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Confusioni Identitarie: prospettive queer

Nei precedenti capitoli è stato possibile analizzare come e quanto la definizione dell’identità di genere possa influenzare le vite quotidiane, specialmente se correlata a una cultura fortemente radicata in stereotipie. Proprio perché spesso limitanti e portati all’estremo, queste non restituiscono la “vera essenza” delle persone. Anche la conformità è stata infatti (ed è tuttora) oggetto del discorso teorico e non, rappresentando sì una delle possibilità di crescita e realizzazione nella vita, ma non

l’unica e corretta possibilità rispetto alle altre. Proprio a partire da tale presupposto, a

partire già dagli anni Settanta del Novecento si è sviluppata all’interno della corrente

postmoderna249

una riflessione sull’identità, basata sul rifiuto di una sola verità

assoluta e sulla ricerca di una pluralità di risposte.

Sviluppatosi prima in America e poi in Europa, il pensiero postmoderno si presenta infatti come un approccio multidisciplinare, in grado di investire diversi campi e settori. In rottura con il pensiero moderno, che portava con sé il mito del nuovo, della fiducia incondizionata nel progresso scientifico e positivista, il postmoderno si contraddistingue per una «caduta di fiducia nell’unità di significato e per una cultura del frammento e della citazione»250

. La corrente identitaria postmoderna abbandona quindi la pretesa di offrire un’interpretazione universalmente valida della realtà, favorendo maggiormente un’idea relativista, affermando che nulla è determinato in modo assoluto, ma tutto è soggetto a cambiamento e ogni cosa è quindi in divenire251

. Influenzando e al contempo sviluppandosi insieme ai gender studies, il pensiero postmoderno sostiene una teoria di tipo pluralista: non vi è più una concezione singola e unitaria, ma molteplici visioni del mondo, nel tentativo di legittimare ciascuna di                                                                                                                

249 Cfr. J. Storey, Teoria culturale e cultura popolare: un’introduzione, Armando Editore, Roma, 2006, p. 169. Fra i fondatori della disciplina, è opportuno menzionare Jean-François Lyotard che nel 1979 ha pubblicato il saggio La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir. Per approfondimenti rimando quindi a J. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, traduzione di Carlo Formenti,

Feltrinelli Editore, Milano, 1981.

250 M. Tavola, Dizionario dell’Arte, Alpha Test Editore, Milano, 2010, p. 139.

251 Per approfondimenti: G. Fornero, Storia della filosofia. Vol. IV, UTET Edizioni, Torino, 1994. In Italia, tale concetto è stato ampiamente analizzato dal filosofo e politico Gianni Vattimo, che ha elaborato la nozione di pensiero debole per denominare l’atteggiamento filosofico che ha preso atto della dissoluzione delle certezze e dei valori assoluti. Per maggiori informazioni rimando anche a G. Vattimo, P. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli Editore, Milano, 2010.

esse. Per tali motivi, la prospettiva postmoderna, come abbiamo anche visto nei precedenti capitoli, ha tentato di eliminare e superare la concezione binaria del maschile e del femminile come unici elementi contrapposti, iniziando a considerare il genere e la sessualità come un insieme più sfaccettato. Lo stesso genere viene scisso dalla sessualità, smette di essere un unicum incapace di comprendere le molteplici soggettività252

. Pertanto non si parla più di genere ma, abbracciando una visione pluralista, di generi: maschile e femminile abbandonano la pretesa di essere categorie pure e si dividono, frammentandosi in molteplici sezioni date dalle proprie variabili interne. Cessa anche di esistere, quindi, l’idea che il corpo definisca in maniera aprioristica il genere e il desiderio sessuale e, di conseguenza, si pensa sia possibile riconoscere un’identità di genere diversa dal sesso biologico 253

. Al concetto di genere viene quindi associato quello della fluidità: l’identità si rivela pertanto socialmente costruita, variabile in base al contesto e all’epoca storica di riferimento. La stessa Judith Butler, con il termine Gender Trouble, considera il genere come un elemento performativo: le identità possono pertanto assumere numerosissime forme e combinazioni di significato, arrivando talvolta, nei casi non conformi, a contrastare con la normatività della cultura dominante, rivestendosi quindi di una funzione sovversiva.

Così, le teorie femministe mettono in discussione la ricezione e la comprensione del genere, attraverso la problematizzazione della relazione esistente tra genere e identità, sesso biologico e orientamento sessuale. Tali atti di sovversione hanno portato alla formazione, all’interno dei già citati Gender Studies, del sistema di teorie definito come queer studies o queer theory254

. Il principale obiettivo dei queer studies è,

infatti, quello di creare una nuova visione della sessualità, in grado di introdurre il concetto di pluridiversità, includendo al suo interno le soggettività emarginate e tentando di decostruire il genere255

.

