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Demotivazione? Parliamone... : analisi dei principali fattori ed effetti di demotivazione secondo gli educatori dei laboratori protetti del CARL e delle strategie di prevenzione alla demotivazione lavorativa

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Academic year: 2021

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Demotivazione? Parliamone

Analisi dei principali fattori ed effetti di demotivazione secondo gli educatori

dei laboratori protetti del CARL e delle strategie di prevenzione alla

demotivazione lavorativa

Studentessa

Barbara Banfi

Corso di laurea Opzione

Lavoro Sociale

Educatrice

Progetto

Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

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ABSTRACT

Chi non si è mai sentito demotivato? Chi non ha riscontrato delle difficoltà a mantenere vivo l’entusiasmo, dare senso e quantificare il lavoro svolto? L’impatto emotivo, le specificità del lavoro, la difficoltà nella collaborazione in équipe sono tutti aspetti, non gli unici, che possono minacciare quotidianamente la motivazione dell’educatore.

Questi sono gli interrogativi che mi hanno sostenuta a definire, come tematica di approfondimento del Lavoro di Tesi, la demotivazione degli educatori.

Ho voluto indagare questa tematica, attraverso un’indagine nei Laboratori Protetti del CARL, consapevole che i professionisti che lavorano negli ambiti di lungo degenza a contatto con persone con una situazione di disagio cronico sono maggiormente esposti alla perdita di motivazione e alla sensazione di svuotamento del proprio lavoro.

Ho quindi definito la domanda di ricerca: Quali sono i principali fattori ed effetti di demotivazione secondo gli educatori dei laboratori protetti del CARL e attraverso quali strategie gli educatori possono prevenire fenomeni di demotivazione lavorativa? L’obiettivo è stato quello di rilevare i fattori da cui gli educatori traggono

maggiore motivazione, gli elementi critici che minacciano la loro motivazione, gli effetti e i segnali di allarme conseguenti, le figure e gli strumenti di sostegno a cui gli

operatori si sono rivolti o hanno utilizzato ed infine rilevare delle strategie per affrontare, o ancora meglio, prevenire il sentimento di demotivazione prima che esso influenzi negativamente la qualità del servizio offerto o la salute del professionista.

Per approfondire quest’argomento e definire i concetti chiave rispetto all’ambiente di lavoro e i fattori motivazionali, mi sono basata in particolar modo sul modello teorico proposto da Herzberg, psicologo statunitense famoso soprattutto perché affronta il tema della motivazione specificatamente nei contesti professionali. Per quanto concerne, invece, i provvedimenti per prevenire la demotivazione in un contesto di lungo assistenza psichiatrica, mi sono riferita all’autrice Di Lernia.

I risultati della ricerca mi hanno condotta a individuare gli elementi critici dei Laboratori Protetti del CARL e analizzandoli ho proposto per ognuno dei provvedimenti, nati dal confronto delle strategie proposte dagli educatori con le azioni dell’articolo di Di Lernia. Attraverso l’indagine, è emerso che la demotivazione è un fenomeno esistente e influenza la qualità del lavoro svolto e la salute del professionista. Un fenomeno che meriterebbe maggiore attenzione. Ho rilevato l’importanza del cambiamento, ma anche il valore della routine. Al termine del lavoro, penso che vada riconosciuto un ruolo centrale, per la prevenzione della demotivazione, alle competenze professionali e agli approcci metodologici come validi strumenti di lavoro a disposizione dell’educatore. Essi infatti permettono l’analisi delle situazioni da un punto di vista professionale, dare senso a ciò che accade e strutturare interventi intenzionali. La pratica riflessiva, l’auto-osservazione, la consapevolezza di sé e il concetto di “operatore sociale leggero” di Olivetti Manoukian sono solo alcuni degli apprendimenti preziosi che mi hanno aiutato nella stesura del LT.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 5

2. PRESENTAZIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO ... 7

2.1 Evoluzione della psichiatria ticinese: dal “manicomio” al CARL ... 7

2.2 Il Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL) ... 7

2.3 I laboratori protetti del CARL ... 8

3. PRESENTAZIONE DELLA TEMATICA E METODOLOGIA DI INDAGINE ... 9

3.1. Rischio psicosociale nelle professioni di aiuto ... 9

3.2. Demotivazione nell’ambito psichiatrico ... 10

3.3. Obiettivo, metodologia e percorso d’indagine ... 11

4. RIFERIMENTI TEORICI ... 15

4.1. Introduzione ... 15

4.2. Motivazione e demotivazione nell’ambito lavorativo ... 15

4.3. Strategie per prevenire la demotivazione ... 18

5. ANALISI DEI RISULTATI ... 20

5.1. Introduzione ... 20

5.2. Valutazione delle aspettative e della motivazione degli educatori ... 20

5.3. Fattori di motivazione e demotivazione in ambito lavorativo ... 22

5.4. Effetti e segnali di allarme della demotivazione ... 26

5.5. Figure di sostegno e servizi offerti dalla struttura ... 29

5.6. Strategie attuate dagli educatori per recuperare la motivazione. ... 31

5.7. Considerazione sui dati raccolti ... 33

6. CONCLUSIONI ... 40

6.1. Sintesi dei dati raccolti ... 40

6.2. Trasferibilità dei contenuti del lavoro di tesi rispetto al pratica professionale ... 43

6.3. Risorse e limiti del lavoro di tesi ... 44

BIBLIOGRAFIA ... 45

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1. INTRODUZIONE

Nel seguente lavoro di tesi (LT), affronterò la tematica della demotivazione nella professione dell’educatore, interrogando a riguardo gli educatori dei laboratori protetti del Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (in seguito CARL) di Mendrisio, presso cui ho svolto l’ultimo periodo di stage formativo.

L’idea di procedere con un’indagine su quest’argomento nasce da osservazioni e auto-osservazioni effettuate durante i periodi di pratica professionale. Sebbene le strutture, le dinamiche relazionali tra gli operatori e le casistiche fossero molto differenti da un posto di stage e l’altro, ho notato la presenza di un elemento in comune: più volte, mi sono confrontata con colleghi che faticavano a mantenere viva la propria motivazione e l’investimento di energie. Pur avendo lavorato per brevi periodi, io stessa ho avuto della difficoltà a riconoscere gli esiti del lavoro svolto o di trovare il senso del mio operato, a volte per il carico emotivo comportato dalla presa a carico delle situazioni degli ospiti o a causa delle difficoltà comunicative con i colleghi.

Oltre ad avere avuto l’impressione che il fenomeno sia trasversale nei diversi ambiti del lavoro sociale, il motivo per cui ho scelto di approfondire la tematica proprio al CARL è perché durante lo stage ho ricevuto conferma che la perdita di motivazione è una problematica comune anche al contesto del CARL. Seppure attualmente sembra che gli educatori siano motivati al lavoro, confrontandomi con i colleghi e con il responsabile dei laboratori protetti ho comprovato la pertinenza del tema e ho potuto rilevare il loro interesse al riguardo. Gli operatori mi hanno comunicato che in passato tutti hanno provato la sensazione di demotivazione e ancora oggi a volte la motivazione tentenna di fronte alla complessità del lavoro sociale.

L’obiettivo di questo LT è quello di rilevare i principali fattori ed effetti della demotivazione secondo gli educatori del CARL, come pure comprendere quali strategie, strumenti e sostegni hanno permesso loro di affrontare tali momenti ed evitare che la demotivazione e le frustrazioni li paralizzassero nella pratica o degenerassero in una patologia del lavoro. Mantenere viva la motivazione e l’entusiasmo necessari per svolgere questa professione, è un argomento che reputo essenziale sia per la salute psico-fisica del professionista, sia per lavorare con professionalità e qualità. Come futura educatrice, sarà sicuramente utile avere una conoscenza della tematica e di quali siano i sintomi e i segnali di allarme che precedono la demotivazione.

