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Se il processo storico della determinazione dei ruoli sessuali e della loro legittimazione in norme e leggi è ormai stato ampiamente analizzato dagli studi di genere, la liberazione da essi non è ancora un processo compiuto. Sebbene siano stati numerosi i tentativi, politici e sociali di cambiare la predeterminazione e la stigmatizzazione dei ruoli, ostacoli di natura culturale si sono opposti lungo questo cammino. Sono, spesso, sentimenti che si nutrono di stereotipi sessuali e che spingono, solitamente, uomini e donne verso ruoli separati di azione e di vita: la sfera pubblica per gli uomini e la sfera del privato per le donne77

. Una divisione, come abbiamo visto in precedenza, abbastanza rigida, basata su presupposti assunti come naturali che hanno determinato il posizionamento di uomini e donne ai compiti considerati più congrui ad attitudini standardizzate. La trasgressione verso quest’ordine precostituito può però valere ancora un prezzo molto alto: il pregiudizio, l’emarginazione, il rifiuto, la violenza.

Secondo i recenti studi di genere tale fissità contempla poi, comunemente, i due sessi come diametralmente opposti: il binarismo di genere è ciò che bipartisce il rilievo sociale associato alle donne e agli uomini, giustificando un'inferiorità fisica e intellettuale delle donne, che ancora in certi contesti tende ad escluderle dalla vita sociale, dalla politica, dal lavoro, destinandole ai compiti di cura e assistenza dell'uomo e dei figli78

. Nel frattempo, la cultura che filosofe come Gayle Rubin denominano patriarcale ha posto le donne in una condizione di subordinazione e d’inferiorità, ostacolando la loro formazione intellettuale, negando così la realizzazione della persona-individuo tramite l’accesso alla stessa istruzione che spettava agli uomini79

. L'ideologia del movimento femminista può pertanto essere considerata ancora attuale in quanto tale cultura patriarcale è sopravvissuta in forme differenti, continuando a influenzare sotto molti aspetti la società moderna, frenando                                                                                                                

77 Per approfondimenti: L. Moschini (a cura di), Il genere tra le righe: gli stereotipi nei testi e nei

media, Edizioni il Paese delle Donne, realizzato dall'Università Roma Tre, Roma 2007-2008.

78 Commissione Pari Opportunità Provincia di Brescia, Il desiderio e l'identità maschile e femminile: un

percorso di ricerca, FrancoAngeli Editore, Milano, 2004, p.118.

79 Come visto dagli studi presenti nel capitolo precedente, alcune analisi sono riconducibili alle visioni secondo cui la donna esiste grazie a e in funzione dell’uomo, basati anche sugli esempi biblici per cui Dio creò Eva dalla costola di Adamo.

l’evoluzione emancipativa verso il raggiungimento di una maggiore equità tra i generi80

. Abbiamo visto nel capitolo precedente quanto importanti siano state le lotte femministe e quanto abbiano influito nella ricezione identitaria dei generi. Negli ultimi anni le attiviste post-femministe hanno ricalibrato il focus e gli strumenti per perseguire i loro obiettivi: il nuovo femminismo, definito anche intersezionale, è oggi chiamato a prendere in considerazione le persone tradizionalmente lasciate ai margini, superando la visione di un’emancipazione tradizionalmente riservata alle donne bianche, occidentali ed eterosessuali della classe media81

.

Apporti come quello di filosofe femministe quali Ann Oakley, Gayle Rubin, Joan Scott e Judith Butler sono stati fondamentali nella scoperta dell’identità di genere. Dalle loro osservazioni emerge il ritratto di una società che ha naturalizzato il concetto di femminile, rivestendolo di norme e convenzioni ben precise e strutturate82. Dalle stesse filosofe è poi rivendicata una cesura netta fra natura e cultura, distruggendo anche l’idea di un genere unico o binario, lasciando piuttosto spazio a molteplici sfumature identitarie.

Ciò che però persiste come elemento di definizione identitaria è proprio il corpo biologico, che perde però il suo status originario: la biologia cessa di coincidere con il destino sociale83

. Le rappresentazioni dell'identità maschile e femminile sembrano infatti non potere risolversi in maniera esaustiva nelle definizioni storiche e culturali, fisiologiche o anatomiche, nelle norme sociali o nella divisione del lavoro. La differenza tra sessi differisce da ogni altra differenza, storica o antropologica, il senso dell’essere donna o uomo è come un campo a quattro dimensioni, dove la quarta dimensione è la creazione storica del senso stesso della differenza sessuale84

.

