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5. ANALISI DEI RISULTATI

5.7. Considerazione sui dati raccolti

Nell’indagine sono emersi prevalentemente cinque elementi critici: - Tensioni in équipe

- Scarsa organizzazione del lavoro - Carico di lavoro elevato

- Routine

- Stress e stanchezza

All’interno di questo capitolo sono presentate delle considerazioni e proposte delle strategie possibili per affrontare ognuno degli elementi critici rilevati.

L’indagine, ha permesso di rilevare delle analogie tra la realtà dei Laboratori protetti del CARL e quanto descritto da Di Lernia62 , questo è il motivo che mi ha spinto a selezionare le azioni che, secondo me, potrebbero essere maggiormente pertinenti alle condizioni contestuali del CARL. Le azioni proposte sono il risultato dal confronto della valutazione delle strategie proposte agli educatori del CARL e i provvedimenti proposti da Di Lernia63. È doveroso chiarire che pur essendo presentate singolarmente, è impossibile scinderle tra loro nella pratica quotidiana.

- Tensioni in équipe

Dalla ricerca è emerso più volte la difficoltà comportata dalla collaborazione in équipe. Cooperare e condividere non è sempre facile. Tale aspetto può essere ulteriormente complesso in équipe multi professionali, poiché ogni professione pone l’operatore in una specifica prospettiva di fronte alle situazioni, e queste non sempre sono condivise, talvolta sono persino incompatibili. “A volte mi capita di sentirmi sola nel ruolo educativo visto che i diretti colleghi sono artigiani, giovani, assunti anche loro da poco tempo e con mancata esperienza e formazione in campo educativo.”64.

Le tensioni possono essere generate da differenze di valori, idee, visioni, obiettivi, nella percezione dei ruoli, da modalità organizzative o da come i diversi ruoli agiscono nel quotidiano, e infine anche da disturbi sul piano delle relazioni65. Al fine di arginare tale aspetto penso sia opportuno riflettere per rendere gli aspetti elencati pocanzi il più chiari e condivisi all’interno dell’équipe , rispettare il proprio e altrui ruolo e assumersi le responsabilità da esso comportate. Inoltre ricordarsi di adottare una comunicazione professionale66, poiché se l’operatore non cura le relazioni, oltre a perdere l’opportunità di                                                                                                                

62 DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, pp. 202-214

63  Ibidem, pp. 202-214  

64 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, Intervistato 6, domanda 9, pag.4   65 Ibidem, slides 4-7

66 Adottare una comunicazione professionale significa possedere una modalità comunicativa efficace, consapevole e finalizzata al raggiungimento dei determinati obiettivi professionali (vedi allegato 3).

creare un punto di vista maggiormente ricco e globale, può correre il rischio di creare incomprensioni e malcontenti.

Di Lernia menziona la parola chiave relazione67, questo punto prevede una cura particolare nell’instaurare e mantenere delle relazioni focalizzate al rispetto reciproco, all’ascolto di problemi e difficoltà; come pure alla valorizzazione di idee di miglioramento organizzativo.

L’aspetto relazionale deve essere curato prima del momento di crisi, è solo così che nel momento di crisi si rileva uno strumento efficace. Prendendo come esempio una delle strategie più frequentemente utilizzata dagli educatori per recuperare la motivazione persa, ossia la condivisione delle difficoltà in équipe e con i superiori. Difficilmente si procederà condividendo le proprie difficoltà con l’équipe, se non si è instaurata una relazione professionale e di fiducia. È importante poiché “… è fondamentale riconoscere il proprio malessere e parlarne, perché questo permette di fare ordine al disordine d’idee e pensieri che scorrono come un fiume in piena creando danni.”68. È importante non isolarsi, piuttosto denunciare il disagio nei giusti contesti, chiedere aiuto e condividere le problematiche, promuovendo una discussione critica e oggettiva, dando sempre un’impronta professionale al contenuto69.