Il seguente lavoro si suddivide in diverse parti: nella prima parte viene presentato brevemente il contesto lavorativo del CARL; in seguito, proporrò ai lettori una presentazione della tematica affrontata facendo riferimento alla demotivazione in ambito psichiatrico. Nel medesimo capitolo definirò la domanda di ricerca, gli obiettivi e la metodologia utilizzata nell’indagine. Successivamente, presenterò il quadro teorico di riferimento. Il capitolo dell’analisi dei risultati è dedicato completamente all’analisi dei dati raccolti, con il supporto di grafici relativi a quanto emerso dai questionari, analizzando quanto raccolto attraverso le teorie selezionate.

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La conclusione prevede una sintesi dei risultati dell’indagine, un bilancio finale del raggiungimento degli obiettivi e infine delle riflessioni più generali riguardo al tema trattato in relazione alla pratica professionale dell’educatore sociale.

L’indagine permetterà agli educatori di chinarsi sull’argomento e soffermarsi a riflettere, acquisendo maggiore conoscenza sul fenomeno e acquisire consapevolezza sui rischi insiti nella professione. La ricerca potrebbe essere utile alla struttura di riferimento per comprendere a quali aspetti occorre prestare maggiore attenzione e comprendere in quale misura gli educatori conoscono e utilizzino gli strumenti offerti dall’istituzione per promuovere la loro salute.

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2. PRESENTAZIONE DEL CONTESTO DI RIFERIMENTO

2.1 Evoluzione della psichiatria ticinese: dal “manicomio” al CARL

La psichiatria ticinese vede l’alba nell’ottobre del 1898 con l’apertura dell’Ospedale Neuropsichiatrico Cantonale (di seguito ONC). Prima di allora la presa a carico del disagio psichico era commissionata prevalentemente in Italia.

Con la realizzazione dell’ONC l’intenzione era di allontanarsi dal concetto tradizionale di “manicomio”, creando una struttura capace di dare risposta alla diversificazione dei bisogni dovuta all’eterogeneità di situazioni e delle patologie presenti. L’ONC aspirava a un lavoro focalizzato maggiormente sull’aspetto umanitario nell’assistenza degli individui. Negli anni successivi, a causa dell’aumento della domanda di assistenza psichiatrica e dei casi non dimissibili, ha origine il problema della cronicizzazione che ha reso necessaria un’estensione dell’ONC1.

Nel gennaio del 1985, avviene una riorganizzazione dell’Ospedale neuropsichiatrico cantonale, sostituito dall’Organizzazione sociopsichiatrica Cantonale (OSC) che riunisce sotto un unico ente tutti i servizi, ospedalieri e ambulatoriali, che si dedicavano alle cure in ambito psichiatrico.

Nel 2000 in Ticino entra in vigore la Legge sull’assistenza sociopsichiatrica (LASP), che pone le basi per affrontare la problematica psichiatrica nella sua globalità. La LASP promuove la de-istituzionalizzazione e insiste sulla proporzionalità delle cure e della restrizione della libertà, incoraggia la creazione di strutture adatte ai bisogni specifici dell’utenza e prevede la formazione di operatori specializzati.

Nel 1995, avviene una suddivisione dell’OSC in: Clinica psichiatrica cantonale (CPC), che si occupa della riabilitazione dei pazienti psichiatrici acuti che necessitano di un intervento medico permanente e Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL). L’intervento del CARL si svolge nel settore della cronicità e dell’assistenza a lungo termine, volto al sostegno nella gestione della propria quotidianità, all’evoluzione della situazione che permetta alle persone di riacquisire competenze e quando possibile alla diminuzione dei supporti.

2.2 Il Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL)

Il CARL si compone di tre aree: abitativa, lavorativa e ricreativa. Il Centro offre alle persone con un disagio psichico cronico2 un accompagnamento non più unicamente medico-sanitario, prediligendo interventi sul piano educativo condivisi da équipe non medicalizzate. È dunque stata necessaria l’introduzione della figura professionale dell’educatore sia nelle unità abitative sia nei laboratori protetti. Lo scopo generale del CARL è il miglioramento della qualità di vita degli ospiti. Gli operatori lavorano per                                                                                                                

1 REZZONICO G., C. MEIER, La riabilitazione nell’assistenza sociopsichiatrica, Milano, Unicopli, 1987 2 Intese le persone con una patologia psichiatrica cronica che non hanno necessariamente bisogno di un’ ospedalizzazione ma non hanno la possibilità/capacità di tornare a vivere autonomamente sul territorio.  

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sostenere la persona nella gestione del disturbo del comportamento in una prospettiva riabilitativa, stimolando le potenzialità e offrendo contesti e opportunità in cui sperimentarsi.

2.3 I laboratori protetti del CARL

L’attività lavorativa è uno degli elementi su cui si basa l’approccio globale alla persona previsto dalla LASP. Sin dai tempi dell’ONC, i laboratori protetti sono ritenuti degli strumenti di riabilitazione: il lavoro non è considerato solo fine a sé stesso ma è un tramite attraverso cui è possibile intervenire anche su aspetti non direttamente collegati al contenuto della pratica lavorativa. L’attività lavorativa favorisce l’uscita degli ospiti dall’unità abitativa, offre loro la possibilità di socializzare e occupare il tempo della giornata in maniera utile, dando ritmo e regolarità alla quotidianità. Inoltre, durante il tempo trascorso nei laboratori protetti, l’ospite ha la possibilità di fare un esame di realtà delle proprie risorse e dei propri limiti3, viene valorizzato per il contributo dato e nella progressione del progetto si aspira all’acquisizione di una sempre maggiore responsabilizzazione individuale4.

Il CARL dispone circa di 117 posti di lavoro rivolti a persone con una patologia psichiatrica cronica stabile, che beneficiano di una rendita AI5 o ne hanno beneficiato prima dell’età AVS6. La casistica è molto eterogenea per sesso, età, storia di vita e situazione di disagio. Le offerte di impiego sono multiple e diversificate nei laboratori di: offset, legatoria, assemblaggio, serra, manutenzione del parco, redazione, mensa, parrucchiere, stiro-cucito.

Come accennato in precedenza, l’introduzione della figura educativa a fianco ad artigiani è giustificata dalla volontà del CARL di procedere con la realizzazione di progetti educativi. A oggi nei laboratori protetti lavorano complessivamente sette educatori.

Gli operatori all’interno dei laboratori protetti devono orientare l’intervento al fine di: -­‐ Istruire gli ospiti sulle attività da compiere e far mantenere l’attenzione sul compito; -­‐ Proporre e coordinare momenti di verifica e di valutazione;

-­‐ Motivare gli ospiti al lavoro e stimolarli all’utilizzo delle loro risorse; -­‐ Sostenere la persona nei momenti di disagio;

-­‐ Gratificare e sostenere l’utente confrontato con l’insuccesso.