Fra le soggettività emarginate, appunto, emerge ovviamente la figura del/la

transgender, in quanto soggetto queer in grado di andare oltre il binarismo di genere e

                                                                                                               

252 Cfr. V. Gonçalves , P. Lazzarini , C. Solaro (a cura di), Tra equilibri e compromessi. Differenze di

genere e pari opportunità in una realtà locale, FrancoAngeli Editore, Milano, 2008, p. 150.

253Per approfondimenti: A. Taurino, Psicologia della differenza di genere, Carocci Editore, Roma, 2005.

254 Ho approfondito i miei studi basandomi su D. Lasio, Le realtà familiari, Giuffrè Edizioni, Milano, 2006.

255 Per approfondimenti: D. Gauntlett, Media, Gender and Identity. An Introduction, Routledge Edizioni, Londra, 2002.

di mostrare quanto mutevoli e sfaccettate possano essere le sembianze dell’identità di genere.

Secondo Judith Butler, la crisi della maschilità (analizzata anche nel precedente capitolo) e dei ruoli a essa associati, ha portato infatti a un superamento della concezione tradizionale dei generi e dell’orientamento sessuale, perché apparentemente non in grado di contenere in sé tutte le definizioni soggettive esistenti: eterosessualità, omosessualità, bisessualità, ma anche trans/etero/sessualità, trans/omo/sessualità e tutte le altre infinite declinazioni che l’orientamento sessuale può assumere256

. Gli studi compiuti nell’area del postmoderno e in particolare del

queer, cercano di dimostrare quindi la necessità di abbandonare una visione del

genere basata su una logica assolutistica, tentando piuttosto di favorire la considerazione e il rispetto delle svariate differenze fra i singoli soggetti.

Ciò che appare come un’esigenza per gli studi queer è quindi un ripensamento dei rapporti fra sesso, genere e orientamento sessuale, cercando di scindere i legami che li uniscono.

Per far questo, e per comprendere meglio cosa si intenda davvero con il termine queer e di conseguenza della queer theory, occorre analizzare l’origine del termine stesso. Già nel XVI secolo compare per la prima volta il termine queer nelle pagine dell’Oxford English Dictionary, nell’accezione però di «strano, bizzarro, particolare»257

. Bisogna aspettare però il 1922 affinché appaia il secondo significato dell’aggettivo che lo lega all’omosessualità, in uno scritto sulla delinquenza giovanile che combina i tre significati, apparentemente slegati tra loro, che hanno caratterizzato il termine fino alla contemporaneità: stranezza, malattia e omosessualità258

. Da quel momento, e per quasi settanta anni, il termine queer è stato usato per indicare in modo dispregiativo un omosessuale (di solito) maschio, essendo connotato per la maggior parte del XX secolo come forma di hate speech, o discorso d’odio. Secondo le studiose Baccolini e Spallaccia,

                                                                                                               

256 Cfr. J. Butler, Bodies That Matter, On the Discursive Limits of Sex, Routledge Edizioni, Londra, 1993.

257 R. Baccolini, B. Spallaccia, Genere, queer e performatività: una breve introduzione, Università di Bologna-Forlì, p. 3, disponibile al link: http://www.paolaluciani.com/fotografia/wp-

content/uploads/2014/01/Queer-Life_bs-rb_fin.pdf. Ultimo accesso 12/05/2018.

258 Cfr. A. Bennett, N. Royle, “Queer”. Literature, Criticism and Theory, Pearson Edizioni, Harlow, 2009, pp. 216-225.

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, il termine “queer” è stato oggetto di una riappropriazione da parte della comunità omosessuale, divenendo così un termine di orgogliosa auto-affermazione e di differenza positiva, sostituendo il giudizio negativo implicito nel termine “invertito”, ma anche preferendolo alla medicalizzazione di “omosessuale”, o ai termini “gay” e “lesbica” che insistono comunque su una specificità di genere259.

