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Il Vajont dopo il disastro: la ricostruzione di Longarone

CAPITOLO 4 IL CASO STUDIO: LA DIGA DEL VAJONT

4.4 Il Vajont dopo il disastro: la ricostruzione di Longarone

Se il processo di insediamento ad Erto e Casso e nelle nuove città promesse61 fu lento e caotico, a Longarone si cominciò a parlare già subito dopo la catastrofe di ricostruzione. All’alba della mattino dopo la tragedia, quel che rimase di Longarone era una distesa di ghiaia, come si può vedere nell’immagine 22. Le conseguenze della frana furono disastrose e i paesi più colpiti furono Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova e Faè. Nel capoluogo, “le perdite toccarono l’80 per cento dei presenti” (I. Mattozzi in Reberschak, 2003, p. 59). L’onda aveva spazzato via non solo le case, ma l’intera comunità e l’ambiente storico-culturale. Non vi erano più punti di riferimento, né dal punto di vista familiare, né dal punto di vista ambientale e geografico. Su un deserto di ghiaia bianco e polveroso, i sopravvissuti giravano attoniti cercando i loro cari.

Immagine 22 Longarone dopo il 9 ottobre 1963

Fonte: http://www.vajont.info/setaf-1963.html

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Dato ricavato da link:

ebiblio.istat.it/digibib/Censimenti%20popolazione/censpop1961/IST0005304Vol3_Fascicoli_provinci ali/IST0005401_fasc_30_UDINE+OCRottimizz.pdf

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Dati ISTAT “Popolazione Erto e Casso 2001-2018” (https://www.tuttitalia.it/friuli-venezia- giulia/43-erto-casso/statistiche/popolazione-andamento-demografico/)

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106 Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giovanni Leone, si recò personalmente a Longarone dopo il disastro. Accolto da una popolazione furiosa e vedendo la città diventata una distesa di ghiaia, promise al sindaco Terenzio Arduini e ai sopravvissuti, che giustizia sarebbe stata fatta (Merlin, 2003). Ancora una volta però le parole di un politico divennero fumo. Giovanni Leoni infatti, divenne, poco tempo dopo, avvocato della SADE-ENEL e riuscì a ottenere il mancato risarcimento di molti dei parenti delle vittime (Baratta, 2013).

Nel 1961 il Comune di Longarone aveva 4000 abitanti62, di cui circa 1450 morirono a causa del disastro (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009). La nuova Longarone si è ripopolata con gente diversa da quella di prima: molti “foresti” migrarono a Longarone perché la città dava molte opportunità e il paese conobbe un inizio di rinascita (ibidem). Il problema fondamentale, oltre la ricostruzione urbana del paese, era però la ricostruzione sociale. I superstiti avevano le loro radici nel ricordo e faranno fatica a riconoscersi nelle nuove strade.

Dal punto di vista economico, ricostruire una città in una landa deserta è veramente un’impresa, ma i problemi che si dovettero affrontare negli ultimi mesi del ‘63 erano anche molti altri. Si doveva dare alloggio alle famiglie senzatetto e agli orfani in attesa della costruzione dei prefabbricati, cercare di avviarsi di nuovo al lavoro e assicurare dei sussidi in attesa del risarcimento danni. Era necessario inoltre tenere in considerazione che, nonostante la tempestività dei soccorsi, i sopravvissuti avevano subito dei danni fisici e soprattutto piscologici non indifferenti. Inoltre, i superstiti avevano completamente perso la loro fiducia nelle istituzioni e nel governo.

Ma Longarone fu colpita da una notizia che scosse gli animi dei superstiti: per motivi di sicurezza, Longarone doveva essere abbandonata. Il paese si sarebbe ricostruito tra Ponte nelle Alpi e Belluno. I longaronesi e il loro sindaco, Terenzio Arduini, rimasero increduli di fronte a tale scelta. Tale decisione portò a nuove manifestazioni e proteste, che culminarono con i blocchi stradali del 31 dicembre 1963. Con l’opposizione e il malcontento, i longaronesi riuscirono ad ottenere un piano di ricostruzione di Longarone ed a ottenere degli aiuti finanziari. Ma la popolazione di Longarone esigeva prima di tutto il risarcimento dei danni subiti e dei posti di lavoro, ma non fu così. La legge n.35763 del 4 novembre 1963 e poi integrata nel ’64, non

