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Il D.Lgs. 150/2009 disciplina le funzioni e le modalità di applicazione del controllo e della valutazione della performance, identificati come i processi in grado di garantire la realizzazione di obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento della PA, oltre che la trasparenza dell’azione amministrativa.

Una riforma di tale entità è naturalmente soggetta a critiche e punti di forza, soprattutto quando si tratta, come in questo caso, di “toccare” equilibri ormai consolidati da anni.

Responsabilizzazione, appunto, è il principio chiave attorno a cui ruota la ricostruzione della figura del dirigente pubblico introdotta dal suddetto Decreto. Si sottolinea, per l’appunto, l’importanza della responsabilità manageriale del dirigente pubblico, la cui funzione non è limitata all’osservanza della legge, ma focalizzata sul su efficienza ed efficacia del lavoro e dei risultati in termini di attività.

La prima osservazione che vorrei fare è di natura culturale, più che tecnica, collegata al fatto che la “classe media italiana”non è abituata a settare e sottostare ad obiettivi specifici di produttività e qualità. Questo per vari motivi.

Innanzitutto, si toglie alla classe politica la discrezionalità che la caratterizza, certe volte basata su meccanismi di fiducia e favoritismi, migrando ad un sistema più rigido e che non lascia margine a flessibilità. Non bisogna poi tralasciare il fatto che la definizione di obiettivi, indicatori, ma soprattutto il monitoraggio della performance, rappresenta un vero e proprio lavoro, che richiede impegno, tempo e competenze particolari.

Inoltre, come per molti altri contesti, la cultura del change management andrebbe “spinta” ad ogni classe di dipendenti. E’ infatti necessario che la classe “dipendete” sia più proattiva di fronte alle problematiche di lavoro, abituandosi a proporre soluzioni invece che semplicemente segnalare problemi e carenze. Ciò appare particolarmente difficile, se consideriamo l’opinione che la maggior parte dei dipendenti pubblici ha riguardo al posto di lavoro che occupa. Infatti, secondo Murgia e Poggio, il posto di lavoro pubblico è visto come una “garanzia” di una serie

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di diritti e tutele non accessibili in maniera automatica nel settore privato. Si vedano ad esempio i criteri di accesso standard (che riducono aleatorietà tipica in sede di assunzioni in contesti privati),o la maggiore stabilità contrattuale, e una maggiore possibilità di conciliare la vita privata con il lavoro, grazie ad orari più flessibili, permessi e congedi e la possibilità di effettuare i part-time (sempre secondo Murgia e Poggio).

La necessità di operare un cambiamento radicale di cultura organizzativa nasce, infatti, proprio dai problemi operativi rilevati dai dipendenti delle PA, quali ad esempio, quelli riportati nella lista che segue:

1) un’insufficiente aggiornamento tecnico-professionale degli operatori Capita molte volte che un operatore non sappia rispondere ad una domanda di un utente, soprattutto in un contesto (come quello in cui opera l’INPS), molto soggetto alla dinamicità del cambiamento normativo

2) la scarsa disponibilità di mezzi tecnologici quante volte capita agli utenti di non poter usufruire di un servizio per un PC che non funziona, o una stampante ad aghi (degli anni 90) che si inceppa?

3) la differenza di mentalità tra le persone che collaborano capita spesso che un utente si rivolga ad un operatore ricevendo determinate risposte, mentre la volta successiva (con un diverso operatore) riceva risposte completamente diverse alla stessa domanda

4) una burocrazia eccessiva con appesantimento delle procedure interne  passaggio di responsabilità tra sportelli e Uffici diversi

5) un’Amministrazione che non riconosce il lavoro dei dipendenti e punta solo all’immagine

6) Spazi fisici insufficienti

7) Mancanza di comunicazione efficace interna

8) Difficoltà a far recepire alcuni problemi ai superiori

9) Disposizioni a volte vaghe  ad esempio circolari che non definiscano in modo chiaro le procedure a cui attenersi per una determinata prestazione 10) Continue distrazioni e interruzioni nello svolgere un compito ed eccessive

richieste dei colleghi che necessitano di risposte e soluzioni urgenti 11) Mancanza di un ambiente sereno e tranquillo

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12) Antagonismo tra i colleghi, conflitti interpersonali e scarso rispetto del lavoro degli altri

13) Legislazione in continuo e rapido cambiamento che ne impedisce l’aggiornamento e l’applicazione efficace

14) Sottovalutazione del lavoro da parte dei superiori

Una delle condizioni basilari di funzionalità degli indicatori risiede nell'esistenza di un sistema informativo in grado di rilevare l'andamento dei parametri che li compongono. Un primo aspetto si riferisce al monitoraggio dell'efficienza, che sconta un certo ritardo nell'introduzione di un sistema informativo contabile che misuri l'aspetto economico della gestione. In effetti, i continui richiami all'efficienza rischiano di non sortire effetti proprio perché spesso non è attivo il sistema informativo destinato alla sua misurazione, nonostante vi siano varie norme che ne prevedano l'implementazione.

