L’esordio narrativo di Barbara Honigmann avviene nel 1986 con la pubblicazione di Roman von einem Kinde, grazie al quale ottiene lo Aspekte-Preis, premio assegnato dalla ZDF alle opere in prosa di scrittori emergenti.
Nonostante il titolo, il testo non presenta la struttura tipica del romanzo; si tratta invece di una raccolta di sei racconti di diverso argomento per la quale l’autrice avrebbe preferito Verzeichnete Selbstbildnisse und Landschaften47, che rispecchia meglio le intenzioni originarie del testo, ossia la narrazione e la descrizione di frammenti di vita quotidiana in diversi contesti geografici.
Michael Braun conferma che la raccolta può essere inclusa a pieno titolo nella nuova letteratura ebraico-tedesca le cui coordinate sono, come scrive egli stesso, «einerseits die Suche nach jüdischer Identität und Heimat, anderseits die Erfahrung einer allumfassenden Fremdheit und Desorientierheit»48. Nel corso dei sei racconti, infatti, si ritrovano tutti questi elementi: la scoperta delle proprie origini ebraiche, la necessità dell’esilio come liberazione dal disorientamento causato da una società che annulla le differenze, oltre che dal fatto di vivere ancora in un paese in cui non è più possibile essere ebrei e tedeschi.
Il capitolo è dedicato all’analisi indipendente dei singoli racconti, in conseguenza della diversità di ambientazione e di episodi narrati e, nel caso del
47
cfr. SIBLEY FRIES, Marilyn, Text as Locus, Inscription as Identity: On Barbara Honigmann's
Roman von einem Kinde, p. 178, in «Studies in 20th Century Literature»: Vol. 14: Iss. 2, Article 4.
In riferimento alla natura del testo, si possono leggere le seguenti parole tratte da Damals, dann
und danach: «Und ich müßte nun, wenn ich unbedingt auch wieder schreiben wollte, mit anderen
Worten reden, noch einmal anders, ganz von vorne anfangen. Meinen ersten, längeren Prosatext habe ich wahrscheinlich deshalb >Roman von einem Kinde< genannt [...] Der Titel bezieht sich eigentlich in keiner Weise auf den Inhalt des Buches, das ja auch kein Roman, sondern eine Sammlung von Prosatexten ist. Er bezieht sich nur auf diese Haltung, noch einmal ganz von vorne anzufangen, wie ein Kind eben. (pp. 50-51).
48 B
RAUN, Michael: Barbara Honigmanns Weg “Nach Hause in die Fremde“, p. 471, in BRAUN
M., BRENNER P.J., MESSELKEN H., WILKENDING (Hrsg.): „Hinauf und Zurück / in die herzelle
31
primo racconto, anche della tipologia testuale. Tuttavia, saranno evidenziate le analogie tematiche che tengono insieme i sei racconti.
2.1. Roman von einem Kinde
2.1.1. Ridefinire l’identità
Il primo racconto, dal quale prende il titolo l’intera raccolta, è scritto sottoforma di lettera che la narratrice, Babu, una donna che ha avuto da poco il suo primo figlio, scrive a un suo ex partner, presumibilmente padre del bambino. Secondo Caroline Schaumann, la scelta dello stile epistolare riflette una storica ineguaglianza di genere nel campo letterario. Scrive a tal proposito: «Historically, women faced great difficulties when publishing their works and resorted to letters and diaries»49. In realtà, la scrittura diaristica ed epistolare riflette la vicinanza alla «letteratura della confidenza», ossia una produzione vincolata al contingente e alla riflessione personale (questo aspetto sarà approfondito nel capitolo 5 a proposito di Chronik meiner Straße).
Oltre alle motivazioni storiche, l’utilizzo dello stile epistolare consente alla narratrice di spaziare tra diversi argomenti e di attraversare le coordinate temporali senza bisogno di spiegazioni. È pertanto uno stile che permette maggiore libertà narrativa, oltre ad offrire al lettore una prospettiva privilegiata nella vita personale di chi racconta.