                                                                                                               

3 BERNARDI F., Il Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL), L’intervento educativo nell’ambito

psichiatrico, L’aspetto abitativo, Lavoro di diploma Scuola Cantonale Operatori sociali, Mendrisio, 1996

4 BEDULLI P., CAVADINI R., POLETTI G., L’Aspetto lavorativo al CARL, Lavoro di diploma Scuola Superiore di Lavoro Sociale, Mendrisio, 1999

5 Assicurazione Invalidità

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3. PRESENTAZIONE DELLA TEMATICA E METODOLOGIA DI INDAGINE

3.1. Rischio psicosociale nelle professioni di aiuto

Per quanto svolgere una professione di aiuto possa essere gratificante e appagante, è necessario considerare che il professionista sia esposto a sua volta a dei rischi. Con il termine “professioni di aiuto”, mi riferisco a tutte quelle figure che “si occupano dell’assistenza a persone con un’elevata situazione di disagio fisico e psichico, spesso in particolari condizioni di tensione emotiva e di stress”7. Tra i rischi contemplati vi sono stress lavorativo, demotivazione e frustrazione, ma è anche possibile l’insorgere di vere e proprie patologie fisiche e psichiche. I rischi derivano, come si può intuire dalla citazione, dalle condizioni di lavoro e dai suoi contenuti. Le professioni di aiuto sono caratterizzate da un importante carico emotivo dovuto alla complessità delle situazioni di disagio, che prevedono spesso un coinvolgimento globale dell’operatore8. Talvolta diventa difficile quantificare il lavoro svolto e i risultati ottenuti, e dunque attribuirvi un senso e un valore. La routine è un aspetto che si presenta di sovente nell’ambito delle professioni di aiuto. Sono questi gli elementi che possono porre quotidianamente e ripetutamente alla prova la motivazione del professionista.

A questo punto può essere utile cercare di definire il termine di lavoro sociale, per comprendere meglio le sfaccettature che lo compongono e le sfide da affrontare come educatore. Dal momento che è complicato ho deciso di affidarmi a una definizione di Baiocco, che secondo me rappresenta bene il ruolo dell’operatore: “nel suo significato più generale il lavoro sociale può essere definito come scienza dell’organizzazione delle regole di benessere sociale, come una scienza interessata a capire anche come sia possibile agire opportunamente per incrementare la capacità di azione in senso etico delle persone; …”9. Da tale citazione, emerge come l’operatore sociale per svolgere il suo mandato sia chiamato ad affrontare quotidianamente una lunga serie di sfide di portata non indifferente. Queste sfide vengono anche chiamate antinomie relative all’educazione (vedi allegato 1) e pongono il professionista di fronte a degli interrogativi su come situarsi nell’affrontare le situazioni e poter svolgere un buon lavoro, ne sono un esempio progettazione e spontaneità, autonomia e dipendenza , delirio di onnipotenza e impotenza, intervenire per modificare, migliorare l’altro e la sua situazione o accettare l’educando per quello che è, limitarsi a relazioni strettamente professionali oppure accettare che ogni relazione umana è una transazione affettiva.

A fronte delle condizioni della società odierna la situazione s’intensifica ulteriormente, poiché, “attraverso l’evolversi dei modi di produzione e delle politiche economiche, la                                                                                                                

7 BAIOCCO R., CREA G., LAGHI F., PROVENZANO L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La

sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickson, Gardolo, 2008, p.55  

8 Ibidem, p. 73   9 Ibidem, p.70  

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funzione di servizio sociale è da individuarsi nei contributi che il servizio stesso può fornire al più ampio sistema di riferimento, per riparare danni in termini economici, culturali, psicologici provocati dallo sviluppo economico, in modo che lo stesso possa riprodursi, cercando di modificare o perlomeno attenuare alcune sue caratteristiche particolarmente punitive nei confronti di particolari strati di popolazione e possa mantenere un suo stato specifico di benessere psicofisico”10.

Quanto scritto descrive grossomodo lo sfondo macro in cui opera l’operatore sociale e può essere ben riassunto dalle parole di Folgherait11 che utilizza la metafora della Tela di Penelope per sostenere che di giorno gli operatori sociali s'impegnano per risolvere problemi, mentre la notte la società smonta il risultato raggiunto e le stesse problematiche risolte "qui e oggi” si ripropongono quasi identiche "là domani”12.

Purtroppo restringendo il campo di osservazione non vi è un miglioramento. Infatti, nelle mie esperienze ho osservato che trasversalmente nei diversi ambiti lavorativi, seppure con intensità differenti, sono sempre presenti problemi legati alle condizioni di lavoro, al carico di lavoro, allo stress comportato da esso e alle difficoltà comunicative all’interno dell’équipe e/o con i servizi esterni, ma anche legate alla routine quotidiana. Secondo la mia esperienza sono tutte situazioni caratterizzate da sfaccettature che esigono molto impegno per la risoluzione e per evitare di perdere di vista l’obiettivo del proprio lavoro. Ho deciso di sviluppare il tema della demotivazione perché penso siano evidenti la complessità del lavoro e il carico di responsabilità che ne deriva. Per fornire un servizio che rispetti i presupposti descritti, la figura dell’educatore assume dei ruoli completamente differenti a dipendenza degli ambiti e al bisogno a cui cerca di offrire risposta. Mantenere chiara la propria identità professionale e ritrovare senso e riscontro nel lavoro svolto richiedono molta determinazione. Pertanto, penso che solo un educatore motivato sia in grado di svolgere un lavoro di qualità, oltre che preservare la propria salute.

3.2. Demotivazione nell’ambito psichiatrico

Il motivo per cui ho voluto affrontare il tema della demotivazione dell’educatore proprio al CARL è perché i professionisti che lavorano nell’ambito della lungo assistenza, con persone con delle situazioni di disagio cronico, sono maggiormente esposti allo svuotamento del senso del proprio lavoro e alla perdita di motivazione13. Il lavoro con persone lungodegenti spesso si svolge per periodi prolungati nei medesimi spazi; i tempi necessari per il raggiungimento degli obiettivi possono essere da lunghi a molto lunghi; il                                                                                                                

10 BAIOCCO R., CREA G., LAGHI F., PROVENZANO L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La

sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickson, Gardolo, 2008, p.70

11  FOLGHERAITER F., L’apparente paradosso del lavoro sociale, Lavorare sui casi o sulla società?, in

Lavoro sociale, osservatorio, Università Cattolica, Milano   12 Ibidem

13 DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, p. 202  

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numero delle effettive dimissioni è limitato e negli anni vi è la possibilità di ricadute, indipendentemente dagli sforzi del professionista e dell’ospite. A tali condizioni, come educatore è possibile essere presi dallo sconforto. “A questo si aggiunge il rapporto deficitario tra investimento di energie e di tempo e il guadagno che l’operatore ottiene in termini di soddisfazione lavorativa. A causa del conseguente logoramento psicofisico e del peso delle fatiche eccessive, egli comincia a vivere un senso di demotivazione e di diffuso fallimento, d’incapacità e conflittualità, che influisce pesantemente sul suo entusiasmo iniziale, abbassandone le aspettative e il rendimento.”14. Il contesto e la carenza di evoluzione dei progetti attribuiscono lavoro delle dimensioni di routine che impediscono al professionista di vedere ogni opportunità di cambiamento e possono sfociare in frustrazioni dell’operatore. Evidentemente ci si trova di fronte ad un problema serio a maggior ragione se è vero che “gli “esiti” del lavoro in psichiatria dipendono in modo significativo dalla motivazione degli operatori…”15, e che “only a motivated and enthusiastic staff can allow a quality care with apathetic and passive patiens”16. Nel momento in cui la motivazione viene a mancare, non ne risente solamente l’educatore, ma anche la qualità del servizio offerto con conseguenze dirette e indirette sugli utenti. Esiste anche la possibilità della creazione di un circolo improduttivo in cui la “demotivazione” degli operatori sociali contagi e alimenti la demotivazione degli altri, intesi come tutti gli attori coinvolti nella vita istituzionale, siano essi colleghi o utenti17.

