I nuovi anticoagulanti orali (New Oral Anticoagulants – NOACs) o anticoagulanti orali diretti (Direct Oral Anticoagulants – DOACs) sono farmaci di recente introduzione che espletano il proprio effetto anticoagulante mediante inibizione diretta dei fattori della coagulazione. Quelli attualmente utilizzati in ambito clinico sono rivaroxaban, apixaban, edoxaban (anti-FXa) e dabigatran (anti-FIIa).
Questi farmaci hanno il vantaggio di poter essere somministrati in dosi fisse giornaliere, di non richiedere un monitoraggio terapeutico routinario (eccetto che in situazioni di urgenza/emergenza in cui è necessario poter valutare lo stato coagulativo del paziente), di presentare un minor numero di interazioni farmacologiche e nessuna interazione alimentare (al contrario del warfarin, l’effetto anti-coagulante dei NOAC non è influenzato dall’assunzione di cibi contenenti vit.K).
L’attività anticoagulante diretta garantisce inoltre un’azione rapida (poiché rivolta verso fattori già attivi e circolanti) e la mancata necessità di un’iniziale embricazione con eparine (poiché non sussite il rischio di un transitorio stato pro-trombotico nei primi giorni di trattamento, non essendo inibite le proteine C ed S). Tuttavia, in caso di trattamento con dabigatran ed edoxaban, è necessaria un’iniziale terapia con anticoagulante parenterale per 5- 10 giorni, per poi passare al NAO.
La breve emivita e la sovrapposizione tra l’emivita di azione e quella di eliminazione garantiscono un miglior profilo di sicurezza e maneggevolezza, poiché sono sufficienti 24h per annullare l’effetto del farmaco (non inibendo alcun meccanismo enzimatico, la clearance del farmaco coincide infatti con la scomparsa dell’effetto anticoagulante). Questo aspetto è importante soprattutto nelle condizioni in cui il paziente debba essere sottoposto ad un intervento chirurgico in regime di urgenza.
Farmacocinetica
Il dabigatran (anti-FIIa) è in grado di legare sia la trombina libera che quella legata alla fibrina, viene assunto come pro-farmaco (dabigatran etexilato mesilato) e successivamente attivato a livello epatico e plamatico con un meccanismo citocromo P450-indipendente (idrolisi mediata da esterasi), per cui non presenta interazioni con farmaci inibitori del citocromo P450. Ha una bassa biodisponibilità (3-7%) poiché è un substrato ad altà affinità per la P-gp7 (o MDR-18), un trasportatore localizzato a livello della mucosa intestinale e
responsabile dell’estrusione di xenobiotici, determinandone un ridotto assorbimento. Per
7 P-gp, Permeability glycoprotein 1 8 MDR-1, Multidrug Resistance protein-1
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questo motivo presenta interazioni con farmaci induttori o inibitori della P-gp, che ne modificano le concentrazioni plasmatiche (es. atorvastatina, verapamil, amiodarone, ketoconazolo, itraconazolo, macrolidi, rifampicina, barbiturici) (44). A tal proposito, data la
bassa biodisponibilità, l’utilizzo di un profarmaco consente di prevenirne un’ulteriore riduzione in seguito all’effetto di primo passaggio epatico. Ha un’emivita di 12-17h (aumenta nei soggetti di età avanzata e in quelli con ridotta funzione renale), raggiunge il picco plasmatico in 1h (2h se assunto col cibo), il legame alle proteine plasmatiche è scarso (35%) e rende quindi il farmaco dializzabile e l’escrezione è per lo più renale (80%), per cui è necessario modificare la dose in base alla funzione emuntoria (Tabella 4).
Gli antogonisti del FXa sono in grado di legare sia il FXa libero che quello legato al complesso protrombinasico, vengono assunti come farmaci già attivi, la biodisponibilità di apixaban ed edoxaban è rispettivamente del ≈ 50% e 62% mentre per il rivaroxaban è variabile, potendo aumentare dal 66% fino al 100%, se assunto col cibo, sebbene anche la biodisponibilità dell’edoxaban possa variare (+ 6-22%) in base alla concomitante assunzione di cibo.
Questi farmaci sono substrati della P-gp, ma con minore affinità rispetto al dabigatran (44).
L’emivita è di 5-9h, 8-15h e 10-14h, il legame alle proteine plasmatiche è del 92-95%, 87% e 55% (non sono dializzabili), mentre il picco di concentrazione plasmatica si raggiunge dopo 2-4h, 3-4h e 1-2h rispettivamente per rivaroxaban, apixaban ed edoxaban.
Rivaroxaban e apixaban sono metabolizzati a livello epatico con meccanismi citocromo P450- dipendenti (CYP-3A4) (44). L’edoxaban è presente nel plasma principalmente in forma
immodificata ed è minimamente metabolizzato dal CYP3A4.
