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Le conseguenze del mancato ascolto da parte del giudice

Sulla questione relativa alle conseguenze derivanti dalla mancata audizione del minore, nel tempo, si sono susseguiti tutta una serie di orientamenti contrastanti, soprattutto ad opera della giurisprudenza.

La Corte di Cassazione, nel 2009, riunitasi, a sezioni unite, in occasione di un procedimento di modifica delle condizioni di separazione, in cui era stata sollevata una questione di giurisdizione, è intervenuta con la sent. 22238/2009, osservando che, nei procedimenti di separazione o di revisione delle relative condizioni, dalla mancata audizione del minore, senza che il giudice ne desse una giustificazione plausibile, sarebbe derivata la nullità della decisione per difetto del contraddittorio. In particolare, la Corte sosteneva che, nei procedimenti di separazione, relativamente alla questione sull’affidamento o sul diritto di visita del genitore non affidatario, i minori risultano portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori e, per tale motivo, vanno qualificati come parti in senso sostanziale. Rappresenterebbe, quindi, violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto dei minori» 74. Tale pronuncia si fonda sul presupposto per cui, a detta di

73 Ivi, p. 90.

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alcuni, «il contraddittorio non si garantisce soltanto, come avviene di regola, attraverso il riconoscimento di tutti i poteri e le facoltà processuali della parte costituita in giudizio», ma trova attuazione anche attraverso lo strumento dell’audizione che, in tale ottica, diventa mezzo per integrare, anche nei confronti di chi non assume la qualità di parte, i canoni del giusto processo75.

Tuttavia, questa tesi della nullità, per violazione del contraddittorio, è stata di fatto abbandonata dalla giurisprudenza successiva. Nel 2011, infatti, la Corte di Cassazione, con la sent. n. 1838, osservava che l’audizione del minore, non avendo alcuna finalità istruttoria o di tipo processuale, ad integrazione del contraddittorio, non è da considerarsi un vero e proprio mezzo probatorio, ma semplicemente un atto o, meglio, ancora, un momento formale del procedimento destinato a raccogliere quelle che sono le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore rispetto alla vicenda processuale in cui risulta coinvolto. Si tratta, in breve, di un atto specifico con cui si dà dignità alla persona minore di età, consentendogli di esprimere il proprio punto di vista nel procedimento in cui risulta coinvolto. Ne deriva, quindi, che, «costituendo scelta del tutto discrezionale del giudice quella di sentire il minore, senza la presenza dei difensori delle altre parti, la dedotta violazione del contraddittorio, per il mancato avviso dell’udienza fissata per detta audizione, non sussiste»76. Ora, per quanto possa considerarsi condivisibile, tale soluzione si limita semplicemente a negare quanto affermato precedentemente dalla Corte stessa e non chiarisce quale sia la conseguenza derivante dalla mancata audizione del minore, laddove il giudice ometta di darne una giustificazione plausibile. Solamente a partire dal 2012 la Corte di Cassazione riuscirà a definire, in maniera certa, chiara ed esaustiva, il tema relativo alle conseguenze derivanti dalla mancata audizione del minore. In

75 G. Savi, L’atto processuale dell’ascolto ed i diritti del figlio minore, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 2013, p. 1363.

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particolare, con la sent. 1251/2012, essa stabilisce che l’art. 15, co. 2° della l. 184/1983, così come modificato dalla l. 149/2001, in tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, pone, nel giudizio di primo grado, l’obbligo di audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni e anche del minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Pertanto, la mancata audizione del minore, senza che il giudice ne dia alcuna motivazione plausibile, comporta, sì, la nullità della sentenza, ma, di certo, non per violazione del principio del contraddittorio; comporta una nullità che, potendo essere fatta valere nei limiti e secondo le regole di cui all’art. 161 c.p.c, risulta deducibile con l’appello e che, se riscontrata, non implica la rimessione al primo giudice. Essa esula dalle ipotesi previste dall’art. 354 c.p.c.77. Inoltre, sempre la

Cassazione, con la sent. 18538/2013, ha avuto modo di precisare che la questione di nullità, derivante dal mancato ascolto del minore, non potrà essere sollevata per la prima volta davanti alla Corte stessa.

