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Considerazioni di sintesi

Nel documento RIMBORSO IVA SOGGETTI NON RESIDENTI (pagine 93-114)

6 RIMBORSO AI SOGGETTI NON RESIDENTI

6.10 Considerazioni di sintesi

Come precedentemente anticipato, la sent. n. 21457 del 2009 ripropone parzialmente, riconfermandoli, i principi già esposti dai Supremi Giudici nel pronunciamento n. 3904 del 2004.

77 Corte di Giustizia, sent. 11 luglio 2002, C-62/00, “Liberexim BV”, in banca dati “fisconloine”.

Conforme: Cass. 6 febbraio 2004, n. 2274, in “Il fisco” n. 16/2004.

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Si legge, in proposito, nella sentenza in oggetto: “ La situazione sarebbe diversa solo se la violazione di tali requisiti formali avesse l‟effetto di impedire che si fornita la prova certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti. Ciò non risulta si sia verificato nel caso in esame, non emergendo dalla decisione impugnata, né essendo stato dedotto in questa sede, che l‟inosservanza, da parte della società, dei suoi obblighi di annotazione sia il risultato di mala fede o di frode da parte della medesima”

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La particolarità della pronuncia più recente risiede, tuttavia, nel richiamo alla giurisprudenza comunitaria quale conferma della posizione assunta sul tema dalla Corte di Cassazione. Sforzo assai apprezzabile, anche in considerazione della materia trattata – imposta sul valore aggiunto – che, appunto, è armonizzata in ambito europeo, e, pertanto, soggetta alle decisioni della Corte di Giustizia di Bruxelles.

Occorre tuttavia, svolgere qualche ulteriore considerazione circa l‟ordinanza emessa dalla Cassazione.

Se, infatti, la giurisprudenza di legittimità sembrerebbe consolidarsi sulla posizione poc‟anzi illustrata, l‟Amministrazione finanziaria, che ha, invece, avuto modo di occuparsi della questione con una risoluzione del 199379, ha sostenuto che “…il co. 5 dell‟art. 27 dello stesso decreto ( DPR 633 ) stabilisce che le detrazioni non computate per il mese di competenza non possono essere computate nei mesi successivi, ma soltanto in sede di dichiarazione annuale. Peraltro il co. 4 del successivo art. 28 stabilisce che il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per il mese di competenza né in sede di dichiarazione annuale. Dai criteri contenuti nelle suddette disposizioni si evince il principio che non è consentito al contribuente operare la detrazione dell‟iva oltre l‟anno di competenza, e cioè oltre l‟anno in cui dovevano essere effettuate le registrazioni delle fatture passive… Conseguentemente il contribuente che abbia perduto il diritto alle detrazioni, ai sensi del co. 5 del richiamato art. 28, non può successivamente chiedere il rimborso dell‟Iva assolta per rivalsa (anche se registri le fatture precedentemente non annotate)”.

Sembrerebbe, pertanto, delinearsi una netta contrapposizione tra quanto deciso dalla giurisprudenza, e quanto emergente, invece, dai documenti di prassi.

Infine, un‟ultima necessaria considerazione sulla sentenza in commento riguarda l‟aspetto, certamente non trascurabile, della variazione, nel corso degli anni, delle norme al tempo vigenti e sulla base delle quali si è pronunciata la Suprema Corte. Infatti, come si può rilevare dalla lettura della sentenza, i fatti in causa

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riguardavano l‟anno 1997, quando l‟allora art. 28, co. 4, del DPR 633, recitava che “ Il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza né in sede di dichiarazione annuale”.

L‟attuale art. 8 co. 3, del DPR n. 322 del luglio 1998, che ha sostituito la precedente disposizione80, stabilisce, invece, che “le detrazioni sono esercitate entro il termine stabilito dall‟articolo 19, co. 1 DPR 633”. A sua volta quest‟ultima norma statuisce che “il diritto alla detrazione dell‟imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l‟imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Da ciò si rileva che, sostanzialmente, la mutazione delle norme di riferimento ha soltanto prodotto un‟estensione temporale del periodo entro il quale il contribuente possa esercitare il diritto alla detrazione.

