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Considerazioni conclusive

Nel documento Concetti e processi di categorizzazione (pagine 111-119)

Concettualizzare l’autoconsapevolezza corporea e le sue basi cognitive

4. Considerazioni conclusive

Proprio il carattere elusivo e ubiquitario dell’autoconsapevolezza corporea, che rileva dalla circo- stanza che esso accompagna come una sorta di sfondo si- lente ogni nostra esperienza, rende problematica un’indagine sui meccanismi cognitivi che la implementa- no, così come una ricognizione delle strategie di concet- tualizzazione e di categorizzazione a cui si fa ricorso tanto sul piano basilare del senso comune, quanto su quello più elaborato della descrizione fenomenologica e delle strate- gie esplicative intraprese dalle scienze cognitive.

Al primo livello sembrano passibili di concettualizza- zione soltanto gli aspetti dell’autoconsapevolezza corporea che si dirigono intenzionalmente verso il corpo oggetto e che rientrano nell’immagine corporea: in questo senso, il corpo è individuato non solo da proprietà metriche, spazia- li e semantiche relative alla sua configurazione e alle sue parti, che esso condivide con altri oggetti materiali, ma anche da attribuzioni valoriali di ordine estetico, pratico ed etico. Qui il senso di appartenenza si traspone solo per via

derivativa a partire dall’esperienza primaria del corpo vis- suto nell’azione da cui esso trae origine. Come tale, nel corso delle nostre interazioni pratiche con l’ambiente, il corpo è una sorta di dato sempre superato in vista del con- testo progettuale che esse pongono in essere (Sartre, 1943), sebbene possa giungere a manifestazione in certe esperienze cruciali, quali quella del touchant/touché men- zionata in precedenza.

Le descrizioni fenomenologiche si trovano dunque di fronte al problema di selezionare in modo rigoroso, tra le molteplici esperienze percettivo-sensoriali che accomuna- no l’apprensione del corpo proprio a quella del corpo og- getto, quelle che elettivamente si indirizzano al primo, os- sia la consapevolezza dell’iniziazione dei movimenti vo- lontari (l’“io posso” di Husserl e l’intenzionalità motoria di Merleau–Ponty), le sensazioni del tatto interno e quelle propriocettive. Tanto le une quanto le altre rientrano in una struttura integrata e olistica che a dispetto della sua re- cessività si presta ad essere analizzata tramite gli strumenti dell’analisi fenomenologica.

Dal canto loro, le scienze cognitive hanno individuato in modo più dettagliato i processi rappresentazionali sotte- si alle differenti modalità di esperienza del corpo, non sen- za tuttavia sottrarsi alle insidie di un approccio scomposi- tivo e parcellizzante, spesso affetto da una sovrabbondan- za di modelli concettuali che lascia in secondo piano i ca- ratteri strutturali dell’esperienza del corpo – punto di vista alla prima persona, autolocalizzazione, immunità da errori di autoidentificazione, direzione dall’interno e assenza di prospetticità. Rispetto agli approcci più tradizionali di ma- trice rappresentazionalista, quello embodied ha se non al- tro il merito di raccordarsi alla tradizione fenomenologica nel prendere sul serio l’esperienza soggettiva quale base per l’elaborazione di modelli concettuali più aderenti a es-

sa e nell’individuare nell’azione la categoria descrittiva ed esplicativa fondamentale.

Alla luce delle analisi svolte sinora, credo di poter af- fermare che l’autoconsapevolezza corporea e le sue com- ponenti condividano con le forme di autocoscienza di li- vello superiore molti più aspetti di quanto comunemente non si sia indotti a credere. Inoltre, come queste ultime, essa può essere sottoposta a strategie d’indagine in grado di evidenziare la molteplicità delle componenti soggiacenti alla sua genesi e le modalità in cui essa viene concettualiz- zata tanto sul piano fenomenologico dell’esperienza co- mune, quanto su quello delle categorizzazioni invalse ne- gli ambiti disciplinari che la eleggono a oggetto.

La modalità d’accesso epistemico ed esperienziale ai propri stati interni – vale a dire, la prospettiva alla prima persona e la proprietà a questa connessa dell’immunità da errori di autoidentificazione – non spetta infatti soltanto agli enunciati-io (Wittgenstein, 1958), in cui il pronome “io” occorre in funzione soggettiva e alle forme più sofi- sticate di consapevolezza di sé. Anche le sensazioni soma- tiche, che si contraddistinguono rispetto a quelle esterocet- tive per la loro provenienza dall’interno e danno vita allo strato dell’esperienza del corpo come soggetto, condivido- no le medesime proprietà. Il tratto differenziale tra i due livelli di autoconsapevolezza consiste dunque nel fatto che quella corporea è atematica, preriflessiva e non linguisti- camente articolata, almeno per quanto attiene al versante del corpo proprio.

A ben vedere, tuttavia, se è vero che il linguaggio è, prima che l’involucro di un senso evanescente, una tecno- logia o un’estensione corporea, come sostengono gli espo- nenti delle varianti più radicali dell’approccio embodied (Lakoff, Johnson, 1999), anche le forme più astratte e sofi- sticate di autoconsapevolezza sono riconducibili alla di-

mensione del corpo. Affrontare tale questione nella dovuta ampiezza richiederà tuttavia uno studio espressamente de- dicato che esula dai limiti di questo contributo.

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I processi diagnostici e le teorie dei

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