Non bisogna però sottovalutare gli aspetti positivi della riforma, a partire dalle norme sulla trasparenza .

Possibili interventi di risanamento per il miglioramento di questa Riforma sono, sicuramente, il rimpiazzamento della cultura “burocratica” con quella delle best practices, allineandosi a standard o benchmarking, e richiedendo (e non aspettando) che le proposte di cambiamento “vengano dal basso” (e non siano imposte dalla Direzione”.

Un ulteriore aspetto da considerare è quello relativo ai comportamenti che la misura può indurre in quanto dovrebbero essere evitate due tipologie di possibili comportamenti, In primo luogo quelli che, focalizzando l'attenzione sull'ottimizzazione del risultato della singola area di responsabilità, provochino la sub-ottimizzazione del risultato complessivo dell'organizzazione, aspetto di particolare importanza nelle amministrazioni pubbliche, dove spesso è alto il grado di interdipendenza tra le unità e le esigenze di coordinamento dei relativi contributi; secondariamente, poiché gli indicatori di performance focalizzano l'attenzione dei responsabili sugli aspetti che la direzione ritiene rilevanti e su cui essi vengono poi anche valutati, si dovranno evitare quei comportamenti che appaiono solo

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superficialmente indirizzati agli obiettivi, ma che in realtà tendono a soddisfare solo l'aspetto quantitativo della performance.

Non bisogna poi dimenticarsi di investire sul capitale umano in termini di formazione e professionalizzazione, basando ancora di più il sistema di incentivi su merito, innovazione, e produttività.

Per apportare i suddetti cambiamenti, bisognerebbe lavorare su un vero e proprio processo di Change Management per la PA, e rimuovere atteggiamenti ostacolanti al cambiamento come immobilismo, pessimismo ed esitazione.

Bisognerebbe innanzitutto “accendere una miccia” e creare un senso di urgenza. Ciò è già stato fatto più volte, come si evince dall’emanazione delle ultime riforme in materia. Il problema è che non si è mai andati oltre alla proposizione di nuove norme, non assicurandosi che poi, esse, venissero effettivamente applicate.

Bisognerebbe inoltre migliorare la comunicazione interna, essendo che essa non è percepita come una priorità (soprattutto nella PA). Infatti, come anticipato nello stesso paragrafo, stando al punto di vista del personale la comunicazione è scarsa anche per ciò che riguarda l’oggetto vero e proprio della prestazione lavorativa. Successivamente, attraverso l’empowerment, bisognerebbe eliminare il più possibile gli ostacoli elencati precedentemente, facendo in modo di generare una serie di “piccoli successi” che possano diminuire il pessimismo (ed allo stesso momento aumentare la motivazione) del personale operativo.

Bisognerebbe inoltre creare un clima di stabilità, evitando che si verifichi la tipica situazione in cui le riforme vengono lasciate a metà e ricominciate ex novo senza diagnosi delle difficoltà riscontrate in passato. Ciò potrebbe essere molto difficile, considerando l’instabilità politica del nostro Paese negli ultimi anni.

In generale, tutte le organizzazioni che sono state capaci di adeguare le PA alla filosofia ispiratrice delle riforme hanno puntato soprattutto sulla professionalità dei dipendenti, cercando di risanare le “falle” aperte dai tre soggetti responsabili delle problematiche esposte nel capitolo. In primis, la politica, ad oggi non in grado di esprimere obiettivi chiari. Secondo, la classe dirigente, non capace di esercitare le proprie responsabilità. Terzo, ma non in classifica, i sindacati, che non hanno saputo cogliere aspetti innovativi delle riforme, esercitando solo un ostacolo all’implementazione del cambiamento.

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Concludendo, finché le riforme verranno attuate esclusivamente dall’ ”alto”, senza tenere conto della dell‘‟importanza delle risorse umane come vero e proprio capitale, non si riuscirà mai ad avere quella spinta di innovazione, produzione e qualità che necessita il nostro Paese.

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