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Evoluzione dell’accoglienza in Provincia di Mantova: il mandato istituzionale tra emergenza e integrazione

2.7 Considerazioni conclusive

La ricerca presentata in questo capitolo ci pone di fronte ad un’evidenza fondamentale: il concetto di accoglienza si presta ad infinite possibilità di definizione, interpretazione, rappresentazione. Negli ultimi anni il problema dell’accoglienza delle persone richiedenti asilo ha fatto capolino nelle agende politiche delle diverse istituzioni locali, le quali sono state chiamate ad inquadrare il problema entro proprie cornici di significato, dando luogo ad una molteplicità di rappresentazioni diverse. Abbiamo visto che in letteratura questa attività cognitiva di ri-definizione prende il nome di problem setting ed è insita in ogni processo di policy making. Ciascuna istituzione ha dato un nome agli eventi connessi all’arrivo dei richiedenti asilo, li ha interpretati e su questi ha costruito una propria specifica storia di accoglienza. La nostra indagine ha cercato di far riaffiorare queste storie, di raccoglierle e di analizzarne gli sviluppi in un determinato arco di tempo, gli ultimi vent’anni, e in uno specifico spazio: la Provincia di Mantova. Per esigenze descrittive abbiamo suddiviso l’evoluzione del sistema di accoglienza

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mantovano in tre fasi principali, ciascuna segnata da un proprio frame di accoglienza, da specifiche scelte nell’organizzazione dei servizi e da un diverso mandato istituzionale rivolto ai gestori di tali servizi.

La prima fase dell’accoglienza coincide con gli anni novanta, quando, nonostante l’immigrazione a Mantova sia ancora agli esordi, l’Ente Provincia intravede le possibilità di evoluzione di questo fenomeno e decide di attivarsi molto precocemente per affrontarlo. Viene così istituita la prima Consulta Provinciale per l’immigrazione, con l’obiettivo di promuovere l’incontro interculturale e la convivenza costruttiva. Nella politica dichiarata dal regolamento istitutivo della Consulta emerge chiaramente l’idea della diversità culturale come una “risorsa per la crescita della società”, quindi la convinzione che l’immigrazione sia un fattore di arricchimento non solo per chi arriva, ma anche per chi accoglie. Da qui si riscontrano i segnali di un primo frame dell’accoglienza, intesa dalle istituzioni locali come una possibilità di integrazione reciproca. L’immigrato non è un povero da aiutare, né un criminale da cui difendersi, ma un persona diversa per cultura con cui posso confrontarmi e da ciò può nascere un processo di integrazione reciproca. La politica in uso si rivela in sostanziale continuità con la politica dichiarata ed emblematica in questo senso è l’apertura, già nel 1992, del Centro di Educazione Interculturale. I servizi offerti dal Centro non sono limitati ai soli immigrati, come i corsi di alfabetizzazione, ma anche rivolti alla cittadinanza e soprattutto agli Enti responsabili dell’educazione: le scuole. Vengono attivati progetti come “la mia scuola per la pace” che intendono promuovere l’educazione interculturale e la collaborazione tra istituzioni e associazioni di immigrati, in un contesto di reciprocità possibile. La scelta di prevedere l’istituzione di servizi permanenti come il Centro Interculturale, i Segretariati Sociali, l’Ambulatorio Migranti, rivela in modo evidente un’idea di immigrazione come un fenomeno strutturale nella società e che, come tale, richiede risposte altrettanto strutturate e durature nel tempo. Da queste considerazioni emergono in modo chiaro le indicazioni del mandato che la Consulta rivolge ai Servizi : considerare la diversità culturale come una risorsa; incrementare le possibilità di incontro tra culture diverse per permettere il confronto e l’arricchimento reciproco; non limitarsi ad offrire servizi assistenziali all’immigrato, ma puntare su servizi finalizzati alla sua autonomia e integrazione; assumere un’ottica progettuale che permetta di organizzare i servizi in previsione di un’ evoluzione del fenomeno migratorio.

