Analisi statistica
Grafico 24: Confronto score Khorana e Improve-VTE.
Anche lo score Padua-VTE presenta dei limiti: è validato per pazienti ospedalizzati e non affetti da TEV acuto e non possiede un equivalente score per il calcolo del rischio emorragico.
Considerando l’epidemiologia e l’impatto prognostico del tromboembolismo venoso, in particolare nei pazienti tumorali, e le complicanze croniche ad esso associate (sindrome post- trombotica ed ipertensione polmonare post-embolica), risultano evidenti i benefici economici e sociali che deriverebbero dallo sviluppo di un sistema di scoring che consenta di impostare una corretta strategia profilattica. Questo aspetto diventa ancor più rilevante in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento dell’incidenza di patologie neoplastiche. Per queste motivazioni è stato ideato e proposto lo score per la prevenzione del rischio trombotico in comunità PP (Primary Prevention), con l’analogo score per il rischio emorragico PP EMO (Hemorrhagic Primary Prevention). Tali score sono risultati significativamente correlati con gli altri sistemi di scoring a nostra disposizione e potrebbero essere proposti per la stratificazione del rischio trombotico ed emorragico in comunità e per guidare la scelta di impostare o meno una terapia antitrombotica. Dovranno essere testati su una più ampia casistica per la loro validazione.
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Gli score IMPROVE potrebbero nel frattempo rappresentare uno strumento potenzialmente utile per guidare la scelta di impostare una terapia profilattica nei pazienti non tumorali in comunità. Infatti, a differenza di quanto osservato per i pazienti neoplastici, in quelli non tumorali gli score IMPROVE-VTE e IMPROVE-bleed hanno mostrato una correlazione diretta. L’assenza di patologia neoplastica, responsabile di un’imprevedibile variabilità nell’assetto coagulativo, fa sì che le curve di questi score mostrino un andamento più stabile. Applicare lo score IMPROVE ai pazienti in comunità costituisce tuttavia un bias, poiché presuppone che tutti i pazienti, che poi sviluppano una TVP o che sono a rischio di svilupparla, siano assimilabili ai pazienti ricoverati in ospedale.
Inoltre nei pazienti non tumorali, a differenza di quelli neoplastici, non è possibile confrontare nessuno dei due score IMPROVE con un sistema analogo, specifico e validato per soggetti non ospedalizzati, come può essere il Khorana per i neoplastici.
Queste considerazioni evidenziano i limiti di un eventuale utilizzo degli score IMPROVE nella popolazione a rischio tromboembolico in comunità.
La necessità di nuovi sistemi di scoring è avvalorata anche dalla scarsa specificità del D- dimero come parametro laboratoristico isolato di riferimento per la valutazione del rischio trombotico, della gravità dell’evento acuto e anche della risposta alla terapia. Questo limite assume particolare rilevanza se si considera che i pazienti inclusi in questo studio, sebbene numericamente non significativi, per le loro caratteristiche (età avanzata, comorbidità, neoplasia) sono rappresentativi di una quota rilevante dei soggetti a rischio di TEV e di quelli che sviluppano un evento tromboembolico acuto in comunità.
In particolare nei pazienti neoplastici che, in accordo con la letteratura, hanno manifestato un fenotipo clinico (localizzazione degli eventi trombotici) e laboratoristico (trend del D-dimero) peculiare, la sola valutazione del D-dimero appare insufficiente per la valutazione del rischio trombotico. Infatti, nella maggior parte di questi pazienti, il D-dimero rimane sempre superiore al cut-off, spesso più elevato rispetto al valore all’ingresso, nonostante la terapia anticoagulante. A tal proposito, alla luce di quanto recentemente proposto in letteratura, è auspicabile, nella valutazione di questa categoria di pazienti, l’associazione dello score di Khorana e D-dimero ad altri parametri, quali i livelli di P-selectina e di MPs (soprattutto le TF-MPs). L’utilizzo combinato di questi elementi consentirebbe infatti una migliore stratificazione del rischio trombotico e permetterebbe di identificare, fra i soggetti a rischio, quelli che beneficerebbero maggiormente di una profilassi anti-coagulante primaria e di una
extended therapy dopo un episodio di TEV acuto.
Per una stima personalizzata del rischio tromboembolico di ogni singolo paziente e per la rivalutazione del rischio trombotico ed emorragico nel tempo, sono da valutare anche altri
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strumenti laboratoristici a nostra disposizione, quali la generazione di trombina e il tromboelastogramma (TEG). Tali strumenti, attualmente non utilizzati di routine, potrebbero rivelarsi efficaci armi per l’impostazione di una tailored therapy.
Nella valutazione dei fattori di rischio ereditari, in tutti i pazienti sottoposti ai test di screening sono state indagate anche le mutazioni del gene MTHFR, nonostante diverse società scientifiche (ACMG, TIGC, BCSH, BSH) (15-17) non ne raccomandino lo studio routinario, dato
lo scarso rischio tromboembolico ad esse associato. A tal proposito, in accordo con le più recenti linee-guida, è auspicabile che il dosaggio dell’omocisteina plasmatica selezioni i casi in cui lo studio del gene MTHFR potrebbe essere utile come prima indagine nella valutazione del rischio di TEV, riservando lo screening genetico ai soli individui con iperomocisteinemia in cui siano state prima escluse eventuali cause acquisite.