È quindi di fondamentale importanza tutelare la motivazione dei professionisti, facendo tutto quanto sia possibile, sia da parte dell’istituzione sia dei singoli educatori, per promuovere un ambiente di lavoro sano e motivante.

3.3. Obiettivo, metodologia e percorso d’indagine

Dopo aver dimostrato che nelle professioni di aiuto sussistono dei rischi per gli operatori, (tra i quali vi è anche la costante messa alla prova della motivazione) e dopo aver considerato che, lavorando con utenti con una situazione di disagio psichico cronico, si è maggiormente esposti a tale rischio, sono giunta alla formulazione della seguente domanda di ricerca: Quali sono i principali fattori ed effetti di demotivazione secondo gli educatori dei laboratori protetti del CARL e attraverso quali strategie gli educatori possono prevenire fenomeni di demotivazione lavorativa?

L’obiettivo di questo LT è di indagare se all’interno dei Laboratori protetti del CARL sono presenti degli aspetti di criticità che gravano sulla motivazione lavorativa degli educatori.                                                                                                                

14 BAIOCCO R., CREA G., LAGHI F., PROVENZANO L., Il rischio psicosociale nelle professioni di aiuto. La

sindrome del burnout negli operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e religiosi, Erickson, Gardolo, 2008, p.73  

15 DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, p. 204  

16 Ibidem, p. 202   17 Ibidem, p. 203  

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Una volta verificata la loro esistenza, indagherò per comprendere quali sono i loro effetti e, infine, rilevare quali strategie è possibile mettere in pratica per farvi fronte a livello individuale e organizzativo.

Di seguito, è esposta una panoramica della metodologia e del percorso d’indagine.

Il CARL è molto grande e nella sua presa a carico dispone di un’offerta molto variegata, nel corso dell’indagine ho deciso di concentrarmi unicamente sui laboratori protetti, poiché durante la pratica professionale non vi è stata la possibilità di conoscere la realtà abitativa del Centro. All’interno dei laboratori lavorano oltre che gli ospiti e gli educatori, operai e artigiani, tuttavia ho focalizzato l’indagine unicamente sui vissuti degli educatori, che sono in tutto sette.

Durante una riunione ho presentato il tema agli educatori e ho consegnato loro il documento da compilare. Ho deciso di procedere con un questionario auto-compilato per garantire l’anonimato agli educatori, per permettere loro di esprimersi liberamente senza essere condizionati dalla mia presenza o da eventuali conseguenze per quanto detto. Il documento alterna delle domande aperte a delle tabelle in cui propongo degli indicatori, di cui gli educatori hanno dovuto valutare l’influenza rispetto all’aspetto indagato. Tutti e sette gli educatori hanno risposto al questionario.

Sulla base di alcune teorie di riferimento, che presenterò nel capitolo 4, ho rilevato gli elementi principali che influenzano la motivazione e demotivazione in un contesto lavorativo di cura. Per la costruzione del questionario (vedi allegato 2) ho selezionato gli indicatori, che reputo maggiormente attinenti alla realtà quotidiana del CARL. Ho basato la scelta sulle osservazioni svolte, sulle testimonianze dei colleghi raccolte durante lo stage e sulla teoria appresa nel seminario di Psicopatologia del lavoro.

Nella prima parte del questionario ho previsto la raccolta della valutazione del grado di soddisfacimento delle aspettative degli operatori e della loro motivazione al lavoro al momento dell’indagine, chiedendo loro attraverso delle domande aperte di motivare l’attribuzione di valore18.

Successivamente, ho strutturato il documento in modo da avere delle sezioni definite che mi permettessero di raccogliere informazioni distinte riguardo agli argomenti indagati. Il questionario è strutturato nel seguente modo:

1. Fattori di motivazione e demotivazione nell’ambito lavorativo

Per la selezione degli indicatori da indagare riguardo ai fattori motivazionali sul posto di lavoro, mi sono riferita al modello teorico proposto da Herzberg, conosciuto come “the Motivator-Hygiene Theory”, presentata dettagliatamente nel capitolo 4. L’autore procede con una suddivisione in due grandi dimensioni: fattori motivazionali (o motivanti) e fattori ambientali (igienici) 19.

                                                                                                               

18  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 2-3, pp.2-3  

19 BERDICCHIA D., La proattività al lavoro. Teorie e prassi, CREIC, Studi e Ricerche, Maggiori Editore, 2013, p. 22

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Grazie a tali indicatori ho potuto analizzare il contesto del CARL al fine di rilevare i fattori da cui traggono maggiore motivazione e in seguito quelli che hanno contribuito maggiormente all’instaurarsi della demotivazione.

Per indagare da quali elementi gli educatori del CARL traessero maggiore motivazione, ho chiesto ai professionisti di attribuire una valutazione sull’influenza sulla propria motivazione nell’ambito lavorativo, dei fattori motivanti e ambientali definiti da Herzberg20. Per gli elementi di demotivazione ho svolto il medesimo lavoro, chiedendo agli educatori di valutare in quale misura l’assenza dei fattori motivanti e dei fattori ambientali avessero contribuito all’instaurarsi della demotivazione21. Tuttavia, per adattare l’indagine all’aspetto della demotivazione, ho dovuto riformulare gli elementi indagati (il procedimento di riformulazione è spiegato nel capitolo 4). Infine, ho ritenuto interessante esplorare gli aspetti individuali, al fine di comprendere la percezione soggettiva degli educatori.

Rilevare questi aspetti mi ha permesso di individuare gli elementi di criticità, fondamentali per proporre dei provvedimenti da attuare per affrontare il fenomeno della demotivazione. 2. Effetti

Nella mia indagine ho voluto indagare anche gli effetti a livello individuale e professionale della demotivazione, ho posto agli educatori una domanda aperta per permettergli di esprimere il loro vissuto in caso di demotivazione e la loro opinione riguardo ai segnali di allarme che precedono il fenomeno22. Parallelamente anche in questo caso ho chiesto agli educatori di valutare in quale misura si fossero presentati gli effetti proposti. Per selezionare gli indici da indagare mi sono riferita nello specifico alla teoria trattata nel modulo Mondi del lavoro23 riguardante le patologie del lavoro adattandole alle osservazioni raccolte durante le esperienze professionali svolte nel percorso formativo e, in parte, agli autori Campello, Lepori e Marazzi24.

3. Figure di sostegno e servizi offerti dalla struttura

Nell’indagine ho ritenuto necessario rilevare anche se la struttura offrisse dei servizi a sostegno degli educatori25. Ho chiesto agli operatori se il CARL prevedesse degli strumenti di sostegno e se ne avessero usufruito. Successivamente, ero interessata a rilevare le figure, professionali e non, da cui gli educatori avessero trovato maggiore sostegno. In questo caso mi sono limitata a una riflessione volta a individuare le diverse persone che possono comporre la rete che attornia una persona-educatore e anche in questo caso ho

                                                                                                               

20  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 4, pag.3   21  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 6, pag. 5   22  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domande 7-8, pp. 5-6  

23 Mondi del lavoro, Seminario psicopatologia del lavoro, Responsabile Modulo Christian Marazzi, 2014   24  CAMPELLO C., LEPORI A., MARAZZI C., La salute flessibile, SUPSI DSAS, 2007, p. 83  

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proposto agli educatori una valutazione della frequenza in cui hanno trovato sostegno dai diversi soggetti proposti26.