La seconda fase vissuta dal sistema di accoglienza mantovano ha inizio nel 2011, quando la cosiddetta Emergenza Nord Africa giunge a sbaragliare gli equilibri costruiti con fatica nella fase precedente. A seguito delle rivoluzioni della Primavera Araba oltre 60 mila richiedenti asilo provenienti dal Nord Africa sbarcano sulle coste italiane tra aprile e maggio 2011. Le istituzioni centrali sono colte impreparate e si affrettano a rappresentare questi arrivi come un “esodo biblico”, un attentato alla sicurezza e all’ordine pubblico, un vera e propria emergenza. Ben presto si diffonde il frame dell’accoglienza come risposta emergenziale che trova il suo compimento nella dichiarazione dello stato di emergenza da parte del ministero dell’interno, contenuto

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nell’Opcm del 12 febbraio 2011. In continuità con la politica dichiarata, viene affidata la gestione dell’accoglienza sul piano nazionale al Dipartimento di Protezione Civile, come avviene in caso di calamità naturale. Le pressioni emergenziali giungono anche alla Prefettura di Mantova che, con un preavviso di solo poche ore, si trova a dover provvedere all’accoglienza di quaranta richiedenti asilo giunti sul proprio territorio. Trovandosi per la prima volta in questa situazione le istituzioni locali sembrano utilizzare la metafora generativa dell’emergenza sociale: riconducono l’ignoto dell’accoglienza dei richiedenti asilo al noto dell’emergenza sociale alloggiativa. Si attivano, come hanno sempre fatto in caso di persone vulnerabili che si trovano temporaneamente senza un’abitazione, collocandole presso un albergo convenzionato con l’Ente Pubblico. È il Tavolo Tecnico, riunendosi ogni mercoledì, ad occuparsi direttamente di tutte le esigenze dei primi richiedenti asilo, emblematica in questo senso è la raccolta delle presenze quotidiana effettuata dai funzionari prefettizi. In questi primi mesi di accoglienza anche le istituzioni mantovane sembrano appiattirsi sul mandato emergenziale della Protezione Civile. Ben presto però si rivelano le carenze di questo mandato che non sa rispondere alle reali esigenze delle persone accolte e non sa fornire indicazioni precise sulle competenze dei diversi soggetti coinvolti nell’accoglienza. Emblematica in questo senso è l’indicazione, contenuta nella circolare n.104 dell’8.12.14 di predisporre convenzioni simili a quelle previste per i CARA o per gli SPRAR. Abbiamo visto l’inadeguatezza del riferimento a questi centri che rappresentano due tipologie molto diverse e lontane dai nuovi centri di accoglienza aperti durante l’Emergenza Nord Africa. La mancanza di indicazioni chiare sui servizi da erogare e sulle competenze dei diversi Enti coinvolti, lascia al Tavolo Tecnico mantovano la discrezionalità per re-interpretare il mandato istituzionale e sopperire alle carenze da esso dimostrate. Le istituzioni locali, prima fra tutte la Provincia, non si fanno sfuggire l’occasione di proporre un mandato nuovo e reinterpretato ai propri Enti Gestori. I servizi minimi di accoglienza, limitati alla dimensione alberghiera si rivelano insufficienti rispetto alle molteplici necessità dei richiedenti asilo, viene quindi elaborato il progetto, “L’ABC dell’accoglienza”, che propone l’introduzione di servizi aggiuntivi finalizzati non solo all’assistenza del migrante, ma anche alla sua integrazione sul territorio. Questa particolare sensibilità dimostrata dal Tavolo Tecnico ci ricorda il frame dell’accoglienza come integrazione, che caratterizzava i servizi del Centro Interculturale, e che riemerge in totale contrasto con il frame dell’accoglienza come emergenza proposto dalla Protezione Civile. In questo passaggio abbiamo visto che un ruolo chiave è giocato della Provincia che, grazie all’esperienza maturata in passato, riesce a fornire indicazione utili a reinterpretare il mandato in modo autonomo rispetto alle influenze esterne.