Queer è pertanto oggi quello che la ricercatrice Cristina Demaria definisce un

«termine ombrello che comprende sia la rivendicazione di pratiche sessuali culturalmente e socialmente etichettate come marginali», sia le evoluzioni delle elaborazioni concettuali che «negli anni Ottanta si erano formate in seno ai più tradizionali Gay and Lesbian Studies»260

. Questo insieme di teorie e concetti, comunemente noti come teoria queer, è stato sviluppato per la prima volta nel 1991 dalla studiosa Teresa de Lauretis, per problematizzare sia gli studi gay e lesbici sia la tradizionale divisione tra sesso e genere. Con questo termine, quindi, si indica una «focalizzazione sulla sessualità non in quanto realtà oggettiva», ma «come terreno mutevole continuamente ridefinito dai discorsi, dalle rappresentazioni e autorappresentazioni di specifici soggetti culturali»261

. In particolare, con il termine

queer si fa riferimento a due principali risvolti politici e teorici: da un lato

l’opposizione a inscriversi in qualsiasi categoria dell’identità, dall’altro la volontà di «resistere e cercare di decostruire ogni posizione che affermi una divisione netta tra sesso come dato biologico, genere e desiderio sessuale»262

. Al centro della teoria

queer si trovano quindi le differenze multiple e gli scarti e le contraddizioni tra sesso,

genere e desiderio sessuale. Per le queer people, pertanto, riappropriarsi del termine caricandolo di una valenza positiva produce una separazione netta rispetto alle categorie binarie storiche (ad esempio maschio/femmina, eterosessuale/omosessuale ecc.), col conseguente ampliamento della questione delle differenze, arrivando così a

                                                                                                               

259 R. Baccolini, B. Spallaccia, Genere, queer e performatività: una breve introduzione, op. cit., p. 5. 260 C. Demaria, Genere e soggetti sessuati. Le rappresentazioni del femminile, in C. Demaria, S. Nergaard, (a cura di) Studi culturali. Temi e prospettive a confronto, McGraw-Hill Edizioni, Milano, 2008, p. 165.

261 M. Pustianaz, Studi queer, in R. Coglitore, F. Mazzara (a cura di), Dizionario degli studi culturali, Meltemi Edizioni, Roma, 2004, p. 441.

includere gli svariati fenomeni di travestimenti, transessualità, o comunque, più in generale, di ambiguità di genere263

.

Attraverso la decostruzione delle rappresentazioni sociali delle identità, basate sul concetto che il genere è performativo, come afferma Butler, la teoria queer propone la transitività dei generi e mette in discussione la stabilità dell’identità e delle politiche a essa legate. Se l’identità non è fissa, questa non può più essere ridotta, etichettata o categorizzata: pertanto, un singolo aspetto di una persona non può essere sufficiente a definirla. Per Butler diventa quindi necessario identificare le modalità che rendono possibile de-naturalizzare il corpo sessuato, al fine di svelare la regolamentazione che lo produce e svelare, quindi, la performatività del genere. Secondo Butler questo disvelamento è realizzabile attraverso gli atti corporei di sovversione, come i travestimenti e le azioni di dragging: tali pratiche sono sovversive in quanto consistono in una imitazione parodistica e consapevole delle norme di genere e, così facendo, rendono visibile il carattere imitativo e performativo del genere stesso. Nel pensiero di Butler, infatti, queste pratiche mettono in luce quanto le identità di genere dipendano dalla messa in scena sociale delle norme che producono i soggetti. Questi atti di resistenza e sovversione de-naturalizzano il corpo sessuato e, di conseguenza, la matrice eterosessuale della società. Butler descrive questa matrice come

eterosessualità normativa, ossia quell’apparato simbolico e discorsivo basato sulla

norma della distinzione sessuale che, oltre a produrre un rapporto gerarchico tra i sessi, opera attraverso l’esclusione, stabilendo il confine tra sessualità normali e sessualità abiette. I corpi che contano socialmente (da qui il titolo dell’opera Bodies

that Matter) sono quelli che rispondono alla sessualità normale, mentre tutte le altre

sessualità che, in accordo con Butler, la società vede come abiette perché devianti rispetto alla norma (che oggi sarebbero definite queer) finiscono per non contare socialmente e abitare lo spazio dell’inintellegibile, dell’irreale e dell’abiezione. La

queer theory di Butler si fonda proprio sulla volontà di contestare la distinzione stessa

tra naturalità e innaturalità, tra normalità e abiezione, investendo di un nuovo significato le identità precedentemente considerate abiette e invertite dando loro una visibilità nello spazio pubblico come nuovi soggetti imprevisti.

                                                                                                               

263 Cfr. M. Pustianaz, Genere intransitivo e transitivo, ovvero gli abissi della performance queer, in A. Bellagamba, P. di Cori, M. Pustianaz (a cura di), Generi di traverso: culture, storie e narrazioni

Queste teorie quindi, sviluppatesi nel contemporaneo, si riflettono anche nella produzione artistica e videoartistica attuale che, di conseguenza, assorbe, gioca e riflette con e sull’identità.

