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Michele Ruggieri e i primi lavori di traduzione dei classici

La traduzione dei classici confuciani costituì per i gesuiti una sfida particolarmente importante alla fine del sedicesimo secolo e per tutto il diciassettesimo secolo. Nel 1642 il superiore della missione gesuita in Cina Manual Dias (1559-1639) definì, infatti, un programma di studi (ratio studiorum) di quattro anni per educare i missionari allo studio della lingua e della cultura cinesi includendo alcuni dei testi classici come i Quattro

Libri (Sishu 四書) o il Classico dei Documenti (shujing 書經). 47 Nelle prime traduzioni i gesuiti trascrissero quindi il testo in caratteri cinesi, ne fornirono una trascrizione fonetica e vi affiancarono una traduzione attribuendo un numero ad ogni parola latina e al corrispettivo carattere cinese così da facilitarne l’apprendimento. Tuttavia, se, da una parte, il ruolo dei classici confuciani appariva quello di favorire e facilitare l’approccio alla lingua classica cinese, dall’atra, la traduzione e la pubblicazione in Europa di tali testi costituivano dei successi di non poco conto per l’operato dei gesuiti.

Lo storico Luo Ying 羅瑩 (2016,4-6) giustifica, ad esempio, una tale attenzione evidenziando l’importanza della traduzione dei classici nella promozione dell’attività missionaria. Per i gesuiti era infatti essenziale assicurarsi le simpatie e le attenzioni dall’aristocrazia europea in modo da ottenere quanto più fondi e finanziamenti possibili per la costruzione, ad esempio, di chiese locali o in generale per il mantenimento delle spese dell’opera di evangelizzazione. Il gesuita siciliano Prospero Intorcetta (1626- 1696), ad esempio, presentò la traduzione del Zhongyong all’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (1640-1705) o, ancora, Philippe Couplet (1624-1692) donò diverse opere al re francese Luigi XIV (1638-1715) o al sovrano Giacomo II d’Inghilterra (1633-1701).

47 Per “Ratio Studiorum” (Ratio atque Institutio Studiorum Societatis Jesu) si intende una raccolta di

documenti riguardo l’organizzazione e il metodo di educazione dei gesuiti stabilito nel XVI secolo e diviso in tre fasi: cinque anni di studi umanistici, con particolare enfasi sullo studio del latino, della grammatica e della retorica, tre anni di studi filosofici fondati principalmente sul sistema Aristotelico e quattro anni di studi teologici incentrati sulla filosofia scolastica e, particolarmente, sul pensiero di Tommaso d’Aquino (Brockey 2007).

29 La traduzione dei testi permetteva loro, inoltre, di preservare una determinata visione della cultura cinese in modo da giustificare e ottenere l’approvazione del loro operato da parte dell’autorità ecclesiastica in un contesto di profonde divergenze tra i diversi ordini e congregazioni sorte a seguito della Controversia sui riti.48 I gesuiti, in particolare, erano sostenitori di quella strategia di “accomodamento”, così cara a Matteo Ricci (1552-1610), tesa a facilitare l’incontro e lo scambio culturale tra i missionari e le élite culturali cinesi.49 Sembra evidente, pertanto, come la traduzione dei testi, spesso accompagnati da prefazioni e commenti, svolgesse un ruolo fondamentale nel difendere i propri metodi da eventuali attacchi sollevati dai diversi ordini così da salvaguardare la razionalità e la necessità del proprio progetto missionario.

Secondo il sinologo Knud Lundbaeck (1979,1-11) è possibile che Michele Ruggieri (1543-1607) sia stato il primo a portare a termine la traduzione dei Quattro Libri in Europa. Come si evince da una lettera che Ruggieri scrisse nel Maggio del 1579, questi, selezionato e inviato in Cina dal gesuita Alessandro Valignano (1539-1606), arrivò a Macao nel Luglio di quello stesso anno operando in Asia fino al 1588.50 Secondo Meynard (2015,3-9), Ruggieri iniziò a dedicarsi allo studio e alla traduzione dei testi circa nel 1584 fino almeno al 1588. Al suo ritorno in Italia nel 1590, non avendo ottenuto il permesso di organizzare una nuova missione in Cina, è probabile si sia

48

Con Controversia sui riti si indica il dibattito accesosi tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo inseno ai diversi ordini e congregazioni della Chiesa cattolica riguardo ai riti cinesi verso gli avi e in onore a Confucio e sulla traduzione di specifici termini come ad esempio le traduzione della parola Deus. Ricci impiegò i termini shangzhu 上主, zhu 主, zhu Yesu 主耶穌, tianzhu 天主 e shangdi 上帝 per tradurre il termine mentre i gesuiti Niccolò Longobardo (1565-1655) e João Rodrigues (1561-1634) insistettero sulla necessità di mantenere la sola traslitterazione fonetica del termine. Nel corso degli anni l’uso dei termini shangdi e tian fu proibito più volte dall’ispettore gesuita André Palmeiro (1569-1635) e più tardi dal vicario apostolico Charles Maigrot (1652-1730) nel 1693. Da allora fu concesso solo l’uso della traduzione tianzhu. Vedi Li Tiangang 李天綱 (1998), zhonghuo liyi zhizheng: lishi, wenxian he yiyi 中國禮儀之爭,歷史, 文獻和意義 (La controversia cinese dei riti, storia, contributi letterari e signficato), Shanghai: Shanghaichuabnshe; Lin Jinshui 林 金 水 (1932), “Ming qing zhi shidafu yu zhongxi liyi zhi zheng 明清时代士大夫与中西禮儀之爭(I funzionari letterari delle epoche Ming e Qing e la Controversia dei Riti tra Cina e Occidente)”, in Lishi yanjiu 歷史研究 (Studi storici), 1, 20-37; David Mungello (1994), The Chinese rites controversy: Its history and meaning, Nettetal: Steyler.

