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ILDER VONA.
Nel precedente capitolo, l’analisi della componente ebraica della Honigmann e dei suoi riflessi letterari ha permesso di delineare una dimensione personale riscoperta attraverso il recupero dei legami familiari logorati dal tempo e offuscati da una memoria trascurata. Nei testi presentati di seguito, al contrario, l’identità ebraica, intesa in senso non prettamente religioso, appare come caratteristica intrinseca dell’individuo che non può essere rimossa in quanto si attesta perlopiù come costruzione degli altri sulla base di stereotipi sociali e culturali, oltre che fisici. Attraverso Alles, alles Liebe!, Soharas Reise e Bilder von A. sarà dunque affrontata una diversa concezione dell’appartenenza ebraica che si distacca dalla ristrettezza della sfera famigliare per emergere sul piano esteriore e pubblico, pur continuando a risentirne l’influenza.
Ciò che incoraggia il riavvicinamento della scrittrice o dei personaggi ebrei alle proprie radici, a volte in modo forzato, risiede proprio nel confronto con persone appartenenti a un diverso raggruppamento della comunità ebraica oppure estranee ad essa, in particolare con i tedeschi. Ad ogni modo, il recupero delle tradizioni bibliche continua a essere vincolato al bisogno di definire in modo solido la propria identità, in risposta al tentativo della realtà esterna di destabilizzarla. Oltre alla questione identitaria, le tre opere consentono di raffrontare diverse reazioni in merito all’esilio, sia che tratti delle esperienze di personaggi ebrei, sia che affronti il vissuto dei cittadini della DDR. Di seguito è offerta una panoramica riassuntiva dei testi81.
81 D’ora in poi si utilizzeranno le sigle per indicare le opere: Alles, alles Liebe! (AL), Soharas
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Con Alles, alles Liebe! (2000) la Honigmann ha ottenuto il prestigioso Kleistpreis82. Il romanzo si presenta in forma epistolare e contiene la corrispondenza che Anna Herzfeld, il personaggio principale, intrattiene con la madre, il compagno tedesco e con gli altri membri della compagnia teatrale di Berlino est, mentre si trova nella cittadina provinciale di Prenzlau per l’allestimento di uno spettacolo83
. I personaggi, sia tedeschi che ebrei, confrontano le proprie opinioni su svariati argomenti tra i quali prevalgono il lamento per la pesante ingerenza politica nell’arte, in particolare nel teatro che, attraverso la burocratizzazione statale, viene privato della sua essenza creativa(«der Theaterbetrieb ist vor allem technisch und bürokratisch» AL, p. 15), e il conseguente desiderio di evadere dalla realtà soffocante della DDR. Nella corrispondenza tra i personaggi di origine ebraica spicca, d’altra parte, la delusione per un recente caso diplomatico. Le lettere scambiate si collocano, infatti, in un lasso di tempo abbastanza limitato che va dal 1 novembre 1975 al 3 gennaio 1976. La scelta di questo preciso periodo storico non è casuale in quanto il 10 novembre 1975 l’Onu emana la Risoluzione 3379 (revocata il 16 dicembre 1991) con la quale il sionismo viene equiparato alla discriminazione razziale84.
82 La scelta del titolo è ancora una volta una conseguenza delle politiche editoriali. In un’intervista
rilasciata a Stefan Mensch per il quotidiano «Die Zeit», la scrittrice afferma: «Das Buch sollte eigentlich Provinzbriefe heißen, aber aus verlagspolitischen Gründen musste dann wohl "Liebe" in den Titel bei Hanser und für die Taschenbuchausgabe dtv auch die Katze auf das Cover.» (http://www.zeit.de/kultur/literatur/2011-10/interview-barbara-honigmann/seite-2 - consultato il 3 gennaio 2017)
83 Il mondo teatrale è una componente essenziale della produzione della Honigmann, che ne ha
fatto parte personalmente prima di dedicarsi alla narrativa. Riferimenti a questo ambito artistico si ritrovano in tutte le sue opere. In Roman von einem Kinde si accenna all’incompatibilità della libertà artistica con la chiusura politica della DDR; in Eine Liebe aus nichts la narratrice ricorda quando il padre la portava alle rappresentazioni della sua compagna e sedevano tra il palco e il retroscena, riferimento alla vita degli ebrei tra due mondi e all’impossibilità di illudersi di essere parte di uno; in Ein Kapitel aus meinem Leben le finzioni della madre sulla sua vita ricordano i travestimenti teatrali; in Soharas Reise, la madre di Sohara consiglia alla figlia di tenere nel matrimonio un comportamento assecondante, di fingere, come se stesse recitando; in Alles, alles
Liebe! Anna scambia lettere con i suoi colleghi per la messa in scena dell’opera di Garcia Lorca La casa di Bernarda Alba; in Bilder von A. la narratrice e il suo compagno tedesco fanno parte di una
compagnia teatrale.
