4. Commento alla traduzione
4.3 Scelte di traduzione
Il fatto che Mercedes Pinto prediliga l’uso di uno spagnolo informale, con periodi piuttosto brevi e termini di uso comune, mi ha permesso di svolgere una traduzione che risulta in larga misura fedele all’originale, senza incorrere, il più delle volte, in particolari problemi di resa in italiano.
Sin dall’inizio, il testo presenta molte ripetizioni, che ho deciso di mantenere, al fine di non alterare l’effetto ottenuto dal testo spagnolo; in particolare, in Invitación al dolor, l’autrice invoca il dolore, personificandolo attraverso l’utilizzo del pronome personale «tú», ripetuto per sette volte. La narratrice elenca tutto ciò che il dolore ha, metaforicamente, provocato in lei:
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[…] tú me has alimentado dándome a beber en tu cáliz más áureo, las lás lagrimas más amargas y excitantes; tú me has vestito poniéndome la túnica que más mordiere mi carne […] (Él, p. 9).
Anche la parola «dolor» è ripetuta diverse volte, ed è accostata ad aggettivi di significato positivo come «amigo», «bendecido» e «bienamado»: il dolore, infatti, è sempre stato una presenza costante e fondamentale nella vita della Pinto. Le ripetizioni contribuiscono a sottolineare il carattere di invocazione del preambolo, facendo intendere, sin da subito, la drammaticità di quello che verrà narrato, in prima persona, dalla protagonista.
Anche nel breve frammento che segue Invitación al dolor, dove la narratrice dice di aver ritrovato un manoscritto dal titolo Él, le ripetizioni non mancano:
[…] encontré el cofre de metal con este manuscrito que hoy publico, por si aparece el dueño y quiere completar estas notas […]; por si pudiera ser, bandera noble de una causa Justa; por si pudiera ser defensa de una vida, por si pudiera ser verídico bozal ensangrentado […] (Él, p. 10).
Qui la donna elenca i motivi per i quali ha deciso di pubblicare il manoscritto, ripetendo per tre volte l’espressione «por si pudiera ser», che introduce le motivazioni della sua scelta. In traduzione, ho sostituito l’ultima ripetizione con la congiunzione «e»: in questo caso, ho ritenuto che la resa in italiano, mantenendo tutte le ripetizioni, sarebbe risultata poco scorrevole. Inoltre, ho preferito tradurre il primo «ser» con il verbo «rappresentare», conferendo, in questo modo, un significato più specifico al verbo essere.
Poco più avanti, Lui dice alla moglie di essere ossessionato dall’idea di riuscire a diventare più ricco di un amico che gli ha fatto un favore, per non sentirsi moralmente inferiore; all’affermazione «no descansaré», ho sostituito l’espressione «non troverò pace», poiché il significato letterale del verbo «riposare» non mi sembrava adatto al contesto. Inoltre, quando
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Lui afferma di volere raggiungere una posizione di autorevolezza, ho
tradotto «llegar a poder» con «arrivare a poterlo fare», rendendo più comprensibile il testo.
Quando, durante la prima notte di nozze, l’uomo è convinto che il vicino di stanza, tossendo, cerchi di attirare l’attenzione della moglie, grida, fuori di sé: «¡De esta noche no pasa que lo mate!». Non ho potuto tradurre quest’ultima frase in modo letterale, dal momento che, in italiano, non ne esiste un corrispettivo; perciò, ho ritenuto che l’espressione più vicina al significato del testo originale fosse «Prima di domattina lo ammazzo!». Anche per la frase «Aún en tierra», sono ricorsa all’espressione «Prima di salpare», rendendo più chiari, in questo modo, sia il significato sia il contesto: l’autrice, infatti, sta descrivendo i momenti precedenti alla partenza in nave per il suo viaggio di nozze.