Se consideriamo quindi il genere come costrutto, è però importante risalire alle modalità in cui tale identità viene costituita. Generalmente, come visto finora, i concetti di maschilità e femminilità nascono in una serie di legami e relazioni basati sull’ambiente, l’epoca e l’assetto culturale/religioso di appartenenza. Tale costruzione                                                                                                                

80 Per approfondimenti: G. Conti Odorisio, Ragione e tradizione. La questione femminile nel pensiero

politico, Aracne Edizioni, Roma 2005.

81 Cfr. D. Sacchetto, F. A. Vianello (a cura di), Navigando a vista. Migranti nella crisi economica fra

lavoro e disoccupazione, FrancoAngeli Editore, Milano, 2013, pp. 17-18.

82 Per approfondimenti: J. Butler, Gender Trouble,: Feminism and the subversion of identity, Routledge, New York, 1990.

83 Cfr. F. Giardini, In vece di Antigone. Famiglia e crisi del patriarcato nel femminismo della

differenza, in «Parolechiave», n.39, 2008, pp.115-128.

84 Cfr. Diotima (gruppo di filosofe riunite a Verona), Oltre l’ineguaglianza, Liguori, Napoli 1995, p.114.

si sviluppa, solitamente, lungo due assi principali, che vedono da un lato la presenza fisica, nell’insieme della struttura corporea e dell’abbigliamento; dall’altro il complesso di atteggiamenti, stati emozionali e comportamenti socio-relazionali. Vedremo quindi nel dettaglio come sono costruiti i concetti di genere, partendo proprio da quello della femminilità.

La donna è stata vittima, nel corso dei secoli, di preconcetti e acritiche convinzioni sulla propria capacità intellettuale e fisica: è proprio qui che nascono le teorie decostruttiviste che vogliono evidenziare la fallacia di tali impostazioni mentali, individuando e invertendo ciò che appartiene alla natura con qualcosa che invece è prodotto della cultura.

«Donne non si nasce, lo si diventa» affermava Simone De Beauvoir nel suo celebre

Le deuxìeme sexe del 194985. E «donna è il termine di un processo» aggiungeva Judith Butler, anni dopo86

.

«Donne non si nasce, si diventa» è stato infatti l’aforisma antibiologistico che negli anni settanta inaugura una sorta di origine della teoria femminista “antinaturalistica”. Lo sviluppo di tale teoria che unisce la femminilità a un “destino” socialmente costruito, tanto più quanto legittimato dall’idea di natura, faceva sì che in quegli anni la sociologia fosse un nucleo in grado di accogliere le istanze emancipazioniste. Se dunque la cultura e la sua trasmissione costruiscono le donne, si può collocare all’interno di tale prospettiva come madre teorica di questo approccio costruzionista Margaret Mead, la prima antropologa ad affrontare nelle sue ricerche la questione della costruzione della femminilità e della mascolinità87

.

Per Margareth Mead gli uomini, le donne e il genere sono prodotti dalla cultura in cui sono inseriti. Dalle sue osservazioni su popolazioni diverse (il suo lavoro si sviluppa oltre che sugli Stati Uniti su sette culture nelle isole del Pacifico, tra cui Samoa, Bali e alcune popolazioni della Nuova Guinea), Mead deduce che tratti del carattere maschile e femminile derivano dai messaggi culturali appresi e interiorizzati dagli individui dei due sessi, diversi tra loro non tanto per predisposizione organica quanto per l’influenza esercitata dalla cultura su di essi. La differenza tra i sessi è soprattutto                                                                                                                

85 S. De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano, 2008.

86 J. Butler, Gender Trouble: Feminism and the subversion of identity, Routledge, New York, 1999, p. 43, traduzione mia.

87 Fra questi è importante ricordare Maschio e femmina, del 1949, tradotto e pubblicato la prima volta in Italia nel 1962 ma diffuso tra le femministe solo negli anni settanta; Sesso e temperamento in tre

differenza di ruoli che ogni società riproduce e tramanda (come stereotipi) a seconda dei suoi specifici obiettivi sociali e forme organizzative della sua riproduzione sociale ed economica. I caratteri che in una società si attribuiscono al maschile o al femminile sono perciò diversi rispetto a società e cultura.

Secondo la studiosa, quindi, ovunque e in ogni epoca le donne sono il prodotto di specifici processi culturali, in grado di plasmare profondamente le identità femminili e le attese sociali di cui esse sono investite. Il risultato di tali processi rinvia a un’infinita varietà di modelli88

.