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Dal censimento del 2018, oggi il comune di Longarone conta 5201 residenti (ISTAT, 2018)

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Si veda: LEGGE 31 maggio 1964, n. 357 al link: https://www.normattiva.it/uri- res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1964-05-31;357

107 promulgava però il semplice risarcimento dei danni a favore della popolazione, bensì quella di una trasformazione economica ed industriale della provincia di Belluno. Perciò si cominciarono a ricostruire le opere pubbliche, le strade, le fognature e la linea ferroviaria della città. La crescita industriale di Longarone non avvenne quindi in modo uniforme: alcune aree vennero infatti privilegiate rispetto ad altre, come ad esempio la valle dei Piave, che risultava essere più appetibile rispetto ai paesi circostanti di San Martino, Fortogna, Villanova-Faè (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009).

Come a Erto, anche a Longarone si aprì un vero e proprio mercato delle licenze (Merlin, 2003). La legge 357 “prevede per ogni sinistrato che possiede una licenza commerciale, artigianale o industriale in esercizio prima del disastro, un contributo del 20% a fondo perduto per ricostruire l’azienda distrutta e un mutuo dell’80% al tasso agevolato del 3%, della durata di 15 anni, in più l’esenzione delle tasse per 10 anni. Per chi non può o non vuole ricostruire l’attività precedente, la legge offriva la possibilità di vendere ad altri la licenza, purché ristabilisca le precedenti attività entro i comprensori” (Merlin, 2003, p.162). Purtroppo però, la legge non portò alla tanto richiesta giustizia. La legge stabiliva infatti che: 1) chi non voleva o non poteva riprendere l’attività (magari vedove o anziani con nipoti a carico) aveva diritto a venderla ad altri e che questi potevano beneficiare degli stessi diritti dei proprietari originari della licenza; 2) le attività si potevano avviare anche fuori dalle aree colpite dall'onda, praticamente in tutto il Triveneto; 3) dopo un primo finanziamento se ne potevano richiedere altri (Vastano, 2018). Avvocati e commercialisti si precipitarono dai superstiti, ancora sotto shock, per fare raccolta di licenze. Era semplice chiedere a una vedova cosa se ne potesse fare lei della licenza di meccanico del suo defunto marito. E così “i furbi” approfittarono “dell’ignoranza” e dello stato di debolezza dei superstiti per comprare, a pochi soldi, quelle licenze, che gli avrebbero poi consentito di arricchirsi. La legge diede quindi origine, sia a Erto, che a Longarone, una vera e propria “ondata di speculazioni che trasformò i sopravvissuti ed i parenti delle vittime della strage in nuove vittime degli “affari” che ne derivarono” (Leoni, 2004, p.84).

Nel 1964 si susseguirono diverse proteste, che causarono altre profonde lacerazioni nella comunità di Longarone. Il sindaco Arduini cercò di far valere le esigenze dei cittadini superstiti, approvando un piano regolatore per la ricostruzione, purché il Ministero tenesse conto dei bisogni della popolazione. Tuttavia, molti superstiti

108 rifiutarono il piano, che consideravano “del tutto avulso alla tradizione e della storia locale oltre che inserito in un vasto comprensorio” (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009). Dopo ben 2 anni di tumulti e di ritardi dei contributi, venne approvato un piano regolatore tenendo conto delle esigenze dei cittadini. Tuttavia, lo schema edilizio presupponeva un centro allargato che includeva anche gli altri paesi distrutti. Perciò, molti enti pubblici iniziarono a costruire a seconda delle loro preferenze e le singole costruzioni assunsero aspetti sempre più diversi tra di loro. Nel 1968 la maggior parte degli edifici pubblici di Longarone erano stati ricostruiti. Molte delle costruzione fatte in questo periodo erano però fatte “a credito”, perché i contributi arrivavano sempre dopo che la costruzione era stata completata, senza contare che le banche ne approfittavano per ottenere degli interessi.