In altri termini, la nullità per violazione del principio del contraddittorio, volendosi considerare il minore come parte in senso sostanziale, lascia non poche perplessità, poiché il procedimento ed il relativo provvedimento, che lo conclude, risultano inficiati da nullità per effetto stesso della violazione dell’attività processuale prefigurata dalla legge. L’ascolto del minore costituisce un atto processuale previsto in tutti i procedimenti in cui il minore è coinvolto, sia che rivesta il ruolo di parte, sia che non lo rivesta. Pertanto, va completamente sganciato dal principio del contraddittorio, poiché non richiede alcuna delle prerogative proprie della parte costituita in giudizio. L’ascolto del minore svolge una funzione del tutto peculiare: perseguire, sempre e comunque, quello che è il superiore interesse del fanciullo, evitando, quando possibile, di fargli assumere il ruolo di parte antagonista che, in contraddittorio, coltiva una lite contro quelli

77 Ivi., p. 21, vd n. 32.

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che sono e rimangono in fin dei conti i suoi genitori. Dunque, visto in questa prospettiva, l’ascolto del minore è stato introdotto e disciplinato espressamente dal legislatore proprio quale strumento per raggiungere e garantire il miglior equilibrio tra le diverse parti e non parti che sono coinvolte nei procedimenti che li riguardano78.

In conclusione, quindi, tra quanto osservato dalla giurisprudenza nel corso degli anni e quanto stabilito dalla legge, possiamo affermare la regola generale per cui, l’ascolto del minore, trattandosi di un adempimento formale e necessario in tutte le questioni e procedure giudiziarie che riguardano il minore stesso, a prescindere dal fatto che questi risulti parte in giudizio, può essere omesso dal giudice, previa motivazione espressa, soltanto laddove risulti in contrasto col superiore interesse del minore, oppure sia manifestamente superfluo. Tra l’altro, tentare di classificare l’ascolto del minore nelle tradizionali categorie processuali come la parte che agisce in giudizio, come l’integrità del contraddittorio o come il diritto di difesa, non sarebbe di alcuna utilità poiché si tratterebbe, in ogni caso, di categorie appartenenti alla “logica contenziosa adultocentrica”.

Pertanto, nel caso di ingiustificata omissione del compimento dell’atto da parte del giudice, ne deriva la nullità del procedimento e della relativa decisione: una nullità assoluta deducibile nei limiti e secondo le regole di cui all’art. 161 c.p.c.79.

78 G. Savi, L’atto processuale dell’ascolto ed i diritti del figlio minore, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 2013, p. 1364.

79 Ivi, 1348. Cfr. anche G. Ballarini, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel

nuovo art. 336 – bis c.c: il legislatore riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 2014, p. 853.

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C

APITOLO TERZO

Presupposti e modalità di ascolto del minore

3.1 Il diritto di ascolto in vista del superiore interesse

del minore

A seguito della riforma 2012/2013, sul giudice non grava più il dovere di procedere «all’audizione del minore», bensì il dovere di procedere «all’ascolto del minore». In tal modo, il legislatore, andando a sostituire il termine audizione con quello di ascolto, ha voluto sottolineare quello che deve essere l’atteggiamento del giudice nell’assolvimento di tale compito. Egli, infatti, quando va ad ascoltare il minore, è tenuto a prestare particolare attenzione a quella che è la sua opinione, il suo parere, ma anche a quelle che sono le sue esigenze, i suoi bisogni, i suoi desideri ecc. Visto in questa prospettiva, dunque, l’ascolto del minore, così come ribadito più volte dalla Corte di Cassazione, in diverse occasioni80, non deve considerarsi alla stregua

di un qualsiasi atto istruttorio, per verificare i fatti rilevanti in causa, ma un momento formale del procedimento, finalizzato a «raccogliere le opinioni e i bisogni rappresentati dal minore» in merito alla vicenda in cui è coinvolto81. Si tratta, quindi, di uno strumento che consente al giudice di acquisire tutti quegli elementi utili per conformare la propria decisione a quello che il diritto convenzionale, prima, e quello interno, dopo, qualificano come «the best interest of the child», ossia «il superiore interesse del fanciullo»82: un’espressione, questa, richiamata in diverse disposizioni nazionali e sovranazionali, che possiamo considerare come linea guida e criterio direttivo del diritto in esame.