L’eliminazione varia per i diversi farmaci: 65% epatica e 35% renale per il rivaroxaban; 73% epatica e 27% renale per l’apixaban; 50% epatica e 50% renale per l’edoxaban. Anche per gli anti-FXa è quindi necessario modificare la posologia in base alla funzione renale (Tabella 5).
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Monitoraggio terapeutico
La prevedibilità dei NAO in termini di farmacocinetica ed effetto anti-coagulante fa sì che questi farmaci non necessitino di un monitoraggio terapeutico routinario, salvo nei casi in cui il paziente debba essere sottoposto a procedure chirurgiche o interventistiche in regime di urgenza/emergenza. La valutazione periodica (almeno annuale) della funzione renale ed epatica è invece utile per stabilire se sia necessario modificare la posologia.
Il dabigatran influenza tutti i test di coagulazione (PT, aPTT e TT), ma per la loro scarsa (PT) o eccessiva (aPTT, TT) sensibilità risultano poco utili ad esprimere la concentrazione plasmatica del farmaco. In ogni caso, il riscontro di normali valori di aPTT e TT può essere sufficiente ad escludere la presenza di livelli plasmatici di dabigatran clinicamente rilevanti. Per questo motivo l’aPTT viene utilizzato in regime di emergenza per ottenere informazioni circa l’attività residua del farmaco, sebbene allo stato attuale non sia stato definito un range terapeutico per il dabigatran.
Test più accurati per la valutazione quantitativa del farmaco sono rappresentati dal tempo di trombina diluito (dTT), dal tempo di ecarina (ECT) e dai test cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FIIa (Tabella 6).
Tabella 5: Dosaggio e controindicazioni all’utilizzo dei NAO nel trattamento del tromboembolismo venoso. [Tratto da: A. N. Raval et al., Management of Patients on Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in the Acute Care and Periprocedural Setting: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circulation 135, e604-e633 (2017).]
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Tabella 6: Livello di affidabilità dei test di coagulazione per il monitoraggio della terapia con NAO.
PT, Prothrombin Time; aPTT, activated Partial Thromboplastin Time; TT, Thrombin Time; ACT, Activated Clotting Time; dTT diluted Thrombin Time; ECT, Ecarin Clotting Time; INR, International Normalized Ratio.
Gli inibitori del FXa influenzano l’ACT (Activated Clotting Time) e i saggi cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FXa, sebbene per entrambi i test non sia stato definito un range terapeutico per questi farmaci.
Il PT è invece meno sensibile (specialmente per l’apixaban), vi è una certa variabilità tra i reagenti in commercio e non è nota inoltre la correlazione fra un aumento del suo valore ed il rischio emorragico nel paziente in terapia con NAO. Per questo motivo, un PT normale non consente di escludere la presenza di concentrazioni plasmatiche sgnificative del farmaco. Allo stesso modo, l’aPTT mostra una scarsa sensibilità ed un andamento non lineare, tali da non consentirne l’uso per la valutazione quantitativa degli anti-FXa.
Allo stato attuale, i test cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FXa risultano i più sensibili nella determinazione quantitativa di questi farmaci e, se negativi, consentono di escludere con ragionevole sicurezza la presenza di concentrazioni plasmatiche clinicamente rilevanti (Tabella 6).
Controindicazioni ai NOAC ed utilizzo in categorie particolari
Tutti i NOAC sono controindicati in caso di ClCr9 <15ml/min e gli anti-FXa non sono
raccomandati nei soggetti con insufficienza epatica di grado moderato-grave (classe C secondo Child-Pugg). Altre controindicazioni sono gravidanza, allatamento e la presenza di valvole cardiache meccaniche: negli studi che hanno dimostrato l’efficacia dei NOAC nel trattamento del TEV queste categorie di pazienti sono state escluse o poco rappresentate e sono quindi necessarie ulteriori indagini per la valutarne il profilo di sicurezza in questi soggetti.
L’uso dei NOAC va inoltre valutato con attenzione nei soggetti con peso corporeo < 50kg e >
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120kg o con BMI ≥35kg/m2, limitandone possibilmente l’utilizzo ai casi in cui non è possibile ricorrere agli AVK.
L’utilizzo dei NOAC in soggetti portatori di stati trombofilici ereditari e in quelli affetti da APLS è ancora controverso e le attuali conoscenze in merito si basano per lo più su case
report e case series e su revisioni degli studi RE-COVER I e II, EINSTEIN, AMPLIFY e
HOKUSAI-VTE (nei quali le trombofilie ereditarie non rientravano tra i criteri di esclusione). Ad oggi, i NOAC sembrano essere un’alternativa potenzialmente valida per il trattamento del tromboembolismo venoso, sia in acuto che in profilassi secondaria, nei soggetti portatori di stati trombofilici ereditari a minor rischio (es. FV Leiden in eterozigosi), specie se la terapia standard con VKA non consente un buon controllo della coagulazione. Il loro utilizzo andrebbe invece evitato nei pazienti con trombofilie ad elevato rischio, quali sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (specie in soggetti con sierologia triplo-positiva) e HIT, in attesa di studi che ne avvalorino l’efficacia e la sicurezza. Bisogna inoltre considerare che i NOAC influenzano i risultati dei test di laboratorio per trombofilia (specie quelli per il dosaggio dei LA) (45).
