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CAPITOLO 2 – Federalismo fiscale e finanziamento degl

2.1 INTRODUZIONE

Quando il governo centrale di un Paese decide di decentrare alcune funzioni a livelli di governo inferiori, questi avranno bisogno di un certo grado di autonomia finanziaria e tributaria per poter offrire beni e servizi ai propri cittadini. Con il termine autonomia tributaria si intende “il concreto potere di cui un certo ente pubblico

dispone, di manovrare la dimensione delle sue entrate provenienti da tributi manovrando gli elementi di questi tributi. Il principale tra questi elementi è, naturalmente, l’aliquota (…)” (Fausto-Pica, 2000).

Prima di analizzare ogni tipologia di finanziamento, mettendone in luce caratteristiche, benefici da essa derivanti e/o limiti, si vuole fornirne un’elencazione e una concisa definizione.

 IMPOSTE PROPRIE: l’ente locale ha a disposizione una base imponibile (spesso definita dal governo centrale) su cui basare proprie imposte. Il governo centrale spesso interviene anche limitando le aliquote applicabili dal governo locale con leggi nazionali, al fine di uniformare queste imposte o di responsabilizzare l’ente locale evitando che l’intero finanziamento arrivi dal centro. Dall’altra parte l’ente locale può, modellando le aliquote, differenziare i cittadini con caratteristiche diverse. Garantiscono elevata autonomia all’ente perché, oltre alle aliquote, può determinare deduzioni e detrazioni.

 IMPOSTE IN SOVRAPPOSIZIONE: l’ente locale ricava un gettito applicando una propria aliquota o all’imponibile (sovraimposta) o al gettito (addizionale) di un’imposta nazionale.

Nel caso di sovraimposta (detta anche ‘addizionale all’imponibile’), il gettito dell’ente può variare se e

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solo se varia la modalità con cui il governo centrale calcola l’imponibile, mentre nel caso di addizionale (all’imposta) incide anche una variazione delle aliquote nazionali.

 COMPARTECIPAZIONI: il governo centrale assegna all’ente locale una parte del gettito di un’imposta nazionale in base a determinati parametri (ad esempio il PIL). L’ente locale non ha alcuna discrezionalità.

 TRASFERIMENTI: si intendono diversi modi in cui lo Stato trasferisce all’ente locale parte delle proprie risorse.

 PEREQUAZIONE: gli enti locali hanno capacità diverse di disporre di risorse proprie e, dunque, per motivi di equità, ossia al fine di non attuare una discriminazione tra i cittadini in medesime condizioni socio-economiche che abitano in enti locali diversi, si istituiscono fondi di perequazione verticali e/o orizzontali, a seconda che si trasferiscano fondi nazionali o di altri enti locali.

 PROVENTI DALLA VENDITA DI BENI O SERVIZI: garantiscono il maggior grado di autonomia poiché l’ente locale applica liberamente un prezzo di vendita (tassa o tariffa) del bene o del servizio.

Sulla scelta delle imposte locali influiscono, principalmente, tre ordini di problemi spaziali: l’’esportazione delle imposte’, la distribuzione della base imponibile sul territorio e la concorrenza fiscale (Brosio- Piperno, 2009).

ESPORTAZIONE DELLE IMPOSTE: “consiste nel far

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diverse da quelle che le riscuotono14”. Esempi di esportazione volontaria sono le imposte di soggiorno nei Comuni turistici, se il peso dell’imposta è maggiore dei benefici goduti dai turisti nel Comune, oppure le imposte sugli immobili appartenenti a società, banche e assicurazioni che operano anche all’esterno della giurisdizione. È da tener presente che questo fenomeno si ha solo se ai non residenti si fanno pagare imposte senza che essi usufruiscano di un servizio, perché in caso contrario (ad esempio, le tariffe di parcheggio) non si può parlare di esportazione di imposte, ma ciò rappresenta una politica di efficienza facendo coincidere i benefici ottenuti con i prezzi pagati.

La principale distorsione in termini di efficienza che deriva da questo meccanismo è che si verifica un eccesso di spesa pubblica perché le entrate sono la somma di imposte di residenti (i quali non vedono diminuire la loro quota) e non residenti, ma i benefici sono minori perché coincidono solo con quelli dei residenti.

 DISTRIBUZIONE DELLA BASE IMPONIBILE SUL TERRITORIO: i livelli di servizi forniti, in particolar modo quelli essenziali, dovrebbero essere uniformi su tutto il territorio nazionale, ma affinché questo sia possibile, anche la base imponibile pro-capite dovrebbe essere uniforme al fine di garantire, a parità di aliquote, eguaglianza di gettito. Tuttavia, sono molto poche le imposte che soddisfano questa esigenza e, anzi, “esse si

sono ridotte di numero con lo sviluppo economico, che è stato, almeno finora, fortemente diseguale sotto il profilo spaziale” (Brosio-Piperno, 2009).

