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Le conseguenze psicologiche

CAPITOLO 4 IL CASO STUDIO: LA DIGA DEL VAJONT

4.5 Le conseguenze psicologiche

Desidero ora concludere la mia analisi su Longarone concentrandomi sulle conseguenze psicologiche che subì la popolazione. La tragedia del Vajont sconvolse i superstiti longaronesi fin dai primi istanti con la sua carica di devastazione e morte che ne aveva determinato la sua traumaticità. I traumi sono delle catastrofi interne che vanno a scombinare il mondo dei significati e la capacità di produrre quei significati rispetto alle emozioni, al corpo e al rapporto tra sé e la realtà (A. Favaro & C. Zaetta in Reberschak & Mattozzi, 2009). Nel 2011 venne pubblicato uno studio condotto dai professori Angela Favaro, Cristina Zaetta e Paolo Santonastaso dell’Università di Padova, con il quale si cercò di analizzare le conseguenze psicologiche a lungo termine del disastro del Vajont. Gli autori dell’indagine hanno lavorato con un campione di superstiti di 90 persone, contattate in due momenti: 39 durante la prima ricerca e 60 (di cui 9 già intervistati prima) durante la seconda64. Le esperienze traumatiche in comune erano: essere stati esposti al disastro, la perdita dei parenti di primo grado e una perdita economica molto grave. I sintomi che gli intervistati lamentavano includevano: ricordi spiacevoli ed intrusivi nell’evento, flashback, difficoltà o tendenza ad evitare a parlare dell’accaduto e disturbi del sonno (Vastano, 2006).

Dopo essere stati travolti dallo spostamento dell’aria e poi dall’onda distruttrice, molti superstiti ricordavano di essersi svegliati completamente sepolti dal fango, confusi e faticando a respirare:

“Mi sono svegliata completamente sepolta e con le mani ho cercato di liberarmi la testa perché non respiravo, poi mi sono liberata anche le braccia fino al petto […] sentivo un gran rumore d’acqua ed un odore di nafta, mi toccavo il viso e lo sentivo gonfio […] pensavo fosse tutto un sogno e cercavo l’interruttore della luce, ma prendevo in mani solo sassi […] mi sono detta che era un sogno e che dovevo

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Il primo progetto di ricerca venne attuato nel 1999, il secondo invece è stato realizzato dalla “Fondazione Vajont 9 ottobre 1963” e si è svolta tra aprile 2005 e ottobre 2007 (A. Favaro et al, 2011). Le registrazioni integrali delle interviste sono conservate presso il Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Padova

111 dormire, così ho appoggiato la testa sulla ghiaia, perché così facendo mi sarei ritrovata nel mio letto” (A. Favaro & C. Zaetta in Reberschak & Mattozzi, 2009, p. 298).

Altri superstiti invece avevano subito diverse ferite superficiali e profonde, contusioni, escoriazioni, ematomi e fratture:

“Avevo ferite su tutto il corpo, ho perso tutti i denti, mi mancava la carne sotto il mento ed ero piena di sabbia […]”

“Ricordo una donna ferita incinta completamente sventrata ed una signora anziana nuda che si strappava i capelli bianchi.”

“Mentre correvo ho incontrato mia cugina insanguinata con una ferita profonda sul collo, che mi ha chiesto di cercare mia zia. Appena l’ho vista non ho avuto il coraggio di avvicinarmi perché era gonfia, blu e con la testa aperta.”

Fonte: Testimonianze raccolte da A. Favaro & C. Zaetta in Reberschak & Mattozzi, 2009, pp. 298 e 299

I sopravvissuti all’onda causata dalla frana si ritrovarono in stato di shock: storditi, confusi e senza sapere dove andare, perché tutto intorno a loro era una distesa di ghiaia e morte. Solo all’alba del mattino seguente era stato possibile rendersi conto di ciò che era successo: la diga era ancora in piedi, ma Longarone non esisteva più. Nei giorni e mesi successivi, con l’aiuto dei soccorsi, si cercò di trovare e riconoscere i cadaveri, ma non fu sempre possibile e questo alimentò la disperazione e la follia tra i superstiti. La perdita dei propri cari e degli affetti si intrecciò in seguito con le vicende processuali e le opere di ricostruzione facendo solamente crescere ulteriormente il dolore. Ma i superstiti non erano i soli a vedere la morte: vigili del fuoco, volontari e militari hanno visto le condizioni dei sopravvissuti, i resti umani e i cadaveri. Alcune persone possono adattarsi a quanto gli è accaduto, ma non significa che il trauma sia passato; altre invece rimangono intrappolate nel trauma e subiscono variazioni a livello piscologico, biologico e sociale. In entrambe le ricerche, solo una minoranza sviluppò un disturbo da stress post-traumatico

112 (PTSD)65. Secondo la prima ricerca, l’8% dei superstiti intervistati soffriva di depressione, mentre il 22% ne aveva sofferto, confermando che lo stato depressivo è il disturbo post-traumatico più frequente. I soggetti che furono ritrovati sotto le macerie, di sesso femminile e che avevano perso i loro averi e persone a loro care, sono stati più vulnerabili a conseguenze da stress post-traumatico, le quali sono comparabili con i sopravvissuti a traumi come lo stupro o la deportazione nazista (A. Favaro & C. Zaetta in Reberschak & Mattozzi, 2009). Nel caso del Vajont va tenuto presente che le donne avevano assistito a poche scene di morte o di riconoscimento dei cadaveri, ma avevano frequentemente subito danni fisici permanenti, e questo fattore, insieme alla maggiore vulnerabilità del sesso, ha creato la nascita di PTSD. Con la seconda ricerca (A. Favaro et al., 2011), si è potuto anche constatare che i sopravvissuti al disastro del Vajont hanno riportato un numero maggiore di malattie gastrointestinali, problemi dermatologici, malattie respiratorie e vari problemi neurologici, reumatologici e oftalmologici. Vastano (2006) ipotizzò, tra le cause di origine dei tumori, il dolore delle perdite subite, ma anche le soluzioni disinfettanti erogate quotidianamente per disinfettare l’area disastrata (in particolare a Fortogna e lungo il greto del Piave). Inoltre, nei mesi successivi, molte mosche e larve infestarono i campi di inumazione e, per rispondere alle preoccupazioni degli abitanti, si dovettero utilizzare altri disinfettanti.

I sopravvissuti al Vajont avevano sviluppato una nuova identità: per anni non erano stati capiti e nemmeno ascoltati dal resto del mondo, e c’era chi, inizialmente, affermava che il disastro del Vajont fosse stato un disastro naturale, negando gli errori compiuti dalla SADE. Si era quindi creato un nuovo senso d’identità, incentrato sull’esperienza traumatica di una tragedia: per alcuni, le vicende accadute potevano anche essere dimenticate, ma per altri, la storia del Vajont rimane un pensiero fisso anche ai giorni nostri.

“Il Vajont è come un marchio indelebile, perché ti ha sradicato di tutto…ha lasciato il segno a tutti […]; non dimentichi mai, ho sempre in un angolo del cervello come un chiodo che batte.”

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E’ una patologia che può svilupparsi in persone che hanno subìto o hanno assistito a un evento traumatico, catastrofico o violento, oppure che sono venute a conoscenza di un’esperienza traumatica accaduta a una persona cara (Istitutobeck.com, 2017)

113 Fonte: Testimonianza raccolta da A. Favaro & C. Zaetta in Reberschak & Mattozzi, 2009, p. 313.