Un ulteriore elemento di interesse per l’indagine è rappresentato dalla fase di passaggio vissuta dal sistema di accoglienza nel 2013, quando si dichiara terminata l’emergenza e con essa l’accoglienza istituzionalizzata. In questo momento a Mantova una cinquantina di richiedenti asilo, prima ospitati in albergo, si trovano improvvisamente senza una sistemazione alloggiativa e senza un’ alternativa altrettanto

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valida. È proprio a questo punto che il frame dell’accoglienza mantovano si trova ancora in contrasto con le indicazioni del mandato della Protezione Civile: l’immigrazione non è un fenomeno temporaneo, ma strutturale e che crescerà nel tempo, è quindi necessario provvedere con risposte altrettanto strutturate e lungimiranti. A farsi carico di questa istanza è soprattutto il mondo del volontariato, costituito da insegnati di italiano, medici e mediatori culturali impiegati nei servizi del Centro Interculturale e dell’Ambulatorio Sanitario, i quali si attivano per aiutare i migranti rimasti sul territorio a cercare una nuova sistemazione e a proseguire il proprio progetto di integrazione. Questa attivazione risulta unicamente di natura volontaristica e va oltre alle indicazioni del mandato istituzione, sopperisce alle sue inadeguatezza e alla sua cecità di fronte ad un fenomeno sociale tutt’altro che temporaneo.

Ben presto le intuizioni dei volontari mantovani si rivelano realistiche e tra la fine del 2013 e 2014 si registra il picco più alto degli sbarchi sulle coste italiane, che triplicano rispetto a quelli avvenuti nel 2011. Questi fatti, insieme alla tragedia del 3 ottobre 2013, spingono le istituzioni ad aprire una nuova fase dell’accoglienza. I retaggi dell’approccio emergenziale utilizzato nel 2011 rivelano le carenze del sistema di accoglienza italiano, che non si è ancora dotato di programmi e mezzi ordinari adeguati per rispondere alle reali esigenze. Il sistema ordinario SPRAR dispone di un numero ancora troppo limitato di posti in accoglienza, ciò spinge le istituzione a riproporre come unica soluzione l’apertura di centri di accoglienza straordinaria (CAS). L’identità giuridica di questi centri risulta ancora poco chiara, e anche il mandato istituzionale loro rivolto appare incentrato sullo mantenimento dell’ordine pubblico e sull’assistenza primaria dei migranti. In quest’ultima fase anche Mantova si trova ancora una volta presa dal vortice dell’emergenza e nei primi mesi del 2014 adotta alcune delle soluzioni del passato, come l’utilizzo delle forma contrattualistica dell’affidamento diretto e di convenzioni basate su servizi minimi di assistenza. Ben presto però gli arrivi diventano più ingenti e le istituzioni locali sono spinte ancora una volta a reinterpretare a proprio modo il mandato istituzionale proveniente dal Ministero, a cercare soluzione creative e specificare in modo più preciso quali servizi devono essere garantiti all’interno dei propri CAS. Il 2015 segna una svolta per l’accoglienza a Mantova perché viene indetto il primo Bando di gara ad evidenza pubblica, il quale permette finalmente la concorrenza tra i diversi Enti Gestori e con essa maggiori garanzie di trasparenza e qualità. Il mandato istituzionale locale, contenuto nei bandi del 2015, si rivela più specifico e lungimirante: introduce, a fianco dei servizi minimi di accoglienza (vitto, alloggio), anche i servizi per l’integrazione, intesa come orientamento ai servizi del territorio. Il concetto di accoglienza come integrazione comincia a fare capolino nei documenti ufficiali e sembra aprire una nuova stagione dell’accoglienza locale, non più sotto il segno dell’emergenza e della straordinarietà degli interventi. Il bando 2015 rivela inoltre un’attenzione specifica alla qualità dell’offerta tecnica dei gestori che viene valutata secondo cinque variabili: tipologia di servizi; progetti ulteriori; formazione del personale; caratteristiche delle strutture ed esperienza nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Infine l’anno 2016 segna in modo emblematico la crescita del

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mandato istituzionale che si pone come obiettivi la realizzazione del principio di accoglienza diffusa e la maggior qualificazioni dei servizi. Per raggiungere il primo obiettivo troviamo all’interno del bando 2016 una strategia di quote che impone agli enti gestori di aprire nuovi centri in territori che non sono ancora stati coinvolti nell’accoglienza. Per una maggior qualificazioni dei servizi di accoglienza il bando richiede maggiori requisiti professionali per gli operatori; un adeguato rapporto numerico tra operatori e ospiti; la stesura di un vero e proprio “progetto di integrazione” suddiviso in fasi a cui devono corrispondere dei servizi specifici e l’indicazione del persone utilizzato.