Ritengo tuttavia, che tale modificazione non dovrebbe comportare un sostanziale cambiamento della posizione assunta dalla Corte di Cassazione sul tema. Sarebbe allora probabile attendersi che, anche per le future controversie, riguardanti anni d‟ imposta soggetti alla legislazione attualmente vigente, i Supremi Giudici si pronuncino a favore del riconoscimento del diritto al rimborso a titolo di Iva non detratta a favore di quei soggetti che non abbiano provveduto a esercitare la detrazione entro il “… secondo anno successivo a quello in cui il diritto” è sorto, avendo omesso l‟annotazione della fattura d‟acquisto nell‟apposito registro di cui all‟art. 25 del DPR 633. Ciò inoltre, parrebbe anche conforme alla giurisprudenza comunitaria sopra citata.

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6.11 LA CORTE DI GIUSTIZIA SUL LIMITE TEMPORALE

DEL RIMBORSO IVA

Secondo l‟orientamento maggioritario della Corte di cassazione81

, solo il soggetto passivo dell‟operazione, cioè il cedente/prestatore, ha titolo per chiedere all‟Amministrazione finanziaria il rimborso dell‟imposta indebitamente versata. Il cessionario/committente, che ha corrisposto l‟imposta, in via di rivalsa, al cedente/prestatore, può esigerne la restituzione da quest‟ultimo, ma non dall‟amministrazione finanziaria, la quale, invece nega la detrazione operata dal cessionario/committente perché relativa ad un‟imposta non dovuta.

Il rimborso chiesto dal cedente/prestatore è quello disciplinato dall‟art. 21, co. 2, del D.lgs 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”82

.

Si fa presente che, in base all‟art. 4, lett. a), della direttiva 2008/9/CE del 12 febbraio, recepita dal D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, la nuova disciplina dei rimborsi a soggetti non residenti non si applica “agli importi dell‟Iva che, conformemente alla legislazione dello Stato membro di rimborso, sono stati indebitamente fatturati”.

81 Cfr. Cass., SS.UU., Ord. 18 febbraio 2009, n. 3817, in GT – Riv. giur. trib. n. 8/2009, pag. 668, e in

Banca dati IPSOA; Cass., 27 giugno 2001, n. 8783, ivi.

82 Tale procedura, operativamente, verrà esperita laddove sia decorso il termine previsto dall‟art. 26, terzo

co., del DPR 633, riferito all‟emissione della nota di credito in caso di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all‟applicazione dell‟art. 21, settimo co. (cfr. Cass., 6 febbraio 2004, n. 2274, in Banca Dati IPSOA.

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6.11.1 Legittimità del termine di rimborso

La normativa comunitaria non prevede un termine perentorio per la richiesta di rimborso dell‟Iva erroneamente versata. Tant‟è che l‟art. 183 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, come già l‟art. 18, n. 4, della direttiva 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (cd. VI direttiva), si limita a stabilire che se, “per un periodo d‟imposta, l‟importo delle detrazioni superi quello dell‟Iva dovuta, gli Stati membri possono far riportare l‟eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite”.

Di qui il dubbio sulla legittimità del termine imposto dalla normativa interna, compresa quella italiana, ai fini della restituzione dell‟imposta.

Sul punto è intervenuta la Corte di giustizia con la sentenza resa nella causa C- 472/08 del 2010, riguardante la “Alstom Power Hydro” (società stabilita in Lettonia) che, a seguito del diniego del rimborso opposto dall‟ufficio finanziario, ha proposto ricorso sostenendo che la prescrizione del diritto non è conforme alla direttiva.

Sul punto va osservato che la normativa lèttone prevede, sul piano temporale, la perfetta coincidenza tra il periodo di rimborso e quello di accertamento: l‟imposta può essere chiesta in restituzione entro tre anni dal termine di pagamento, così come l‟ufficio può esercitare il proprio potere di accertamento entro lo stesso termine triennale, anch‟esso calcolato dalla scadenza del pagamento.