49 L’espressione fu impiegata per la prima volta da Johannes Bettery (1995) in un senso prettamente

missiologico indicando, cioè, l’approccio di apertura dei gesuiti verso le manifestazioni culturali cinesi e di impiego strumentale delle loro fonti classiche per la conversione evangelica. Mungello estende questo significato sino ad indicare il tentativo dei gesuiti di arrivare alla piena accettazione della fede cristiana da parte dei letterati cinesi attraverso una vera e propria sintesi dei contenuti del confucianesimo e del cristianesimo (Standaert 2001, 681).

50 Vedi M. Ruggieri S.I. a E. Mercuriano S.I., Cochin, May 1, 1579, in Iosephus Wicki S. I. (1970, 1972,

30 dedicato a revisionare e completare la traduzione delle fonti classiche. Nel 1593 il gesuita Antonio Possevino (1533-1611), dietro approvazione di Valignano, pubblicò all’interno dell’opera Biblioteca selecta metà della traduzione della prefazione del

Daxue di Ruggieri.51 Ciononostante, lo storico Francesco D’Arelli (1999) sottolinea come non si abbiano ad oggi lettere del gesuita verso l’Europa che possano testimoniare il suo lavoro di traduzione dei classici confuciani .

La scoperta di una manoscritto della traduzione latina dei Quattro Libri ritrovato presso la Biblioteca Nazionale V. Emanuele II a Roma, ha sollevato per la prima volta diverse questioni sulla possibilità che proprio Ruggieri fosse riuscito per primo nell’impresa di tradurre i quattro testi classici. Diversi studiosi hanno infatti iniziato a chiedersi se il manoscritto possa essere attribuito a Michele Ruggieri, di cui gli specialisti ne hanno riconosciuto la grafia, o, piuttosto, a Matteo Ricci mentre Ruggieri ne fu soltanto il copista.52

Lo studioso Pasquale D’Elia, ad esempio, mentre nel 1936 asseriva che Ricci avesse mandato il manoscritto della sua traduzione a Ruggieri per ricopiarla, qualche anno più tardi, nel 1946, cambiò radicalmente opinione trovando prova dell’effettiva esistenza di una traduzione di Ruggieri dei Quattro Libri in una lettera di Alessandro Valignano rivolta al Preposito Generale per i gesuiti Claudio Acquaviva (1543-1615).53 Nella lettera Valignano metteva in discussione le abilità linguistiche acquisite da Ruggieri durante la sua permanenza in Cina scoraggiando un’eventuale pubblicazione della sua traduzione.54 Per D’Elia la lettera costituisce una prova del lavoro di traduzione di

51 Parte della prefazione recita: “Quibus rationibus gentes, et Indi innuari possint, qua occasione id

certioris historiae de regno sinarum innuitur quod hactenus ignoratum est, quodque auctor reliquis suis commentariis in lucem postea edendis copiosus adtexuit: Liber Sinensium,” in Antonio Possevino (1593), Biblioteca selecta qua agitur de ratione studiorum, Possevino, Roma: Tipografia Apostolica Vaticana, pp. 581–586.

52 Il manoscritto raccoglie le traduzioni del Daxue (Tàschio, humana institutio), del Zhongyong (Ciumyum,

semper in medio), e del Lunyu (Lunyium, de consideratione), una raccolta di scritti di altri autori (Diversorum autorum sententiae) e la taduzione della prima parte del Mengzi (Mentius).

53 Vedi D’Elia (1946), Fonti Ricciane I, p. 43, n.2.

54 Attraverso un’analisi delle lettere di Michele Ruggieri, D’Arelli (1994,482-484) attribuisce la paternità

della traduzione dei Quattro Libri a Ricci ponendo implicitamente come assunto la scarsa conoscenza del cinese di Ruggieri. Il gesuita Albert Chan (1993) mette in discussione tale tesi attraverso lo studio di alcuni poemi cinesi composti dallo stesso Michele Ruggieri. Vedi Albert Chan (1993), “Michele Ruggieri, S.J. (1543–1607) and his Chinese Poems”, in Monumenta Serica 41, pp. 139–57.

31 Ruggieri nei suoi ultimi anni in Cina, lavoro che mostrò probabilmente ad Acquaviva con l’intento di pubblicarlo al suo ritorno a Roma nel 1591.55