Legati a questi ambiti e rifuggendo spesso una definizione identitaria ben precisa, alcuni video artisti e registi si cimentano in esperimenti: talvolta documentano la volontà e la necessità di un cambiamento fisico e individuale o di una diversa assegnazione sessuale; in altri casi cercano una definizione culturale differente. In questi casi, mostrano principalmente le problematicità del rapportarsi da un lato con la propria soggettività, acquisendo una propria definizione identitaria; dall’altro analizzano il rapporto dell’individuo con la società, con i suoi assetti culturali e i meccanismi a cui esso viene sottoposto.

Individuo

In accordo con quanto detto da studiosi e teorici presi in esame finora, sesso e genere sono due sfere separate di uno stesso individuo.

Molti artisti nell’ambito della sperimentazione audiovisiva testimoniano quindi la necessità di una transizione fisica, di un cambiamento corporeo e permanente, che modifichi l’assetto identitario iniziale. Questo è il caso di Simone Cangelosi, che nel 2005 realizza Dalla Testa ai Piedi, un film documentario che racconta la storia della transizione dello stesso regista, avvenuta tra la fine degli anni Novanta e il 2005. Cangelosi ha cominciato a lavorare al progetto pensandolo inizialmente come una sorta di diario visivo che lo seguisse passo dopo passo nella propria trasformazione fisica e psicologica. Il film, montato al termine della vicenda personale del regista, la ricostruisce intrecciandola con una parte delle vicende storiche e delle lotte politiche che hanno avuto luogo all'interno della società italiana negli ultimi vent'anni264

.

In questo documentario l’autore racconta la storia della sua transizione da donna a uomo attraverso un diario, disincantato e toccante, della trasformazione fisica e psicologica che ha coinvolto il protagonista.

                                                                                                               

264 E. Marcheschi, Simone Cangelosi, Dalla testa ai piedi, in S. Lischi, E. Marcheschi (a cura di),

Poetroniche, catalogo, INVIDEO - Mostra internazionale di video e cinema oltre, XVII ed., Mimesis

Edizioni, Milano, 2007, p. 55.

Con arguzia e ironia Cangelosi racconta la propria storia, non escludendo nessun lato, parlando anche della violenza e del dolore più estremo. Ciò che caratterizza però questo lavoro sono le modalità del racconto, che avvengono sempre con l’estrema leggerezza e il sorriso di chi ha voluto continuare e non si è arreso. Così, lo spettatore si trova investito da un duplice effetto: mentre da un lato sorride alle battute del regista, ne resta anche colpito in pieno con estrema forza, a causa dei contenuti del messaggio. Assistendo e sentendo il suo racconto come proprio, lo spettatore si scopre un piccolo voyeurista messo nella posizione di poter spiare e osservare l’intimità dell’azione. Si alternano così, ai racconti dell’autore-protagonista, lunghi silenzi in cui a parlare sono solamente le immagini. La telecamera insiste e si posa su ogni angolo del corpo: ci rende partecipi, facendoci quasi toccare con mano l’esperienza e la transizione da lui vissuta. Il risultato del documentario fa sì che lo spettatore sia colpito ed empatico, senza però mai scadere nella pietas o nella pena.

Così durante la lavorazione, il film passa dall’avere un aspetto da elaborato rigoroso, scientifico e imparziale a un graduale cambiamento: inizia infatti ad assumere un corpo e un senso imprevisti, assorbendo gli effetti di quelle stesse trasformazioni vissute dal protagonista e convertendosi, alla fine, in una sorta di diario sperimentale, sviluppandosi tramite l’associazione per immagini265

. Dalla testa ai piedi è fatto, in sostanza, di una duplice natura: da una parte è un documentario sulla ricerca della propria identità, di genere e sociale, dall’altra è diventato lo strumento stesso attraverso il quale il protagonista compie questa ricerca. Dice proprio Simone Cangelosi:

Produrre Dalla testa ai piedi è stato uno sforzo titanico, per certi versi una follia. Realizzarlo ha significato disattendere tutte le regole del lavoro nel cinema: prima l’ho girato, poi l’ho montato e alla fine il film si è praticamente scritto da solo. Non poteva che essere così per la natura stessa del progetto266.