In generale, l’utilizzo dei test di screening in soggetti con tromboembolismo venoso rimane un aspetto controverso. In particolare sussistono dubbi sull’effettivo vantaggio in termini di rapporto costi/benefici, anche in soggetti ad alto rischio (terapia estrogenica, gravidanza, chirurgia maggiore) per i quali non è chiaro se alla spesa economica si associ poi un vantaggio preventivo e/o prognostico. I test per trombofilia ereditaria risulterebbero utili qualora permettessero di identificare un sub-set di pazienti particolarmente predisposti allo sviluppo di recidive. Tuttavia le mutazioni più frequenti, quali polimorfismi MTHFR, FV Leiden e FII G20210A in eterozigosi, non sembrano essere associate ad un particolare aumento del rischio di trombosi venose ricorrenti.
Al contempo, la presenza di fattori di rischio acquisiti, tra cui la patologia tumorale, non deve rappresentare un motivo di esclusione dei pazienti dallo screening genetico. Infatti, in accordo con le più recenti raccomandazioni, la ricerca dei fattori di rischio ereditari dovrebbe essere effettuata nei soggetti con primo episodio trombotico in età giovanile, in coloro i quali sviluppano recidiva dopo sospensione della terapia anticoagulante e nei pazienti in cui la trombosi venosa si manifesta clinicamente in siti inusuali (arti superiori, encefalo, distretto splancnico).
Tra i farmaci anticoagulanti, è aumentato il ricorso ai NAO nel trattamento del TEV acuto. Le EBPM sono tuttavia ancora ampiamente utilizzate, nonostante i NAO siano ormai raccomandati come farmaci di prima scelta nei pazienti non tumorali. Bisogna però considerare che, sebbene numerosi studi abbiano dimostrato la superiorità (o la non inferiorità) e la maggior sicurezza dei NAO rispetto alle EBPM, molti pazienti risultano non candidabili al trattamento con questi farmaci, per via di diversi fattori quali età avanzata ed elevato peso corporeo, poli-terapie, compromissione della funzione renale e/o epatica, presenza di valvole cardiache meccaniche e trombofilie ereditarie ad elevato rischio.
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Le EBPM, per le loro caratteristiche farmacocinetiche ed il profilo di sicurezza, insieme alle intrinseche proprietà anti-tumorali e a quasi un secolo di esperienza in clinica, rappresentano, ad oggi, gli unici farmaci anticoagulanti raccomandati per la profilassi ed il trattamento del TEV acuto nei pazienti tumorali. I progressi nelle biotecnologie hanno inoltre permesso di creare nuovi tipi di eparine, potenziandone specifiche proprietà farmacologiche, tra cui quelle anti-tumorali. Nonostante siano i più antichi anticoagulanti a nostra disposizione, le eparine potrebbero quindi persino rappresentare una nuova opportunità terapeutica per i pazienti neoplastici.
Se i trial clinici attualmente in corso dovessero dimostrare la non inferiorità dei NAO rispetto alle EBPM nei pazienti con cancro, avremmo a disposizione una nuova opzione terapeutica. In attesa dei risultati, si può supporre che dei farmaci come i NAO, con breve emivita, somministrabili per os e in un’unica dose giornaliera, potrebbero migliorare la compliance al trattamento nei pazienti tumorali. Bisogna tuttavia considerare che spesso, nei pazienti tumorali, la via orale è preclusa per lo sviluppo di fenomeni di disfagia e/o malassorbimento legati al cancro. Nuove importanti prospettive future vengono infine rappresentate dai farmaci anti-XI e anti-XII, che, se dimostrata la loro effettiva efficacia come anticoagulanti, eliminerebbero gran parte degli effetti collaterali, quali emorragia e compliance.
Indipendentemente dai farmaci anticoagulanti utilizzati, il trattamento del TEV acuto si basa su una terapia standard, che è uguale per tutti i pazienti. Allo stato attuale infatti, nel determinare la dose, si considerano una serie di fattori (età, peso corporeo, funzione d’organo, poli-terapie), che influenzano la risposta e la tollerabilità al trattamento anticoagulante, ma che non riflettono il profilo emostatico-coagulativo del paziente. Allo stesso modo, la durata del trattamento è definita dalle linee-guida sulla base di trial clinici e meta-analisi che, per la loro natura, non considerano le fisiologiche differenze inter-individuali. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente nei pazienti con neoplasia in fase attiva, che costituiscono una popolazione estremamente eterogenea. Le diverse localizzazioni, i numerosi istotipi, lo stadio e il grado, la variabilità genetica tipica delle cellule neoplastiche e l’eventuale chemioterapia in atto sono infatti responsabili di alterazioni dell’equilibrio emostatico-coagulativo quantitative e qualitative. Tutto ciò fa sì che i pazienti neoplastici siano difficili da confrontare nei trial clinici, per via dei numerosi bias di selezione. Data la complessità fisiopatologica della coagulazione nei tumorali, è quindi estremamente difficoltoso impostare, in questi pazienti, una profilassi e una terapia anticoagulante.
Date queste premesse, è auspicabile un utilizzo routinario più esteso degli strumenti attualmente a disposizione per la valutazione nel tempo del rischio trombotico nei singoli pazienti neoplastici. Lo score di Khorana e in particolare il Khorana modificato secondo
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Pabinger permetterebbero una miglior stratificazione dei pazienti, consentendo di individuare quelli a maggior rischio. Considerando inoltre i costi di laboratorio per la misurazione dei livelli di MPs e P-selectina, sarebbe necessario individuare altri parametri (clinici, laboratoristici e strumentali), possibilmente economici e di facile misurazione, che permettano una valutazione dei pazienti neoplastici riducendo al minimo i bias di selezione.
In conclusione, i risultati di questa tesi suggeriscono la necessità di ricercare migliori strategie per implementare il trattamento profilattico mirato e una tailored therapy, che consenta di ridurre l’incidenza degli episodi tromboembolici soprattutto nei pazienti neoplastici (e il relativo impatto sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza), minimizzando il più possibile il rischio emorragico associato alla terapia.
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