Anatomia di una crisi globale: dalla crisi dei mutui subprime alla crisi nell’Eurozona
3. Le conseguenze iniziali dello scoppio della bolla sul mercato immobiliare statunitense
L’accumulo di debiti di qualità sempre più scadente che accompagna lo sviluppo di una bolla speculativa aumenta la fragilità finanziaria sia dei prenditori di fondi (eccessivamente indebitati) che dei prestatori di fondi (eccessivamente esposti). Inevitabilmente, quando, per effetto di un qualche evento esogeno, i delicati equilibri che hanno sostenuto la crescita di una bolla immobiliare vengono scossi, la bolla scoppia, producendo effetti disastrosi sui bilanci dei prenditori e dei prestatori di fondi.
Nel caso della crisi dei mutui subprime, l’elemento detonatore è consistito nella decisione della Banca centrale statunitesnse, la Federal Reserve (Fed), di invertire gradualmente la politica monetaria fortemente espansiva adottata a seguito dello scoppio della bolla delle azioni delle società dot.com nell’autunno del 2000 e al successivo attentato terroristico alle Torri gemelle di New York nel settembre del 2001. Infatti, per fare fronte alla minaccia di tensioni inflazionistiche, la Fed portò il tasso sui fondi federali dall’1% nel giugno del 2004 al 5,25% nel giugno del 2006.
Poco a poco, l’aumento del tasso sui fondi federali ha sortito un duplice effetto, dando così avvio alla prima fase della Grande recessione.14 Da un lato, il sensibile aumento del costo medio mensile dei mutui ipotecari ha determinato una riduzione della domanda di nuove case, e quindi l’arresto del meccanismo di incremento autosostenuto dei prezzi che stava alla base della formazione della bolla sul mercato immobiliare. Dall’altro, l’aumento dei tassi di interesse ha fatto venire a galla la fragilità finanziaria di tutti coloro che avevano sottoscritto mutui a condizioni contrattuali apparentemente favorevoli. Di conseguenza, il mercato immobiliare statunitense è finito in una spirale deflazionistica autoalimentata, perché la massa dei pignoramenti aumentava il numero di case invendute, spingendo gli istituti di credito a disfarsene a prezzi di saldo pur di non dover sostenere costi legali e spese di manutenzione sempre più elevati. A sua volta, la progressiva discesa dei prezzi delle case determinava un aumento delle insolvenze sia da parte di coloro che non potevano rifinanziare il proprio mutuo sia da parte di coloro che non avevano più interesse a pagare per un patrimonio ormai svalutato.
Ben presto, le difficoltà sul mercato immobiliare hanno coinvolto tutti gli attori dei mercati finanziari. La maggior parte dei mutui insolventi o a rischio di insolvenza
14 Dopo lo scoppio della crisi, il termine ‘Grande recessione’ è entrato nell’uso comune per distinguere la recessione globale seguita alla crisi dei mutui subprime dalla Grande depressione degli anni ’30 del secolo scorso. Per esempio, Ben Bernanke (2015a, p. 182) ricorda che: “[…] with the substantial benefit of hindsight, the National Bureau of Economic Research would declare that what we now call the Great Recession had begun in December 2007”.
era infatti all’origine dei flussi di pagamento destinati ai possessori dei titoli strutturati creati attraverso il processo di cartolarizzazione dei prestiti immobiliari.
Le perdite sui titoli garantiti da mutui ipotecari hanno prodotto una voragine nei bilanci delle banche e nei bilanci di tutti gli istituti finanziari che hanno dato vita al cosiddetto ‘sistema bancario ombra’, quell’arcipelago di soggetti poco trasparenti (società-veicolo fuori bilancio, hedge fund, banche di investimento e simili) sottratti alla vigilanza prudenziale cui erano invece sottoposte le banche commerciali.15 Negli anni che hanno preceduto l’esplosione della bolla immobiliare, le banche e tutti gli altri istituti finanziari hanno infatti potuto beneficiare di nuove opportunità di investimento ad alto rendimento e a rischio (apparentemente) ridotto, in un periodo in cui la politica monetaria della Fed aveva depresso i rendimenti dei titoli a basso rischio e in cui il mercato azionario non si era ancora ripreso dallo scoppio della bolla dei titoli tecnologici avvenuto nell’autunno del 2000. Ma poiché tutti gli istituti finanziari esposti ai titoli subprime operavano con un altissimo grado di leva finanziaria (leverage), e poiché i principi contabili impongono agli attori del sistema finanziario di valutare le attività inserite nei loro portafogli al prezzo di mercato (mark to market), la caduta del prezzo dei titoli garantiti da mutui ipotecari ha determinato una drammatica riduzione dei patrimoni netti che ha eroso i margini di garanzia a favore dei creditori.16
Nell’agosto del 2007 i mercati finanziari erano entrati nel panico. Il venir meno delle convenzioni sulla valorizzazione dei prodotti strutturati17 e il deterioramento
15 Per un approfondimento sul ‘sistema bancario ombra’ si veda Nersisyan e Wray (2010).
16 Nel 2002 le grandi banche di investimento americane operavano già con un grado di leva finanziaria (dato dal rapporto tra il valore delle attività (prestiti e/o titoli) e il valore del capitale netto) di 29 a 1. Nel 2004 l’organo di controllo del mercato mobiliare statunitense (SEC – Securities and Exchange Commission) concesse ai principali gruppi bancari d’investimento l’esenzione dall’applicazione degli standard prudenziali internazionali, permettendo che le riserve di capitale venissero fissate in autonomia, nella misura ritenuta congrua per garantire la stabilità del mercato. Con l’entrata in vigore di questo regime di autoregolamentazione, alcune banche di investimento sono arrivate ad avere un rapporto di indebitamento di 40 a 1 (Stiglitz (2010) [2010], pp. 235-236). In tali condizioni, è sufficiente una caduta del valore delle attività del 2,5% per spazzare via l’intero capitale netto della banca di investimento.