Al giudice del rinvio non è sfuggito che, ove la contestazione della società fosse fondata, il rimborso potrebbe essere validamente chiesto successivamente al termine di accertamento, cioè quando all‟Ufficio resta preclusa la possibilità di verificarne e, se del caso contestarne, la spettanza. Al fine allora di evitare un utilizzo abusivo della disciplina dei rimborsi, la Corte di giustizia europea ha dovuto pronunciarsi sulla compatibilità con l‟ordinamento comunitario del suddetto termine prescrizionale.

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6.11.2 Conclusione della Corte di giustizia

La conclusione raggiunta è che “l‟art. 18, n. 4, della VI direttiva (ora art. 183 della direttiva n. 2006/112/CE) deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro,come quella oggetto della causa principale, che preveda un termine di prescrizione triennale ai fini delle domande di rimborso delle eccedenze dell‟Iva indebitamente riscosse dall‟Amministrazione finanziaria di tale Stato”.

La previsione di un termine per la richiesta di rimborso è dunque legittima. Essa, in particolare, rispetta i principi fondamentali del diritto comunitario, segnatamente quelli della certezza del diritto, di equivalenza e di effettività. A proposito del primo, la Corte di giustizia UE osserva che, “per analogia con quanto vale per l‟esercizio del diritto alla detrazione, la possibilità di proporre domanda di rimborso delle eccedenze dell‟Iva senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell‟Amministrazione finanziaria, non possa essere indefinitivamente rimessa in discussione”.

Il principio di equivalenza implica invece che, “in mancanza di una disciplina comunitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all‟ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti a stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, purchè tali modalità non siano meno favorevoli di quelle di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna”.

Infine, la tutela del principio di effettività richiede che le modalità di rimborso previste dagli Stati membri non “rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio dei diritti conferiti all‟ordinamento giuridico comunitario”. A questo proposito, “la Corte ha riconosciuto compatibile con il diritto comunitario la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di

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decadenza, nell‟interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell‟Amministrazione interessata”, ritenendo “ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale, che decorra dalla data del pagamento contestato”83

.

6.11.3 Disallineamento dei termini di rimborso e di accertamento

Riportando nel contesto italiano il risultato offerto dalla sentenza in rassegna è necessario innanzi tutto osservare che, a differenza della normativa lèttone, il termine a disposizione dell‟Amministrazione finanziaria italiana per l‟accertamento e la rettifica dell‟imposta è più ampio di quello riconosciuto al contribuente per chiederne il rimborso.

Mentre, infatti, il potere dell‟Ufficio decade, ex art. 57, primo co., del DPR 633, ove non esercitato entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, l‟art. 21 del d.lgs. n. 546 dispone, come già ricordato, che “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.

Nel caso “Alstom Power Hydro”, i giudici comunitari, a proposito della domanda di rimborso, affermano che “un termine di prescrizione triennale (…) è, in linea di principio, idoneo a consentire a qualsiasi contribuente normalmente diligente di far validamente valere i diritti attribuitigli dall‟ordinamento giuridico dell‟Unione. Se il predetto termine rispetta i principi di certezza del diritto, di equivalenza e di effettività, anche il termine biennale di decadenza di cui al citato art. 21, co. 2 del d.lgs. 546 è, in linea di principio, compatibile con il diritto

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comunitario. Tanto più che, nel procedimento “Ecotrade”84, è stato ritenuto conforme al principio di effettività il termine biennale previsto, ai fini della detrazione, dall‟art. 19, primo comma, DPR 633, secondo cui “il diritto alla detrazione dell‟imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”.

6.11.4 Incompatibilità con i principi di uguaglianza e di

neutralità‟

Resta a questo punto da capire se, alla luce dei principi di uguaglianza e di neutralità fiscale, la legittimità del termine biennale di rimborso non venga, di fatto, meno in considerazione del maggior termine di cui l‟Amministrazione finanziaria dispone per esercitare i propri poteri.

Dalla sentenza “Ecotrade” si evince che il più ampio termine riconosciuto all‟ufficio non è incompatibile con il principio di uguaglianza, dal momento che “un termine di decadenza quale quello di cui trattasi nelle cause principali non rende impossibile o eccessivamente difficile l‟esercizio del diritto a detrazione per il semplice fatto che l‟amministrazione fiscale dispone, ai fini dell‟accertamento dell‟Iva non assolta, di un termine che eccede quello concesso al soggetto passivo per l‟esercizio di un tale diritto”.