Al termine della nostra indagine si è voluto riservare un approfondimento specifico sull’organizzazione attuale del sistema di accoglienza a Mantova, che si rivela in continuità con l’evoluzione del frame dell’accoglienza e dei contenuti del mandato istituzionale visti poc’anzi. Abbiamo visto che il sistema nel tempo si è ampliato, diffuso sul territorio e specializzato in base alle diverse tipologie di utenza immigrata. Rispetto al primo punto si riscontra l’aumento sostanziale dei CAS aperti che, dai 15 del 2014, sono passati ai 60 del 2015, fino agli 85 del 2016, un numero destinato a raggiungere ben presto il centinaio. Questi centri sono stati poi diffusi sul territorio sollecitando gli Enti gestori ad aprire nuovi centri in comuni non ancora coinvolti nel sistema di accoglienza. Le attività di sensibilizzazione delle amministrazioni su questi temi si fanno più intense e portano ad includere un numero crescente di comuni: 15 nel 2014, 26 nel 2015 e 38 nel 2016, su un totale di 68 comuni totali. È evidente che la strada per rendere l’accoglienza diffusa in modo equo sul territorio è ancora lunga, ma l’impegno in questo senso denota una certa sensibilità da parte dell’istituzionale prefettizia a tenere debito conto del punto di vista delle amministrazioni comunali. Infine un’ultima evidenza emersa dalla ricerca è data dalla specializzazione del sistema di accoglienza mantovano che ha saputo rispondere in modo via via più specifico alle esigenze dell’utenza migrante. Abbiamo visto come negli ultimi anni si sia modificata la conformazione dei gruppi migranti i quali sono costituiti non più solo da uomini, ma anche da donne, famiglie e minori stranieri non accompagnati. Mantova si è da subito adoperata per fornire soluzione abitative adeguate alle esigenze di queste categorie e ciò è riscontrabile dai dati raccolti: dai 13 CAS solo per uomini nel 2014 si passa all’apertura di 3 appartamenti per le famiglie e due dedicati a sole donne nel 2015; in infine nel 2016 si passa a 66 CAS per uomini, 5 per donne, 11 per famiglie e anche due centri dedicati in modo specifico ai Minori Stranieri Non Accompagnati.

In conclusione è possibile affermare che le tre fasi in cui abbiamo suddiviso l’evoluzione del sistema di accoglienza a Mantova ci hanno permesso di far riaffiorare tre diversi frame istituzionali: dall’accoglienza come integrazione reciproca, promossa dalla Consulta negli anni ’90, si passa al frame dell’accoglienza come risposta emergenziale, imposto dalla Protezione Civile nel 2011;per arrivare, al frame dell’ accoglienza come specializzazione, un’idea di cui si sono riappropriate negli ultimi anni istituzioni locali.

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Questa opera di apprendimento organizzativo e di specializzazione dei servizi è stata possibile soprattutto grazie all’apporto del Terzo Settore, che ha saputo trovare le risorse per mantenersi aggiornato e offrire soluzioni creative alle richieste sempre più complesse provenienti dall’istituzione prefettizia. Nel prossimo capitolo ci concentreremo in modo più approfondito su come sono state elaborate queste risposte creative e quali apprendimenti hanno permesso agli Enti Gestori di coniugare il mandato istituzionale con il proprio mandato sociale. Cercheremo di dare voce ad un terzo settore ancora poco ascoltato, nonostante lavori da anni in prima linea nell’accoglienza, e vedremo configurarsi un arcipelago di risposte diverse date al medesimo interrogativo: “cosa intendi con il termine accoglienza?”

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CAPITOLO 3

La voce del terzo settore: forme di accoglienza tra sconfinamenti e