4. Strategie attuate dagli educatori per recuperare la motivazione

Per rilevare delle azioni per prevenire la demotivazione, ho chiesto agli educatori di indicare con quale frequenza, in caso di demotivazione sul posto di lavoro, hanno agito con le azioni che ho proposto nell’intervista27. Per la selezione delle strategie mi sono ispirata a quanto appreso durante la formazione e agli elementi osservati nell’esperienza professionale. Ho creato degli indicatori che potessero riassumere le diverse azioni possibili e ispirandomi a Di Lernia28 ho suddiviso le diverse azioni in tre gruppi, nel seguente modo:

1. Azioni relazionali, rappresentato nel grafico dalle seguenti azioni:

- Utilizzo degli strumenti offerti dall’istituzione a sostegno dell’operatore (Intese come supervisioni e riunioni di équipe)

- Condivisione delle difficoltà con i superiori - Condivisione delle difficoltà con l’équipe. 2. Azioni dirette al contenuto del lavoro:

- Proposta di bilancio, inteso come proporre alla propria équipe un bilancio dei punti di forza, di debolezza e il ridimensionamento degli obiettivi

- Cambiamento e nuovi stimoli, inteso come l’attivazione da parte del professionista alla ricerca di nuovi stimoli, nuovi progetti, formazione continua, cambio di laboratorio,… 3. Azioni individuali:

- Riflettere sulla scelta professionale

- Condividere le difficoltà con altre figure professionali

- Condivisione delle difficoltà con la rete relazionale personale

Parallelamente, ho proposto ai professionisti una domanda aperta in cui dovevano consigliare delle strategie in caso di demotivazione29. Infine, per comprendere l’efficacia delle strategie proposte ho chiesto agli educatori se grazie alle strategie hanno potuto superare il momento di disagio30.

Nella parte conclusiva del capitolo dell’analisi dei dati procederò esaminando gli elementi critici emersi dall’indagine, proponendo per ognuno dei possibili provvedimenti.

                                                                                                               

26  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 12, pag. 8   27  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 13, pag. 8  

28  DI LERNIA E., “Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica”, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, , VOL. VIII N.4, Dicembre 2009, pp. 202-214  

29  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 14, pag. 8   30  Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 15, pag. 9  

(15)

I provvedimenti proposti sono il risultato del confronto tra le strategie prevalentemente utilizzate dagli educatori e le strategie proposte da Di Lernia31, presentate nel capitolo 4.3.

4. RIFERIMENTI TEORICI

4.1. Introduzione

Della teoria mi sono resa conto che per sviluppare un discorso sui provvedimenti attuabili per prevenire la demotivazione è necessario considerare anche i fattori motivanti. Questo perché l’obiettivo ultimo della mia ricerca è sì di rilevare delle strategie e dei provvedimenti per prevenire la demotivazione, al fine di ottenere degli operatori motivati al lavoro. Per raggiungere l’obiettivo, ho dovuto trovare gli elementi che caratterizzassero l’insorgenza della demotivazione, al fine di definire dei provvedimenti che permettessero di “garantire un sereno svolgimento dell’attività lavorativa, di ridurre stati di sofferenza e di privazione sul lavoro”32. Ottenendo così degli educatori non demotivati, tuttavia non ancora motivati. Mentre per favorire la motivazione occorre porre attenzione al soddisfacimento degli elementi motivanti, dunque prendere dei provvedimenti per il loro accrescimento.

Di seguito riporto, quindi, la teoria di Herzberg che evidenzia gli aspetti importanti e le reciproche relazioni tra i fattori motivanti e la performance di lavoro33. Per quanto concerne, invece, i provvedimenti per prevenire la demotivazione in un contesto di lungo assistenza psichiatrica, mi sono riferita all’articolo di Di Lernia34.

4.2. Motivazione e demotivazione nell’ambito lavorativo

Per approfondire quest’argomento e definire i concetti chiave rispetto all’ambiente di lavoro e i fattori motivazionali mi sono basata in particolar modo sul modello teorico proposto da Herzberg35, in quanto è l’autore citato più frequentemente. Lo psicologo statunitense è famoso soprattutto perché affronta il tema della motivazione specificatamente nei contesti professionali.

Secondo la teoria di Herzberg, i fattori che possono influenzare la motivazione e di conseguenza la demotivazione dei lavoratori si possono raggruppare in due principali gruppi: fattori motivazionali e fattori ambientali.

                                                                                                               

31  DI LERNIA E., op. cit., pp. 202-214

32 BERDICCHIA D., La proattività al lavoro. Teorie e prassi, CREIC, Studi e Ricerche, Maggiori Editore, 2013, p. 23

33 OSTINELLI G., Motivazione e comportamento, Le variabili psicologiche necessarie per raggiungere

obiettivi, Erikson, 2005, p. 281

34 DI LERNIA E., op. cit., pp. 202-214 35 BERDICCHIA D., op .cit.

(16)

Herzberg suddivide i fattori motivazionali in cinque categorie: - Riuscita

- Riconoscimento per la riuscita - Lavoro in sé- tipologia del lavoro - Responsabilità

- Avanzamento e crescita

Oltre a questi fattori, Herzberg postula la presenza di fattori ambientali, che egli

definisce “igienici36”. In questa categoria raggruppa le caratteristiche organizzative o

proprie dell’ambiente lavorativo37:

- Condizioni di lavoro (intese come il clima di lavoro, orari e turnistica adeguati) - Relazione con i colleghi

- Relazione con i superiori - Retribuzione

Schema 1: Raffigurazione dell’impatto della presenza e assenza dei fattori motivanti e ambientali sulla motivazione e demotivazione in ambito lavorativo.

Come si osserva dallo schema 1, per essere motivato l’individuo deve soddisfare sia i fattori igienici, sia quelli motivazionali. Tuttavia, quando tutti i fattori motivazionali sono positivi l’individuo può presentare un atteggiamento molto motivato nella propria professione, nonostante i fattori ambientali non siano valutati in modo completamente positivo.

                                                                                                               

36 L’autore con il termine igiene si riferisce all’ambito medico, in base al quale l’igiene ha la funzione di evitare l’azione negativa di agenti patogeni esterni.

37 BERDICCHIA D., op. cit., p. 23

  FATTORI MOTIVANTI: - Riuscita - Riconoscimento - Caratteristiche - Responsabilità - Avanzamento ecrescita   FATTORI AMBIENTALI: - Condizioni di lavoro - Relazione con i colleghi - Relazione con i superiori - Retribuzione

 

Se entrambi presenti la persona è motivata.

Motivazione Demotivazione

Se presenti e ben soddisfatti generano motivazione anche in assenza dei fattori ambientali.

 

Concorrono alla creazione delle condizioni ideali per soddisfare i fattori motivanti.

Presi singolarmente non portano alla motivazione ma all’ assenza di insoddisfazione

  Incongruenze nei fattori

ambientali ostacolano la realizzazione dei fattori motivanti. Contribuiscono alla creazione della demotivazione.   Assenza di soddisfazione, ma non demotivazione.   Assenza Assenza Presenza Presenza

(17)

Al contrario quando unicamente i fattori ambientali sono favorevoli, ma vi sono delle carenze nei cinque fattori motivazionali o non sono minimamente soddisfatti, la persona non presenta motivazione verso il proprio lavoro38. Tuttavia è necessario chiarire che in questo caso, ossia se l’attività svolta non risulta connotata da fattori motivanti, non porta a insoddisfazione ma a uno stato di bassa motivazione.

Per indagare da quali elementi gli educatori del CARL traessero maggiore motivazione, ho chiesto ai professionisti di valutare l’impatto dei fattori motivazionali e dei fattori igienici, prima rispetto al sentimento di motivazione e poi a quello di demotivazione.