80 Cass., Sez. 1, n. 1838 del 26 gennaio 2011 e Cass., Sez. 1, n. 12739 del 10 giugno 2011.

81 G. Dosi, L’avvocato del minore, Giappichelli editore, Torino, 2015, p. 47.

82 F. Tommaseo, Per una giustizia “a misura del minore”: la Cassazione ancora

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A tal proposito, l’art. 3 della Convenzione ONU 1989 stabilisce che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»: una preminenza, questa, che, nell’ambito del giudizio, deve tradursi, e si traduce di fatto, in un vero e proprio favor per quelli che sono stati dichiarati espressamente interessi di rango superiore83.

Alla luce di questo, che possiamo ormai considerare, a tutti gli effetti, principio di diritto internazionale, generalmente riconosciuto ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 Cost., si comprende quanto stabilito all’art. 12 della medesima Convenzione, secondo cui «le parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente, su ogni questione che lo interessa, la propria opinione, da considerare debitamente in relazione all’età e al grado di maturità del soggetto». Altresì, prosegue l’articolo, «al fanciullo si deve riconoscere il diritto di essere ascoltato, personalmente o per mezzo di un rappresentante od organismo appropriati, compatibilmente con le disposizioni dell’ordinamento nazionale». Infine, per completare il quadro, l’art. 4 della medesima Convenzione prevede che «gli Stati Parti s’impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e di altro genere, necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione», e, dunque, tra gli altri, anche il diritto di ascolto84.

Ora, sulla base di quanto espressamente stabilito dalla Convenzione di New York del 1989, non si può certo non prendere in considerazione anche la Convenzione di Strasburgo. Essa, infatti, ha dato un forte impulso e contributo all’attuazione di quelli che sono i diritti dei minori, riconosciuti dalla Convenzione del 1989. Per cui, se

83 G. Magno, Il minore come soggetto processuale, Giuffrè editore, Milano, 2001, p. 3, n.4.

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la Convenzione di New York, da un lato, riconosce al minore «la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne» e di esprimere la propria opinione su ogni questione che lo interessa, dall’altro, la Convenzione di Strasburgo detta tutta una serie di regole che sono strumentali ad agevolare e rendere effettivo l’esercizio di tale diritto85.

L’art. 1, ad esempio, definisce quello che è il campo di applicazione della Convenzione di Strasburgo, la quale riguarda specificamente le procedure di diritto familiare. Gli Stati Parti hanno, poi, l’obbligo di dichiarare le categorie di controversie familiari alle quali intendono applicare la Convenzione stessa, potendo estenderne l’applicazione anche ad altre procedure. In particolare, le procedure prese in considerazione dalla Convenzione spaziano dall’affidamento alla residenza; dal diritto di visita all’adozione; dalla dichiarazione e contestazione dello stato di figlio alla legittimazione e contestazione dello stato di figlio legittimo; dalla tutela all’amministrazione dei beni del fanciullo; dall’educazione alla decadenza e limitazione dell’autorità dei genitori, fino a giungere alla protezione dei fanciulli contro i trattamenti crudeli o degradanti e al trattamento sanitario. Ovviamente, non si tratta di un elenco tassativo: gli Stati Parti possono benissimo indicare altri casi di controversie familiari. L’importante è che, essi indichino, espressamente, almeno tre delle categorie di controversie familiari alle quali applicare la Convenzione. Altresì, bisogna anche chiarire che non è affatto necessario che le questioni sopra elencate costituiscano l’oggetto principale del procedimento. Ad esempio è possibile che, in una qualsivoglia procedura, domande relative all’affidamento dei fanciulli, alla residenza o al diritto di visita, assumano semplicemente un carattere accessorio rispetto a

85 F. Tommaseo, Per una giustizia “a misura del minore”: la Cassazione ancora

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quella che è la causa principale di separazione o di divorzio dei genitori.

Infine, la Convenzione, sempre all’art. 1, attribuisce agli Stati Parti la possibilità di applicare ai fanciulli regole più favorevoli di quelle previste dalla Convenzione stessa, per cui, se, da un lato, il testo convenzionale stabilisce un dispositivo minimo che gli Stati sono tenuti a rispettare ed attuare, dall’altro, questi possono promuovere, con maggiore larghezza, l’esercizio dei vari diritti riconosciuti ai fanciulli86.