E‟ opportuno ricordare che la Corte di giustizia europea, a fondamento della propria decisione, richiama il caso “SFI”85, nel quale, in riferimento alla

legislazione belga, si afferma che il principio di uguaglianza risulta tutelato

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Cfr Corte di giustizia UE, 8 maggio 2008, in GT – Riv.giu.trib. n. 8/2008, pag 651; Questa causa ha visto contrapposta l‟Agenzia delle di Genova a un contribuente, nei cui confronti era stata contestata la mancata integrazione di alcune fatture di acquisti da non residenti, che la società riteneva fossero non imponibili, trattandosi di servizi relativi a trasporti marittimi.

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anche se l‟amministrazione finanziaria ha venti giorni di tempo in più del contribuente per esercitare i propri diritti.

In sostanza, il termine di prescrizione (quinquennale) decorre, per l‟ufficio, dalla data di presentazione della dichiarazione, cioè dal ventesimo giorno successivo a quello in cui è sorto il diritto di detrazione, che il contribuente può esercitare entro cinque anni.

A fronte, quindi di un identico termine di prescrizione, uno scarto di venti giorni, a favore dell‟Ufficio, non vìola certo il principio di uguaglianza.

Nella legislazione italiana, però, lo scarto è ben più ampio, essendo pari a due anni. Rispetto alla normativa italiana, la conclusione raggiunta nella sentenza “Ecotrade” andrebbe dunque rivista. La Corte di giustizia Ue, peraltro, osserva che il principio di equivalenza impone l‟applicazione omogenea dei termini di decadenza, nel senso che la compatibilità con l‟ordinamento comunitario esige che gli stessi o gli analoghi diritti siano regolati in modo identico86. Il termine per l‟esercizio della detrazione è quindi illegittimo perché diverso, per esempio, da quello previsto per il rimborso, ex art. 21, co. 2 del d.lgs. n. 546.

In conclusione, se è illegittima la perdita del diritto di detrazione qualora la rettifica dell‟Amministrazione finanziaria intervenga dopo la scadenza del termine di decadenza di cui all‟art. 19 DPR 633, anche il diniego del rimborso opposta dall‟ufficio in ragione dell‟intervenuta decadenza del relativo diritto deve ritenersi illegittimo.

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I giudici comunitari osservano, infatti, che “un termine di decadenza la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, il quale abbia omesso di richiedere la detrazione dell‟Iva a monte, privandolo del diritto a detrazione, non può essere considerato incompatibile col regime instaurato dalla VI direttiva, purchè, per un verso, detto termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto comunitario”.

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CAPITOLO 7

RAPPORTI TRA CASA MADRE E STABILE

ORGANIZZAZIONE

7.1 Premessa

La direttiva 2000/65/CE del 17 ottobre 2000 prevedeva la facoltà per i soggetti non residenti di designare un proprio rappresentante fiscale per poter operare all‟interno di un Paese diverso da quello di residenza, ma consentiva altresì la possibilità di avvalersi di una procedura alternativa già esaminata in precedenza:l‟identificazione diretta.

Con il d.lgs. 16 giugno 2002, n. 191, venne prevista la possibilità per il soggetto non residente di:

 identificarsi direttamente

 ovvero nominare un proprio rappresentante fiscale anche nel caso in cui avesse una sua stabile organizzazione nel territorio dello Stato (nell‟ipotesi in cui tale soggetto effettuasse operazioni attive o passive rilevanti ai fini Iva e non riferibili alla stabile organizzazione), con la conseguenza che uno stesso soggetto non residente poteva risultare titolare di due distinti numeri di partita Iva.

E con l‟ulteriore conseguenza che87

:

 rimanevano di pertinenza della stabile organizzazione soltanto le operazioni rese dal soggetto non residente tramite la stabile organizzazione88

 le altre operazioni rese direttamente dal soggetto non residente erano riferibili alla “propria posizione Iva” ovvero a quella attribuita al suo rappresentante fiscale.

