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Il Vajont dopo il disastro: Erto e Casso

CAPITOLO 4 IL CASO STUDIO: LA DIGA DEL VAJONT

4.3 Il Vajont dopo il disastro: Erto e Casso

La diaspora degli ertocassani iniziò il giorno dopo il disastro, il 10 ottobre 1963. La valle del Vajont non era più una zona sicura e vi era la necessità di evacuare Erto e Casso. L’11 ottobre venne emesso l’ordine di sgombero totale e gli ertocassani si ritrovarono spinti fuori dalle loro case, costretti a recarsi da parenti o amici, o verso Cimolais, Pordenone, Udine o Belluno.

La mattina dopo il disastro, soprattutto la stampa italiana di sinistra, si mobilitò per far conoscere la storia del Vajont, riprendendo gli articoli de “l’Unità”. Anche la stampa straniera, tra cui il “New York Times” e “Le Monde” raccontarono le paure, le lotte, le proteste e la rabbia della popolazione. Mentre la stampa italiana, principalmente di destra e anticomunista, minimizzò i danni compiuti dalla SADE - ENEL. La Democrazia Cristiana pubblicò infatti un manifesto con il titolo “Sciacalli”(Merlin, 2003), e che diceva:

“Sulla sciagura del Vajont il Partito comunista ha imbastito una spregevole speculazione politica […] I COMUNISTI INVIANO “AGIT-PROP55” PER

ATTIZZARE SOTTO LE MACERIE IL FUOCO DELL’ODIO E DELLA SOVVERSIONE. ADDITIAMO AL DISPREZZO DEL PAESE GLI SCIACALLI COMUNISTI” (Dal Farra, 2003).

E il giornalista Indro Montanelli sulla “Domenica del Corriere” scrisse: “Quella di Longarone è una tragedia spaventosa […] Se certe reazioni sbagliate venissero dai poveri sopravvissuti che nella catastrofe hanno perso tutta la loro famiglia, non dico che le approverei, ma le comprenderei e giustificherei. Ma qui vengono invece dagli sciacalli che il partito comunista ha sguinzagliato, dai mestatori, dai fomentatori di odio. E sono costoro che additiamo al disgusto, all’abominio e al disprezzo di tutti i galantuomini italiani” (Merlin, 2003, p.168).

L’inverno del ‘63 fu veramente difficile per gli sfollati. Essi abitavano a Cimolais o a Claut, in prefabbricati, colonie o case private, ricevevano un sussidio dallo Stato e stanziamenti e contributi da enti locali o associazioni. Coloro che iniziavano a lavorare, perdevano immediatamente il sussidio e i contributi. Gli ertocassani erano diventati dipendenti dallo Stato ed erano una comunità sradicata dal loro paese di

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103 origine. Per una popolazione di assidui lavoratori di campi come loro, vedersi sottrarre ancora una volta le proprie terre rappresentava un duro colpo al loro orgoglio. Ma lo Stato gli aveva imposto ozio a pagamento e gli ertani non avrebbero rinunciato a uno stipendio gratis per dimostrare di saper faticare (Corona, 2006). La convivenza forzata però non portò a conseguenze positive. Vedere gli ertani non lavorare e passare da un’osteria all’altra, alimentò infatti l’astio da parte della popolazione di Cimolais e Claut. Ma gli ertocassani non si arresero. Aver perso le loro case, in cui erano cresciuti, significava accelerare quel processo, che si era già cominciato a verificare, di abbandono delle montagne. Dopo il 9 ottobre e lo sgombero dei paesi, il bestiame venne messo all’asta, i campi rimasti vennero abbandonati e Erto venne isolata, vietandone l’ingresso. Inoltre, per scoraggiare il rientro abusivo, fu bloccata l’erogazione dell’energia elettrica e dell’acqua (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009). A causa delle drastiche misure adottate, vi fu una forte divisione interna della comunità: alcuni accettarono l’allontanamento definitivo dal paese e speravano nelle promesse di insediamento in un nuovo territorio, mentre altri reclamavano il diritto di poter tornare nel proprio paese e di ottenere lo svuotamento del lago, così da poter scongiurare la caduta di altre frane.