Un’ulteriore spaccatura tra i longaronesi si ebbe però nel 1967, quando molti superstiti accettarono la “transazione” che l’ENEL offriva per risarcire le vittime (www.vajont.info). L’ENEL mise a disposizione 10 miliardi di lire per coloro che avevano diritto al risarcimento, purché questi rinunciassero a costituire parte civile nel processo dell’Aquila. Il processo di primo grado stava infatti per giungere alla fine, ma se i superstiti si erano ritrovati inizialmente in un dolore comune, si erano poi susseguite troppe polemiche e divisioni tra i longaronesi per essere ancora uniti. Stupore, amarezza e sdegno contribuivano a tenere acceso il dolore dopo la sentenza di primo grado che dichiarava l’imprevedibilità dell’evento. Lo sdegno della popolazione portò a nuove proteste, che trovarono finalmente giustizia nella sentenza della Corte di Cassazione del 1971. Cause pensali e civili tenevano però aperte le ferite dei sopravvissuti mentre, nel frattempo, Longarone cominciava a conoscere il suo nuovo aspetto grazie alla sua lenta ricostruzione.

La crisi petrolifera e l’aumento del costo dell’energia degli anni Settanta (Lepratti, 2013) e la successiva crisi economica degli anni Ottanta, colpirono anche l’Italia, ma il complesso industriale e manifatturiero di Longarone riuscì a superare i periodi di crisi grazie alle agevolazioni che stava ottenendo e grazie al fatto che, le aziende che erano andate a svilupparsi nel territorio, erano di dimensioni medie. Settori di spicco erano quello manifatturiero, tessile e di lavorazione del legno.

Nel 1998, la ricostruzione di Longarone poteva dichiararsi conclusa ma, come tutte le città, ora doveva affrontare i problemi dell’inquinamento dell’aria e acustico, della viabilità e dello smaltimento dei rifiuti (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009).

109 Longarone, celebre città del gelato e città di transito, è oggi conosciuta come una destinazione per compiere affari e visitare fiere. Ma non mancano i turisti che, oltre ad essere attratti da Longarone per la tradizionale “Mostra Internazionale del Gelato Artigianale”, si fermano a visitare i luoghi per ricordare la tragedia del Vajont (come ad esempio il “Museo Longarone Vajont: Attimi di Storia” e il cimitero monumentale di Fortogna). Longarone è quindi conosciuta anche per un turismo culturale, oltre che enogastronomico, montano e fieristico, mantenendo il ruolo che ha sempre avuto di “luogo di passaggio”.

Oltre alla ricostruzione politica ed economica, Longarone dovette affrontare una ricostruzione sociale. Come già spiegato precedentemente, spesso i bisogni primari dei cittadini venivano messi in secondo piano. Insieme a questa ingiustizia, si sovrapposero malumori, rancori e polemiche contro l’amministrazione e il governo, ma anche tra i superstiti stessi. Oggetti di discussione e conflitti erano: i criteri di distribuzione degli aiuti, il mercato delle licenze, la determinazione dell’entità degli indennizzi, la ricostruzione urbanistica, le offerte di transazione e i risarcimenti dell’ENEL. Tutto ciò diede origine a nuove ingiustizie e speculazioni che si continueranno ad alimentare negli anni seguenti. La comunità longaronese perse l’identità e l’unione e così non fu in grado di aprire un dialogo con i “foresti”, provenienti da Belluno e altre città del Veneto. Solo tra gli anni Settanta-Ottanta e grazie all’intervento della parrocchia, delle associazioni giovanili e delle amministrazioni comunali, la comunità del passato cominciò ad integrarsi gradualmente a quella del presente.

Non bisogna tralasciare anche il fatto che, mentre gli adulti vagavano ancora tra le macerie ed erano costantemente impegnati nella ricostruzione, i bambini erano lasciati soli, perché nessuno aveva tempo di occuparsi di loro e nemmeno di parlarci assieme (L. Palla in Reberschak & Mattozzi, 2009). Le nuove generazioni crescevano in un clima di ingiustizie, dolore e risentimento, trovando rapporti di amicizia e solidarietà solamente quando si radunavano negli spazi ricostruiti della parrocchia per giocare.

Nonostante siano passati quasi sessant’anni dal disastro del Vajont, i conti con il passato non sono ancora stati chiusi del tutto. Ci sono ancora persone che ripensano con rancore a come quei pochi minuti abbiano distrutto una vita costruita con anni e anni di fatica. Dopo il disastro ci fu chi ebbe più sfortuna di altri, chi ottenne un ingiusto risarcimento e chi fu abbandonato a se stesso e sentiva che la propria vita si

110 era fermata alle 22.39 del 9 ottobre 1963. Solo trent’anni dopo, dopo che il racconto teatrale di Marco Paolini verrò trasmesso in diretta televisiva, i superstiti riusciranno a trovare un po’ di liberazione e sfogo a tutto il dolore provato in questi anni.