La narratrice, pervasa dal desiderio di riportare ogni cosa della sua vita («ich möchte soviel erzählen, erzählen, alles erzählen», p. 9), parla a Joseph anche della metamorfosi che ha subito in seguito all’esperienza del parto. Babu ha infatti dovuto riconfigurare la propria identità in relazione a se stessa e a suo figlio, oltre che nei confronti di tutta la realtà circostante. La gravidanza, e dunque il parto, diventano eventi cruciali dell’esistenza in cui lo stato delle cose si modifica irreversibilmente («Grenze, an der die Zustände wechseln», p. 13). In un primo momento, il cambiamento esteriore provoca la confusione interiore della donna
49 S
CHAUMANN, Caroline: Barbara Honigmann’s Belated Appropriation of her Jewish Heritage, p. 170, in Memory Matters – Generational Responses to Germany’s Nazi Past in Recent Women’s
32
impedendole, dopo la nascita del figlio, di operare distinzioni nette e oggettive tra se stessa e il bambino, come se i confini tra le due figure scomparissero gradualmente («die Grenze zwischen meinem Körper und dem des Kindes verschmolz, und ich fühlte es oft so, als ob ich selbst im Körbchen liege, und wußte nicht mehr, ob ich die Mutter oder der Säugling war», p. 18).
Oltre a provocare uno sconvolgimento sensoriale («Und plötzlich kehrte sich das Unterste zuoberst», p. 15), l’esperienza del parto comporta anche una regressione nel modo di approcciarsi al mondo. Come un infante che scopre per la prima volta ciò che lo circonda, anche la narratrice fa nuovamente la sua esperienza della realtà circostante («Es war, als ob ich alles neu kennenlernen müßte», p. 17) e la conoscenza pregressa le appare ormai estranea («da war mir in meiner Wohnung alles ganz fremd geworden», p. 16). La lettera, dunque, non si configura unicamente come romanzo su un bambino, ma anche di un bambino, e non si riferisce soltanto al figlio appena avuto, ma alla narratrice stessa alla quale sembra di essere ritornata al mondo («ich konnte nicht mehr unterscheiden, ob ich gebäre oder ob ich selbst geboren werde», p. 15) 50. Babu trova dunque un nuovo equilibrio che si regge sulla simbiosi tra madre e figlio («Das Kind aber war mir so selbstverständlich und so nah, wie ich es mir selber bin», p. 16).
Oltre agli aspetti femminili sono presenti anche elementi femministi. Si viene a conoscenza del fatto che la narratrice durante la gravidanza ha ricevuto aiuto solo dalle altre donne («Außer meiner Mutter und meinen Freundinnen hat sonst keine auf das Kind gewartet», p. 16) e grazie a loro si è convinta che anche da sola e senza l’aiuto di un uomo può condurre una vita soddisfacente.
2.1.2. Incapacità di interagire con la realtà circostante.
La sensazione di estraneità che avverte la protagonista non è causata soltanto dall’esigenza di definire la propria identità in seguito a particolari avvenimenti della vita personale, ma, in un contesto storico-culturale ben definito, ossia quello della DDR, è sintomo di un’individualità fragile e disorientata che conduce i cittadini all’isolamento e alla solitudine. È infatti possibile individuare questa
50 All’inizio del racconto si legge: «Ich möchte dir einen Brief schreiben. Einen langen Brief, in
33
depressione quotidiana che porta la narratrice a ondeggiare (schwanken) da un estremo all’altro:
Aber natürlich, das Schwanken ist in Wirklichkeit ein viel größeres Schwanken, es ist ein Schwanken zwischen immer zu Hause bleiben und im Bett bleiben oder aufstehen und von zu Hause losgehen und eine große Reise machen und nie mehr wiederkommen und in einem anderen Land bleiben und eine andere Sprache sprechen und seine Muttersprache nur noch heimlich mit sich herumtragen und nicht so ausgeben jeden Tag wie Allerweltsware (p.38).
Già all’inizio della lettera-racconto Babu sottolinea come la sua confusione mentale si rifletta nella stanchezza fisica, costringendola a passare le giornate a letto pur non essendo malata («Natürlich eine richtige Krankheit habe ich gar nicht, und es ist ja lächerlich, daß einem ein Arzt helfen soll», p. 10).