3.1.1 Il dibattito sulla nozione di interesse del minore

Una prima critica che è stata avanzata rispetto alla nozione di «interesse del minore» riguarda la vaghezza e la indeterminatezza che la contraddistinguerebbero, originando, così, al momento della sua interpretazione, posizioni e teorie «ideologicamente segnate». Per questo parte della dottrina (Carbonier) ha definito la nozione di interesse del minore come “nozione magica” o come “pozione magica” (Thery)87. Altra parte della dottrina (Massimo Dogliotti),

invece, ha criticato come la nozione di interesse del minore «rischia di diventare vuota tautologia, mero abbellimento esteriore», contribuendo, in tal modo, ad ampliare notevolmente la sfera di discrezionalità dell’organo giudiziario minorile88. Dal canto suo, G. Dosi ha contestato come la nozione in esame, abbia finito per assolvere ad una «funzione cuscinetto», divenendo, per i giudici, una sorta di «passe – partout» discrezionale, che consente loro di prendere,

86 G. Magno, op. cit., pp. 93 – 94 (Punti 16 – 20 relazione di accompagnamento alla convenzione).

87 A. C. Moro, Diritti del minore e nozione di interesse, in L. Fadiga (a cura di), Una

nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, Franco Angeli editore, Milano, 2006,

p.159. 88 Ibid.

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continuamente, decisioni l’una diversa dall’altra. Di conseguenza, quello che doveva essere un criterio – guida per orientare i giudici nell’assunzione di certe decisioni, delicate e importanti, è finito per disorientare i vari operatori giuridici89. A ben vedere, ciò che viene contestato, da molti, relativamente alla nozione di interesse del minore, riguarda il fatto che si tratta di una nozione dai contorni piuttosto sfumati e non ben definiti. Addirittura, sulla base di tali critiche, sono arrivate proposte di espunzione di tale nozione dal nostro ordinamento giuridico. Certo, non bisogna negare che tale nozione, vaga e indeterminata – come lo sono tutte le clausole generali –, non dia luogo a pericoli interpretativi, stante l’ampia discrezionalità dell’organo giudicante; ma da qua a chiederne la soppressione, perché causa di profonde “falle” all’interno del sistema di tutela dei diritti del minore, sembra un po’ eccessivo, se non, addirittura, dannoso. Proviamo ad immaginare che cosa succederebbe se venisse espunta la nozione di interesse del minore dal nostro ordinamento giuridico. Innanzitutto, ci si ritroverebbe costretti ad operare soltanto sulla base della valutazione dei diritti soggettivi, per cui, tanto per fare un esempio, dovendosi sempre verificare una situazione di abbandono, bisognerebbe inserire il minore in una famiglia sostitutiva, che presenti tutte quelle caratteristiche, giustamente, individuate dalla legge come migliori. Tuttavia, dando uno sguardo alla vita di ogni giorno, ci si rende, subito, conto come, in alcuni casi, rapporti, che appaiono oggettivamente e gravemente insoddisfacenti, risultano per il fanciullo soggettivamente importanti e così radicati in esso, tanto da non poter essere troncati senza che si realizzi un’inaccettabile violenza. In altri termini, nonostante i rapporti tra il fanciullo e i genitori non siano ottimali, da un punto di vista economico, culturale, sociale ecc, potrebbe apparire poco opportuno imporre una rottura di questi

89 Ibid. Cfr. G. Dosi, Dall’interesse ai diritti del minore: alcune riflessioni, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 1995, p. 1604.

