La voce del terzo settore: forme di accoglienza tra sconfinamenti e apprendimento organizzativo
3.1 Contesto della ricerca: il protagonismo del terzo settore nel welfare m
Il protagonismo del terzo settore nella produzione di servizi socio-assistenziali è certamente ascrivibile alle scelte di politica sociale attuate nel nostro paese negli ultimi anni a seguito della crisi del welfare state. Come è noto, a partire dagli anni ’90 sono stati attivati programmi di ristrutturazione del welfare, sotto il segno dei tagli alla spesa pubblica e della razionalizzazione delle risorse, finalizzati ad aumentare l’efficacia e l’efficienza dei servizi socio-assistenziali. A questo forte irrigidimento delle politiche sociali, non è seguita una riduzione della domanda di prestazioni, la quale, al contrario, è diventata sempre più ampia e complessa. I bisogni nella società contemporanea sono aumentati e hanno assunto una conformazione multiforme in relazione a diversi fenomeni sociali. A lungo, e da diversi punti di vista, si è parlato di cambiamenti della famiglia (composizione, numerosità, ecc.); del progressivo invecchiamento della popolazione; dei processi migratori interni ed esterni; il nuovo ruolo della donna nel mercato del lavoro; della precarietà lavorativa in età giovanile; delle nuove povertà che si intrecciano con quelle tradizionali. La domanda sociale si è tutt’altro che attenuata, anzi è mutata nel tempo sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Oggi i cittadini
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non si accontentano più delle risposte standardizzate, ma richiedono servizi sempre più su misura, molto specifici, diversificati e di qualità (Gosetti e La Rosa, 2009). Questo ha interrogato i sistemi socio-assistenziali pubblici che si sono trovati di fronte ad una domanda sociale sempre più pressante senza poter contare su risorse adeguate o sufficienti per farvi fronte. Si sono così avviate delle sperimentazioni per superare questa impasse e si sono realizzati servizi più corrispondenti ai bisogni crescenti. Sperimentazioni che hanno seguito due vie: lo sviluppo progressivo di collaborazioni tra pubblico e privato, con particolare riferimento al privato no profit, e la riscoperta della comunità come risorsa.
Con l’espressione welfare mix si intende proprio questa nuova collaborazione tra pubblico e privato nella produzione di servizi alla persona, finalizzata ad affrontare alcuni dei problemi che sono alla base della crisi di welfare: abbassare la spesa, limitare la burocratizzazione, creare organizzazioni più flessibili, capaci di adattarsi a bisogni sempre diversi, coinvolgere maggiormente i cittadini nei processi di auto-aiuto. Il soggetto pubblico è andato riservandosi sempre più il compito di programmare e controllare, abbandonando, almeno in parte, la produzione diretta dei servizi. Le pubbliche amministrazioni pressate da esigenze di contenimento della spesa, tendono con sempre maggiore facilità ad esternalizzare buona parte della produzione di servizi, affidandoli a soggetti del terzo settore. A inizio degli anni ’90 il parlamento ha sostenuto il riconoscimento del ruolo fondamentale del privato sociale a fianco del
pubblico con apposite leggi12.
Al riconoscimento giuridico è seguito un aumento delle esternalizzazioni, con un significativo decentramento del processo produttivo, spostato nelle mani del privato sociale emergente. Alcuni studiosi (Ranci 1999; Franzoni, Anconelli 2003) osservano come inizialmente ciò è avvenuto in mancanza di un vero e proprio progetto di welfare mix politicamente discusso e condiviso, ma piuttosto in virtù di processo imitativo tra enti locali cui non è estranea una cultura politica che propone il privato come indiscusso sinonimo di efficienza. In mancanza di un orientamento preciso di tale processo il rischio ravvisato è quello di ridurre la relazione tra pubblico e privato e mero scambio economico, mantenendo il terzo settore in una posizione ancillare rispetto allo Stato per sopperire alle mancanze di un welfare ridotto all’osso. I soggetti del no profit assumono così un ruolo centrale nella produzione, difficilmente accedono a ruoli di programmazione e di pianificazione delle politiche sociali. Solo nel 2000, con la Legge quadro n. 328, si è cercato di dare un maggior peso al terzo settore, considerandolo non più solo mero esecutore e produttore di servizi, ma attivo interlocutore nella programmazione del welfare. Nel testo della legge possiamo trovare diversi elementi innovativi che riconoscono e valorizzano la voce del terzo settore assegnandogli numerosi compiti:
12 Legge 8 novembre 1991 n.381, Disciplina delle cooperative sociali (le distingue in cooperative di tipo
A, per la produzione di servizi, e cooperative di tipo B, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate); Legge 11 agosto 1991 n. 266, Legge quadro sul volontariato;Legge 7 dicembre 2000 n. 383, Disciplina delle associazioni di promozione sociale.
