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Come anche il titolo dell’opera Confucius Sinarum Philosophus suggerisce, il tentativo dei gesuiti di legare saldamente la figura di Confucio all’immagine del filosofo costituisce sicuramente uno dei caratteri essenziali della strategia traduttiva dei gesuiti. Seppure saggio e sapiente di una terra e di tradizioni lontani, Confucio viene infatti accolto come un filosofo costantemente dedito alla trasmissione di una pratica morale universale che vede nella ricostituzione dell’ordine sociale il fulcro della suo impegno:

A chi non è ancora evidente come fin qui il Filosofo abbia riflettuto sul modo in cui la natura originale dell’uomo, che spesso i cinesi insegnano essere dapprima retta, poi soggiogata e corrotta, è ricondotta al suo stato d’innocenza? E allo stesso modo non ha forse costui evidenziato come riportare a quell’ordine costitutivo tutto ciò che gli uomini ribelli, essi stessi causa della loro rovina, hanno generato? (Confucius Sinarum

Philosophus, Liber secundus, 42)81

Meynard (2015,59) suggerisce che il termine filosofo nelle traduzioni latine dei classici non traduce quasi mai un’espressione o dei caratteri cinesi, la sua continua ripetizione conserva piuttosto un valore prettamente retorico. Soltanto all’interno della traduzione del Zhongyong, nel Confucius Sinarum Philosophus, il termine è ripreso infatti quasi 20 volte, più di 50 nel Lunyu e quasi 200 in tutta l’opera. Tale scelta non è arbitraria ma va considerata alla luce dell’accezione etimologica greca del termine. “L’amore per la saggezza” (da philein, φιλεῖν, e sophia, σοφία) in Grecia indicava infatti un approccio verso la conoscenza non esclusivamente teorico ma fondato su di una prassi quotidiana votata alla ricerca razionale di sé e del mondo.82

81 Per un confronto della traduzione dei passi tratti dal Liber Secundus del Confucius Sinarum

Philosophus con il testo latino si rimanda all’appendice.

82 Il termine filosofia oggi indica specificatamente un articolato sistema di pensiero basato sulla logica,

epistemologia e metafisica associato spesso esclusivamente alla cultura occidentale. Sulla questione della classificazione del pensiero cinese come filosofia vedi J. Thoraval (1994), ), “De la philosophie en China à la Chine dans la philosophie”, in Esprit, 201, pp. 5-38; “Chinese philosophy, A philosophical essay”, in Journal of Asian studies, pp. 727-758; Giovanni Reale (2004), Storia della filosofia greca e romana, Milano: Bompiani, 10 voll; Virginio Melchiorre (a cura di), Filosofie nel mondo, Milano, Bompiani.

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子曰:「素隱行怪,後世有述焉,吾弗為之矣。

Confucio disse: sono da temere coloro che si spingono tanto oltre i limiti del giusto mezzo fino ad inseguire doti che non saprei dire quanto insolite e oscure. Costoro si compiacciono nel praticare sortilegi in modo da poter ottenere fama tra i posteri. Io non farei di certo una cosa simile, al contrario sono dedito in ogni circostanza allo studio di ciò che è opportuno conoscere e praticare. (Confucius Sinarum Philosophus, Liber

secundus, 46)

In questo passo del Zhongyong, ad esempio, Confucio sottolinea il valore dello studio nel momento in cui questo è ben saldo e regolato dalla disciplina pratica del “costante mezzo” (zhongyong 中庸). Il verbo “studeo”, all’interno dell’ultima proposizione “quod

passim nosse convenit et agere, id nosse et agere studeo”, sembra, tra l’altro, essere

un’aggiunta dei gesuiti, il che suggerisce con maggiore evidenza la volontà di questi ultimi di enfatizzare il ruolo dello studio, nonché della pratica morale, nella dottrina confuciana.

Non mancano comunque riferimenti attestati nei classici all’amore e alla devozione dello stesso Confucio verso la conoscenza e verso la sua missione educatrice decretata dal Cielo:

子曰:「君子食無求飽,居無求安,敏於事而慎於言,就有道而正焉,可謂好學 也已。」

Confucio disse: “Quando un uomo virtuoso ristora se stesso con pietanze e bevande, non lo fa per avvertire sazietà, pienezza o appagamento ma in modo da continuare a vivere e ristorare le forze. Nell’abitazione in cui dimora, non cerca vani piaceri o conforto. Inoltre, questi è attento e coscienzioso negli affari, la sua parola cauta e prudente. Eppure non si compiace o si fida di sé per un tale comportamento. Al contrario, avvicina e segue uomini saggi e virtuosi lasciandosi guidare dai loro consigli ed esempi. Chiunque agisse così potrebbe essere detto filosofo. Queste qualità sono sufficienti per tenere un tale titolo.83

Come evidenzia Meynard (2015,59), interessante in questo passo è la traduzione del termine cinese haoxue 好學 (amante dello studio) in philosohus. Come è possibile

83 Confucius ait: Quisquis est virtute praeditus, dum potu ciboque reficitur, non hoc agit ut saturetur

oppleatque se et ingurgitet, sed ut vivat viresque reficiat: in aedibus etiam quas habitat, non sectatur impensiùs vel commoda sua vel delicias. Ad haec impiger ac sedulus est in obeundis1 negotiis, et cautus ac prudens in verbis: et talis cum sit, haudquaquam tamen sibi vel placet ipse vel fidit, sed ultro adit & studiosè sectatur viros sapientia praeditos ac virtute, et horum consiliis et exemplis seu regula quapiam dirigitur. Revera quisquis est hujusmodi, potest dici Philosophus; et hoc sufficit ut talis dicatur. (Confucius Sinarum Philosophus, Liber Tertius, 8) Il termine haoxue è ancora tradotto con filosofia in altri passi dell’opera (Confucius Sinarum Philosophus, Liber Tertius, 40-41).

