• Non ci sono risultati.

Anatomia di una crisi globale: dalla crisi dei mutui subprime alla crisi nell’Eurozona

4. Dal fallimento di Lehman Brothers alla Grande recessione mondiale del 2008-2009

Nonostante le misure straordinarie adottate dalla Fed, il peggio doveva ancora venire. Il crollo delle quotazioni immobiliari non si arrestava, così come non si arrestava l’ondata di insolvenze dei mutuatari. I bilanci delle banche e delle altre istituzioni finanziarie continuavano a essere appesantiti dalla presenza di titoli sempre più illiquidi, vendibili soltanto a prezzo di saldo.

A differenza di quanto avvenuto per Bear Stearns, nel settembre del 2008 la Fed ha deciso di lasciare fallire Lehman Brothers. Ma il fallimento di Lehman Brothers ha messo a nudo l’insufficiente consistenza del patrimonio netto anche di molte altre istituzioni finanziarie.19 Sul mercato finanziario statunitense la crisi di liquidità generalizzata si era ormai trasformata in una crisi di solvibilità che ne metteva a rischio la stessa esistenza.

La bancarotta di Lehman Brothers ha dato avvio alla seconda fase della recessione, perché ha acuito i meccanismi di trasmissione che hanno trasformato la crisi del sistema finanziario statunitense in una crisi economica globale paragonabile soltanto alla Grande depressione degli anni ’30 del secolo scorso.

Negli Stati Uniti le banche interessate dal deterioramento dell’attivo sono state spinte a ripristinare le condizioni di adeguatezza patrimoniale prescritte dalle norme e dalla prudenza attraverso la vendita di parte delle loro attività e il taglio dei prestiti alle famiglie e alle imprese.

L’impatto della stretta creditizia sull’economia reale statunitense è stato amplificato dal forte calo dei consumi determinato dal crollo delle attività nel settore edilizio sia a causa della perdita di posti di lavoro sia a causa di un ‘effetto ricchezza’ a contrario provocato dalla brusca caduta del prezzo delle abitazioni. L’impoverimento delle famiglie americane è inoltre stato rafforzato dal crollo del valore delle azioni e dei titoli strutturati posseduti attraverso la sottoscrizione di quote emesse dai fondi comuni di investimento, dagli hedge funds e dai fondi pensione.

La riduzione della fiducia e delle aspettative di profitto delle imprese legata al calo dei consumi si è tradotta in una significativa flessione della domanda per beni di

18 Per una ricostruzione dettagliata degli interventi messi in atto dalla Fed durante le fasi più acute della crisi finanziaria e nel periodo successivo alla recessione globale del 2008-2009, si veda Bernanke (2015a).

19 Il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima che tra il mese di aprile e il mese di ottobre del 2008, le perdite sui crediti e sui titoli strutturati delle istituzioni finanziarie statunitensi siano passate da 945 miliardi a 1.405 miliardi di dollari (si confronti Orléan (2009) [2010], pp. 86-87).

investimento. Nonostante la violenza dei problemi economici avesse determinato una diminuzione delle importazioni più rapida di quella delle esportazioni, e quindi una riduzione del disavanzo commerciale, per effetto di queste dinamiche tra l’autunno del 2008 e la primavera del 2009 l’economia statunitense ha conosciuto la più severa recessione degli ultimi ottant’anni.

Tra la fine del 2007 e buona parte del 2008, soprattutto in Europa, si era diffusa l’illusoria convinzione che le gravissime difficoltà che stavano colpendo il sistema finanziario e l’economia reale degli Stati Uniti non avrebbero prodotto danni particolarmente gravi nel resto del mondo.20 Tuttavia, dal quarto trimestre del 2008 sia le economie avanzate che tutte le economie emergenti e in via di sviluppo hanno cominciato a subire le pesanti conseguenze dello scoppio della bolla sul mercato immobiliare americano.

Il canale più ovvio per la trasmissione della crisi dei mutui subprime al resto del mondo è consistito nella vendita di circa metà dei titoli strutturati prodotti negli Stati Uniti a banche, fondi pensione e numerosi altri investitori istituzionali esteri.21 Con il crollo del mercato immobiliare statunitense, tutti gli istituti finanziari che avevano una esposizione diretta ai titoli legati ai mutui subprime hanno subito ingenti perdite, accompagnate da un progressivo irrigidimento su scala globale dei criteri per l’erogazione dei prestiti alle famiglie e alle imprese.

Anche a livello internazionale la situazione finanziaria ha subito un drastico deterioramento in corrispondenza del fallimento di Lehman Brothers. Lehman Brothers aveva infatti emesso debiti a breve termine sotto forma di carta commerciale e di altri titoli obbligazionari per un valore complessivo di centinaia di miliardi di dollari. La completa svalutazione di questi titoli a seguito del fallimento della banca di investimento americana ha scatenato il panico non solo tra gli investitori e i fondi che li detenevano in portafoglio, ma anche tra i loro creditori. L’intricata rete di crediti e debiti che sosteneva il sistema finanziario internazionale era ormai giunta vicino alla paralisi.