Nel febbraio del 1964 venne fatto costruire un muro a Cimolais, presso il passo Sant’ Osvaldo, chiamato poi “muro della vergogna” per proteggere i paesi circostanti in caso di esondazione (il bacino della diga non era ancora stato svuotato), ma in realtà si trattava di impedire il rientro degli ertani nelle loro case (Comin, 2013). E’ da ricordare inoltre, che la gente non aveva avuto nemmeno la possibilità di recuperare le salme che si trovavano o in fondo al lago o sotto la frana.

I provvedimenti presi, non riuscirono a fermare alcune famiglie, che tornarono a Erto abusivamente. C’erano cartelli che vietavano l’accesso, ma era come se non esistessero. Di giorno si cercavano i corpi, dissotterrandoli dalla frana, di sera ci si ritrovava per discutere, illuminati dalle tenue fiamme delle candele (Merlin, 2003). Il 9 ottobre 1964 gli ertocassani si ritrovarono tra le stradine di Erto per commemorare la tragedia avvenuta un anno prima. L’ENEL ridà loro la luce per l’evento e da quel momento gli ertani lottarono per mantenerla.

Nei mesi che seguirono il disastro, gli ertani, profughi (a Cimolais e Claut) o clandestini (a Erto), vivevano ancora grazie al sussidio statale e non sapevano cosa il destino gli avrebbe riservato. La legge aveva previsto dei contributi per coloro che possedevano una licenza commerciale (barbieri, venditori, tabaccai,…), ma gli ertani

104 non provavano più alcuna fiducia nel governo e decisero di vendere le loro licenze a basso prezzo. Come successe a Longarone, nessuno aveva spiegato loro che la vecchia attività poteva essere ricostruita anche in altri Comuni, poteva addirittura diventare un’attività diversa da quella originaria e venire ammessa ai contributi della legge Vajont (Corriere delle Alpi, 2013). Con i soldi “rubati” agli ertani, vennero costruiti stabilimenti turistici e condomini e quindi molte promesse non furono mai mantenute56.

Nel referendum del 1965, gli abitanti di Erto e Casso vennero chiamati per scegliere fra tre alternative: rimanere a Erto57, trasferirsi in un nuovo paese vicino a Maniago e che verrà chiamato “Vajont”, o trasferirsi in quella che verrà chiamata “Nuova Erto”, frazione di Ponte delle Alpi (Vastano, 2006). Questo provocò un’altra scissione tra gli ertocassani, che si divisero in tre gruppi. Coloro che scelsero di tornare a Erto, e coloro che decisero di trasferirsi a Vajont o Nuova Erto e vedevano la speranza di ricominciare una nuova vita, non più da contadini, ma da operai in una nuova area industriale. Nel 1971 il Consiglio deliberò la scissione amministrativa fra il comune di Erto e Casso e il nuovo paese di Vajont, che verrà poi riconosciuto come comune autonomo. Nel frattempo, a Erto, il piano di insediamento non veniva ancora affrontato, tuttavia, il lago venne fatto svuotare. Per coloro che scelsero di rimanere a Erto, gli altri compaesani erano malvisti, in quanto avevano rinnegato il luogo dove erano nati e cresciuti (Corona, 2006).

Oggi chi si ferma a Erto può passeggiare tra il vecchio e il nuovo paese, quest’ultimo si trova a qualche centinaio di metri di distanza. Nella “vecchia” Erto sono rimaste molte case, perlopiù disabitante o con il cartello “vendesi”, oppure “affittasi”, una chiesa, il cimitero e il Centro Visite di Erto e Casso, che accoglie i turisti che desiderano conoscere la storia della tragedia. Nella parte nuova invece sorgono le case nuove, quasi tutte simili tra loro, insieme a qualche ristorante.

Solo 37 anni dopo, il comune di Erto e Casso riesce ad ottenere un indennizzo di 6.109.685 euro58.

Al momento del disastro la popolazione di Erto e Casso contava 193159 abitanti (Istat.it), dopo il censimento del 2001 contava 426 residenti, dopo quello del 2011,

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Questo argomento verrà chiarito meglio nel paragrafo successivo, quando si tratterà della ricostruzione di Longarone

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Erto verrà poi trasferita a quota 830 metri, sopra il vecchio paese e in località Sortan, per garantire una maggior sicurezza

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387; e nel 2018 i residenti erano 37260. Ma il calo demografico non è stato solo causato dalla scissione della comunità ertocassana alla fine degli anni ’60, ma continua fino ai giorni nostri a causa dell’abbandono delle montagne.