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Le indicazioni e le controindicazioni al trattamento anticoagulante nei pazienti tumorali con TEV acuto, come pure gli obiettivi della terapia sono sostanzialmente gli stessi dei pazienti non tumorali. Il trattamento del tromboembolismo nei neoplastici è reso tuttavia complesso dal maggior tasso di recidiva e dal maggior rischio emorragico. La maggior incidenza di emorragie nei neoplastici è infatti del 6,5-18%, molto superiore rispetto a quella dei soggetti non tumorali e non correlata ad un over-treatment con anticoagulanti. D’altra parte, bisogna considerare anche le implicazioni prognostiche negative derivanti da un mancato trattamento: 50% di rischio di EP in pazienti con TVP sintomatica non trattata e 30% di mortalità in quelli con EP non trattata. Per questi motivi, la scelta di sottoporre un paziente tumorale a terapia anticoagulante, richiede un attento esame del rapporto rischio/beneficio, specialmente nei soggetti con rischio emorragico intermedio/alto e in quelli con scarsa aspettativa di vita.

In generale, tutti i pazienti tumorali con TEV acuto andrebbero sottoposti a terapia anticoagulante, a meno che non presentino controindicazioni assolute quali emorragia in atto, recente intervento chirurgico, diatesi emorragica pre-esistente, piastrinopenia (PLT < 50000/µL), coagulopatie. Nei pazienti in cui il trattamento anticoagulante risulti controindicato, bisogna considerare l’inserimento temporaneo di un filtro cavale, per prevenire l’embolia polmonare. In ogni caso, i pazienti neoplastici in terapia anticoagulante devono essere attentamente monitorati, per individuare precocemente l’eventuale insorgenza di emorragie.

Tabella 20: Fattori di rischio per emorragia nei pazienti neoplastici.

Kenneth A. Bauer, Treatment of venous thromboembolism in patients with malignancy. UpToDate®, Wolters Kluwer Health (2016).]

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Terapia iniziale

Per quanto riguarda la terapia dell’evento acuto, in una meta-analisi di 16 studi clinici randomizzati eseguiti su pazienti neoplastici, il trattamento iniziale con EBPM si è associato ad una lieve riduzione della mortalità a 3 mesi e a nessun incremento del rischio emorragico, rispetto a quello con ENF. L’eparina non frazionata è da preferirsi nei pazienti con ridotta funzione renale, nei pazienti in cui è necessario uno stretto monitoraggio delle dosi di anticoagulante e in quelli per cui è prevista la necessità di dover interrompere o antagonizzare l’anti-coagulazione. Un’analisi a posteriori di due studi randomizzati, in particolare, ha dimostrato la superiorità dell’enoxaparina rispetto al fondaparinux nel trattamento iniziale del TEV acuto nei pazienti neoplastici (maggior tasso di recidiva in quelli trattati col fondaprinux).

Le EBPM maggiormente studiate ed utilizzate in clinica sono enoxaparina, dalteparina e tinzaparina. Tuttavia non esistono studi in cui queste molecole siano state confrontate tra loro, in termini di efficacia e sicurezza, nei pazienti neoplastici.

Long-term therapy

Nei pazienti non ad alto rischio emorragico il trattamento anticoagulante andrebbe proseguito per almeno 3-6 mesi (long-term therapy).

Anche in questo setting terapeutico, le EBPM sono i farmaci di prima scelta, con tassi di mortalità, recidiva ed emorragia variabili tra le diverse eparine, secondo quanto riportato da alcuni studi randomizzati retrospettivi e meta-analisi. Non sono tuttavia disponibili studi prospettici comparativi che dimostrino la superiorità di una delle EBPM tra di loro (enoxaparina, dalteparin, tinzaparina) e rispetto al fondaparinux nella long-term therapy.

Cinque studi randomizzati condotti tra il 2002 e il 2015 hanno messo a confronto EBPM e warfarin nel trattamento del TEV acuto nei pazienti neoplastici. Due trial (CLOT e MAIN- LITE) hanno dimostrato la superiorità del trattamento eparinico (rispettivamente dalteparina e tinzaparina) nel ridurre gli episodi tromboembolici ricorrenti, senza influire sul rischio emorragico e sulla mortalità (90, 93). In due studi (CHANTANOX e ONCENOX) non sono state

evidenziate differenze rilevanti tra EBPM (enoxaparina) e Warfarin per quanto riguarda sia gli episodi di TEV ricorrenti che il rischio emorragico e la mortalità (91, 94). Lo studio più

recente (CATCH, 2015) ha mostrato una riduzione non significativa negli episodi tromboembolici ricorrenti, nella mortalità e nel tasso di emorragie maggiori e un minor rischio di emorragie minori clinicamente rilevanti nei pazienti trattati con EBPM (tinzaparina)

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Nei pazienti con scarsa compliance per la modalità di somministrazione sottocutanea, l’utilizzo di anticoagulanti orali è preferibile, come seconda scelta, rispetto al non eseguire alcun trattamento.