Attraverso immagini nuove, accostate a vecchi super8 di famiglia, dunque, in Dalla

testa ai piedi Simone Cangelosi ha raccontato una storia di abbandoni. Il suo

abbandonare con dolore e paura un corpo femminile, cui non ha mai sentito di appartenere e dentro il quale era venuto al mondo, per poterne modellare poi uno                                                                                                                

265 Cfr. Cinemagay.it, Dalla Testa ai Piedi, scheda di presentazione al link: https://www.cinemagay.it/film/dalla-testa-ai-piedi/. Ultimo accesso 07/05/2018. 266 Ivi.

maschile, interamente suo, sebbene con speranza e timore. Abbandonare anche il nome che i suoi genitori gli avevano imposto alla nascita, Simona, e acquistarne un altro, il suo, Simone. Come scrive Brunella Torresin, il regista sottolinea l’importanza di «vivere cercandosi, e non sapere dove condurrà questo vivere, perché non lo vedi e nemmeno lo conosci: è la storia di tanti, se non di tutti, ma in questo caso inevitabilmente estrema»267

.

-Estratto da: S. Cangelosi, Dalla Testa ai Piedi, 2005.

Dopo il racconto personale, l’autore ha proseguito la sua ricerca di testimonianze con

Una nobile rivoluzione (2014) 268

. All’indomani della morte di Marcella Di Folco, attivista transessuale per i diritti LGBT+, avvenuta nel 2010, Simone Cangelosi, regista del film e amico di Marcella, ha intrapreso un viaggio che da Bologna lo ha portato a Roma, città di provenienza di Marcella, e dove avvia la sua ricerca alla scoperta di persone, luoghi e ricordi che gli restituissero la complessità della figura dell’amica.

Chi fosse Marcella ho cominciato a capirlo quando ho iniziato a passare del tempo con lei, seguendola come tanti altri nella sua vulcanica vita di attivista, in viaggio per l’Italia, nelle mille occasioni dei Pride, delle interviste, delle campagne elettorali, degli interventi pubblici, dei comitati politici e delle emergenze politiche cittadine o nazionali a cui prendeva puntualmente parte con generosità ineguagliabile269.

                                                                                                               

267 B. Torresin, In un film la storia di Simone, che nacque Simona, dal quotidiano La Repubblica, articolo del 3 Ottobre 2007, disponibile al link:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/10/03/in-un-film-la-storia-di- simone.html. Ultimo accesso 07/05/2018.

268 Visionabile al link: https://vimeo.com/122206331

269 Simone Cangelosi nella scheda di presentazione del film, disponibile al sito:

http://www.unanobilerivoluzione.it/il-film/sinossi-e-note-di-regia/. Ultimo accesso 07/05/2018.

Il documentario Una nobile rivoluzione si pone l’obiettivo di decifrare la dimensione storica di una delle figure più preminenti del movimento politico per i diritti civili italiano degli ultimi quarant’anni, Marcella Di Folco, leader del MIT (Movimento Identità Transessuale). La ricostruzione del film non vuol essere però puramente neutra e documentaristica, ma compiuta attraverso il filtro della relazione intima del regista stesso con la protagonista.

Nel film si intrecciano numerosi piani narrativi composti da una vasta eterogeneità di materiali audiovisivi e sonori: la vita di Marcella prima a Roma e poi, una volta donna, a Bologna raccontata dalla stessa Marcella e dalla voce dei parenti ed amici che Simone incontra oggi durante il suo viaggio; il ritratto di Marcella a cavallo tra la dimensione pubblica e quella privata come emerge dai materiali audiovisivi ufficiali e da quelli privati dei suoi amici e compagni bolognesi; il contrappunto delle vicende storiche italiane, che qua e là emergono sullo sfondo a incasellare le vicende personali di Marcella e le sue battaglie all’interno della più vasta descrizione del paese. Infine il rapporto tra Marcella e Simone che, con andamento carsico, sempre ai margini dell’inquadratura, ci accompagna dall’inizio alla fine del film.

Ho scoperto la sua vulnerabilità dietro la forza d’animo dirompente, la sua aggressività, che talvolta rivolgeva anche verso di me, l’arguzia e l’ironia che agiva sempre in pubblico, nelle lotte, con la gente. La sua complessità e il suo magnetismo, il suo coraggio. Quello che però mi è stato chiaro sin dal nostro primo incontro era di essere di fronte a un personaggio storico. Ecco perché il giorno dopo la sua morte, avvenuta nel settembre 2010, ho voluto fare questo film270.

 

Se quindi i lavori di Cangelosi mostrano il rapportarsi dell’individuo con il proprio genere e la propria sessualità, alla ricerca di un allineamento decisivo, sia fisico che culturale, in altri casi il lavoro di ispezione assume una valenza meno documentaristica e maggiormente simbolica.

 

                                                                                                               

 

-Estratto da: S. Cangelosi, Una nobile rivoluzione, 2014.

In quest’ottica si inserisce, infatti, l’opera di Cecilia Bertoni, artista, performer e

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