Potrebbe essere compito dell’Organizzazione proporre dei momenti di scambio, in cui le persone possano esprimersi e affrontare delle problematiche o delle tematiche con un contenuto emotivo importante. Proporre degli incontri di questo tipo anche nel caso non vi sia in corso un fenomeno di demotivazione, potrebbe porre gli operatori a riflettere e sull’argomento e sui provvedimenti da prendere nel caso si verifichi; questo aiuterebbe gli educatori a essere preparati a fronteggiare il fenomeno in quanto non completamente nuovo.

Inoltre, secondo la disponibilità, programmare dei momenti al di fuori del contesto lavorativo in cui si dedicata del tempo alla cura della relazione, ad ampliare la conoscenza reciproca al di fuori del lavoro e in cui è possibile procedere con attività mirate all’elaborazione di valori comuni e condivisi.

- Scarsa organizzazione di lavoro

L’aspetto della disorganizzazione lavorativa è fonte di molte frustrazioni, l’incidenza di tale aspetto è equivalente a quella delle tensioni in équipe. Penso che i due aspetti si suggestionino costantemente e reciprocamente: le tensioni in équipe ostacolano la comunicazione fra i membri rendendo difficile l’organizzazione del lavoro e una disorganizzazione genera tensioni all’interno dell’équipe.

                                                                                                               

67  DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, p.204  

68 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 14, Intervistato 7, pag. 9 69 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 14, Intervistato 2, pag. 8

Il tutto incide negativamente sulla comunicazione efficace (come visto pocanzi si potrebbe tradurre in tensioni in équipe). Nel caso delle strategie maggiormente utilizzate dagli educatori emergono proporre all’équipe un bilancio della situazione e un

ridimensionamento degli obiettivi, credo che sia adeguata in quanto può aiutare a

svolgere una prima analisi che permetterà in seguito di strutturare adeguatamente il lavoro. Rispetto a tale criticità, Di Lernia70 utilizza la parola chiave visibilità71, nell’intento di rendere visibili sia all’interno sia all’esterno della propria organizzazione gli specifici contenuti del lavoro, esplicitando gli obiettivi, chiarendo gli sviluppi e analizzando i

punti di forza e debolezza. Nell’articolo Di Lernia si sofferma sull’importanza della

struttura degli obiettivi, proponendo la parola chiave obiettivi72, per risaltare l’importanza

di definire degli obiettivi chiari e definiti, non generici bensì misurabili attraverso degli indicatori. Inoltre, sviluppare dei progetti che prevedano una valutazione in itinere, così nel momento di smarrimento si hanno a disposizione dei punti fermi a cui

riferirsi per orientare il proprio agire professionale. In caso di disorganizzazione, per creare ulteriore chiarezza sarebbe interessante elaborare una tabella riassuntiva dei

diversi compiti da svolgere e chi ha la responsabilità di portare a termine le diverse

mansioni. Questo strumento potrebbe rilevarsi utile anche per permettere agli operatori appena arrivati di essere operativi in breve tempo (ovviando così anche alla criticità di un carico di lavoro elevato).

- Carico di lavoro elevato

La situazione può diventare davvero pesante da sostenere se ai primi due elementi appena descritti, si somma un carico di lavoro elevato. “La mole di lavoro a volte non ci lascia spazio per chiarirci, pertanto spesso mi sento incompresa.”73.

Dall’indagine ho potuto costatare che il carico di lavoro elevato è un elemento molto presente tra le difficoltà degli operatori sociali. La scarsità del tempo, delle risorse umane, la complessità dei casi, il carico emotivo e tutta una serie di elementi pregnanti delle professioni di aiuto rendono il lavoro molto impegnativo e la percezione del carico di lavoro eccessivo. La percezione del carico di lavoro elevato potrebbe essere la conseguenza di una disorganizzazione del lavoro oppure considerata la causa delle tensioni in équipe. Di Lernia74 propone come parola chiave la partecipazione75 per indicare l’ empowerment (altra parola chiave proposta da Di Lernia, al fine di aiutare a esprimere le potenzialità), degli operatore, dunque prediligere la loro partecipazione e permettendogli di proporre nuove iniziative e di coordinarne l’attuazione; sostenendoli e promuovendone l’autonomia                                                                                                                

70  DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, pag. 204  

71  Ibidem, p.207   72 Ibidem, p. 213  

73 Allegato 1, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, Intervistato 6, domanda 9, pag.4   74  DI LERNIA E., op. cit.  

e l’autodeterminazione (capacità di fare delle scelte funzionali al raggiungimento dei

propri obiettivi)76. Penso che questi possano essere tutti degli accorgimento per marginare il disagio provato. Di fronte a un carico di lavoro molto elevato “Sentirsi artefici delle proprie azioni e di scegliere liberamente il tipo di compito e la sua modalità di svolgimento”77 può essere un provvedimento che aiuta la persona a risentire meno del peso del carico lavorativo e mantiene o accresce la motivazione per il compito.

