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CAPITOLO 1 “Federalismo fiscale”: significato del

1.6 IL FEDERALISMO COMPETITIVO

1.6.2 Considerazioni circa la concorrenza verticale

Per alcuni autori la concorrenza verticale è vista come rivalità circa l’attribuzione di responsabilità, o l’esercizio di poteri e la distribuzione di risorse. Non importa se questa rivalità debba essere chiamata concorrenza:. il problema principale è se essa serve agli interessi dei singoli cittadini. Questo filone di pensiero a questo quesito fornisce una risposta negativa, sostenendo invece che “le responsabilità dovrebbero essere attribuite

in modo netto, una volta per tutte, le sovrapposizioni di competenze dovrebbero essere evitate e i conflitti inevitabili dovrebbero essere risolti attraverso la cooperazione fra i diversi livelli di governo. (…) Rispetto alla concorrenza orizzontale, quella verticale rende più difficile l’identificazione delle responsabilità. Gli elettori non sono infatti sufficientemente informati sulle precise relazioni esistenti fra i diversi livelli di governo (l’effetto ‘carta moschicida’ è una dimostrazione

di questo, v. capitolo II)” (Salmon, 1987).

Tuttavia, seguendo la scia di Albert Breton, la concorrenza verticale può essere vista sotto una luce più favorevole. La concorrenza verticale è vista come uno dei mezzi per raggiungere uno degli obiettivi principali della democrazia: limitare il potere che può essere accumulato da un solo uomo politico o partito o, più in generale, da una sola autorità.

1.7 MARKET-PRESERVING FEDERALISM.

Questa teoria è stata sviluppata nella seconda metà degli anni Novanta principalmente da due autori: Barry R. Weingast e Yingyi Qian.

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Nel loro paper del 1997 Federalism as a Commitment to

Preserving Market Incentives (pagg. 83-92), Weingast e

Yingyi sottolineano che il federalismo ‘di prima generazione’ (Tiebout, Oates, Musgrave e altri) mette in luce i benefici derivanti dalla decentralizzazione, ma ignora il motivo per cui i governi hanno incentivo a comportarsi come prescritto dalla teoria. Viene dato per scontato che i funzionari pubblici “provide public goods

and preserve markets” (pagina 84).

Riassumendo, le conclusioni a cui pervengono le teorie classiche del federalismo sono che la decentralizzazione porta a una minor perdita di benessere per i cittadini, soprattutto se le preferenze sono omogenee all’interno delle giurisdizioni, che grazie al fenomeno della mobilità i cittadini possono spostarsi verso l’ente locale che meglio rispecchia le loro preferenze dando vita ad una concorrenza genuina tra le giurisdizioni stesse e che i governi locali sanno prendere decisioni migliori proprio perché conoscono maggiormente le preferenze dei cittadini.

Invece, il federalismo ‘di seconda generazione’11 vuole superare quello di ‘prima generazione’ facendo emergere il motivo e il modo per il quale i funzionari pubblici “forniscono beni pubblici e salvaguardano il

mercato”. Ciò avviene non perché c’è un’ipotesi alla base

che lo prevede, ma perché è presente una struttura organizzativa che lo consente.

Nel loro paper, Qian e Weingast (1997) riconoscono che diversi sistemi di governo si pongono come obiettivo quello di avere dei funzionari pubblici che ricoprono le due sopracitate funzioni, ma sono sistemi imperfetti: lo stato

11 Gli autori che si potrebbero far rientrare in questo filone sono diversi, tuttavia in questa tesi ne verranno citati essenzialmente tre: Barry R. Weingast, Yingyi Qian e Roger D. Congleton.

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di diritto, le democrazie o, ancora, la separazione orizzontale dei poteri (ad esempio: legislativo, esecutivo e giudiziario). Invece, essi sostengono che il federalismo (inteso come appropriata decentralizzazione di poteri e funzioni dal governo centrale a quello locale) offre una differente soluzione.