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In una lettera che Anna riceve dalla madre si comprende lo sconforto per una decisione che, del resto, è giudicata come espressione di una lunga storia di intolleranza antisemita: «Der Haß oder im besten Falle gleichgültige Antipathie Juden gegenüber gehört leider zum normalen human behaviour» (AL, p.71). Un’affermazione simile si trova anche in Tante Mischka und Galja, una delle bozze contenute nella raccolta Am Sonntag spielt der Rabbi Fußball. Galja, ebrea russa trasferitasi a Colonia, descrive così la condizione di vita degli ebrei: «das Schlimme ist, daß wir Juden nun wieder an allem Schuld sind und dafür ständig bedroht werden. Jede noch so kleine Völkerschaft darf ihrem nationalen Wahn verfallen, bloß wir gehören wieder zu niemandem und
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Una dichiarazione di tale portata si ripercuote pesantemente sulla vita degli ebrei, sia sul piano eminentemente personale, considerato il gravoso impatto emotivo della risoluzione, quanto sui rapporti sociali. Le relazioni, anche quelle sentimentali, tra ebrei e tedeschi si rivelano infatti sterili e superficiali, incapaci di sostenere con spirito critico il confronto e il peso delle differenze e del passato.
Soharas Reise (1996) offre un punto di vista completamente nuovo all’interno della produzione della Honigmann. Si tratta infatti di un romanzo narrato in prima persona da un’ebrea sefardita, Sohara, residente a Strasburgo ma originaria della città algerina di Orano. La narrazione ha inizio dopo il rapimento dei suoi sei figli da parte del marito Simon, improbabile rabbino di Singapore, uomo ingannevole che condivide ben poco con i rappresentanti religiosi dell’ebraismo. Nonostante la tragicità dell’evento in sé, la trama è molto semplice e apparentemente fragile. In effetti, ciò che rende l’opera meritevole di attenzione è la riscoperta personale alla quale Sohara giunge proprio durante la momentanea assenza della famiglia, fino ad allora unica dimensione di vita a lei nota85. Vengono così ripercorsi il passato a Orano, città costiera nel nord dell’Algeria che un tempo vantava una vivace comunità ebraica; il funesto episodio dell’esilio, dovuto alla conclusione del periodo coloniale francese86; l’arrivo in Francia ad Amiens, assieme alla madre e alla sorella; il matrimonio e lo spostamento da una città all’altra prima di stabilirsi definitivamente a Strasburgo. In questo inusuale momento di solitudine, Sohara scopre nuovi e inaspettati lati della sua personalità ed entra in contatto con una comunità ebraica più eterogenea di quella che conosceva, grazie al cui sostegno trova il coraggio di reagire e ribellarsi a una vita coniugale fondata sull’indifferenza e sull’inganno. L’aspetto innovativo del romanzo risiede proprio nella scelta di un’ebrea sefardita come protagonista e narratrice, consentendo di confrontare i due maggiori raggruppamenti ebraici da una prospettiva interna.
sind unerwünscht und dürfen uns ab und zu vor angedrohten Pogromen in unseren Wohnung verbarrikadieren» (AS, p. 47).
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Il nome Sohara deriva da Zohar, libro profetico importante nella tradizione cabalistica. Nel testo, invece, Simon descrive l’accordo tra il suo nome, che deriverebbe dal verbo «ascoltare», e quello di Sohara: «und Sohara [kommt], wie „sehen“, von „Licht“, „Glanz“, nämlich „Glanz des Himmels“; wie es im Buch Daniels heißt: „Die Lehrer werden leuchten wie der Glanz des Himmels und alle diejenigen, welche die Menge zur Gerechtigkeit gewiesen haben“» (SR, p. 37). In un certo senso, il nome contiene il destino della donna che vedrà con i propri occhi la nuova strada da percorrere.
