbene la normativa internazionale, allo stato attuale, non lo imponga.

547 La legge di “Ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York all’Assemblea

generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013” è la legge 4 ottobre 2013, n. 118.

548 Art. 7 comma 3 del Trattato sul commercio di armi.

549 Il riferimento è alla legge di “Ratifica ed esecuzione delle seguenti Convenzioni internazionali firmate a Ginevra

l’8 dicembre 1949: a) Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; b) Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; c) Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare; d) Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra”.

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trasferire armi “verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea (UE) o da parte dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE)”550.

Rispetto agli obblighi derivanti dal Trattato internazionale sul commercio di armi, invece, la legge 185/90 non contiene alcun riferimento esplicito al testo convenzionale. A questo proposito, è doveroso ricordare che la legge di “Ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013”, n. 118 del 4 ottobre 2013, ha dato “Piena ed intera esecuzione . . . al trattato di cui all’articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 22 del Trattato stesso”551.

Con riferimento specifico all’ATT, dunque, è possibile sostenere che, sebbene la legge 185/90 non preveda un divieto specifico finalizzato ad impedire il trasferimento di armi verso Paesi che violano il diritto umanitario, verso Paesi che commettono crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra (divieti contenuti negli artt. 6 e 7 dell’ATT), tali divieti si impongono alle autorità italiane proprio in forza della legge di ratifica del Trattato.

Infine, obblighi penetranti in materia di commercio di armi convenzionali sorgono dalla ratifica delle Convenzioni di Ottawa e di Oslo che disciplinano rispettivamente la messa al bando delle mine antiuomo e delle munizioni cluster (a grappolo). La normativa di attuazione degli obblighi internazionali contenuti in queste due convenzioni sarà analizzata in modo dettagliato nel paragrafo successivo in quanto la complessità della legislazione interna sull’argomento e un recente intervento normativo in materia da parte del Legislatore italiano giustificano uno spazio di riflessione apposito.

In conclusione, ci sembra lecito affermare che sebbene l’ordinamento interno presenti un alto livello di conformità al diritto internazionale generale e convenzionale in materia di commercio di armi convenzionali, permangono delle criticità che si ritiene opportuno richiamare.

In primis, sarebbe opportuno integrare la legge 185/90 con la previsione di un obbligo esplicito di autorizzare esclusivamente i trasferimenti di armi che non si pongono in contrasto

550 Art. 1 comma 6 della legge 185/90.

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con i principi di diritto internazionale generale richiamati nel primo capitolo di questo elaborato.

In secundis, si ritiene utile prevedere nella legge 185/90 il divieto di esportare armi verso Paesi che commettono gravi violazioni del diritto umanitario, sull’esempio di quanto già è avvenuto nei confronti dei Paesi che violano i diritti umani552.

In tertiis, appare necessario eliminare dall’art. 1 comma 6, lett. a) della legge 185/90 la clausola di salvaguardia per cui “[l]’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”553. Un’interpretazione letterale

della norma potrebbe consentire al governo, attraverso una deliberazione del Consiglio dei Ministri, di autorizzare trasferimenti militari anche a favore di quei Paesi la cui politica contrasti con l’art. 51 della Carta Onu e, conseguentemente con l’art. 11 della Costituzione. In questo caso, è ovvio, si porrebbero profili di contrasto sia con il diritto internazionale che con il diritto costituzionale.

Al di là di queste criticità, è doveroso sottolineare che, per altri aspetti, la disciplina contenuta nella legge 185/90 impone obblighi anche più rigidi di quelli previsti nella normativa internazionale. In questa prospettiva, si pensi ai divieti richiamati nell’art. 1 comma 6, lett. b) e d) che impediscono i trasferimenti di armi ai Paesi che si pongono in violazione dell’art. 11 della Costituzione (Paesi aggressori) e ai Paesi nei confronti dei quali sono state accertate gravi violazioni dei diritti umani. Con riferimento a quest’ultimo divieto, nonostante sia stato interpretato dalle autorità nazionali in maniera molto restrittiva554, si deve rammentare che a

livello internazionale non esiste alcun divieto assoluto di esportare armi verso i Paesi che

552 Tale obbligo, peraltro, già graverebbe sulle autorità italiane preposte all’autorizzazione dei trasferimenti, in

forza della legge di ratifica delle 4 Convenzioni di Ginevra, che stabiliscono l’obbligo di “far rispettare il diritto umanitario”.

