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Il rapporto tra giudice e minore

Tra giudice e minore, alla luce di quanto sanciscono gli artt. 315 –

bis e 336 – bis c.c., viene a delinearsi un particolare tipo di rapporto,

per cui l’ascolto del minore, mentre costituisce per il giudice un adempimento doveroso, rappresenta per il minore un vero e proprio diritto. Stabilisce, infatti, l’art. 315 – bis c.c. che «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di

59 G. Manera, L’ascolto dei minori nelle istituzioni, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 1997, p. 1558.

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discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano». Allo stesso modo, l’art. 336 – bis c.c. stabilisce che «il minore cha abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal giudice nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano».

Vi sarebbe, poi, un’ulteriore disposizione del codice civile che richiama, in qualche modo, la regola generale posta dal combinato disposto degli artt. 315 – bis e 336 – bis c.c.: si tratta dell’art. 337 –

octies c.c., secondo cui il giudice, prima dell’emanazione dei

provvedimenti riguardo ai figli (espressamente menzionati all’art. 337 – ter c.c.), oltre a potere assumere mezzi di prova, è tenuto a disporre l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

Ora, considerando la posizione del giudice, è opportuno sottolineare come l’adempimento di tale atto processuale, poiché è certo che si tratti, ormai, di un atto processuale, costituisca per lui più un dovere che un obbligo giuridico tout court. Tra giudice e minore, infatti, non intercorre un vero e proprio rapporto obbligatorio, poiché tra i due non può dirsi, certamente, sussistere la pretesa di esigere una specifica e reciproca prestazione60. L’ascolto del minore costituisce un

momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto, le cui modalità sono rimesse alla discrezionalità del giudice stesso. Questi dovrà far sì che l’audizione stessa si svolga in modo tale da garantire l’effettivo esercizio del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione61, con la conseguenza ulteriore che, se il minore non intende sottoporsi a questo tipo di attività, ossia non intende conferire con il giudice, quest’ultimo non lo potrà di certo

60 F. Danovi, L’ascolto del minore nel processo civile, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 2014, p. 1609.

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obbligare. D’altro canto, se il minore lo richiede, certamente il giudice non potrà sottrarsi all’assolvimento di quello che abbiamo detto essere per lui un vero e proprio dovere, a meno che non reputi l’ascolto «in contrasto con l’interesse del minore stesso, o manifestamente superfluo» (artt. 336 – bis – 337 ocits c.c. – art. 6 Conv. di Strasburgo). Per cui, se, da un lato, il giudice non è, in alcun modo, tenuto a motivare specificamente le ragioni della disposta audizione, dall’altro, laddove intenda escludere il compimento di tale atto, non potrà non darne conto in motivazione62.

Infine, per completare il quadro generale di questo particolare tipo di rapporto, occorre chiarire che, per quanto l’ascolto costituisca un diritto per il minore ed un dovere per il giudice – nella prospettiva, per quest’ultimo, di cogliere e carpire quelli che sono i bisogni, le esigenze e i desideri –, ciò non significa che il giudice debba necessariamente conformare la sua decisione alla volontà e ai desiderata del minore: può e deve certamente tenerne conto, ma può anche discostarsene. Da un punto di vista negativo, infatti, l’interesse del minore non sta a significare arbitrio o capriccio dello stesso63: se il giudice riscontra che

i desiderata del minore non sono conformi al suo superiore interesse potrà benissimo non assecondarli.In quest’ultimo caso, però, si ritiene sussistente un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore. Sul punto, è il caso di ricordare un intervento della Corte di Cassazione, la quale – con la sent. 7773/2012 – ha chiarito come «le valutazioni del giudice, in quanto doverosamente orientate a realizzare l’interesse del minore, che può non coincidere con le opinioni dallo stesso manifestate, potranno in tal caso essere difformi: al riguardo si ritiene sussistente

62 Ivi, pp 62 – 63.

63 P. Stanzione, Personalità, capacità e situazioni giuridiche del minore, in «Il diritto di famiglia e delle persone», 1999, p. 267.

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un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito al minore»64.