Rispetto alla motivazione, ho declinato i fattori motivanti nel seguente modo:

- Riuscita. Nel caso del CARL ho riferito questo aspetto all’offerta di prestazioni di qualità, al raggiungimento degli obiettivi dei progetti e alle dimissioni degli ospiti.

- Riconoscimento. In riferimento alla realtà esaminata mi riferisco all’ottenimento di feedback positivi rispetto alla riuscita.

- Caratteristiche del lavoro di aiuto. Questo aspetto si riferisce alla tipologia del lavoro, nello specifico alle caratteristiche del lavoro di aiuto, alla relazione con l’ospite/utente. - Responsabilità. Riferita alla responsabilità rispetto alle mansioni da svolgere e

l’autonomia della gestione del lavoro.

- Avanzamento e crescita. Intese come possibilità di promozione ma anche di acquisizione di nuove competenze.

Nell’ indagine degli elementi motivanti, la formulazione dei fattori igienici sono rimasti invariati.

Per quanto concerne la demotivazione, invece, come accennato nel capitolo 3.3. ho dovuto procedere con la riformulazione degli elementi proposti da Herzberg, adattandoli all’aspetto della demotivazione nel contesto indagato . In tal senso, ho cercato di individuare l’opposto di ognuno dei cinque fattori motivazionali, di seguito presentati:

- Assenza di riuscita. Intesa come un numero limitato di dimissioni o a delle ricadute. - Assenza di riconoscimento. Inteso come una scarsità del riconoscimento e feedback

da parte di terzi.

- Caratteristiche del lavoro di aiuto. Questo aspetto rimane invariato.

- Responsabilità carenti. Questo indicatore si riferisce a una carenza o totale assenza di responsabilità e autonomia nella gestione del lavoro.

- Impossibilità di avanzamento. Intesa come un’impossibilità di promozione e nell’acquisizione di nuove competenze.

Dal momento che secondo la teoria di Herzberg l’assenza dei fattori igienici hanno un’ influenza maggiore nella demotivazione, per indagare più approfonditamente tale aspetto ho deciso di scomporre l’elemento denominato “condizioni di lavoro” in:

                                                                                                               

38 OSTINELLI G., Motivazione e comportamento, Le variabili psicologiche necessarie per raggiungere

(18)

-­‐ Scarsa organizzazione del lavoro -­‐ Problematiche rispetto agli obiettivi -­‐ Carico di lavoro elevato

Mentre per quanto riguarda i restanti elementi dei fattori igienici ho proceduto solamente con la loro riformulazione:

- Sostituendo l’indice “relazione con i colleghi con “tensioni in équipe”;

- Modificando l’indicatore “relazione con i superiori” con “divergenze con i superiori”. - L’aspetto della retribuzione è stato riformulato in “scarsa retribuzione”.

Infine, ho ritenuto interessante indagare anche la percezione individuale, dunque degli aspetti personali che hanno contribuito alla demotivazione, definendo tre indicatori:

- Sensazione di essere incompresi

- Incompatibilità delle aspettative personali con la realtà - Stress e stanchezza

4.3. Strategie per prevenire la demotivazione

Di Lernia39, psichiatra italiana, ha condotto una ricerca proponendo dei provvedimenti per prevenire la demotivazione, con particolare riferimento al contesto lavorativo della lungodegenza psichiatria. La psichiatra presenta dieci azioni attuabili al fine di migliorare il benessere e la motivazione al lavoro, nonché la qualità del servizio e gli esiti.

Sono consapevole che non sia possibile generalizzare riflessioni ed esperienze pratiche emerse nel contesto di riferimento dell’autrice. Tuttavia, ho notato molte analogie tra l’articolo e la realtà dei Laboratori protetti del CARL, dunque ho selezionato i provvedimenti maggiormente pertinenti. L’autrice suddivide le dieci azioni in tre gruppi: azioni sulle relazioni, azioni sul contenuto del lavoro, azioni sul “modo di essere” del professionista. La selezione mi ha condotta a riferirmi nello specifico a sette azioni.

Di seguito è presentata una panoramica delle azioni proposte da Di Lernia: 1) Azioni dirette a curare la forma delle relazioni nell’organizzazione

- Relazione. Instaurare delle relazioni (tra dirigenti e operatori e tra operatori tra di loro) focalizzate al rispetto reciproco, all’ascolto dei problemi e delle difficoltà, alla valorizzazione delle idee di miglioramento organizzativo.

                                                                                                               

39  DI LERNIA E., Prevenire la demotivazione professionale in un contesto di lungo-assistenza psichiatrica, in Psichiatria di comunità, La rivista dei dipartimenti di salute mentale fondata da Fabrizio Asioli, VOL. VIII N. 4, Dicembre 2009, pp. 202-214  

(19)

2) Azioni dirette a modificare l’atteggiamento verso il contenuto del lavoro

- Visibilità. Rendere visibili sia all’interno sia all’esterno della propria organizzazione gli specifici contenuti del lavoro, esplicitando gli obiettivi, chiarendo gli sviluppi e analizzando i punti di forza e debolezza.

- Obiettivi. Sviluppare dei progetti con degli obiettivi chiari, definiti e misurabili con l’ausilio di indicatori. Prevedere una valutazione in itinere.

- Partecipazione. Prediligere la partecipazione degli operatori, promuovendone l’empowerment e permettendo loro di proporre e coordinare la nascita e l’attuazione di nuove iniziative.

- Innovazione. Favorire l’attuazione di progetti innovativi, che limitino gli aspetti di routine, monotonia, cronicità della vita istituzionale.

3) Azioni “dirette” al “modo di essere”

- Formazione. Incrementare le proprie competenze professionali attraverso corsi di formazione continua o altri seminari.

- Stile. Sviluppare una forma di “essere” che valorizzi ed espliciti la propria motivazione e il proprio entusiasmo rispetto all’attività.

Come esplicato nel capitolo della metodologia per rilevare i provvedimenti possibili in caso di demotivazione, ho proceduto con un confronto tra le strategie proposte nel capitolo 3.3. e i seguenti provvedimenti proposti da Di Lernia.

(20)

5. ANALISI DEI RISULTATI

5.1. Introduzione

In questo capitolo presenterò l’analisi dei dati raccolti tramite i questionari compilati dagli educatori dei laboratori protetti del CARL. La dissertazione comprende i seguenti capitoli: - Valutazione del soddisfacimento delle aspettative e della motivazione degli educatori - Fattori di motivazione e demotivazione in ambito lavorativo

- Effetti e segnali di allarme della demotivazione nella pratica professionale quotidiana - Servizi offerti dalla struttura e figure di sostegno

- Strategie attuate dagli educatori per recuperare la motivazione

Al termine di ogni capitolo, in seguito all’analisi dei dati supportata da grafici, viene proposta ai lettori una breve sintesi dei risultati.

5.2. Valutazione del soddisfacimento delle aspettative e della motivazione degli educatori

La maggioranza degli educatori lavora presso il CARL da un minimo di 15 a un massimo di 27 anni. Tuttavia durante gli anni di servizio non tutti hanno ricoperto sempre lo stesso ruolo, molti hanno lavorato nelle unità abitative del CARL, altri addirittura hanno lavorato a Casvegno40 prima ancora della creazione del CARL41.