86 Al termine della decolonizzazione, nel 1962, gli ebrei furono “rimpatriati” in Francia in quanto
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In Bilder von A. (2011), al contrario, è la Honigmann stessa a narrare un capitolo della sua vita. In questo romanzo sono presentati i momenti significativi del rapporto conflittuale e tormentato con A., regista teatrale della DDR di quindici anni più grande. L’abbreviazione potrebbe far pensare a una corrispondenza con Alfried, il collega di teatro di cui si parla in Eine Liebe aus nichts. Probabilmente esiste un’analogia tra i due personaggi; tuttavia nel romanzo in questione la scrittrice incontra A. dopo il suo ritorno dalla Repubblica federale, dove si era recato per la messa in scena di alcune produzioni teatrali, mentre Alfried è il primo della compagnia a spostarsi verso ovest e la protagonista, che in quel caso non è una riproduzione fedele della scrittrice, bensì una sua riformulazione finzionale, aveva già avuto con lui una relazione alquanto problematica. Ad ogni modo, in entrambi i testi sono mostrate l’indifferenza e la freddezza reciproche delle relazioni ebraico-tedesche. Attraverso la conflittualità e l’incomprensione che caratterizza il loro rapporto sentimentale, la Honigmann traccia un quadro generale della convivenza tra ebrei e tedeschi, i quali negli anni Settanta continuano a sentirsi estranei gli uni dagli altri. Il testo presenta inoltre altri elementi già trattati in precedenza, come ad esempio l’intransigente limitazione della libertà artistica nella DDR; i primi segni del disfacimento interno al blocco sovietico; le storie dei genitori e la relativa influenza sul presente dei figli. Il testo è redatto in seguito alla morte di A.
4.1. L’esilio come nucleo dell’esperienza ebraica
4.1.1. Ebrei sefarditi e appartenenza geografica87
L’esilio rappresenta uno dei Leitmotiv più ricorrenti nella produzione della Honigmann. Nel capitolo precedente esso è presentato in relazione ai genitori della scrittrice, riparati in Gran Bretagna durante il nazismo, e soprattutto in riferimento alla necessità di trovare un luogo adatto alla personale
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Per un maggiore approfondimento sulla storia degli ebrei sefarditi, dalle origini fino alla seconda metà del XX secolo, si consiglia la lettura di BENBASSA, Esther, RODRIGUE, Aron: Storia degli
Ebrei sefarditi – Da Toledo a Salonicco (traduzione di Sergio Arecco), Giulio Einaudi Editore,
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riappropriazione delle radici ebraiche. È dunque descritto come elemento intrinseco del destino degli ebrei askenaziti, in particolare di quelli tedeschi, e come conseguenza inevitabile del trauma della Shoa.
L’originalità di Soharas Reise risiede pertanto nella nuova prospettiva dalla quale è presentata questa particolare esperienza. Di seguito sarà dunque delineata brevemente la condizione dei sefarditi dopo il loro arrivo in Francia, così da poterne evidenziare i punti di contatto e le divergenze con gli altri ebrei.
Nel testo, Sohara diventa portavoce della sorte degli ebrei nordafricani, nello specifico di quelli algerini, costretti all’esilio in seguito alla fine della colonizzazione francese del paese e, più tardi, anche a causa dall’aggravamento dei rapporti tra Israele e stati arabi. Il drammatico momento in cui devono lasciare Orano evoca la paura di un futuro incerto e l’angoscia per lo sradicamento dalla propria terra:
Zweitausend Jahre haben wir da gewohnt! Sechzig Generationen! Nicht nur lächerliche drei oder vier wie die Franzosen, die alles verspielt haben. Alle haben geseufzt, gejammert, geklagt: Wir sind nun die letzten von so vielen Generationen. Die allerletzten. Was für ein Unglück! Was soll bloß werden? (SR, p. 41)
Naturalmente il sintagma «die letzten von so vielen Generationen» si riferisce agli ebrei algerini; d’altro canto, se si considera la sorte avversa che ha colpito la comunità ebraica, indipendentemente dalla sua posizione geografica, quelli algerini sono da considerarsi gli ultimissimi ebrei (die allerletzten), in ordine temporale, costretti all’esilio. Esso si eleva dunque a elemento nucleare della condizione ebraica e assume i tratti di una moderna diaspora, diretto proseguimento della passata esperienza errante giudaica. Del resto, come sostiene Jeffrey Peck, questo romanzo si attesta come prototipo dell’angoscia comune a tutti gli ebrei su temi quali appartenenza territoriale e identità88.