L’impotenza e l’incapacità di reagire alle situazioni della vita la portano a dover chiedere alla madre se debba sposare o meno il suo compagno, in quanto per lei è diventato ormai impossibile prendere una decisione univoca. Descrive così questo essere bloccata in uno stato di mezzo:
Ich wollte und ich wollte es nicht und war hingerissen nach der einen Seite und dann hingerissen nach der anderen. Einmal ganz euphorisch und glücklich, da glaubte ich, daß ich alles gewinnen würde, aber dann war ich wieder so voller Angst, daß ich alles verlieren müßte. Alles war schwankend von Anfang an, und es wechselte so oft, daß es mir manchmal die Luft abgeschnitten hat. Ich hatte den Mann auf viele, verschiedene Weise wirklich lieb, aber doch war er mir oft fremd und fern und manchmal wurde er mir auch plötzlich ganz gleichgültig, und manchmal erschien es mir sogar so, als ob er gar nicht mein Freund, sondern mein Feind wäre und als ob wir nicht miteinander leben, sonder gegeneinander kämpfen wollten. (p. 32-33)
2.1.3. Elementi religiosi e storici
Nel corso della lettera vengono riportati diversi eventi fondamentali nella vita degli ebrei praticanti, come ad esempio la notte del Seder (Sederabend), ossia la prima notte della Pasqua ebraica, una delle più importanti celebrazioni durante la quale si ricordano la schiavitù in Egitto e la successiva fuga51. In quell’occasione la narratrice si ritrova presso la sinagoga di Berlino, situata in un luogo quasi nascosto, indice della vita marginale della comunità ebraica tedesca. Tale episodio
51
Le prime due sere del Pessach (solo la prima per chi vive in Israele) la cena viene servita secondo un preciso ordine (Seder vuol dire appunto “ordine”) e, secondo la narrazione della
Haggadah, vengono raccontate la schiavitù in Egitto, le dieci piaghe e la fuga dalla terra dei
34
segue immediatamente la narrazione di un’altra vicenda significativa nella storia ebraica. Mentre si trova nel giardino di un’amica, che ha avuto da poco un figlio, Babu si imbatte in una foto di guerra che mostra un soldato nazista intento a inseguire una madre, la quale tiene in braccio il figlio nonostante quest’ultimo abbia almeno cinque anni. La narratrice decide di nascondere la foto senza una ragione precisa, o almeno con la speranza che in questo modo il rapporto con la sua amica non si incrini. L’immagine le ritorna in mente mentre è a letto e suo figlio dorme accanto a lei, ma è un particolare della foto a richiamare maggiormente la sua attenzione, ossia il fatto che il bambino avesse i pantaloni calati («Das schlimmste waren irgendwie die heruntergerutschten Hosen», p. 22). Attraverso l’esposizione del corpo del bambino, la violenza nazista risulta ancora più cruenta. Le ultime frasi di questo paragrafo sono dei pensieri sciolti che riportano la narratrice tra i bambini ebrei.
L’analogia tra il gioco del nascondino e la necessità di nascondersi per salvarsi merita un approfondimento. Nella frase «Kinder, jetzt spielen wir das allerletzte Spiel» (p.23) vanno sottolineati due aspetti: il primo è che la narratrice si include nel gruppo dei bambini attraverso l’utilizzo del pronome wir; il secondo è l’aggettivo allerletzte, che lascia facilmente immaginare la sorte infausta che toccherà ai bambini. L’angoscia è ulteriormente accentuata nelle ultime quattro frasi che, data la disposizione grafica sulla pagina, sembrano dei versi:
Die kriegen euch aber. Versteckt euch. Aber die finden jeden. Aber uns nicht. (p.23)
I nazisti (die) prendono gli altri bambini, ai quali questa volta la narratrice si rivolge con la seconda persona plurale e che esorta a nascondersi. È evidente che a questo punto Babu non si sente più parte del gruppo. L’anafora di aber nelle ultime due righe (e che, nonostante il rigo in mezzo, può essere considerata un’anadiplosi del primo verso) sottolinea che ad essere presi siano tutti gli altri, tranne il noi che, questa volta, serve a identificare la narratrice e il figlio. Come osserva Guy Stern, il ricordo della Shoa va incluso nella necessità della scrittrice,
35
in quanto ebrea di seconda generazione, di fare i conti con un momento storico di cui non si ha memoria diretta, ma il cui trauma si ripercuote sul senso di colpa52.