87 Cfr. Assonime, circolare n. 49 del 4 dicembre 2009

88 I relativi obblighi di fatturazione, liquidazione, ecc. dovevano essere adempiuti utilizzando la

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In pratica, la posizione della stabile organizzazione per le operazioni effettuate per il suo tramite rimaneva distinta dalla posizione della casa madre estera, risultando così possibile l‟effettuazione di operazioni direttamente da parte della casa madre estera pur in presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Tuttavia, l‟art. 11 del D.L. 25 settembre 2009, n. 135 del 2009 ha modificato l‟art. 17 del D.P.R. 633, attribuendo una “forza attrattiva” alla stabile organizzazione per le operazioni rese direttamente dalla casa madre estera nei confronti di privati con la conseguenza che in tale ipotesi gli “obblighi Iva” debbono essere assolti dalla stabile organizzazione in Italia (alla quale la casa madre estera dovrà comunicare l‟effettuazione di tali operazioni al fine di consentire alla stabile organizzazione medesima l‟adempimento di tali obblighi) e solo in assenza di una stabile organizzazione viene previsto l‟obbligo per il soggetto non residente di nominare un rappresentante fiscale ovvero procedere all‟identificazione diretta.

Quindi il D.L. n.135/2009 ha ulteriormente modificato la situazione, prevedendo che se un soggetto estero ha una stabile organizzazione in Italia non può (nello stesso tempo):

 nominare un rappresentante fiscale ovvero  identificarsi direttamente.

Con la conseguenza che il soggetto non residente può essere titolare di un solo numero di partita Iva.

Le modifiche alla disciplina dei rimborsi del tributo assolto in Italia dai soggetti non residenti sono state apportate in attuazione di talune sentenze della Corte di giustizia per i soggetti non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato ed in particolare della sentenza della Corte di giustizia 16 luglio 2009, causa C-244/0889 che aveva dichiarato non conforme alla disciplina comunitaria la nostra normativa in merito alle procedure previste per la richiesta di rimborso a norma dell‟art. 38-ter del DPR 633 da parte di un soggetto estero anche

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nell‟ipotesi in cui tale soggetto avesse istituito in Italia una stabile organizzazione.

L‟art. 38-ter venne, quindi, modificato consentendo al soggetto estero di recuperare tramite la propria stabile organizzazione l‟Iva sugli acquisti di beni e servizi effettuati in Italia.

Conclusivamente, dal 26 settembre 2009 il soggetto non residente può richiedere il rimborso dell‟Iva ai sensi dell‟art. 38-ter solo in assenza:

 di una stabile organizzazione in Italia ovvero  di un rappresentante fiscale ovvero ancora  dell‟identificazione diretta

La Corte di giustizia ebbe, infatti, ad affermare che ai fini del rimborso del tributo assolto in un Paese diverso da quello di residenza “è necessaria l‟assenza dei criteri di collegamento (…) con lo Stato in cui s‟intende chiedere il rimborso: un soggetto passivo che ha istituito in Italia una stabile organizzazione deve essere considerato ai fini in esame un soggetto ivi stabilito ed in quanto tale è legittimato a recuperare l‟Iva a monte esercitando la detrazione, a prescindere dalla circostanza che si tratti di acquisti effettuati dalla stabile organizzazione o direttamente dalla casa madre estera”90

.

7.2 Rilevanza dei rapporti intercorrenti tra casa madre e stabile

organizzazione.

La questione relativa all‟autonoma soggettività fiscale della stabile organizzazione rispetto alla casa madre estera è sempre stata molto controversa e ne sono concreta testimonianza le discordanti posizioni assunte al riguardo da dottrina, prassi ministeriale e giurisprudenza.

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Nella R.M. 20 marzo 1981, n. 33047091 l‟Amministrazione finanziaria, formulando un parere con specifico riguardo alle prestazioni di servizi rese dalla sede secondaria in Italia alla casa madre estera non residente con sede in Francia,

Nel documento RIMBORSO IVA SOGGETTI NON RESIDENTI (pagine 93-114)

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