Per i sefarditi provenienti dall’Africa del Nord l’attaccamento alla terra d’origine non si traduce nella vicinanza alla cultura locale, in parte a causa di un minor grado di assimilazione; al contrario, si esprime attraverso il legame a un
88 «[…] Soharas Reise is a kind of prototype, a literary roman à clé, for Honigmann and for all
Jews who are preoccupied with topics of home, belonging, and identity», PECK, Jeffrey M., Telling
Tales of Exile, (Re)writing Jewish Histories: Barbara Honigmann and Her Novel, “Soharas Reise”, p. 560, in «German Studies Review», Vol. 24, No. 3 (Oct., 2001), pp. 557-569, Johns
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determinato territorio geografico nel quale hanno vissuto per secoli89. Nel testo questo attaccamento fisico e materiale è sottolineato dal gesto della madre di Sohara di portare con sé gli odori del luogo, per respirarne l’essenza familiare quanto meno in cucina90. Inoltre, quando in Francia confronta i ricordi della vita precedente con quelli di altre donne algerine, questi non rimandano alla patria intesa in senso politico quanto alla natura autoctona e all’atmosfera di vita rilassata. Si legge nel testo: «Sie trauerten nicht ihrem „Vaterland“ nach, sondern ihrem Haus, ihrem Garten, dem Meer, dem Strand, den milden Klima und einer anderen Lebensart, einer leichteren, großzügigeren, wie sie sagten» (SR, p. 42). Sono questi gli unici ricordi che la madre di Sohara custodisce: della nuova vita non vuole conservare alcunché, in parte per l’estraneità alla Francia, in parte a causa del timore costante di doversi spostare ancora91. Vi è inoltre un elemento propriamente fisico che testimonia la nostalgia per la terra lontana e l’amarezza del presente: si tratta del rallentamento del battito cardiaco dopo l’esilio92
. Il nuovo inizio che Sohara e la sorella cercano di realizzare è ostacolato dalla posizione irremovibile della madre, segno del conflitto generazionale in relazione all’adattamento e all’integrazione con la società e la cultura del paese d’arrivo. D’altra parte, in seguito alla morte della madre, Sohara sente che la sensazione di inappartenenza si insedia in lei.
89 La presenza degli ebrei sefarditi in Nord Africa risale alla dominazione romana della Giudea. La
loro presenza ha subito un significativo incremento in seguito alla cacciata della popolazione semitica dalla Spagna nel 1492.
90 «„Wenn schon sonst nirgendwo“, hat meine Mutter später oft gesagt, „so können wir den
Geruch und Geschmack von Oran wenigstens in unserer Küche wiederfinden“» (SR, p. 40).
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«Sie sagte, sie wollte sich an nichts mehr binden und keine neuen Erinnerungsstücke sammeln, die man dann doch bloß wieder über Bord werfen müsse, und alles versänke auf den Grund, unwiederbringlich» (SR, p. 45). In questo atteggiamento si nota un’analogia con il comportamento della madre dell’autrice la quale, come è riportato anche in Damals, dann und danach e in Ein
Kapitel aus meinem Leben, non conservava neanche le lettere alle quali era affezionata.
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Si legge a tal proposito: «Seit sie nach Europa herübergekommen ist, hat ihr Herz immer weniger und immer leiser geschlagen, und eigentlich hat sie gar nicht mehr richtig leben können, hat den Rest ihres Lebens nur noch abgewartet und die Jahresringe des Alters angelegt, wie ein Baum, bewegungslos.» (SR, pp. 44-45)
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4.1.2. La Diaspora al tempo d’Israele: esperienze di sefarditi e askenaziti
Controparte di Sohara, oltre che rappresentante dell’ebraismo askenazita, è Frau Kahn93. La donna, residente a Strasburgo da cinquant’anni, ha tagliato tutti i rapporti con la Germania e tale decisione si riflette in modo evidente sulle abitudini quotidiane, ad esempio attraverso il netto rifiuto di fare la spesa nei supermercati della catena tedesca Aldi («„Ich höre jetzt immer von den guten Deutschen“, sagt sie. „Mir sind sie jedenfalls nicht begegnet. Ich brauche nicht mehr von denen, auch nicht billiger bei Aldi. Kannibalen!“» SR, p. 22). Sebbene Sohara non indaghi sul suo passato, non le risulta difficile intuire le drammatiche esperienze vissute da Frau Kahn: controllando tra la posta, infatti, trova la rivista «Le Déporté» e d’estate riesce a intravedere i numeri marchiati sul braccio della donna. Ad ogni modo, Frau Kahn non parla spesso della Shoa a causa del suo peso traumatico94. Tuttavia, quando lo fa si esprime in una lingua particolare, allusiva, poiché non le è possibile descrivere con le parole l’umiliazione e la disumanizzazione subita nei campi, perlomeno non attraverso quelle ordinarie95. La ricerca di un linguaggio alternativo si inserisce nel dibattito filosofico e culturale riguardo alla possibilità di continuare a scrivere e a parlare dopo Auschwitz.