Non è un caso, dunque, che la narratrice inserisca l’episodio della Pasqua ebraica dopo il ricordo della ferocia nazista. È infatti possibile sostenere che così come gli antichi Ebrei si sono liberati dalla schiavitù in Egitto, allo stesso modo quelli moderni sono sopravvissuti al genocidio e hanno permesso la continuazione di una cultura millenaria, benché essa sopravviva ormai a stento, soprattutto nel contesto della Germania orientale. Il passaggio tra presente e futuro viene rimarcato anche nella scena in cui le donne riunite per la sera del Seder ripercorrono con tristezza i momenti passati («und wurden traurig», p.27), ma non appena la narratrice mostra loro la foto del figlio della narratrice ritornano alla felicità («und wurden ganz fröhlich», ibidem). Secondo Petra Fiero, il successivo «Und wieder traurig» è motivato dall’afflizione dovuta alla consapevolezza di tutti i bambini morti duranti il nazismo53.
Il ricordo della Shoa ritorna anche attraverso la figura del cantore Abraham Süß che, scrive la narratrice, considerato ciò che ha passato dovrebbe chiamarsi «Bitter». La vita degradante e umiliante nei campi di concentramento si ripresenta nel suo modo di mangiare, veloce e vigile («Oder was war er sonst, daß er sein Essen wie gejagt, so heißhungrig herunterschlang, mit dem Kopf fast im Teller und mit ängstlichem Blick nach rechts und nach links», p. 27). Il fatto che la narratrice avverta il bisogno di volgere lo sguardo altrove («Ich mußte wegsehen», ibidem) non fa che accentuare il dolore e l’angoscia che il ricordo della Shoa riapre ogni volta nella ferita mai rimarginata della comunità ebraica.
Riguardo alla situazione della jüdische Gemeinde di Berlino est l’opinione della narratrice è tutt’altro che positiva. Dopo la cena del Seder, quando tutti sono sazi del vino e del cibo, prosegue: «man sah ein kleines Lämpchen an der Feuerleiter leuchten, einen schwachen Stern Davids an einer rostigen Himmelsleiter» (ibidem). Gli aggettivi schwach e rostig evocano l’indebolimento di una comunità la cui sopravvivenza è costantemente minata dalla politica
52 Cfr. S
TERN, Guy: Barbara Honigmann: A Preliminary Assessment, in Dagmar C. G. Lorenz e Gabriele Weinberger (a cura di): Insiders and Outsiders: Jewish and Gentile Culture in Germany
and Austria, Wayne State University Press, Detroit, 1994, p. 330.
53 Cfr. F
IERO, Petra S.: Zwischen Enthüllen und Verstecken. Eine Analyse von Barbara
36
intransigente del blocco comunista. L’immagine è inoltre ripetuta a breve distanza, dopo aver menzionato il sogno di Auschwitz («Einmal hatte ich einen Traum. Da war ich mit all den anderen in Auschwitz. Und in dem Traum dachte ich: Endlich habe ich meinen Platz im Leben gefunden», p. 28). L’insicurezza per la sorte della comunità ebraica rimasta in Germania è altresì rispecchiata dalla sfiducia nella venuta di Elia54. Infatti, dopo aver elencato i luoghi di provenienza degli elementi essenziali per la celebrazione della prima notte di Pessach (il vino, il pane, i libri e anche il cantore) la lettera continua:
Und woher würde Elias kommen, für den wir die Tür offenstehen gelassen hatten? Und wird er kommen? Aber ich wußte irgendwie schon, daß er nicht kommen wird. Ich hatte es mir schon so oft überlegt, Elias oder Messias oder Gott – von denen kann sich keiner mehr hier blicken lassen. (p. 26)
La narratrice è persuasa che la venuta del Messia non potrà mai realizzarsi in un paese la cui politica si è consacrata all’ateismo.
2.2. Eine Postkarte für Herr Altenkirch
Nel secondo racconto è mostrata la solitudine dei cittadini di Berlino est e l’assenza di interazione sociale da due angolature diverse: dapprima rispetto alla vita personale, poi in relazione alla dimensione pubblica.
Il signore del titolo è un pensionato che affitta una camera della sua casa, dove la protagonista si trasferisce dopo aver abitato in una stanza non mobiliata (Leerzimmer). La prima pagina del racconto è dedicata proprio alla descrizione di quest’ultima, della quale viene ripetutamente sottolineata la freddezza: «Das Leerzimmer war leer und kalt» (p. 45), «der Ofen blieb trotzdem kalt, kalt und sogar noch kälter als kalt» (ibidem). La sensazione di solitudine che la protagonista prova in questa stanza misera (erbärmlich) è esasperata dalla necessità di bruciare le proprie lettere per riscaldarsi, azione che però non sortisce l’effetto desiderato, e ha dunque come unico risultato l’inasprimento del dolore personale.