 CONCORRENZA FISCALE: deriva dal fatto che ogni ente locale potrebbe essere incentivato ad abbassare le

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aliquote per attrarre base imponibile di altre giurisdizioni, aumentando così il proprio gettito (ciò non si può dire per le imposte che gravano su una base imponibile totalmente immobile come la terra). L’operazione è conveniente se l’elasticità della base imponibile rispetto a quella dell’aliquota è superiore a uno (Brosio- Piperno, 2009), ossia se i benefici derivanti dall’aumento della base imponibile sono maggiori del sacrificio di abbassare le aliquote.

Questo tipo di manovra si adatta alle imposte che gravano sulle imprese, essendo queste mobili e attirate da aliquote minori, ma è negativa se avviene tra territori contigui perché non porta maggiori benefici e dunque è una manovra scoraggiata dallo Stato con l’imposizione di aliquote minime.

Michael Keen e Ravi Kanbur per rappresentare la concorrenza fiscale hanno elaborato un modello che, pur basandosi su ipotesi molto semplificatrici, mette in evidenza come la concorrenza fiscale influenzi la localizzazione dei cittadini e viceversa. Vengono considerate due regioni confinanti che si differenziano per la popolazione, ma essendo questa distribuita in modo uniforme nel territorio e avendo le due regioni uguale superficie, in ogni regione è identica la distanza massima dal confine. REGIONE DI CASA REGIONE ESTERA POPOLAZIONE h H h/H = dimensione relativa della regione di casa

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Le ipotesi di base prevedono che in entrambe le regioni:

 Vi sia un’imposta sulle vendite al dettaglio in misura fissa sulle unità fisiche dei prodotti (Keen-Kanbur, 1993);

 I cittadini siano liberi di acquistare dove preferiscono perché non esistono confini doganali;

 Il costo di produzione sia nullo e dunque il prezzo sia formato solo dall’imposta, data dalle aliquote t e T;

 L’offerta sia distribuita in modo identico alla popolazione e ciò equivale a dire che “ogni cittadino abita

sopra un negozio” (Brosio-Piperno, 2009).

Partendo da queste ipotesi, si deduce che ogni cittadino sarà condizionato nella scelta solo dal prezzo del bene, e dunque dall’aliquota, però pur sempre rapportando il prezzo al costo che deve sostenere per spostarsi qualora decidesse di acquistare nella regione estera (costo = s al chilometro).

Quando t>T (dunque il prezzo della regione di casa è maggiore del prezzo estero), a un cittadino conviene acquistare ‘fuori casa’, ma solo se il suo guadagno (T-t) è maggiore di ciò che deve pagare per il viaggio (s*d, dove d indica la distanza percorsa): di conseguenza, se T-t > s*d i cittadini traggono maggior beneficio nell’acquistare beni esteri.

Kenn e Kanbur determinano poi la distanza dal confine,

d, oltre la quale non è più conveniente acquistare

all’estero dunque tutti i cittadini acquisteranno prodotti della propria regione:

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I due economisti proseguono il loro modello con l’analisi della concorrenza, supponendo che sia sempre raggiunto un equilibrio di Nash (ossia che il governo di ogni regione fissi l’aliquota tenendo conto di quella estera) e arrivano a dimostrare che il gettito R della regione di casa, non dipende solo dalle aliquote fissate, ma anche dalla dimensione delle regioni, h e H. Infatti, nel caso in cui t<T, tutti i cittadini della regione di casa acquisteranno i prodotti della propria regione e a questi si somma una parte dei cittadini della regione estera che abitano entro la distanza d dal confine, ossia la frazione

Di conseguenza:

R(t,T) = t*h + t*H*

,

se t≤T R(t,T) = t*h - t*h*

,

se t≥T

Secondo Keen e Kanbur, per livelli molto piccoli di T, alla regione di casa conviene fissare un’aliquota più elevata perché, anche se perde i cittadini che stanno all’interno della distanza d dal confine, comunque risulterebbe più conveniente questa perdita piuttosto che quella del profitto che ne deriverebbe se si portasse t a livelli minori T.

Quando la regione estera aumenterà l’aliquota, anche quella di casa potrà farlo (sebbene in proporzioni minori), però il meccanismo di aliquote crescenti verrà interrotto dalla regione di casa quando deciderà di attuare la strategia opposta, ossia quella di abbassare drasticamente l’aliquota t al di sotto di T per recuperare tutti i suoi consumatori e anche una frazione di quelli della regione confinante.

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Il modello di Keen e Kanbur non è realistico, ma appare comunque utile per spiegare i meccanismi della concorrenza fiscale tra giurisdizioni confinanti: nella realtà, come sopra specificato, una concorrenza fiscale ‘esasperata’ tra territori confinanti non porta maggiori benefici, tanto che è lo Stato stesso a fissare aliquote minime.

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