Ad oggi, non esistono tuttavia studi randomizzati che confrontino l’efficacia e la sicurezza dei NAO rispetto agli AVK o alle EBPM, nel trattamento del TEV nei pazienti neoplastici. È stata eseguita solo una meta-analisi degli studi RE-COVER I e II, EINSTEIN, AMPLIFY e Hokusai-VTE, che ha valutato i sub-set di pazienti neoplastici inclusi in questi trials. I risultati non hanno mostrato significative differenze fra NAO e AVK né nel tasso di TEV recidivante (3.9 vs 6 %; odds ratio [OR] 0.63; 95 % CI, 0.37 – 1.10), né in quello di emorragie maggiori (3.2 versus 4.2%; OR 0.77; 95 % CI, 0.41-1.44). Bisogna però sottolineare che i pazienti neoplastici inclusi in questi trial, per le loro caratteristiche non sono rappresentativi della popolazione tumorale generale: i pazienti non erano infatti in trattamento chemioterapico, né in radioterapia e alcuni di essi avevano solo una storia pregressa di malattia neoplastica. Questi studi quindi, avendo incluso soprattutto pazienti neoplastici a basso rischio di TEV ricorrente, sono gravati da un bias di selezione che ne limita l’interpretazione dei risultati.

Non ci sono quindi raccomandazioni nella scelta di uno specifico anticoagulante orale e, in ogni caso, la scelta tra AVK e NAO dovrebbe essere fatta sulla base delle caratteristiche del singolo paziente. Ad esempio, in soggetti che non tollerano le iniezioni sottocutanee e/o che presentano una ridotta funzione renale, il warfarin rappresenta la miglior alternativa terapeutica, nonostante le criticità legate al mantenimento dell’INR nel range terapeutico. D’altra parte, i NAO hanno il vantaggio di poter essere somministrati in dose fissa giornaliera, di non richiedere un monitoraggio terapeutico routinario, di determinare l’effetto terapeutico nell’arco di poche ore dall’ingestione e di avere una breve emivita d’azione.

Nella pratica clinica, data la difficoltà nel mantenere un TTR adeguato, la prescrizione di AVK nel paziente tumorale è più infrequente del previsto. Ecco che l’utilizzo dei NAO in questa categoria di pazienti potrebbe fornire una valida alternativa terapeutica.

Gli studi CARAVAGGIO22, CANVAS23, e Hokusai VTE-cancer24, attualmente in corso,

hanno lo scopo di confrontare l’efficacia di NAO ed EBPM nel trattamento del TEV, valutando, come outcome primario, l’incidenza degli episodi tromboembolici recidivanti.

22 Studio CARAVAGGIO, https://clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT03045406 23 Studio CANVAS, https://clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02744092

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Uno studio di fase III25, attualmente in corso, ha come scopo primario il confronto

dell’incidenza di emorragie maggiori in pazienti con TEV acuto, trattati con apixaban o dalteparina.

Extended therapy

La decisione di intraprendere una terapia a tempo indefinito nei pazienti neoplastici deve essere attentamente valutata in base al rapporto rischio/beneficio per il singolo paziente, tenendo conto anche di fattori quali tipo di neoplasia, durata della malattia, chemioterapia in atto, desideri del paziente ed aspettativa di vita. Una extended therapy dovrebbe essere presa in considerazione nei pazienti con neoplasia in fase attiva, in particolare in quelli che sviluppano trombosi recidivanti anche durante il trattamento anticoagulante.

Una terapia a tempo indefinito può essere eventualmente proposta anche a pazienti considerati ad elevato rischio di recidiva per altri fattori, quali allettamento prolungato, sviluppo di trombosi estese, ipotensione al manifestarsi dell’evento tromboembolico. I pazienti sottoposti ad extended therapy andrebbero comunque sottoposti a rivalutazione periodica (almeno annuale).

Le EBPM sono i farmaci di riferimento e, in generale, è consigliabile ricorrere allo stesso anticoagulante utilizzato per il trattamento dell’evento acuto, a meno che il paziente non sia andato incontro a complicanze. La scelta delle EBPM in questo setting terapeutico è inoltre avvalorata dai benefici in termini di sopravvivenza, dovuti all’intrinseca attività anti- neoplastica di queste molecole.

In ogni caso, considerata la scarsità degli studi clinici a riguardo, al momento attuale non è raccomandato l’utilizzo dei NAO nel trattamento dei pazienti neoplastici con tromboembolismo recidivante.

Follow-up

Nei pazienti tumorali sottoposti a terapia anticoagulante è necessario rivalutare periodicamente e frequentemente il rapporto rischio/beneficio del trattamento, in relazione alla condizioni cliniche, allo stato di malattia, all’eventuale terapia anti-tumorale e all’aspettativa di vita. Fattori che possono indurre a non proseguire il trattamento sono interazioni farmacologiche con gli agenti chemioterapici, sviluppo di insufficienza renale e/o trombocitopenia e peggioramento della prognosi.

25 Apixaban or Dalteparin in Reducing Blood Clots in Patients With Cancer Related Venous Thromboembolism, https://clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02585713

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3.6 Gli effetti non anticoagulanti dell’eparina