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- vista la sua presenza capillare sul territorio esso è riconosciuto come sensore di nuovi bisogni sociali, li sa riconoscere ed esplorare;
- in risposta ai nuovi bisogni, esso sa attivare la propria creatività, condurre
fondamentali sperimentazioni13 e proporsi come innovatore dei servizi;
- non deve limitarsi a sostituire le mancanze del pubblico ma può diventare moltiplicatore di risorse proprio avvalendosi delle reti di aiuto e di relazione che sono il suo patrimonio specifico;
- diventa un vero e proprio produttore di capitale sociale;
- Nell’attuale condizione di crisi del mercato del lavoro il terzo settore è anche considerato come un importante bacino occupazionale.
Il ruolo che viene attribuito al privato sociale dalla L. 328/2000 quindi è quello di innovatore dei servizi, moltiplicatore di risorse, produttore di capitale sociale e di posti di lavoro. Per fare questo, però, deve potersi sviluppare non in funzione “ancillare” rispetto al sistema pubblico e veder valorizzati i propri spazi di autonomia. La riprogettazione del welfare mix, sostengono Franzoni e Anconelli (2003 p. 89) “ha bisogno del contributo di tutti: soggetti pubblici e privati devono lavorare in rete e trasformare i rapporti di esternalizzazione in rapporti di effettiva sussidiarietà”. Le autrici continuano osservando alcune specificità che riguardano le singole tipologie di soggetti che sono inclusi nell’ormai ampia categoria di terzo settore.
Le cooperative sociali sono caratterizzate da una forte carisma innovativo e flessibile, come imprese sociali esse hanno la capacità di affrontare l’orientamento alla qualità delle gare d’appalto e più complessivamente di muoversi con abilità nella cultura innovativa del sistema produttivo. Quest’ultimo è oggi più orientato alla soddisfazione del cliente e impone la sperimentazione di modelli gestionali innovativi. Ad esempio, le cooperative che si occupano di disabili fisici sono dotate di particolari tecnologie in grado di fa superare l’handicap e si comportano come aziende mercantili, capaci di sostenere la concorrenza tramite sofisticati sistemi di aggiornamento tecnologico e sviluppo di competenze professionali e manageriali. Un altro esempio è dato dalle cooperative che hanno come utenza persone con malattie psichiatriche, nate per offrire ambienti più idonei al recupero dell’autonomia, e che rimangono strumenti per i servizi territoriali. Si registrano sempre più frequenti i casi in cui in esse vengono inseriti anche utenti sostenuti da borse lavoro finanziate dall’ente locale.
La cooperazione sociale ha, quindi, assunto il ruolo di interlocutore importante per gli enti pubblici nella costruzione di una pluralità di risposte ai bisogni del territorio. Questa capacità di trovare soluzioni innovative e soprattutto diversificate tra loro, ha permesso di affrontare in modo più efficace ha una serie di domande sociali in crescita che altrimenti non avrebbero trovato una risposta.
13 Un esempio emblematico di innovazione è rappresentato dai servizi rivolti a persone tossicodipendenti,
attivati primariamente da associazioni cattoliche ( EXODUS; ArCa;, Mondo X) e laiche (San Patrignano, Gruppo Abele), che ancora oggi detengono il primato nella costruzione di metodi riabilitativi e percorsi ad hoc, sperimentati nel tempo e in diverse realtà locali. Anche il servizio di “educativa di strada” finalizzato alla prevenzione del disagio giovanile, nonché i servizi c.d. “leggeri” di animazione di bambini, anziani e disabili sono il frutto della creatività di numerose cooperative sociali.
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Il volontariato, altro soggetto incluso nella categoria di Terzo Settore, ha una propria specificità rappresentata dalla gratuità del proprio agire e da forti motivazioni etiche che la sostengono. Il volontario, secondo la definizione della FIVOL (Fondazione Italiana Volontariato), è “la persona che liberamente e gratuitamente, adempiuti i propri doveri civili e di Stato, si pone a disposizione della comunità, promuovendo risposte efficaci e creative ai bisogni del territorio” e, dunque, “ispira e motiva la propria vita a fini di solidarietà, responsabilità e giustizia sociale, utilizzando le proprie capacità e competenze a favore degli altri e del bene comune”. È proprio questa sua caratteristica di gratuità che rende il volontariato, secondo Franconi (2003, p.64), “una sorta di fertilizzante per l’intero settore non profit, innanzitutto per il sostegno e lo sviluppo delle motivazioni degli altri soggetti, e altresì, per le esperienze più informali di auto- aiuto e di reciprocità.”