Questo rappresenta solo uno dei tanti esempi in cui la femminilità assume un carattere aleatorio e non definito. Scrive la psicanalista Annie Anzieu:

La femminilità dunque, non consiste solamente nell’essere nato con un senso di donna. È un concetto che ricopre una serie di affetti, di modi emozionali, legati alla rappresentazione degli spazi del corpo interno, al desiderio di gestazione e al piacere narcisistico di essere posseduta in quanto oggetto di amore89.

In accordo con Catherine Elwes90 il sesso forte, cioè quello maschile, ha conquistato il potere nell’area pubblica, mentre la sfera di influenza femminile è stata ristretta a quella domestica. Nonostante i movimenti femministi delle Suffragette all’inizio del secolo, intorno agli anni Sessanta e Settanta le donne risultavano ancora poco rappresentate in moltissimi campi, compreso quello dell’arte. Scrive la stessa Elwes:

L’arte femminista necessitava di attivismo in tutto il mondo, ma allo stesso tempo si lanciava in una ridefinizione del concetto stesso di femminilità, nei modi in cui essa è rappresentata. Sotto il patriarcato, le immagini delle donne erano limitate ad un range di

                                                                                                               

88 Si pensi ad esempio alla popolazione turkana, secondo cui sia uomini che donne possiedono un corredo anatomico simile sia per quanto riguarda la conformazione degli organi riproduttivi sia per quanto riguarda i fluidi corporei (saliva, sangue, sperma, midollo osseo) ritenuti essenziali. Uomini e donne contengono dunque sia parti maschili che femminili, in un amalgama che punta alla cooperazione dei sessi per poter generare nuove vite. Nella visione turkana il corpo è quindi concepito non come singolare, ma come plurale: è mutevole e la sua evoluzione dipende dal suo rapporto e dallo scambio di elementi con l’ambiente circostante e con altri corpi. Il genere appare non come fisso, ma fluido, in un costante mutamento all’interno di una realtà tutt’altro che univoca. La definizione di tale identità appare quindi come il risultato di una dinamica molto più elaborata e complessa, in cui il neonato nasce come androgino pronto ad essere plasmato e trasformato in uomo o donna. Per maggiori informazioni rimando a S. Forni, C. Pennacini, C. Pussetti, Antropologia, genere, riproduzione. La

costruzione culturale della femminilità, Carocci Editore, Roma, 2006.

89 A. Anzieu, La donna senza qualità. Schizzo psicanalitico della femminilità, Armando Editore, Roma, 1999, p. 22

90 In particolare rimando a C. Elwes, Video Art, A Guided Tour, I.B. Tauris Edizioni, Londra, New York, 2005.

stereotipi classificabili come negativi o positivi, in un’ottica di mercificazione erotica. Questo continuo dualismo – desiderabile/non desiderabile - era inoltre completato dalla dicotomia vergine/prostituta con l’immagine della donna sessualmente attiva e lussuriosa contrapposta a quella materna di devozione domestica91.

Considerando la televisione prima, e internet poi, come i mezzi di disseminazione primaria di immagini e strumenti culturali rispetto a questo panorama, la produzione video sperimentale artistica sembra distinguersi come il luogo più ovvio dove andare a ricreare lo smantellamento di rappresentazioni stereotipate, tentando di affermare l’evoluzione politica, psicologica ed estetica delle donne.

Il video ha facilitato l’esplorazione di nuovi territori nell’esperienza femminile e mobilitato la risposta tecnologica nel cercare un’identità praticabile come alternativa ai modi di apparire e agire nel mondo. Continua Elwes:

Così come qualunque movimento politico emergente, il femminismo era segnato da un senso di urgenza nato da secoli di relativo silenzio. Le donne erano impazienti di parlare, di rendere e rendersi visibili. Esse gravitavano intorno la performance e il video per la loro natura di confronto e la loro abilità nel consegnare un messaggio immediato all’ascoltatore92.

La femminilità occidentale è stata così spesso portata agli estremi su più livelli, travestita e camuffata in più ruoli. Si sono così sviluppate, a mio avviso, tre arene principali stereotipiche in cui si misura il valore della femminilità: in principio fu la

Santa Madre, in grado di procreare e portare avanti la vita; poi l’Angelo del Focolare,

la donna attenta ai bisogni della casa e della famiglia, dedita alla cura del marito e dei figli; infine la Sex Bomb, la donna sensuale, divisa fra peccato e piacere, per poter sedurre e conquistare. Il ruolo femminile ha dovuto dividersi fra questi, cercando un equilibrio precario che le permettesse di conformarsi alle norme per lei predisposte. Madre, moglie e amante: una tripartizione che ha a lungo descritto la vita delle donne, portando con sé le controversie che le vedono sia come costrette in sia come

naturalmente e volontariamente legate a quei ruoli.