2.3.1 Il giudice: un educatore?

Stabilire con certezza se il giudice, nell’esercizio della giurisdizione minorile, assuma il ruolo di educatore non è così semplice, né tanto meno così scontato. Chi svolge una funzione educativa, infatti, si impegna ad accompagnare e ad aiutare una certa persona nello sviluppo della propria personalità e della propria maturità. In qualità di educatore, pone in essere tutta una serie di attività, che vanno dal proporre una visione delle cose a colui che educa – con le parole, i comportamenti e le comunicazioni non verbali –, al riconoscere e valorizzare quelli che sono i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue spinte emotive, finanche a preoccuparsi di quelli che sono i suoi limiti, le sue difficoltà, le sue paure, i suoi turbamenti ecc. Ovviamente, queste appena tratteggiate, sono, in qualche modo, quelle che possiamo definire linee guida dei modelli educativi. Sarebbe riduttivo e banale ricondurre la funzione educativa solamente a questo tipo di attività. Nel mondo e nella società esiste, infatti, una vasta gamma di metodi e ideali educativi, tanto che ciascuna famiglia, in

primis, ma ciascuna formazione sociale, in generale, assume quello

che meglio si adatta alla propria conformazione, alla propria struttura, alla propria forma mentis. Comunque sia, a prescindere dal modello educativo, in concreto adottato, resta fermo il fatto che la funzione educativa assume un ruolo centrale, non solo per la formazione della personalità di ciascuno, ma anche per la società. Essa rappresenta la via maestra attraverso cui ogni generazione eredita una visione del mondo e delle cose da quella che l’ha preceduta, ma costituisce anche

64 Ibid.

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la base su cui poggia la storia di ogni essere umano e delle diverse generazioni che si susseguono65.

Ora, alla luce di questa prima riflessione, bisogna aggiungere che lo Stato non rivendica come proprio lo svolgimento di questa funzione, ma lo rimette, in primo luogo, alla responsabilità dei genitori. Essi, ai sensi dell’art. 30 Cost., in combinato disposto con l’art. 147 c.c., sono titolari del dovere e del diritto di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni66.

Tenuto conto di queste considerazioni preliminari sarebbe azzardato attribuire al giudice, in maniera netta e certa, il ruolo di educatore. Egli, nell’esercizio della funzione giurisdizionale minorile, interviene solo nel momento patologico, quando si pone l’esigenza di rimediare alle condotte irresponsabili dei genitori o quando il comportamento di un adolescente contravviene a norme penali. Di conseguenza, andando ad assumere una certa decisione, il giudice non dovrà farlo in base al proprio soggettivo paradigma educativo, ma sulla base dei valori e dei principi fondanti l’ordinamento. Inoltre, bisogna ricordare che il giudice non interviene, tanto per risolvere questioni di ordine generale, bensì per risolvere uno specifico caso concreto: interviene, cioè, per “dire il diritto” con riguardo ad una specifica situazione67. Ciò vale non soltanto per la figura del giudice togato, ma anche per il giudice onorario. Quest’ultimo, infatti, trattandosi di una figura, esperta di questioni minorili, ed essendo dotato di maggiori conoscenze e competenze in materia, non è chiamato in tribunale tanto per educare, quanto per fornire al collegio il suo prezioso contributo. In questo modo, il collegio potrà fondare le

65 F. Micela, Il mestiere di giudice e il mestiere di educatore, in «Minori e giustizia», 3/2012, p. 86 e 87.

66 Ibid.

67 Camillo Losanna, Il significato della giustizia per i minorenni, in «Minorigiustizia», 2009, p. 15.

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sue valutazioni su una visione più profonda e complessa e, quindi, assumere una decisione che risulti maggiormente adeguata e conforme al singolo caso concreto68.