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rapporti in nome della tutela della personalità del ragazzo e delle sue esigenze90. Si tratta, quindi, di effettuare una valutazione, circa il

concreto e reale interesse del minore, che deve essere calata al caso specifico e, pertanto, rapportata all’età del soggetto, correlata alla sua situazione pregressa e al modo con cui essa è stata vissuta. Dovranno, altresì, tenersi in debita considerazione i legami che, nel frattempo, si sono instaurati fra lui e i genitori, fra lui e i parenti, non dimenticando o, ancora meglio, trascurando quelle che sono le proprie capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. In altri termini, per capire e garantire il superiore interesse del minore, occorre conoscere in profondità la storia di ciascun ragazzo: una storia che, inevitabilmente, cambia da soggetto a soggetto, per cui, ciò che, in un caso, potrebbe essere un bene per uno, non è detto che sia tale anche per l’altro. Per questo, a tal fine, bisogna considerare come la valutazione dell’interesse del minore non deve essere impostata soltanto su di un piano giuridico, ma deve necessariamente coinvolgere una pluralità di conoscenze e competenze, come, ad esempio, di ordine psicologico, pedagogico e sociologico91. Sul punto la Cassazione si è espressa,

osservando come l’interesse del minore «deve essere accertato e valutato con preminente decisivo riguardo alle esigenze globali, presenti e future, di formazione e arricchimento della sua personalità, nel contesto familiare e socio – economico d’appartenenza, e deve essere ancorato a fatti concreti, quali il benefico ampliamento della sfera affettiva, sociale ed economica del minore che può essere escluso soltanto dall’accertata condotta gravemente pregiudizievole del convenuto per il figlio e tale da motivare la decadenza dalla potestà sul medesimo ovvero dalla provata esistenza di gravi e fondati rischi per l’equilibrio affettivo e psicologico dello stesso, per la sua

90 A. C. Moro, Diritti del minore e nozione di interesse, in L. Fadiga (a cura di),

Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, Franco Angeli editore, Milano,

2006, pp. 160, 161. 91 Ivi, pp. 157 e 158.

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educazione e per il suo inserimento lavorativo e sociale»92. Il giudice minorile, quindi, non è chiamato solo a giudicare sulla base di mere e semplici “regole formali”, ma anche a fare una valutazione sostanziale di valore. Per quanto il criterio – guida, individuato dal legislatore, ma ancor prima dal diritto convenzionale, nel superiore interesse del minore, sia o possa essere giustamente criticabile per la sua vaghezza e indeterminatezza, ciò non giustifica una sua eventuale richiesta di espunzione dall’ordinamento giuridico. La sua intrinseca funzione di orientamento nei confronti del giudice, infatti, induce questi, assieme anche ad altre figure professionali, a riempire di contenuto tale criterio, guardando e considerando il caso specifico nella sua concretezza e singolarità. Da qui si capisce l’importanza della capacità di ascolto del giudice e di tutti gli esperti e professionisti di cui egli si avvale per comprendere, fino in fondo, quelli che sono i bisogni, i limiti e le potenzialità del fanciullo, perché è solamente sapendo ascoltare che si possono realmente captare quelle che sono le più profonde esigenze del minore. Non è un caso, infatti, che la compresenza, nell’ambito della giustizia minorile, in generale, di giudici professionali e giudici onorari ha rappresentato e rappresenta, tutt’oggi, un arricchimento e una crescita reciproca nel perseguire quello che è il superiore interesse del minore93.

3.1.2 Il diritto di ascolto come “diritto di

partecipazione”

Passando al contenuto specifico del diritto in esame, esso, secondo quanto stabilisce l’art. 3 della Convenzione di Strasburgo, può essere scomposto in ulteriori tre diritti specifici ed interdipendenti:

92 Ibidem.

93 Camillo Losanna, Il significato della giustizia per i minorenni, in «Minorigiustizia», 2009, pp. 11 e 12.

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- diritto di ricevere ogni informazione pertinente;

- diritto di essere consultato ed esprimere la propria opinione; - diritto di essere informato sulle possibili conseguenze delle

proprie opinioni o di qualsiasi altra decisione che potrebbe essere adottata.

Alla luce di questa tripartizione, il diritto all’ascolto del minore può essere inteso anche come “diritto di partecipazione”, poiché si consente al minore di partecipare, personalmente o per mezzo di altre persone od organismi, alla tutela dei propri diritti fondamentali e all’individuazione del proprio interesse. Gli adulti, dal canto loro, dovranno raccogliere e prendere in considerazione le sue opinioni, la sua volontà e i suoi desiderata94. In altri termini, con il riconoscimento di questi diritti da parte della Convenzione, i fanciulli non rappresentano più soltanto degli “spettatori” delle procedure in cui

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