Quando la donna scopre di aspettare un bambino, matura in sé la speranza che questa notizia possa far cambiare il marito, rendendolo più dolce e comprensivo; è in questa situazione che afferma «mi corazón saltaba». In questo caso, ho utilizzato l’espressione idiomatica equivalente in italiano, ovvero: «avere un tuffo al cuore». Questo modo di dire rispecchia pienamente lo stato d’animo della protagonista, che sta per comunicare al marito quella che, per lei, è una bella notizia; la reazione di
Lui, però, non sarà quella che la donna si aspettava. La sua risposta, infatti,
è:
¡Qué inoportunidad más grande! ¡Por todos los lados gastos y más gastos! (Él, p. 20).
Anche questa volta, una traduzione letterale non sarebbe stata opportuna, pertanto, mediante un piccolo riadattamento, ho fatto in modo che la frase risultasse più scorrevole e chiara nella lingua di arrivo:
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Ho sostituito il sostantivo «inoportunidad» con l’aggettivo italiano corrispondente, enfatizzando il significato dell’esclamazione con l’avverbio «talmente». Inoltre, pur mantenendo la ripetizione del termine «gastos», ho preferito utilizzare l’avverbio «dappertutto», per rendere l’espressione più concisa. In questo modo, ho riprodotto l’effetto del testo originale: l’esclamazione trasmette tutta la rabbia e il disappunto di Lui, che ha scoperto che diventerà padre.
Dopo la nascita del bambino, l’uomo confessa alla moglie di sentirsi perseguitato da un fantasma dagli occhi verdi, come quelli della moglie, e, quando si accorge che il figlio ha gli stessi occhi della madre, non nasconde il suo disprezzo. Di fronte agli amici, però, è lui stesso a far notare la somiglianza tra i due, dicendo che gli occhi sono la cosa più bella del bambino. A questo punto, la Pinto afferma:
¡Cómo llegaba hasta las gentes abroquelado en su dignidad! (Él, p. 22).
Il verbo «abroquelar» è molto informale, e ho deciso di tradurre il participio passato, usato nel testo spagnolo, con il modo infinito:
Come riusciva a proteggere la sua dignità davanti alle persone!
Ho, dunque, posto l’accento proprio sulla capacità dell’uomo di mostrarsi davanti alle persone per quello che, in realtà, non è: in questo modo, riesce abilmente a screditare la moglie, come se la pazza fosse lei.
Quando, poi, la donna descrive il carattere altalenante di Lui, che si mostra disponibile soltanto con chi gli fa comodo, e non le permette di familiarizzare con quelli che Lui odia, utilizza l’espressione colloquiale «ay de mí». In questo caso, ho sostituito un’interiezione tipica del linguaggio orale, con un’espressione informale molto usata in italiano, e che ha una funzione equivalente: «povera me».
Poco più avanti, la protagonista racconta che il marito è convinto di aver ideato un dispositivo scientifico d’avanguardia, che lei definisce
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«salvador»; questo termine ci fa capire chiaramente che Lui sia certo che la sua invenzione rappresenti qualcosa d’indispensabile per il progresso industriale, mentre, in realtà, così non è. In italiano, la traduzione letterale di questo aggettivo sarebbe risultata fuori luogo e inappropriata, perciò ho scelto l’accezione di «innovativo», che, anche se meno forte, è più idonea al contesto.
Mercedes Pinto è tormentata da quest’uomo che dice di essere esasperato dalla compassione che lei gli dimostra; Lui, infatti, preferirebbe che la moglie si comportasse in modo tale da meritare il castigo che vuole infliggerle «con razón para ello». Ho reso quest’ultima espressione con l’equivalente italiana «per una causa meritata».
L’autrice, inoltre, utilizza, più volte, il termine «disgusto»:
[…] no había motivo alguno para un disgusto así (Él, p. 24).
Cuando avisaban a mi madre de que en mi casa había «un disgusto» […] (Él, p. 30).
El fútil motivo de un perrito […] fue el principio de un disgusto enorme […] (Él, p. 49).
Nel primo caso, «arrabbiatura» mi è sembrata la traduzione più idonea al contesto: la protagonista, infatti, sta cercando di tranquillizzare il marito, infuriato senza un motivo valido.
