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4. Commento alla traduzione

4.1 Considerazioni sulla lingua

Il libro Él di Mercedes Pinto ripercorre, in prima persona, l’esperienza di vita dell’autrice, moglie di un paranoico, la quale lancia una critica severa e tagliente al sistema patriarcale dell’epoca in un modo pungente e risoluto, facendo emergere chiaramente, nonostante non esponga mai in modo esplicito e diretto la sua denuncia, il disprezzo per una società che non è disposta a difendere e a tutelare una moglie vittima delle gelosie e delle violenze di un folle. Trattandosi di episodi realmente vissuti da Mercedes Pinto, il punto di vista attraverso il quale essi vengono narrati è sempre e solo quello della donna, e, per questo motivo, a volte si ha l’impressione che l’intera opera sia un attacco personale dell’autrice nei confronti del marito. La vena polemica che, inevitabilmente, si coglie dalle parole con cui Mercedes Pinto descrive i soprusi e le minacce che ha dovuto sopportare per anni si riflette anche nel suo modo di scrivere, che risulta lineare, incisivo e tagliente; i periodi sono quasi sempre piuttosto brevi, e l’autrice ha la capacità di evocare, anche soltanto attraverso un semplice aggettivo o un avverbio, immagini vivide e forti delle esperienze traumatiche che ha vissuto. Queste ultime possono, infatti, essere riassunte nel termine «aplastadora dictatura», ovvero la dittatura schiacciante di un folle che l’ha privata di qualsiasi libertà.

Lui è raffigurato, nel corso dell’opera, come una «fiera acorralada», una

belva inferocita, un «dios tonante», un dio tonante, al quale la donna, che, invece, ci appare forte e risoluta, deve ubbidire. Inoltre, in diversi punti del libro, è l’uomo stesso a paragonarsi a Dio, credendosi, nella sua follia, un essere superiore, al quale gli altri uomini devono, necessariamente, sottostare. Ho trovato interessante anche il fatto che mentre Lui è convinto della sua onnipotenza nei confronti del genere umano, Mercedes Pinto non manca di paragonare la sua drammatica esperienza a quella emblematica di Cristo in croce:

Miradme un instante, […], seres que habéis sufrido en este mundo, y ved si glosando las palabras del Evangelio «¡Hay dolor como mi dolor!». Todas las

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demás angustias de mi vida eran más de lucha y más exteriores; este dolor producíase al intento brutal de elevar la animalidad y la materia, sobre el dolor moral y el momento tenebroso de mi espíritu en cruz… (Él, p. 26).

Qui l’autrice fa un esplicito riferimento alle parole del Vangelo per esprimere la sua sofferenza per la morte dell’amata sorella; nemmeno questo evento drammatico che ha sconvolto la sua vita suscita in Lui l’affetto e la comprensione di cui la donna ha bisogno. Al contrario, l’uomo si dimostra, ancora una volta, insensibile e crudele, comportandosi e trattandola come se nulla fosse successo; è a questo punto che la protagonista parla del suo «spirito in croce». Più avanti, quando il marito è rinchiuso in un manicomio, Mercedes Pinto utilizza una nuova metafora cristiana, affermando di portare, sulle spalle, la sua pesante croce:

Viajaba yo con mi pesada cruz sobre los hombros (Él, p. 83).

Un altro esplicito riferimento alla religione e, in particolare, alla Bibbia, è presente nell’ultimo frammento dell’opera, prima del testo finale Plegaria a la

luz:

Y pan tuvimos y como en los días bíblicos tomamos leche y miel junto al río sagrado de la paz… (Él, p. 91).

In questo caso, la donna, che è riuscita a fuggire dal marito per iniziare una nuova vita, paragona se stessa e i suoi figli agli ebrei nella terra promessa di Israele. Infine, in Plegaria a la luz, Mercedes Pinto utilizza, ancora una volta, una metafora cristiana, immedesimandosi in Gesù sulla croce:

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[…]; pero que la luz ilumine mi dolor y no haya sombra alguna que ocultar pudiera un retorcimiento de mi cuerpo en cruz… (Él, p. 93).

Inoltre, questa vera e propria preghiera rivolta alla luce si conclude con la classica formula usata nella liturgia cristiana «Amén, amén».