Questo anche secondo il Modello domanda- controllo di Karasek78 che sostiene che finché c’è un equilibrio tra domanda e controllo (anche nel caso in cui la domanda è grande, se vi corrisponde un grande controllo) è possibile mantenere una situazione di

benessere psicosociale79. Inoltre, penso sia opportuno considerare il Modello di Siegrist80 che si basa sul binomio tra sforzo e riconoscimento, secondo cui esiste una sorta di equilibrio se ad un carico lavorativo che richiede molto impegno e sforzi elevati corrisponde una ricompensa proporzionale81 (in termini di salario, stima, promozione), come sostiene Dejours82 “il riconoscimento per il lavoro svolto è fondamentale per sopportare anche la fatica e la sofferenza che il lavoro può generare, se c’è un riconoscimento le persone possono accettare più facilmente gli sforzi, le eventuali angosce e i dubbi che il lavoro genera”83.

Dal momento che il contesto di riferimento della ricerca sono dei laboratori protetti, potrebbe essere interessante considerare l’eventualità di ampliare le responsabilità

degli ospiti che vi lavorano, così da suddividere il carico di lavoro tra operatori e ospiti. Tale provvedimento sarebbe anche in linea con gli obiettivi dei laboratori protetti di

procedere con una sempre maggiore responsabilizzazione individuale degli ospiti.

Inoltre, per sgravare gli operatori dal carico di lavoro penso possa essere interessante considerare l’eventualità di assumere dei volontari.

- Routine

Sembra essere un aspetto imprescindibile del nostro lavoro, sempre presente seppure l'alta probabilità d’imprevedibilità che caratterizza il lavoro sociale è in contrasto con tale aspetto. La routine, la ripetitività possono essere fonte di sicurezza per ospiti ed educatori ma possono contemporaneamente annoiare e annientare anche la persona più motivata, educatore o ospite che sia, fino a frenare qualsiasi evoluzione.

                                                                                                               

76 Teorie e metodologie dell’intervento sociale , Responsabile modulo Serenella Maida, 2012 77 DE BENI R., MOÈ A., Motivazione e apprendimento, Il Mulino, Bologna, 2000, p.59

78 Robert A. Karasek è un sociologo e psicologo americano che dedicò i suoi studi sullo stress correlato al lavoro.

79 Mondi del lavoro, Seminario Laboratorio di psicopatologia del lavoro, Responsabile modulo Christian Marazzi, 2014

80 Johannes Siegrist, medico svizzero.

81 Mondi del lavoro, Seminario Laboratorio di psicopatologia del lavoro, Responsabile modulo Christian Marazzi, 2014

82 Christophe Dejours, psichiatra e psicanalista francese, famoso per il contributo della psicodinamica. 83 CAMPELLO C., LEPORI A., MARAZZI C., La salute flessibile, Quaderni di psicopatologia del lavoro,

Tuttavia in un contesto quale il CARL è opportuno riflettere sull’aspetto della routine e della prevedibilità che comporta: per gli operatori può essere alienante, ma per gli ospiti con determinati disagi psichici, può assumere una valenza, oltre che rassicurante, fondamentale per svolgere il proprio lavoro in serenità. Dunque, è necessario riflettere approfonditamente su come collocarsi di fronte a questo elemento e considerare che eliminare completamente la routine non sia la soluzione. Per ritrovare ogni giorno il senso del proprio lavoro è compito e dovere di ogni operatore che lavora nella quotidianità (verso se stesso e verso i propri ospiti) rendere l’ordinario, straordinario… riconoscere il reale valore anche degli eventi apparentemente più semplici.