Gli educatori sembrano non riconoscere un collegamento tra gli anni di servizio e la

loro motivazione, piuttosto è ribadita più volte l’importanza del cambiamento. Secondo

gli educatori non si dovrebbe dare mai nulla per scontato, altrimenti s’incorre nel rischio di essere risucchiati dal vortice della routine, “dove il quotidiano ti divora e il tuo lavoro diventa un peso se non, a volte, un macigno e tutto appare sempre scialbo creando disagio e difficoltà al resto del gruppo”42 ed è nella routine quotidiana che le motivazioni possono sfumare. Termini come mobilità, necessità di rinnovarsi, ricerca di stimoli sono emersi più volte dal questionario. Gli educatori riconoscono molto valore al cambiamento al fine di mantenere viva la motivazione e aggiungono l’importanza di interpretare il proprio lavoro in vari termini, articolati e anch’essi in continuo cambiamento. Addirittura, uno degli educatori sostiene come la propria motivazione cresca nel tempo, ma condivide con i colleghi l’idea che col passare degli anni non è sempre facile attribuire un significato al proprio operato e riconoscere il valore del proprio agire.

Un altro aspetto che minaccia la motivazione dei professionisti è la complessità insita nella

collaborazione con colleghi (educatori e altre figure professionali) e superiori.

                                                                                                               

40  Casvegno è il quartiere di Mendrisio in cui è situato il CARL.  

41 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domande 1, pag.1

(21)

Valutazione del soddisfacimento delle aspettative

Dei sette educatori, tre affermano che secondo una scala di valore che va da un valore minimo di 1 a un valore massimo di 6, il lavoro nei laboratori protetti del CARL rispecchia abbastanza (4) le loro aspettative, attribuendo la valutazione agli ostacoli dati dai contesti lavorativi.

Un soggetto sostiene di non soddisfare pienamente le proprie aspettative e attribuisce la responsabilità alla presenza di alcune difficoltà di condivisione di punti di vista che non permettono di concordare delle soluzioni.

Tre degli educatori hanno valutano buona la soddisfazione delle proprie aspettative, riconoscendo una buona qualità nella collaborazione con le altre figure professionali. Uno dei tre operatori trae soddisfazione a lavorare e ad aiutare gli ospiti a essere partecipi di un risultato soddisfacente. Un altro collega aggiunge che nelle professioni di aiuto è inevitabile confrontarsi con una serie di frustrazioni, che producono spesso situazioni di sofferenza negli operatori, ma sostiene che tale aspetto non si discosta dalle aspettative insite nella professione scelta.

Solamente un educatore vede nel lavoro la totale soddisfazione delle proprie aspettative, valorizzando la possibilità offerta quotidianamente di dimostrare le proprie competenze, come pure di scoprirne di nuove.

Valutazione della motivazione

L’educatore che ritiene le proprie aspettative completamente soddisfatte, si definisce totalmente motivato al lavoro, attribuendo un valore di 6 alla propria motivazione al lavoro, stimolato dalla natura del lavoro dei laboratori protetti, che ritiene una sfida in termini di relazione, di motivazione dell’ospite e di coinvolgimento e responsabilizzazione di quest’ultimo.

Dei tre educatori che affermano che il lavoro rispecchi abbastanza le loro aspettative, tutti si dicono essere molto motivati (valore 5 su 6). Uno di essi aggiunge che “la motivazione non può avere un andamento lineare, dipende dai periodi e dai progetti”43. Un altro intervistato valorizza l’aspetto dell’auto-motivazione, mentre l’ultimo dei tre attribuisce la propria motivazione alle caratteristiche del lavoro e ad alcuni cambiamenti che hanno favorito la conciliazione della vita personale e professionale.

Più di un educatore afferma che seppure riconosca la presenza quotidiana di ostacoli, gli sforzi sono ripagati dalla soddisfazione manifestata dagli ospiti rispetto al lavoro svolto. Un educatore attribuisce alla propria motivazione un valore tra il 4 e il 5. La via di mezzo adottata nella valutazione dipende dalla fatica a trovare quotidianamente le energie per affrontare le sfaccettature che attorniano la professione, come per esempio un orientamento sempre maggiore verso una gestione del lavoro basato su canoni economici. In tal senso, consultando il materiale raccolto, non è l’unico a riscontrare delle difficoltà.

                                                                                                               

(22)

5.3. Fattori di motivazione e demotivazione in ambito lavorativo Fattori di motivazione

Nella prima parte del capitolo presenterò la valutazione dell’impatto dei fattori motivazionali e igienici sulla motivazione degli educatori del CARL, l’intenzione è di rilevare gli elementi da cui gli educatori dei laboratori protetti del CARL traggono maggiore motivazione44.

Osservando il grafico 1 si può notare che sei educatori del CARL traggono molta motivazione dalle caratteristiche del lavoro di cura, l’educatore rimanente soddisfa totalmente la propria motivazione lavorativa attraverso questo aspetto. A seguire, sono pari merito il riconoscimento per la riuscita e la responsabilità e autonomia sul lavoro. Infatti, cinque educatori ne traggono molta motivazione e uno totalmente; nessuno degli educatori afferma che i seguenti elementi non influenzino minimamente la propria motivazione.

Per quanto riguarda la riuscita e la qualità della prestazione offerta, più della metà degli educatori vi attribuisce molto valore, mentre il restante del campione abbastanza.

                                                                                                               

44 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 4, pag. 3  

Grafico 1:Valutazione dell’impatto dei fattori motivanti e dei fattori igienici sulla motivazione degli educatori dei laboratori protetti del CARL.

   

(23)

Le prospettive di carriera e l’opportunità di crescita non sembrano incidere molto, infatti tre operatori non traggono minimamente motivazione dalla possibilità di avanzamenti e crescita, i restanti quattro solo in parte.

Tra i fattori igienici, le condizioni di lavoro (intese come clima di lavoro positivo, buona comunicazione, orari e tempistiche adeguati) sembrano essere l’aspetto maggiormente rilevante per gli operatori del CARL, tutti gli intervistati condividono l’esistenza di un’incidenza delle condizioni di lavoro sulla propria motivazione: quattro educatori lo ritengono molto importante, uno addirittura totalmente.

Tre educatori sono molto motivati dalla relazione con i colleghi, uno totalmente e tre abbastanza. La maggioranza degli educatori (quattro su sette) trova che la relazione con i superiori sia abbastanza motivante, uno dà molta influenza a questo aspetto, un altro operatore totalmente, mentre il rimanente afferma di non trarne alcuna motivazione.

La retribuzione per cinque educatori su sette ha una rilevanza relativa.

Quanto rappresentato nel grafico 1 conferma quanto sostenuto dalla teoria di Herzberg, poiché si nota come effettivamente gli educatori valutino i primi cinque indicatori, i fattori motivanti, maggiormente influenti rispetto alla motivazione provata. Infatti, secondo Herzberg, le persone traggono la propria motivazione al lavoro dal soddisfacimento dei cinque fattori motivazionali, ciò accade perché i fattori igienici in assenza dei fattori motivazionali non sono sufficienti a garantire la salute psichica dell’individuo45. L’autore sostiene che i fattori igienici non diano origine alla motivazione, ma incidono unicamente nella creazione delle condizioni ideali, per la realizzazione dei cinque fattori motivazionali.

Fattori di demotivazione

In questa seconda parte del capitolo ho indagato, invece, la rilevanza di fattori motivanti e igienici nell’instaurarsi della demotivazione nella realtà del CARL46.

In generale, secondo le percezioni degli educatori dei laboratori protetti del CARL, le principali criticità nell’ambito lavorativo sono legate, alle condizioni di lavoro e allo stress derivato da esse; ai processi comunicativi e relazionali all’interno dell’ équipe, con i superiori ma anche nei rapporti con i servizi esterni; alle frustrazioni legate ad un eccessivo idealismo e infine alla routine quotidiana che risucchia le energie e rischia di offuscare la percezione del senso del proprio operato47.