Influenzati dalle teorie sviluppatesi sulle imprese e paragonando i governanti degli enti locali ai managers e i cittadini agli shareholders, dimostrano come “le imprese e

i governi possono essere strutturati in modo che, interagendo con il mercato, allineino gli incentivi degli amministratori con gli interessi dei cittadini perché, altrimenti, come i dirigenti delle imprese, anche i funzionari politici, se data loro l’opportunità, si approprieranno di tutta la ricchezza” (pagina 85).

Gli autori riconoscono due analogie principali con la teoria dell’impresa:

a) l’allocazione delle informazioni e del potere influenza direttamente il grado di impegno. In particolare, l’efficienza può svilupparsi in un contesto dinamico se i livelli di governo centrali lasciano a livelli inferiori alcune informazioni e parte della loro autorità;

b) inoltre, la concorrenza costringe i responsabili (managers e governanti locali) a riflettere sugli interessi degli altri soggetti (rispettivamente, shareholders e cittadini).

L’analisi di Qian e Weingast prosegue cercando di individuare un modello di decentramento che “impegni in

modo credibile lo Stato a far funzionare il mercato in modo tale da permettere agli agenti economici di ricavare la massima ricchezza”.

Gli autori notano che negli ultimi trecento anni, le nazioni più ricche al mondo presentano una struttura

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federalista (Norvegia, Inghilterra, Stati Uniti). In particolare, viene riconosciuto in questi Stati un modello di federalismo (definito come Market-Preserving Federalism) che ha limitato il grado con cui il loro sistema politico avrebbe potuto invadere il mercato.

Un sistema federale è Market-Preserving se ha tre caratteristiche addizionali (dette F3, F4 E F5) oltre a quelle di un comune sistema federale (F1 E F2):

F1) la gerarchia nei livelli di governo con delineati ambiti di potere;

F2) ‘l’autorità istituzionalizzata’, ossia il fatto che l’assegnazione dei poteri politici è sottoposta al controllo del governo centrale;

F3) i governi locali hanno una responsabilità primaria di regolazione dell’economia;

F4) è assicurato un mercato comune, in modo da impedire ai governi locali di alzare delle barriere contro l’ingresso di beni e servizi prodotti da altre unità politiche;

F5) i governi locali devono inderogabilmente rispettare un vincolo di bilancio, dunque essi non hanno la facoltà di stampare denaro e non hanno accesso a un credito illimitato.

Se una struttura federalista presenta anche le tre caratteristiche addizionali sarà in grado di rendere espliciti alcuni presupposti politici delle teorie di ‘prima generazione’ e di garantire la qualità di conservazione del mercato del federalismo.

Infatti, una tale struttura darà vita a una competizione tra i diversi livelli di governo: ciò, oltre ai vantaggi già citati nel paragrafo 1.6, implica che, in linea con la condizione F3), nessun livello di governo ha il monopolio nel controllo dell’economia.

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Inoltre, tanto più il capitale e il lavoro sono mobili, il Market-Preserving Federalism ostacola i governi locali nel loro tentativo di porre limiti politici all’attività economica, perché le risorse si andranno a stabilizzare in un’altra giurisdizione: la condizione F4) richiede infatti l’esistenza di un mercato comune.

Dunque, la concorrenza politica implica che le varie giurisdizioni competono per attirare capitali, lavoro e attività economiche offrendo una serie di politiche pubbliche (ad esempio, il livello di tassazione e di beni pubblici e la salvaguardia dei diritti di proprietà) che sono diverse per ogni ente locale. Inoltre, se il costo di una certa politica è superiore ai suoi benefici, il fenomeno della mobilità fa sì che gli individui si spostino nella giurisdizione più in linea con le proprie preferenze e la conseguenza di questo fenomeno combinato con la concorrenza tra giurisdizioni, è che sopravvivranno solo le restrizioni per cui i cittadini sono disposti a pagare.

La terza condizione addizionale (F5), attinente al vincolo di bilancio, comporta che i governi sub-nazionali sopportino le conseguenze finanziarie derivanti dalle loro politiche, senza che sia data loro la possibilità di spendere oltre i mezzi a loro disposizione.

L’analisi degli autori si conclude mettendo in luce il fatto che in molti Stati il movimento federalista è fallito proprio perché non presentava le caratteristiche del

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