54 Secondo la tradizione ebraica, durante la notte del Seder andrebbero lasciate la porta aperta e
una coppa di vino in modo che il profeta Elia possa unirsi e festeggiare la liberazione dalla schiavitù in Egitto.
37
Da Herr Altenkirch Babu non trova i «fremde[n] häßliche[n] Möbel[n]» che sperava di evitare vivendo in una stanza vuota, bensì il calore di una persona gentile e sola, quasi un’eccezione all’interno della chiusa società della DDR in cui i rapporti umani si sono spenti. Nonostante si riprometta di spedirgli qualche cartolina dopo la sua partenza, la narratrice non tiene fede alla promessa e si rammarica pensando alla delusione che deve aver provato Herr Altenkirch controllando la posta senza trovarvi niente. Non spiega perché non gli abbia più scritto; tuttavia la frase «Einfach weil ... weil ... und weil ...» (p. 49) implica che potrebbero essere elencate infinite ragioni (come indicano i puntini sospensivi e la ripetizione di weil), delle quali però nessuna basterebbe a perdonare la sua negligenza. Alla fine, dunque, resta soltanto l’angoscia per aver contribuito ad accrescere la solitudine di Herr Altenkirch («und wie dann sicher mit der Zeit die Hoffnung langsam schwand, aber die Enttäuschung sicher bleibt», ibidem).
In questo breve racconto fa la sua apparizione uno dei temi più cari alla Honigmann, ossia la vita teatrale nella DDR. Si viene inoltre a sapere che la ragione principale per la quale Babu lascia Brandeburgo e il gruppo teatrale è l’intromissione dello stato nell’arte. Tutto il gruppo ha deciso di abbandonare il teatro per solidarietà con il dirigente, il quale sarà persino sottoposto a un processo. Il fatto che il dirigente finisca per ritirarsi nei boschi a fare il taglialegna rende esplicita l’impossibilità di fare arte in modo indipendente dalle politiche statali e dall’ideologia comunista, per la quale l’unica possibile espressione artistica è quella del realismo socialista. Inoltre, il dissolversi del gruppo fa scaturire nella protagonista l’esigenza di entrare nuovamente in una comunità. Tale elemento sarà, assieme all’insostenibilità dell’ingerenza del partito comunista in ogni attività della vita privata, il fattore scatenante che farà maturare in Babu la decisione di lasciare la Germania.
2.3. Wanderung: il tema del viaggio tra rivisitazione romantica ed echi religiosi
Il desiderio di uscire dai confini della DDR, anche se per recarsi in un altro paese del blocco sovietico, porta un gruppo di amici ad avventurarsi in Cecoslovacchia.
Nel suo saggio Caroline Schaumann osserva come il viaggio sia sintomatico della necessità di sottrarsi al peso di un governo la cui ingerenza nella vita
38
religiosa e in quella privata non è più sostenibile. Sostiene, inoltre, che tale tema debba richiamare la figura dell’ebreo errante; in questo modo, infatti, è possibile definire il viaggio come la ricerca della propria spiritualità in un contesto più ampio rispetto ai rigidi confini nazionali («the idea of a progressive traveler who is not bound by the confines of society but drives the quest for spiritual renewal»55).
Inoltre, lo spostamento da un luogo all’altro senza una meta precisa né tantomeno un obiettivo ben definito è un elemento tipico del romanticismo, allo stesso modo in cui lo sono i quadri di Friedrich, ai quali la narratrice paragona i paesaggi e i villaggi che vengono visitati:
Da sahen wir hinter dem Dorf, über dem Fluß, einen Berg und darauf eine Burg, eine Ruine mit leeren Fenster, durch di Krähen flogen, wie auf einem Bild von Caspar David Friedrich (p. 54).
Eppure, la situazione non è del tutto idilliaca. Durante il viaggio, infatti, gli amici discutono ininterrottamente. Il motivo è sempre lo stesso:
Immer Streit, immer über dasselbe: über Hitler über Stalin über die Deutschen über die Russen über die Juden über den Krieg über den Osten über den Westen und über