17 La crescente complessità assunta negli anni dal processo di cartolarizzazione è stata accompagnata, di pari passo, dalla crescente rilevanza delle valutazioni delle agenzie di rating sull’effettivo grado di rischio associato all’emissione dei titoli strutturati. Poiché le agenzie di rating percepiscono le commissioni per i servizi prestati dagli emittenti degli strumenti finanziari strutturati e non dagli investitori finali, da più parti si è osservato che esse operavano (e tutt’ora operano) in una condizione di patente conflitto di interesse, che fornisce un forte incentivo alla sottovalutazione dei rischi incorporati negli strumenti della finanza strutturata. Senza voler sminuire il problema, si deve però sottolineare che l’operato delle agenzie di rating non veniva messo in discussione né dagli investitori istituzionali (Orléan (2009) [2010], pp. 68-69) né dalle maggiori autorità economiche nazionali e sovranazionali, che, anzi, ne condividevano le metodologie e le valutazioni. Così, ad esempio, il Fmi nell’aprile del 2007: “Poiché, caratteristicamente, quasi il 90 per cento degli ABS subprime sono classificati A o più, ciò suggerisce che l’importo delle perdite potenziali sui titoli subprime dovrebbe essere largamente contenuto. In effetti, anche le tranche
dell’attivo degli istituti finanziari aveva portato al congelamento dei mercati dei capitali a breve termine e a una versione riveduta e corretta delle corse agli sportelli osservate negli anni ’30 del secolo scorso (Eichengreen 2015, Turner 2016). I creditori non si limitavano più ai richiami di margine, ma rifiutavano il rinnovo dei prestiti a scadenza. Il primo mercato a essere colpito è stato quello della carta commerciale. Questo mercato aveva assunto un’importanza strategica per il finanziamento dell’attività delle società-veicolo (SPV) coinvolte nel processo di cartolarizzazione dei prestiti erogati dalle banche e dagli istituti a esse assimilabili. Non potendo più rinnovare i debiti a breve scadenza sul mercato della carta commerciale, le società-veicolo hanno ottenuto il sostegno delle banche che le avevano istituite attraverso l’attivazione di apposite linee di credito o attraverso il reintegro nel loro bilancio. Ma così facendo, divenne evidente che i rischi sopportati dalle società-veicolo in realtà gravavano interamente sulle banche. Pertanto, la crisi di liquidità ha contagiato anche il mercato interbancario. Le banche che disponevano di un eccesso di riserve tesoreggiavano la liquidità per fare fronte alle difficoltà presenti e a eventuali difficoltà future. Inoltre, l’aumentata incertezza sull’effettiva esposizione delle controparti ai crediti cartolarizzati sconsigliava il prestito di risorse liquide ad altri istituti finanziari. Con il crollo dei rapporti di fiducia, anche di quelli di vecchia data, i tassi sul mercato interbancario sono schizzati alle stelle.
Il precipitare della situazione ha indotto la Fed a intervenire con ripetuti tagli al tasso sui fondi federali e a esercitare il ruolo di prestatore di ultima istanza con robuste iniezioni di liquidità presso lo sportello di risconto. Tra alti e bassi, durante l’autunno-inverno a cavallo del 2007 e del 2008 i provvedimenti adottati dalle autorità monetarie statunitensi sembravano aver riportato un minimo di stabilità. Ma la calma era soltanto apparente, perché le forze che alimentavano la crisi sul mercato immobiliare e sui mercati finanziari continuavano a operare sottotraccia. Nel marzo del 2008 la Fed si è vista costretta a estendere le proprie operazioni di rifinanziamento e a definire regole di ammissione e di garanzia più permissive per l’erogazione dei prestiti di ultima istanza. Per la prima volta dopo la Grande depressione, le autorità monetarie statunitensi si sono impegnate a prestare fondi a breve termine garantiti da attività collaterali non solo alle grandi banche commerciali soggette alla loro vigilanza prudenziale, ma anche alle banche di investimento. La perdurante criticità della situazione è emersa in modo eclatante con il salvataggio di Bear Stearns, una delle banche di investimento più importanti operanti a Wall Street,
relativamente rischiose classificate BBB cominciano a essere toccate solamente quando i prezzi degli immobili conoscono un abbassamento del 4 per cento all’anno.” (citato in Orléan (2009) [2010], p. 64)
il cui fallimento venne impedito grazie alla vendita a prezzi di saldo, patrocinata dalla Fed, a J.P. Morgan Chase.18
4. Dal fallimento di Lehman Brothers alla Grande recessione mondiale del