La globalizzazione finanziaria ha favorito e accelerato la diffusione della crisi anche attraverso una sinergica e brusca flessione dei mercati azionari in tutte le piazze finanziarie internazionali e attraverso l’impatto negativo di un forte apprezzamento delle principali divise rifugio (dollari, euro, sterline e yen) sulle famiglie e le imprese dei paesi emergenti che, prima dell’inizio della crisi, avevano contratto prestiti denominati in valute pregiate, perché i tassi di interesse praticati

20 All’inizio di settembre del 2008, a pochi giorni dal fallimento di Lehman Brothers, il ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrück dichiarava che “la crisi finanziaria è soprattutto un problema americano” e che “gli altri ministri delle Finanze del G7 dell’Europa continentale condividono questa opinione.” (citato in Roubini e Mihm (2010) [2010], p. 143)

21 Si pensa che, negli anni che hanno preceduto lo scoppio della crisi, il 40-50% dei titoli generati attraverso la cartolarizzazione dei prestiti alle famiglie americane sia finito nei portafogli di investitori stranieri privati. (Roubini e Mihm (2010 [2010], pp. 102-103)

dalle banche straniere erano più bassi di quelli applicati ai prestiti in moneta nazionale.

Un secondo evidente canale di contagio è consistito nell’impatto della crisi dell’economia reale statunitense sul commercio internazionale. Alla vigilia della crisi gli Stati Uniti producevano circa un quarto del Pil mondiale, ma il peso specifico dell’economia americana era ancora maggiore, se si tiene conto del disavanzo nel conto corrente della bilancia dei pagamenti. Quando una economia di queste dimensioni entra in una profonda recessione, è inevitabile che i paesi che dipendono dalla sua domanda di prodotti finiti e semifiniti e dalla sua domanda di materie prime vadano incontro a serie difficoltà. E poiché un brusco calo dell’attività economica in un paese si trasmette a tutti i suoi partner commerciali, mano a mano che la crisi seguiva la propria traiettoria il numero di paesi che hanno sofferto a causa dell’inaridimento della domanda estera per le materie prime e per le produzioni domestiche di manufatti e semilavorati è cresciuto costantemente.

La crisi della produzione e dell’occupazione mondiali seguita al crollo del mercato immobiliare negli Stati Uniti non può tuttavia essere imputata unicamente all’esposizione a forme di contagio diretto, ma anche a una serie di fragilità economiche condivise sul piano internazionale.

In primo luogo, la recessione globale ha determinato la sincronizzazione della caduta dei prezzi delle abitazioni in tutti i paesi in cui il mercato immobiliare era surriscaldato.

In secondo luogo, ormai tutte le grandi banche e istituzioni finanziarie internazionali seguono strategie affini e si espongono a rischi simili. Le gravi difficoltà delle banche internazionali, e in particolare di quelle europee, non sono infatti dipese soltanto dall’aver partecipato in dosi massicce alla corsa all’acquisto di titoli strutturati prodotti negli Stati Uniti, ma, in termini più generali, dall’aver erogato in proprio troppi prestiti ad alto rischio. Numerosi istituti di credito del vecchio continente avevano infatti intrapreso una propria attività di cartolarizzazione, creando titoli strutturati garantiti da mutui ipotecari concessi agli acquirenti di case nei paesi europei. Sebbene gli eccessi sui mercati immobiliari europei non fossero paragonabili a quelli americani, gli standard per la valutazione del merito di credito dei mutuatari restavano comunque permissivi. Allo scoppio della crisi, molti dei prestiti erogati erano ancora parcheggiati nelle società-veicolo create ai fini del processo di cartolarizzazione. Come negli Stati Uniti, obblighi formali (accensione di linee di credito a sostegno della liquidità delle società-veicolo) o informali (necessità di conservare una buona reputazione) hanno spinto le banche che avevano originato i mutui a reintegrare le attività rischiose nei loro bilanci. La propensione al rischio delle banche europee si è manifestata anche attraverso la concessione di ingenti prestiti alle famiglie e alle imprese nei paesi dell’Europa emergente. Infine, la fragilità finanziaria delle grandi banche europee è stata acuita

dall’aver operato con un rapporto di indebitamento eccessivo, finanziato in larga misura attraverso il ricorso a prestiti a breve termine. Nell’estate del 2008 gli indici di leva finanziaria delle banche e degli altri istituti finanziari europei erano simili, se non superiori, a quelli osservati negli Stati Uniti.22

5. Le reazioni di politica economica per scongiurare una nuova Grande