Gestione delle emorragie in corso di terapia con NAO
L’emorragia è l’evento avverso più comune e la gestione del quadro emorragico può rivelarsi complessa sia per la limitata accuratezza dei test di coagulazione routinari, sia per l’assenza di antidoti specifici (fatta eccezione per il dabigatran).
Dabigatran e rivaroxaban determinano un maggior rischio di eventi avversi gastro-intestinali e quindi non dovrebbero essere considerati come prima scelta in soggetti ad elevato rischio emorragico del tratto G-I o con storia di emorragia G-I. Il dabigatran può inoltre determinare dispepsia.
In prima istanza è necessario sapere quando è stata assunta l’ultima dose, poiché per i NAO l’acme dell’effetto anticoagulante corrisponde al picco di concentrazione plasmatica e l’emivita relativamente breve può consentire la messa in atto di strategie terapeutiche temporanee, in attesa che si realizzi una completa clearance del farmaco.
Oltre all’anamnesi farmacologica, è necessario procedere alla valutazione della funzionalità epatica e renale del soggetto e all’esecuzione di test rapidi di coagulazione (aPTT, TT o PT) ed eventualmente di test cromogenici quantitativi (Tabella 7).
L’algoritmo per la gestione dell’emorragia in soggetti in terapia con NAO prevede in prima istanza procedure terapeutiche di ordine generale: dilazionamento della dose successiva, emostasi meccanica o chirurgica, infusione di fluidi e/o plasma fresco congelato,
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somministrazione di emazie concentrate e/o piastrine, a seconda che l’emorragia sia lieve, moderata o grave (Tabella 7).
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In caso di emorragia grave, specie se di entità tale da mettere a rischio la vita del paziente, bisogna considerare il ricorso a trattamenti più complessi e specifici, quali la somministrazione di FVIIa ricombinante e concentrato di complesso protrombinico o l’emodialisi (solo per il dabigatran, data l’elevata percentuale di legame alle proteine plasmatiche degli anti-FXa) (Tabella 8).
Come già accennato, ad oggi non sono disponibili antidoti specifici per i NAO, fatta eccezione per il dabigatran (Tabella 8), per il quale esiste un anticorpo monoclonale, l’idaracizumab, in grado di annullarne l’effetto anti-coagulante entro pochi minuti dalla somministrazione. Questo anticorpo agisce legando il dabigatran con un’affinità 350 volte superiore rispetto alla trombina, favorendone la successiva clearance da parte del sistema
Tabella 7: Algoritmo procedurale per la gestione dell'emorragia in pazienti in trattamento con NAO.
CBC, Complete Blood Count; BUN, Blood Urea Nitrogen; CrCL, Creatinine Clearance; PRBC, Packed Red Blood Cells; PLT, Platelets; IV, Intravenous.
[Tratto e modificato da: H. Heidbuchel et al., Updated European Heart Rhythm Association Practical Guide on the use of non-vitamin K antagonist anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation. Europace : European pacing, arrhythmias, and cardiac electrophysiology : journal of the working groups on cardiac pacing, arrhythmias, and cardiac cellular electrophysiology of the European Society of Cardiology 17, 1467-1507 (2015).]
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reticolo-endoteliale.
Sono tuttavia in fase di studio delle molecole ad attività antagonista specifica per gli anti-FXa. In particolare, andexanet alfa è un FXa ricombinante umano che funge da ligando-trappola per gli anti-FXa, legandovisi e neutralizzandone l’effetto anti-coagulante. Un recente studio ne ha dimostrato l’efficacia nell’antagonizzare l’effetto di rivaroxaban e apixaban, tramite la normalizzazione dei relativi test di coagulazione (46). È attualmente in corso lo studio
ANNEXA-410, il cui scopo è valutare i benefici clinici e la sicurezza di andexanet alfa in
pazienti che sviluppano eventi emorragici maggiori durante il trattamento con farmaci anti- FXa o enoxaparina.
Un altro antidoto in fase di studio è ciraparantag (PER977), una molecola cationica sintetica, piccola e idrosolubile, progettata per legare in maniera specifica l’ENF e l’EBPM e che lega in maniera simile anche gli inibitori diretti del FIIa e del FXa.