Ho poi trovato particolarmente significativo il rituale, tipicamente cristiano, che la protagonista mette in scena dopo la morte della sorella:

[…] partí el pan despacito y con unción sagrada lo desleí en mi boca pronunciando las palabras: «Tomad y comed, que éste es mi cuerpo…». ¡Y ofrecí por ella mi sacrificio […] (Él, p. 27).

È chiaro, qui, il rimando al rito dell’eucarestia: la donna, infatti, spezza il pane pronunciando la formula rituale come se stesse celebrando una messa in onore della sorella defunta.

Tutti i termini che rientrano nel campo semantico del potere e della religione, così come le diverse metafore animalesche, rendono più viva la narrazione, e ci permettono di immaginare chiaramente quanto sia stata dura e drammatica la vita dell’autrice accanto al suo primo marito.

[…] mi lengua paralizada ante su voz; mis ojos velados por sus miradas recelosas; y mi juventud y mi salud y mi inteligencia semejaban una planta lozana, ligada y sujeta por una trama tupida de una tela de araña… (Él, p. 32).

In questo caso, l’immagine che affiora agli occhi del lettore è quella della protagonista, paragonata a una pianta rigogliosa, intrappolata nella tela di un ragno; questa connotazione simbolica rende bene l’idea di come la vita della donna debba sottostare al dominio e alla forza di un marito folle e possessivo. Inoltre, questo non è l’unico caso in cui Mercedes Pinto si paragona a una pianta:

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Yo en cambio me comparaba con esas plantas de los montes muy fuertes y muy bastas, que las devora el rebaño por la mañana y a los dos días tienen un brote nuevo y vigoroso en su tronco mordido, brotando con vitalidad siempre renovada… (Él, p. 31).

Nonostante gli abusi e le violenze subiti da Lui, la narratrice non si perde d’animo, ma continua a lottare, come le forti piante di montagna che hanno sempre, sul loro tronco, nuovi germogli. In un’altra occasione, la protagonista affianca la sua indole mite a quella di un pesciolino:

Era aquello mi esencia, mi ambiente, el mar propio de este pececillo dulce e ilusionista que es mi espíritu tierno y apasionado… (Él, p. 48).

Poco più avanti, troviamo una nuova metafora naturalistica:

Yo quiero, padre mío, ser hoja débil; hojita de este huerto, que retorcida y seca volara hasta tus plantas…¡Quiero irme contigo, contigo…! (Él, p. 49).

Qui, Mercedes Pinto, in una preghiera, chiede di diventare una fogliolina, affinché il vento la possa avvicinare a Dio. A differenza dell’immagine delle piante di montagna utilizzata in precedenza, la donna, in questo caso, è in un momento di sconforto, e sembra aver perso la speranza di una vita migliore: non si sente più una pianta vigorosa, ma bensì una fogliolina contorta e secca, e anela a una morte liberatrice. All’interno del testo si alternano, pertanto, momenti in cui la narratrice si sente forte e motivata, una «donna traboccante di Vita, al confine con l’Eternità», nonostante tutto ciò che è costretta a subire, e altri in cui, invece, sembra perdere la speranza in un futuro più roseo. Anche in un’altra occasione la Pinto scrive:

¡Yo me pasé la noche pidiéndole a Dios con fervor la muerte liberadora, la muerte generosa, la muerte anhelada por los atormentados y los irredentos…! (Él, p. 44).

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Si tratta di un altro momento di sconforto, in cui la donna sente tutto il peso di un’esistenza fatta solo di terrore e di minacce; è, infatti, nata da poco sua figlia, ma Lui, nemmeno in questa occasione speciale, si mostra dolce e amorevole nei suoi confronti. É per questo che la protagonista, che ha un’emorragia causata dal parto, prega che la morte ponga fine alle sue sofferenze. La tragicità del racconto è resa più intensa dalla ripetizione della parola «morte», definita «liberatrice», «generosa» e «desiderata».

Inoltre, quando il figlio maggiore trova un uccellino, lo paragona, affettuosamente, alla madre, e, dopo che Lui ha ucciso l’animaletto, la donna afferma:

¡Tenía razón mi hijo adorato al decir que el pajarito se parecía a mí…! (Él, p. 47).

Questa metafora dell’uccellino, brutalmente calpestato dal marito, rappresenta la vita stessa della protagonista, schiacciata dalla dittatura di Lui.

Tutte queste immagini dalla forte valenza simbolica contribuiscono a mettere in luce la condizione disperata di una donna che non si vuole arrendere e che continua a battersi per far valere i suoi diritti.