48 cogliere dalla descrizione del junzi 君 子 (uomo esemplare) da parte di Confucio, “l’amore per lo studio” va infatti inteso in senso più ampio come disciplina pratica fondata sulla ragione e mai limitata ad un’attività esclusivamente teoretica. L’uso insistente della parola latina “philosophia” appare quindi finalizzata ad influenzare la comprensione del testo da parte del lettore europeo presentando una lettura del Confucianesimo priva di qualunque forma di idolatria ma volta, piuttosto, all’esaltazione della ragione e ad una ricerca morale che è tanto filosofica quanto pratica. Standaert nel suo famoso articolo The jesuit did not manufacture Confucianism (1999) mette ad esempio in discussione la teoria dello storico delle religioni americano Lionel Jensen (1997) secondo cui, a partire dalla latinizzazione del termine cinese “Kongfuzi”,

Confucius, 84 i gesuiti avessero da qui inventato le parole “Confucio” e “confucianesimo”. Adottando una strategia metodologica che guarda in senso tanto sincronico quanto, soprattutto, diacronico l’impiego dei termini lex, secta, religio o ru, Standeart giunge così a dimostrare che in realtà il concetto di Confucianesimo del Novecento, che presupponeva la visione del pensiero confuciano come di un coerente sistema dottrinale religioso, non apparteneva alla percezione dei gesuiti del sedicesimo secolo così come l’associazione tra il carattere ru 儒 e il nome di Confucio, che non trova alcuna attestazione nei testi latini, costituisce una costruzione risalente soltanto al diciannovesimo secolo.85

84 Sebbene Jensen non trovi alcuna attestazione del termine “Kongfuzi” (fuzi indica un titolo onorifico)

all’interno dei comuni dizionari cinesi Hanying Cidian 漢英詞典,Cihai 辭海,Ciyuan 詞源 o Hanyu dacidian 漢語大詞典, Standaert suggerisce la possibilità di un uso orale dalla parola da parte delle comunità cinesi e conseguentemente l’origine nativo del termine.

85 Secondo il dizionario Oxford English Dictionary (2012) il termine “confucianesimo” fu impiegato per

la prima volta nel 1862 sebbene fu James Legge nell’opera Confucianism in Relation to Christianity (1877,4) il primo a sostenere l’immagine di una religione affine al Cristianesimo: “I use the term Confucianism as covering, first of all the ancient religion of China, and then the views of the great philosopher himself, in illustration or modification of it, his views as committed to writing by himself, or transmitted in the narratives of his disciples. The case is pretty much as when we comprehend under Christianity the records and teachings of the Old Testament as well as those of the New”. Per un approfondimento rispetto alla controversia sulla definizione del confucianesimo come dottrina religiosa nel Novecento vedi Anna Sun (2008), Confusions over Confucianism: Controversies over the religious nature of Confucianism, 1870-2007, Princeton: Princeton University; Du Weiming 杜 維 明 (2002), “Zongjiao Xiangdu: Ruxue De Chaoyuexing Ji Qi Zongjiao Xiangdu” 宗教向度: 儒學的超越性及其宗 教 向 度 (La dimensione religiosa: Il carattere trascendete del Confucianesimo e la sua dimensione religiosa), in: Guo Qiyong 郭齊勇, Zheng Wenlong 鄭文龍( a cura di), Du Weiming Wenij 杜維明文集 (Raccolta delle opere di Du Weiming), Wuhan, Wuhan Chubanshe, Vol. 4,463-654.

49 Il carattere ru, infatti, viene spesso tradotto nei testi latini come secta Litteratorum. La scelta traduttiva, in questo caso, sembra voler mantenere il più possibile una certa neutralità semantica del termine attraverso la traslitterazione in caratteri latini e l’impiego della parola “setta” che nel diciassettesimo secolo possedeva delle connotazioni semantiche neutre e certamente non condivideva le implicazioni negative odierne. L’origine etimologica della parola deriva infatti dal latino sequi (seguire) da cui il significato di gruppi di fedeli o seguaci raccolti attorno ad una dottrina come, ad esempio, le sette buddiste o taoiste, indicate più precisamente come sectae Idolatrorum (sette degli idolatri). Risulta invece del tutto assente nei testi latini l’uso della parola ru in associazione al termine “Confucio” o “confuciano” e la conseguente riduzione del valore semantico del termine alla figura di Confucio.

Ciò che più sorprende resta comunque la distinzione posta tra la setta dei letterati e le sette idolatre, come se i gesuiti non riconoscessero alcun valore religioso alle pratiche e alle cerimonie confuciane. Nel sedicesimo secolo il dibattito dei missionari cristiani all’estero, infatti, non era posto in termini “religione/non religione” quanto piuttosto “vera/falsa” religione. Paradossalmente, mentre il buddismo o il taoismo venivano tacciati di idolatria, i riti e le pratiche della setta dei letterati venivano descritti in termini “civili” e “politici” piuttosto che religiosi, nella stessa misura in cui Confucio continuava ad essere rappresentato come un filosofo non per nulla dissimile dai grandi pensatori greci e latini come Platone, Cicerone o Seneca.