Per fronteggiare l’aspetto di routine considero efficaci i consigli degli educatori, ossia

proporre il cambiamento, attivarsi alla ricerca continua di nuovi stimoli e la costante ricerca del senso del proprio lavoro, una delle strategie a cui hanno ricorso più

frequentemente gli educatori del CARL. Di Lernia presenta la parola chiave innovazione84, al fine di promuovere il mutamento, favorendo l’attuazione di progetti innovativi, che limitino gli aspetti di routine, monotonia, cronicità della vita istituzionale.

A riguardo, Di Lernia propone la parola chiave formazione85, penso che procedere

frequentando dei corsi di formazione continua, al fine di incrementare le proprie competenze professionali e trovare nuovi stimoli possa essere una strategia

funzionale.

- Stanchezza e stress

Ho deciso di commentare per ultime la stanchezza e lo stress, anche se sono gli elementi con maggiore influenza, perché credo che presentando i primi quattro ci si renda conto di come tali condizioni sono terreno fertile per l’instaurarsi di stanchezza e stress (che a loro volta aggravano gli elementi critici rilevati), “ … quando le richieste provenienti dall’esterno superano le potenzialità o le aspirazioni della persona, e non le permettono un adeguato controllo delle condizioni e delle risorse disponibili per far fronte alle richieste, l’ambiente assume un carattere stressante e patogeno per l’individuo”86.

È come se si venisse risucchiati da un vortice in cui alla demotivazione si aggiungesse la frustrazione di fronte all’impossibilità di mantenere una qualità del servizio offerto all’ospite, a causa della carenza di risorse personali o strutturali a disposizione87. “La percezione della propria incapacità a rispondere in maniera adeguata, per mancanza di risorse personali o per incompatibilità rispetto al quadro di riferimento valoriale, inciderà sul benessere e sul modo di svolgere la propria attività, soprattutto se verrà a mancare un                                                                                                                

84 DI LERNIA E., Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, VOL. VIII N. 4, Dicembre 2009, p.210  

85  Ibidem, p.209  

86 BAIOCCO R., CREA G., LAGHI F., PROVENZANO L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La

sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickson, Gardolo, 2008, p.33  

contesto di supporto sociale che lo aiuti ad affrontare e gestire l’eventuale situazione di stress”. Quanto emerge dall’indagine della valutazione rispetto all’incompatibilità delle aspettative conferma ulteriormente quanto detto. “Spesso, soprattutto nell’ambito del lavoro sociale, la motivazione personale e la percezione positiva del proprio lavoro contribuiscono a creare un’immagine positiva e ideale a cui aspirare, che però può tramutarsi in frustrazione ed esaurimento emotivo quando l’operatore si accorge di essersi preposto delle mete troppo irrealistiche e irraggiungibili.”88.

Ma la motivazione dipende anche dalla situazione personale della persona “…le condizioni di lavoro sono quelle che sono ma possono essere sopportate se all’esterno, nella vita personale si ha un sostegno e una stabilità. Quando la situazione individuale ha dei problemi, questo si rifletterà anche sul lavoro, intaccando appunto anche la motivazione dell’educatore.”89. Per affrontare la stanchezza e lo stress, è importante che la persona abbia cura delle proprie relazioni all’esterno del lavoro. Mantenere il famoso “distacco” tra la vita professionale e la sfera privata. Il carico emotivo della professione di aiuto è molto sostanzioso e poter contare su un contesto personale equilibrato penso possa garantire la decompressione necessaria per trovare le energie quotidianamente. Quanto detto in virtù del modo di dire “per aiutare un’altra persona bisogna essere in grado di prendersi cura prima di tutto di se stessi”.

Inoltre, Di Lernia usa parla la parola chiave stile90, riferendosi ad un di “modo di essere” che valorizzi ed espliciti la propria motivazione e il proprio entusiasmo rispetto all’attività. È importante prediligere una pratica riflessiva e una costante auto-osservazione così da riflettere sull’intenzionalità, il senso e l’efficacia dei propri interventi, essere consapevoli dei propri limiti e saper reagire di conseguenza.