Sin dalle prime pagine del romanzo sono, poi, numerosi gli aggettivi e i termini legati alla pazzia e ai manicomi: per esempio, la narratrice-protagonista, all’inizio del libro, informa il lettore di aver ritrovato un manoscritto contenente «la historia de infamia y locura, de mi noche de bodas», ovvero il racconto dell’infamia e della follia della sua prima notte di nozze. Inoltre, in Invitación al dolor, Mercedes Pinto sostiene che il dolore le ha «mostrato […] gli scenari più belli, in cui la pazzia e la cattiveria si divertivano nell’esibire la pellicola cinematografica più spaventosa che una mente avrebbe mai potuto concepire», sottolineando il fatto che la follia e la cattiveria sono sempre state presenze costanti nella sua vita.

Anche il dolore e la sofferenza che hanno contraddistinto la vita di Mercedes Pinto accanto al marito paranoico appaiono, dunque, chiari sin da subito: la donna, in questo breve testo che apre l’opera, si rivolge in modo diretto

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al dolore, definendolo, più volte, «dolor amigo» e «dolor bendecido, bienamado dolor». Il dolore è, infatti, per lei, un amico, un compagno benedetto e adorato, dal momento che le ha permesso di comprendere e di gioire delle piccole cose che, chi non l’ha provato sulla propria pelle, non è in grado di apprezzare. In particolare, nelle prime righe di questo preambolo, il pronome personale «tú», sempre riferito al dolore, è ripetuto per sette volte, e ho deciso di mantenerlo in traduzione, al fine di ottenere lo stesso effetto del testo originale: ho ritenuto fosse importante sottolineare il fatto che l’autrice abbia voluto personificare il dolore per mettere in luce quanto esso abbia giocato un ruolo fondamentale nella sua vita. La sua drammatica esperienza personale le ha permesso, infatti, di fornire una testimonianza importante e di battersi per i diritti delle donne. Per lo stesso motivo, ho, inoltre, mantenuto le ripetizioni di «dolor bendecido» e «bienamado dolor».

Un altro aspetto degno di nota è rappresentato dal fatto che la narratrice mantenga e sottolinei sempre la sua individualità attraverso l’utilizzo della prima persona, ponendosi in contrapposizione rispetto al marito: «me preguntaba yo», «yo escuchaba», «yo veía», «yo en cambio me», «me dijo Él», «Él cayó en un estado de desesperación». Tutti questi pronomi personali marcano la distanza che la protagonista vuole apporre fra se stessa e Lui, anche se in alcuni brevi frammenti, dove utilizza la prima persona plurale, l’unione con il marito appare evidente: «nos miraban», e «nuestra casa». Anche in questo caso, sono rimasta piuttosto fedele al testo di partenza, mantenendo quasi tutte le ripetizioni dei pronomi personali di prima persona singolare e di terza persona singolare, anche perché Mercedes Pinto non rivela mai né il suo nome né quello del marito, il quale è sempre e solo «Él» in maiuscolo.

È anche interessante notare che le parole e le frasi che concludono ogni episodio trasmettono sempre pessimismo e desolazione, facendoci capire che l’autrice nutre poca fiducia nel mezzo della scrittura, dal momento che ritiene che esso non rappresenti la possibilità di una liberazione certa24:

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¿Llegará hasta las almas éste mi dolor? ¿Se hará tangible este martirio como los otros donde hay violencia y sangre… (Él, p. 27).

La narratrice si domanda, infatti, se il suo dolore arriverà alle anime, e se il martirio che ha subito per anni sarà tangibile tanto quanto lo sono quelli caratterizzati dalla violenza e dal sangue.

In generale, lo stile incisivo e pungente con il quale Mercedes Pinto riesce a trasmettere al lettore tutta la sofferenza che ha dovuto sopportare per anni, ma anche la caparbietà nel non arrendersi a un’esistenza fatta solo di minacce e di soprusi, non è stato sempre facile da rendere in italiano; questo perché, per esempio, alcuni aggettivi o espressioni che spesso l’autrice utilizza e che contengono, da soli, tutta la carica emotiva che vuol fare emergere, in italiano non sarebbero risultati altrettanto efficaci. Per questo motivo, nonostante sia rimasta fedele il più possibile al testo originale, in alcuni casi, sono ricorsa a espedienti traduttivi come la parafrasi.

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