Il volontariato, quindi, è un’esperienza fondamentale per l’educazione alla solidarietà che è alla base del sostegno alla motivazione di chiunque scelga di spendere la sua vita professionale nel settore non profit.
A fianco del volontariato troviamo l’associazionismo, disciplinato dalla legge 383/2000 che definisce “associazioni di promozione sociale” le “associazioni riconosciute e non, i movimenti i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti per svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o terzi, senza finalità di lucro.” Un’ampia gamma di associazioni rientra in tale categoria: quelle che si occupano di questioni ambientali, culturali, sanitarie, sociali ecc. Esse hanno l’importante compito di promuovere il sostegno delle relazioni, dei legami e promuovono una molteplicità di iniziative di auto-mutuo-aiuto. Di particolare utilità sociale sono le associazioni di persone che condividono problemi comuni e spesso drammatici: un familiare con grave patologia invalidante. La loro attività si concretizza in scambi di informazioni, attivazione di gruppo di sostegno o di servizi particolari in casi di maggior difficoltà. A esse si aggiungono associazioni culturali, sportive, di tutela dell’ambiente, dedite a specifiche attività di competenza.
Questi esempi ci aiutano a cogliere la specificità che caratterizza l’attività dell’associazionismo: costruzione di legami di reciprocità all’interno delle nostre comunità, legami volti a migliorare la qualità della vita e del benessere delle persone. In una società fortemente caratterizzata da individualismo e un senso di incertezza generalizzato (Bauman, 2000; 2002;), le associazioni diventano un fondamentale elemento di sostegno alle relazioni comunitarie che oggi più che mai rischiano lo sfaldamento.
Questo breve excursus ci ha permesso di individuare le caratteristiche dei soggetti del terzo settore e comprenderne l’importanza per l’innovazione, la differenziazione, la qualificazione dei servizi socio-assistenziali in Italia. Essi hanno assunto un ruolo di protagonisti in risposta alla crisi del welfare e alla necessità di far fronte a nuovi e diversi bisogni sociali. La collaborazione tra pubblico e privato sociale, in un’ottica di welfare mix e la valorizzazione delle specificità interne al terzo settore, risulta una grande opportunità per la sopravvivenza della solidarietà sociale nel nostro paese.
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In continuità con le tendenze generali, anche nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo, le istituzioni pubbliche hanno fatto ricorso in modo sistematico alla formula dell’esternalizzazione dei servizi, tramite affidamento ad enti del terzo settore. Vari soggetti, soprattutto del non profit -anche a Mantova- hanno risposto alla chiamata dell’istituzione in forma sempre più ampia e organizzata. Nel caso mantovano, assumendo il ruolo di “Enti Gestori” (come vengono chiamati nel linguaggio tecnico) dei centri di accoglienza, essi hanno dovuto affrontare una sfida nuova e urgente. Le pressioni emergenziali del mandato istituzionale hanno fortemente interrogato queste organizzazioni che hanno dato una risposta diversa proprio a partire dalle specificità che caratterizzano la loro conformazione e il loro principi etici.
Chi non si è arreso ai limiti imposti dalle istituzioni ha dovuto risolvere la conflittualità tra mandato etico e mandato istituzionale tramite la produzione di soluzioni di accoglienza diverse, più vicine al propria identità e più attente alle esigenze delle persone accolte. La difficoltà del lavoro sociale nell’accoglienza dei richiedenti asilo si situa proprio in questo lavoro di ricomposizione tra i mandati provenienti dalle istituzioni, dall’etica professionale e dai bisogni dell’utenza. Una difficoltà che si può trasformare in un’occasione di costruzione di forme di accoglienza “altra” rispetto a quella proposta dalle istituzioni. Queste diverse forme di accoglienza elaborate dagli enti gestori dei CAS, sono ancora poco studiate ed è per colmare questa lacuna ma, soprattutto, per la loro posizione strategica, alla base del sistema di accoglienza, che sono state scelte come oggetto della ricerca presentata in questo capitolo.