                                                                                                               

91 Ivi, p. 40, traduzione mia. 92 Ivi, p. 41, traduzione mia.

Madri - Macchine da riproduzione

Da quanto visto finora, emerge un aspetto rilevante: il divario fra uomo e donna è spesso socialmente marcato all’interno di una scala gerarchica in cui i sessi si trovano a dover performare al meglio il proprio genere, in una costante prova di valore. Se al vertice massimo troviamo il ruolo maschile, in quello opposto è limitato quello femminile. Spesso, gran parte della definizione e misura del genere ha a che fare con l’apparato riproduttivo e la sua capacità di generare. La biologia riproduttiva riveste dunque un ruolo chiave nella codificazione di valori sociali. Perpetrare la specie è uno dei bisogni primari dell’uomo, ed è proprio per questo motivo che la riproduttività diventa uno strumento di misura della virilità e della femminilità, con particolare pressione sulla seconda93

.

Per secoli infatti l’essere donna ha coinciso con l’essere madre: la maternità era espressione dell’identità sessuale, su questo si misurava il valore della femminilità e la sua rispettabilità all’interno della famiglia e della società. Ciò caratterizzava indubbiamente anche il ruolo maschile, ma con un peso minore e differente: il maschio aveva di base delle libertà e dei privilegi maggiori rispetto a quelli femminili94

.

                                                                                                               

93 Interessante in tal senso è un’analisi fornita da Nadia Maria Filippini, nel suo testo Generare,

partorire, nascere, Viella Editore, Roma, 2017. Filippini ripercorre la storia del parto e le

rappresentazioni culturali a essa associata. In particolare, ai fini di questa ricerca, è utile prendere in causa il concetto di gerarchie della generazione, per mostrare come questa gerarchia e il senso di svilimento femminile siano stati costruiti nel tempo, pur avendo radici in epoche antichissime. Partendo proprio dalle teorie aristoteliche sulla generazione raccolte nella Riproduzione degli animali, il padre era considerato colui che generava, mentre la madre colei che accoglieva. Il ruolo femminile dunque, era per lo più ridotto a quello di vaso, contenitore o incubatrice di ciò che il seme maschile era in grado di produrre. Per una generazione perfetta, ovviamente, occorreva creare un figlio maschio che somigliasse al padre. La nascita di una figlia femmina rappresentava un allontanamento dalle finalità, ma era comunque necessario alla natura ai fini riproduttivi. A determinare il sesso, secondo Aristotele, era il calore del seme: più era caldo, migliore sarebbe stato il risultato.

Questa prima dicotomia introduce già di per sé il concetto di forza e debolezza, potere e svantaggio. Ma la teoria prosegue, aggiungendo alla teoria del genere quella del carattere individuale. Se fosse prevalso il principio del genere, e quindi fosse risultato un maschio, nel caso di un carattere individuale

debole sarebbe nato un maschio simile alla madre. Da qui ne deriva una gerarchia, composta da quattro

livelli: un maschio assomigliante al padre; un maschio assomigliante alla madre; una femmina assomigliante al padre; una femmina assomigliante alla madre. Vi era poi un ultimo, quinto e infimo scalino, simbolo della degenerazione del processo generativo, in cui stava il mostro, la materia

animale, il deforme. E dunque solo un grado separava la femmina assomigliante alla madre dalla

degenerazione stessa della materia umana.

94 Continua il discorso di Filippini, a partire da p. 17. La necessità di generare dell’uomo era correlata a un bisogno politico e di potere: la prole garantiva la continuità della stirpe e dell’attività economica. Per la donna, invece, partorire rappresentava gran parte del proprio ruolo e del proprio scopo nella vita. A livello simbolico, la cultura occidentale ha a lungo associato il corpo della donna alla terra e alla fertilità. Donna come terra o campo, in grado di accogliere e custodire il seme finché non fosse stato pronto a germogliare. Come osserva la Filippini, è importante sottolineare una ricodificazione metaforica avvenuta nella Grecia del V secolo, che ha permeato il nostro immaginario. Mentre nei