In uno studio di fase I placebo-controllo in doppio cieco, ne sono stati valutati l’efficacia antagonista e il profilo di sicurezza in soggetti trattati con edoxaban (47). I risultati ottenuti
hanno indotto la prosecuzione dello studio ad un trial di fase II 11. È inoltre attualmente in
corso uno studio di fase II placebo-controllo, il cui scopo è valutare l’efficacia e la sicurezza del ciraparantag in soggetti in trattamento anticoagulante con rivaroxaban12.
10 Studio ANNEXA-4, https://clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02329327 11 https://www.clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02207257
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Tabella 8: Misure terapeutiche specifiche per la gestione dell’emorragia grave in pazienti in trattamento con NAO.
PCC, Prothrombin Complex Concentrate; IU, International Units.
[Tratto da: A. N. Raval et al., Management of Patients on Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in the Acute Care and Periprocedural Setting: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circulation 135, e604- e633 (2017).]
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Prospettive future: farmaci anti-FXI e anti-FXII
(48, 49)Gli anticoagulanti attualmente disponibili nella pratica clinica hanno un’efficacia ampiamente dimostrata, ma presentano il rischio di emorragie maggiori tra gli effetti collaterali poiché non distinguono tra la generazione di trombina che contribuisce alla trombosi e la generazione di trombina richiesta per l’emostasi. L'uso di questi agenti richiede perciò un precario equilibrio tra un significativo effetto antitrombotico e un accettabile effetto anticoagulante (antiemostatico). Ciò pone naturalmente dei limiti al dosaggio della terapia, alla tipologia di paziente in grado di ricevere tale terapia e alla situazione clinica in cui tale terapia può essere effettuata con sicurezza. Sono stati quindi proposti come target terapeutici i fattori da contatto, che potrebbero offrire un modo per separare gli effetti antitrombotici da quelli antiemostatici.
Sono in corso di studio (fase preclinica e fase 2, rispettivamente) anticoagulanti che presentano i FXII e FXI come target. È stato osservato, infatti, che la carenza del FXII non produce un fenotipo emorragico, ma rende il coagulo di fibrina più friabile e che la carenza del FXI (altresì nota come emofilia C) ha solo scarsi effetti emorragici, in particolare in caso di ferite alle mucose. D’altra parte, elevate quantità plasmatiche di FXII contribuiscono alla formazione di trombina e, a maggior ragione, elevate quantità di FXI sono in grado di indurre trombosi per l’amplificazione data dal feed-back positivo del FII.
Questi studi sfruttano la caratteristica intrinseca dei fattori della coagulazione up-stream di partecipare in misura minore alla produzione del coagulo di fibrina (Figura 17). Si rende così possibile la dissociazione tra l’effetto trombotico e l’effetto anticoagulante, caratteristica estremamente vantaggiosa per il bersaglio di un farmaco antitrombotico. La scarsità o assenza di effetti collaterali emorragici di tali farmaci, ancora in fase di sperimentazione, li renderebbe disponibili anche per categorie di pazienti ad elevato rischio emorragico o in terapia con antiaggreganti.
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Figura 17 La coagulazione è attivata principalmente dalla via estrinseca quando il fattore tissutale (TF) viene esposto nei
siti di danno vascolare e lega e attiva il FVII. Il complesso FVIIa-TF attiva il FX nella via comune e concorre nel generare protrombinasi, che genera a sua volta trombina. Attivazione addizionale della coagulazione avviene quando le piastrine attivate dalla trombina rilasciano polifosfati (polyP) e i neutrofili attivati estrudono DNA e istoni per formare trappole extracellulari di neutrofili (NETs neutrophil extracellular traps). NETs e polyP attivano la via da contatto, dove FXII e precallireina (PK) si attivano reciprocamente per generare FXIIa e callicreina. L’esposizione del sangue a sostanze cariche negativamente o a superfici artificiali attivano infatti un gruppo di reazioni proteolitiche plasmatiche, chiamate nell’insieme attivazione da contatto, che portano ad ulteriore generazione di trombina e alla formazione del coagulo di fibrina. L’attivazione da contatto prevede la conversione, in presenza di HMWK, del FXII e della precallicreina a FXIIa e callicreina. Il FXIIa promuove la generazione di trombina attivando il FXI, mentre la callicreina provvede al clivaggio del HMWK per la liberazione del peptide pro infiammatorio bradichinina. Il risultante FXIa porta ad ulteriore generazione di trombina attraverso la via comune. I polyP amplificano vie promuovendo l’attivazione del FXI trombino-mediata.
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Tabella 9: Possibili vantaggi e svantaggi dell’utilizzo dei fattori XI e XII come target di farmaci anticoagulanti.
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Tabella 10: Vantaggi e svantaggi relativi dell’utilizzo dei fattori XI e XII come target dei nuovi anticoagulanti.
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