La Shoa rappresenta oltremodo un elemento di divisione tra i due maggiori raggruppamenti ebraici. Già nel racconto Meine sefardischen Freundinnen in Damals, dann und danach emerge una netta divergenza rispetto a questo evento. Nel racconto, quando la protagonista-scrittrice sostiene che anche per gli ebrei del
93 In Am Sonntag spielt der Rabbi Fußball (1998), la Honigmann aveva già parlato degli ebrei
sefarditi e del loro incontro con quelli askenaziti e l’aveva fatto in termini leggeri e ironici. Nell’omonimo articolo contenuto nella raccolta si legge infatti: «Die Ankunft der Sefardim in Frankreich ist wohl so etwas wie ein „ historisches Moment“ gewesen, da haben sich Sefardim und Aschkenasim nach tausend Jahren wiedergetroffen, und wie bei jedem Wiedersehen nach langen Jahren muß es so halb Freude, halb Entsetzen gewesen sein: Mein Gott, was ist denn aus Euch geworden! Wie ihr ausseht! Wie Ihr redet! Wie Ihr singt und betet! Was Ihr kocht!» (p. 36).
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Attraverso il personaggio fittizio di Frau Kahn, la Honigmann ripropone elementi già menzionati della sua vita. La donna, infatti, parlando dei suoi genitori e della loro attività commerciale, afferma: «Meine Eltern waren Deutsche, oder sagen wir, sie und ihre Freunde wollten Deutsche sein und modern, und das Geschäft war auch am Samstag offen, natürlich. Es war wirklich nicht mehr viel von Gott und seinem Gesetz übrig.» (SR, p. 73)
95 Sohara riporta: «Frau Kahn sagt immer „diese Lager“ und die „Kannibalen“, sie hat eine eigene
Sprache für „das“ gefunden, weil man „es“, wie sie sagt, sowieso nicht beschreiben kann» (SR, p.73).
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nord Africa la convivenza con la popolazione locale non sia stata del tutto distesa e serena, le tre donne di origine sefardita controbattono affermando che di certo non sono state vittime di una barbarie comparabile a quella che ha sterminato gli ebrei europei96. In Soharas Reise la situazione si ribalta, e stavolta è Frau Kahn, ebrea askenazita, a sostenere che i sefarditi non hanno dovuto patire una sorte altrettanto drammatica. Mentre riferisce il rocambolesco salvataggio del figlio, lanciato a una vicina dal balcone durante una retata nazista, la donna afferma: «Ich erspare Ihnen die Einzelheiten, Frau Serfaty, […] seien Sie froh, daß es in Algerien noch nicht so schlimm war» (SR, p. 23). Inoltre, se il carattere distintivo del gruppo di studio dei testi sacri in Meine sefardischen Freundinnen è la ricerca di un ebraismo spirituale, indipendente dalla visita dei campi di concentramento, per Frau Kahn e il gruppo di ebrei askenaziti di cui fa parte, il «Cercle Wladimir Rabi», i pellegrinaggi (Pilgerfahrten, SR, p. 74) verso questi luoghi di morte sono parte integrante del programma. Del resto, nel gruppo descritto dalla Honigmann nel racconto nessuna donna ha vissuto direttamente la prigionia nei campi, in quanto sono tutte Nachgeborene; al contrario, Frau Kahn appartiene alla generazione precedente e conserva una memoria diretta di questo drammatico periodo.
Sohara è consapevole che l’annientamento fisico non è comparabile con la cacciata dalla terra natia. Tuttavia non può fare a meno di constatare che la condizione di vittima, assegnata agli ebrei europei, si trasforma talvolta in una sorta di superiorità morale nei confronti di quelli nordafricani. Si legge infatti nel testo:
Bei euch in Afrika war alles nicht so schlimm, haben uns die Aschkenasim gesagt, als wir hierherkamen, und sie wußten wenig von dem, wie es wirklich in Afrika gewesen war. Die Aschkenasim waren in jedem Falle die Elite des Leidens, die Weltmeister des
Martyriums, wir waren dagegen reine Anfänger, in den hintersten Rängen plaziert
[sic!], darüber hinaus sowieso halbe Araber, und wir mußten erst einmal alles, aber