Ho voluto indagare ulteriormente questi aspetti, nel grafico numero 2 sono esposte le percezioni degli educatori dei laboratori protetti del CARL, rispetto all’impatto dei fattori motivanti e igienici nell’instaurarsi della demotivazione. I primi cinque indicatori

                                                                                                               

45 OSTINELLI G., Motivazione e comportamento, Le variabili psicologiche necessarie per raggiungere

obiettivi, Erikson, 2005, p. 281  

46 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 6, pag.5   47 Allegato 2, Interviste educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 5, p. 4  

(24)

rappresentano i fattori motivanti; i successivi sei indicatori sono i fattori igienici; mentre gli ultimi tre indicatori rappresentano la valutazione di aspetti individuali.

Consultando il grafico 2 si possono rilevare evidentemente gli aspetti maggiormente implicati nell’ instaurarsi della demotivazione per gli educatori del CARL. Questi aspetti sono: al primo posto lo stress e la stanchezza, a seguire pari merito: tensioni in équipe, scarsa organizzazione del lavoro e carico di lavoro elevato.

Quattro operatori attribuiscono molto valore all’indicatore tensioni in équipe. La scarsa organizzazione del lavoro e il carico di lavoro sono valutati in modo esattamente uguale all’impatto delle tensioni in équipe: quattro operatori ritengono questi aspetti molto influenti sulla demotivazione, uno crede che incida totalmente su di essa. Stress e stanchezza sono considerati dalla maggioranza (cinque educatori su sette) molto responsabili della propria demotivazione, da un educatore totalmente, mentre il rimanente abbastanza.

Herzberg sostiene che “l’insoddisfazione invece appare essere in relazione con le

condizioni nelle quali si svolge la propria attività professionale, ossia con i fattori

Grafico 2: Valutazione dell’impatto dei fattori motivanti e dei fattori igienici sulla demotivazione degli educatori dei laboratori protetti del CARL.

           

(25)

che <<circondano>> lo svolgimento della professione in sé”48. Dunque, quando ci sono delle incongruenze nella soddisfazione degli aspetti igienici, esse ostacolano la concretizzazione dei cinque fattori e dunque possono contribuire direttamente all’istaurarsi della demotivazione. I risultati emersi nel grafico 2 confermano quanto

detto dalla teoria infatti è possibile rilevare un’ evidenza della maggiore responsabilità dei fattori igienici in caso di demotivazione. I fattori motivanti non presentano alcuna evidenza rispetto all’instaurarsi del fenomeno: sono spesso valutati solamente come abbastanza influenti. L’unico fattore motivanti che per tre educatori è molto rilevante è l’ “assenza di riuscita”. Ritengo che questo aspetto sia comprensibile lavorando in un contesto di lungo assistenza psichiatrica.

Sintesi dei risultati

Per fare una breve sintesi del capitolo, i fattori motivanti generano motivazione ma la loro assenza non comporta direttamente demotivazione, piuttosto si può parlare di operatori poco motivati. Mentre i fattori igienici, “…quando presenti, nella migliore della ipotesi possono azzerare il livello di insoddisfazione ma non possono incrementare la soddisfazione lavorativa”49, dunque concorrono solamente a creare le condizioni idonee per soddisfare i cinque fattori motivazionali. Al contrario la loro assenza è la causa principale rispetto all’instaurarsi del senso di demotivazione.

Grazie al questionario ho scoperto che attualmente gli educatori dei laboratori protetti del CARL sono sufficientemente motivati, ciò spiega il motivo per cui i fattori motivanti sono valutati positivamente, con una prevalenza rispetto alle caratteristiche del lavoro di

aiuto, al riconoscimento per la riuscita e la responsabilità e autonomia nello svolgimento del lavoro. Per mantenere alta la motivazione degli educatori è necessario

un impegno costante nell’ampliamento e mantenimento dei diversi fattori motivanti.

Nel caso specifico del CARL gli aspetti maggiormente implicati nell'insediarsi della demotivazione sono: tensioni in équipe, scarsa organizzazione del lavoro, carico di

lavoro elevato, stress e stanchezza. Dunque per poter rispondere alla domanda di

ricerca dovrò trovare dei provvedimenti per limitare il manifestarsi di queste situazioni lavorative.

                                                                                                               

48 OSTINELLI G., Motivazione e comportamento, Le variabili psicologiche necessarie per raggiungere

obiettivi, Erikson, 2005, p. 296  

49 BERDICCHIA D., La proattività al lavoro. Teorie e prassi, CREIC, Studi e Ricerche, Maggiori Editore, 2013, p. 23

(26)

5.4. Effetti e segnali di allarme della demotivazione

Nel seguente capitolo esporrò l’opinione degli educatori del CARL rispetto agli effetti della demotivazione e la loro percezione rispetto ai segnali d’allarme che precedono il fenomeno50.

Consultando le risposte degli educatori risulta che l’intero campione afferma di essersi sentito demotivato nella sua pratica quotidiana e che la demotivazione ha avuto degli effetti a livello professionale e talvolta anche a livello personale.

“Numerose ricerche sono state effettuate riguardo al legame tra stress e sintomi depressivi. Per esempio, Checkley trovò che alcuni fattori stressanti sono responsabili di vulnerabilità a sviluppare disturbi depressivi. Particolare attenzione viene data al disturbo dell’adattamento. I sintomi clinici maggiormente manifestati dalle persone che lamentano questo disturbo sono: “ansia, irritabilità, preoccupazione per il futuro, irrequietezza, umore depresso, facilità al pianto, sentimenti di perdita di speranza, assenze ingiustificate a scuola o lavoro, vandalismo/risse, guida spericolata, inadempienza verso responsabilità legali, lamentele fisiche o sintomi somatici, ritiro sociale, sentimenti di impotenza rispetto al futuro e sentimento di incapacità ad affrontare la situazione.”51.

Ho chiesto agli educatori del CARL di descrivere la sensazione provata, per poter raccogliere il loro vissuto e individuare eventuali analogie.

Gli educatori parlano più volte di frustrazione, stanchezza, mancanza di energie, solitudine, visione negativa e mancanza di volontà. Dicono di essersi sentiti stufi e annoiati. Alcuni hanno rilevato polemicità, rabbia, ansia e senso d’impotenza di fronte alle situazioni e di fronte alla difficoltà nella collaborazione in équipe. “Un rapporto per sussistere ha bisogno di una sintonia(…). Il primo fattore che realizza questa sintonia è che io riconosco il tuo valore perché il rapporto fra noi non è un fatto casuale ma decisivo per entrambi. Se questo non accade si fa veramente fatica a lavorare , si diventa insensibili, staccati da tutto quello che accade (vita degli ospiti e dei colleghi) diventando degli egoisti indifferenti”52. Inoltre, lavorando a contatto con le persone c’è il rischio di trasferire il proprio malessere ai soggetti con cui interagiamo, aggravando ulteriormente il fenomeno53.

Nel grafico 3 alla pagina seguente è rappresentata la frequenza in cui si sono manifestati gli effetti proposti. I primi tre indicatori indagano gli effetti sul piano individuale e i restanti gli effetti a livello professionale.

                                                                                                               

50 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domande 8-10, pp.5-7 51 CAMPELLO C., LEPORI A., MARAZZI C., La salute flessibile, SUPSI DSAS, 2007, p. 83

52 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 8, Intervistato 7, pag.6   53 Allegato 2, Interviste agli educatori dei Laboratori protetti del CARL, domanda 8, Intervistato 2, pag.5

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