553 Per un approfondimento giuridico della norma, si rimanda al paragrafo dedicato all’analisi della legge 185/90

contenuto in questo capitolo.

554 A questo proposito, si veda la deliberazione del 3 agosto del 1990 del CISD secondo cui il divieto di

esportazione nei confronti degli Stati che sono stati oggetto di condanna in materia di diritti umani sussiste “solo se l’Italia ha espresso voto favorevole alla pronuncia di tale accertamento”.

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violano i diritti umani, ma sussiste soltanto un mero obbligo di valutare che le armi esportate possano essere utilizzate per facilitare la violazione dei diritti umani555.

3. La conformità dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea. Per quanto concerne l’allineamento dell’ordinamento interno a quello comunitario ricordiamo, sulla base di quanto illustrato nel capitolo II di questo elaborato, che obblighi efficaci in materia di commercio di armi li possiamo individuare, soprattutto, nel diritto derivato.

Al contrario, il diritto primario, che ricordiamo è costituito dai Trattati istitutivi e modificativi e dalla Carta dei diritti fondamentali556, rappresenta la cornice giuridica di

riferimento all’interno della quale deve essere collocato ogni intervento normativo dell’Unione. Nei trattati fondativi, infatti, ritroviamo non tanto obblighi specifici in materia di commercio armi convenzionali, ma piuttosto disposizioni finalizzate a circoscrivere gli ambiti di competenza dell’Unione e degli Stati membri in tale settore557.

Per queste ragioni la nostra analisi relativa alla conformità dell’ordinamento italiano rispetto agli obblighi europei in materia di commercio di armi si concentrerà prevalentemente sul diritto secondario dell’UE e in particolare su: la posizione comune 2008/944/PESC, la posizione comune 2003/468/PESC e la direttiva 2009/43/CE.

La conformità rispetto alla posizione comune 2008/944/PESC.

555 Si ricorderà che tale valutazione resta, peraltro, in capo allo Stato esportatore che conserva, dunque, un ampio

margine di discrezionalità nel trasferimento. Per ulteriori dettagli si rimanda al primo capitolo di questo elaborato, in particolare al paragrafo dedicato all’analisi giuridica dell’ATT.

556 Alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stato riconosciuto lo stesso valore giuridico dei trattati

fondativi dell’Unione grazie alle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona all’art. 6, par. 1, primo comma, del TUE.

557 Secondo quanto si è appreso nel Capitolo II di questo elaborato, sono particolarmente rilevanti ai fini di una

disciplina del commercio europeo degli armamenti, gli artt. 4.2 del TUE e 346 TFUE. La prima norma stabilisce la competenza esclusiva degli Stati membri in materia di sicurezza nazionale mentre la seconda introduce un regime di deroga alle disposizioni dei trattati al fine di consentire ad uno Stato membro di “adottare le misure che ritenga necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico”. All’analisi di questa disposizione abbiamo dedicato un paragrafo apposito nel secondo capitolo di questo elaborato.

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La posizione comune 2008/944/PESC rappresenta lo strumento giuridico di riferimento in materia di commercio di armi dal momento che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari e traduce gli 8 criteri contenuti nel codice di condotta del 1998 in obblighi giuridicamente vincolanti558.

Per quanto riguarda la conformità dell’ordinamento interno agli 8 criteri contenuti nella posizione, è utile notare che la legge 185/90, all’art. 1 comma 5, stabilisce, dapprima il divieto di esportare e trasferire armi se tali attività “sono in contrasto . . . con gli impegni internazionali dell’Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione” poi istituisce l’obbligo di non trasferire materiale di armamento “verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea (UE) o da parte dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE)”. Attraverso tale norma l’ordinamento italiano sembra conformarsi pienamente al criterio n. 1 della posizione che, si ricorderà, mira a garantire il “rispetto degli obblighi e degli impegni internazionali degli Stati membri, segnatamente delle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o di quelle adottate dall’Unione europea, degli accordi concernenti la non proliferazione ed altre materie, nonché degli altri obblighi internazionali”559..

Analogamente, la conformità dell’ordinamento italiano al criterio n. 2560 è garantita dalla