Le donne, dunque, sono state viste nel corso dei secoli innanzitutto nel ruolo di madre. Nella nostra società come in quasi tutte le altre, le donne, oltre a mettere al mondo figli, sono anche le responsabili della loro cura, dedicano generalmente ai bambini più tempo e spazio di quanto non facciano gli uomini e stringono i primi legami emotivi con i piccoli. E, solitamente, quando la madre biologica è impossibilitata a svolgere la funzione genitoriale, tale compito è affidato quasi sempre ad altre donne, e non a uomini. Per tale motivo, la funzione materna della donna sembra essere uno dei pochi elementi universali e perduranti della divisione del lavoro secondo il sesso. Per via del nesso apparentemente naturale tra capacità procreative e di allattamento della donna e assunzione dell'accudimento infantile, la funzione materna della donna è sempre stata data per scontata95

. Di conseguenza se da un lato la figura materna risulta di fondamentale importanza per la sua struttura familiare, essa al contempo è ostacolata per le relazioni tra i sessi, per l'ideologia sulla donna e per la divisione del lavoro secondo il sesso e la disuguaglianza tra i sessi, sia all'interno della famiglia che nel mondo extrafamiliare96

.

Una figura chiave all’interno degli studi psicanalitici sulla funzione materna e sulla costruzione primaria dell’identità maschile e femminile è sicuramente Nancy Chodorow97

. Di fondamentale importanza nei suoi studi sono infatti il corpo e la funzione materna, che negli anni Settanta assumono un ruolo cruciale sia nella teoria che nel video e nel movimento femminista98

. Per Nancy Chodorow la differenziazione tra maschi e femmine non avviene nel corso della socializzazione volontaria e non corrispondente esclusivamente ai modelli educativi, ma avviene precocemente nei primissimi momenti relazionali del rapporto madre-figlia/o.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

secoli precedenti il corpo femminile è associato a un territorio vergine e rigoglioso, in grado di produrre il sostentamento per gli uomini, nelle rappresentazioni successive lascia via via spazio a una nuova immagine. Essa diventa un campo, uno spazio legato alla presenza dell’uomo, l’unico in grado di ararla e prendersene cura. Questa sottile ma importante differenza, implica un cambio nella concezione femminea: è adesso proprietà dell’uomo/contadino, che può e deve gestirla deliberatamente, a proprio piacimento.

95 Cfr. F. Balsamo, Primi Passi nella costruzione/decostruzione del genere, C.I.R.S.De - Università degli studi di Torino, Introduzione agli studi di genere, 2001-2002, p. 7 a seguire, disponibile al link: https://www.cirsde.unito.it/sites/c555/files/allegatiparagrafo/28-04-

2016/2_primi_passi_nella_costruzione-decostruzione_del_genere.pdf, ultimo accesso 02/05/2018. 96 Per approfondimenti: D. Gottardi (a cura di), L’isola della maternità. Donne lavoratrici di fronte

all’esperienza di essere madri, FrancoAngeli Editore, Milano, 2015.

97 Nancy Chodorow (1944) è una sociologa e psicanalista statunitense. È considerata tra le principali voci della teoria femminista psicanalitica ed è membro della International Psychoanalytical Association.

98 N. Chodorow, La funzione materna. Psicanalisi e sociologia del ruolo materno, La Tartaruga Edizioni, Milano, 1991.

È cruciale in tal senso, nella differenziazione del genere, il ruolo della famiglia. Gli aspetti più importanti dell’organizzazione sociale dei generi sono trasmessi dentro e attraverso il tipo di personalità che viene prodotto dalla struttura dell’istituzione, la famiglia, nella quale i figli diventano membri della società assegnati all’uno o all’altro genere99

.

La struttura familiare produce così nei due sessi esperienze decisive e differenziate per ciò che riguarda le relazioni oggettuali edipiche e preedipiche e il modo in cui queste vengono fatte proprie, interiorizzate e trasformate a livello psicologico.

La madre, che è solitamente considerata l’accuditrice e la socializzatrice primaria, è perciò anche l’oggetto interno primario del bambino. Chodorow mostra come le caratteristiche di base della struttura familiare occidentale e moderna, comportino per l’Io e per le sue relazioni modalità diversificate di differenziazione, portando allo sviluppo, nei maschi e nelle femmine, di capacità relazionali differenti100

. Analizzando il rapporto madre-figlia/o, Chodorow ritiene cruciale nella differenziazione di genere la fase preedipica101

. Nella fase preedipica, che si rivela fondamentale nel momento in cui chi le accudisce è una donna, le bambine

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