Tuttavia, negare, in maniera assoluta, che il giudice, rispetto alle diverse questioni e controversie di carattere minorile, possa svolgere una funzione educativa, non è propriamente corretto. Esiste, infatti, un’occasione in cui egli è chiamato ad assumere il ruolo di educatore: ossia, il momento in cui incontra il minore, per ascoltarlo, in ambito civile, o per interrogarlo, in quello penale. In tali contesti, il giudice è chiamato ad instaurare con il minore una relazione diretta e a iniziare con lui uno o più colloqui su tematiche che risultano estremamente sensibili, non solo per il suo presente, ma anche e, soprattutto, per il suo futuro. Nell’ascolto, infatti, sono in gioco quelli che sono i desideri del minore, i suoi bisogni, le sue aspettative, le sue aspirazioni, i suoi limiti, le sue difficoltà, le sue paure, i suoi timori, ma, soprattutto, la sua relazione con i genitori: è in gioco, cioè, la sua sfera più intima e personale, per cui non può, in tale sede, il ruolo del giudice, non assumere connotati educativi propri69. Tra l’altro, il giudice, in vista di

prendere una decisione che sia il più possibile conforme al superiore interesse del minore, dovrà tenere conto del fatto che il minore stesso, trovandosi dinanzi ad una figura che risulta piuttosto autorevole, possa sentirsi suggestionato o intimorito nell’interloquire con lui e nell’esprimere la propria volontà e la propria opinione. Occorre, quindi, che il giudice, nell’ascoltare il minore, data la delicatezza e la complessità delle loro relazione, adotti e mantenga una giusta equidistanza. In altri termini, il giudice dovrà stare bene attento a come “muoversi”, a come atteggiarsi, a come relazionarsi col minore, poiché, ascoltandolo, assume un compito che è carico di soggettività e, al tempo stesso, di natura istituzionale. Il giudice, quindi, non potrà

68 Ibid.

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svolgere tale compito con la stessa libertà e la stessa naturalezza con cui un genitore educa il proprio figlio70. Incontrando il minore, per

ascoltarlo, il giudice dovrà essere capace di stare dentro e fuori quella particolare e delicata relazione, che instaura con lui, contemperando i connotati tipici del ruolo di giudice – terzietà e imparzialità – con quelli che sono, o che possiamo definire, i tratti caratteristici di una qualunque figura educatrice, ossia empatia e vicinanza71. In altri termini, compito del giudice dovrà essere, da un lato, quello di conoscere, in modo approfondito, gli atti del procedimento, dal quale, sicuramente, potrà trarre importanti elementi, che gli consentono di conoscere meglio il minore, dall’altro, dovrà stare bene attento a non fare esclusivo affidamento su di essi, dovendo cercare di mantenere uno spazio di apertura mentale ed emotivo il più ampio possibile, per poter ascoltare realmente il minore72.

Infine, occorre chiarire che il rapporto giudice – minore non va considerato unilateralmente e isolatamente. Tale rapporto va inserito in un contesto nel quale operano anche altri soggetti, che si prendono cura del minore e che svolgono, forse anche più del giudice, un importante ruolo educativo: pensiamo, ad esempio, ai genitori stessi e agli operatori dei servizi e delle comunità sociali. Per cui, come avviene nei rapporti tra famiglia e scuola o, comunque, come dovrebbe avvenire, dove entrambe sono chiamate a collaborare nell’attuare e impartire un unico, comune e coerente progetto educativo, senza confusione e delegittimazione reciproca dei ruoli, lo stesso dovrebbe avvenire anche nella giustizia minorile. Occorre, infatti, che il giudice e gli altri operatori, nonostante la differenza dei ruoli, tendano verso un unico, comune e coerente modello educativo, nella prospettiva di perseguire quello che è il superiore interesse del fanciullo.

70 Ivi, p. 89.

71 M. Persiani, L’ascolto del minore: pregi e ambiguità di una norma condivisibile

e necessaria, in «Minori e giustizia», 2006, p. 170.

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Conseguentemente, è di fondamentale importanza il confronto tra questi soggetti istituzionali, poiché gli interventi posti in essere dall’uno non devono, in alcun modo, essere contrastanti con quelli posti in essere dall’altro. Occorre un atteggiamento di seria e profonda collaborazione tra tali soggetti, i quali dovranno evitare, a tutti i costi, che il minore possa subire un grave e dannoso disorientamento derivante da continui messaggi contrastanti73.

2.4 Le conseguenze del mancato ascolto da parte del

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