Penso possa essere interessante citare il concetto di “operatore sociale leggero” presentato da Olivetti Menoukian91.

Olivetti Menoukian92 utilizza la metafora del “peso”, per rendere l’idea del carico del lavoro sociale. Riferendosi a chi si occupa di situazioni di disagio come responsabile di gestire il risultato di fallimenti istituzionali, famigliari, scolastici, ma anche sociali e culturali, dunque metaforicamente si riferisce alla complessità di tali dinamiche parlando dell’operatore sociale come professionista responsabile di sostenere il “peso sociale”. Sempre secondo Olivetti il problema si manifesta quando nell’operatore nasce l’idea che sia effettivamente possibile assumersi da solo questo enorme “peso” derivato dalla responsabilità di dover                                                                                                                

88 BAIOCCO R., CREA G., LAGHI F., PROVENZANO L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La

sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickson, Gardolo, 2008, p.33  

89 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 16, Intervistato 7, pag. 10   90  DI LERNIA E., Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, VOL. VIII N. 4, Dicembre 2009, p. 214  

91 CAMARLINGHI R. , Intervista a Franca Olivetti Menoukian “L’operatore sociale leggero. Oltre la

tentazione del carico, in Animazione Sociale, 2005

aggiustare quello che la società ha distrutto. Ricordando anche che il contesto non sempre è comprensivo e disponibile a concedere risorse. A lungo andare, il peso sopportato può portare l’operatore a esaurire le risorse ed è in questo momento che stress e stanchezza sono più presenti. Olivetti Menoukian parla dell’“operatore leggero”, non riferendosi a un operatore pigro, disimpegnato, frivolo o che non sappia dare risposta ai diversi problemi. Ma piuttosto si riferisce a un operatore sociale leggero nel momento che trova in una situazione di benessere psicofisico, vi è infatti un equilibrio tra le richieste esterne e le risorse dell’operatore per rispondervi. Si parla di una persona capace di alleggerire i problemi perché li individua, li osserva con uno sguardo attento che permette di vederli nella loro complessità, così da poter fare delle ipotesi di intervento per affrontarle. L’alleggerimento proviene da un “ridimensionamento delle attese del lavoro”, è necessario possedere la consapevolezza che i risultati siano spesso piccoli, parziali, ambivalenti e ricordarsi che la sofferenza, il dolore e i problemi sono parte integrante della vita delle persone. Ho pensato di indicare questo atteggiamento dell’operatore come possibile provvedimento contro lo stress e la stanchezza perché grazie alla leggerezza intesa dall’autrice si riesce a sostenere il carico, non limitandosi alla rassegnazione e giustificando la propria passività ad una scarsità di risorse. Ricordarsi che non è necessario farsi carico di tutto il peso da soli, ciò non perché non si è bravi abbastanza ma piuttosto perché si deve collaborare, si deve rendere il progetto più grande e condiviso e possibile, in virtù del detto “l’unione fa la forza” …per favorire un impatto più importante del proprio intervento ed essere sostenuto nel superamento degli ostacoli che comporta il percorso.

Nell’analisi dei dati emerge quanto sostenuto anche da Di Lernia93, ossia che nella prevenzione della demotivazione sono implicate tre dimensioni in costante interazione fra loro: gli aspetti relazionali e comunicativi (collaborazione, condivisione,…), i contenuti del lavoro e gli aspetti individuali (aspettative, risorse energetiche,…). Solo dedicando una cura particolare a tutte e tre le dimensioni è possibile promuovere e tutelare la motivazione degli operatori. Secondo l’indagine la strategia più utilizzata è la riflessione sulla scelta professionale, pertanto penso che riflettere sui motivi all’origine della scelta

professionale sia un provvedimento trasversalmente a tutti gli elementi critici, che può aiutare il professionista a ritrovare il senso del proprio lavoro e rinnovare la motivazione. Inoltre, tra le strategie penso possa essere una modalità efficace avere sempre un occhio di riguardo per i segnali d’allarme, ciò permetterebbe di affrontare

per tempo o con anticipo il fenomeno.

                                                                                                               

93  DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, pag. 204  

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