Nella seconda frase, ho utilizzato, invece, la parola «alterco», poiché la Pinto sta facendo riferimento a uno dei tanti litigi avuti con Lui. Allo stesso modo, nell’ultimo caso la scelta del termine «contrasto» è dovuta al fatto che si tratta di una lite tra i due. Nel testo originale, l’autrice impiega un sostantivo di forte impatto sul lettore, che ho deciso di differenziare in base al contesto in cui viene impiegato. Nel primo caso, ho optato per l’accezione più generica che riguarda lo stato d’animo dell’uomo; nel secondo, il contesto mi ha portato a un’interpretazione del termine più legata a uno scontro verbale intercorso tra i coniugi. Ma vi sono anche altre occasioni in cui troviamo questa parola:
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¿Cómo puedes leer después de ese disgusto que te ha dado? (Él, p. 30). […] me desperté con disgusto de sentirme con los brazos en alto […] (Él, p. 52).
Questa volta, il termine è utilizzato nell’accezione di «dispiacere» e pertanto, le mie rispettive traduzioni sono state «dispiacere» e «sensazione spiacevole». In particolare, la prima frase viene pronunciata dalla madre della narratrice, mentre la seconda si inserisce nel contesto dell’episodio in cui la donna si sveglia accorgendosi che il marito le sta legando i polsi. In quest’ultimo caso, l’espressione «sensazione spiacevole» si confà di più al contesto e a quello che la donna prova in quel momento.
Un’altra costante di Lui è quella di far sentire in colpa la moglie per cose che non ha fatto, e questo aumenta l’angoscia della protagonista, che è sempre più turbata e confusa. È in questa circostanza che troviamo la frase «sin poner nada de mi parte», proprio riferita al fatto che alla donna sembra di commettere, inconsapevolmente, degli sbagli. In questa occasione, l’espressione italiana che ho giudicato più giusta e comprensibile è «a mia insaputa».
La protagonista, nel corso dell’opera, racconta di essersi confidata con una specie di santone, il quale è convinto che Lui diventerà pazzo; a questo punto, la donna afferma:
Y todas estas opiniones (las únicas con que contaba para un caso) fueron sujetándome un día y otro de lenta tortura… (Él, p. 30).
Mercedes Pinto è convinta che il marito soffra di disturbi psichici, ma soltanto questi personaggi poco affidabili, che credono ancora di poter curare una polmonite con le sanguisughe, avallano l’ipotesi della pazzia dell’uomo. Dunque, «caso» si riferisce al caso clinico rappresentato dal marito, e, per rendere più chiaro il fatto che la donna possa contare solo su questi santoni, ho esplicitato il verbo «parlare»:
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E tutte queste opinioni (le uniche di cui disponevo per poter parlare di un caso) mi sottoposero a una lenta tortura, giorno dopo giorno…
La protagonista confida nel fatto che degli specialisti siano in grado di diagnosticare la pazzia del marito, il quale continua a screditarla davanti a tutti. Ciò che le dà la forza di andare avanti è proprio la fiducia che la donna continua a nutrire nei confronti della scienza, definita «madre de la luz»; la speranza che, un giorno, dei medici preparati e seri, a differenza dei santoni che ha conosciuto, possano prendere le sue difese, la aiuta ad andare avanti nella sua battaglia. La donna si chiede quando questi dottori busseranno alla sua porta dicendole: «¡Paso franco!». Questi medici specialisti rappresentano, per la protagonista, una vera e propria salvezza, quasi fossero dei soldati che, dopo anni, potessero liberarla da una lunga prigionia. Ho interpretato l’immagine evocata dalla Pinto in chiave militare e, per questo motivo, ho ritenuto che la traduzione che più rispettasse l’effetto veicolato dal testo spagnolo fosse: «Via libera!».
Questa, inoltre, non è l’unica occasione in cui l’autrice paragona la sua vita accanto a Lui a una vera e propria battaglia:
[…] la lucha continuada de mi vivir precisaba el descanso nocturno (Él, p. 41).
Tras un día de lucha continuada, yo me caía de sueño y de fatiga […] (Él, p. 72).
¡Otra vez la sombra, la duda, otra vez esta lucha sin fin…! (Él, p. 90). ¿Por qué era aquella lucha continuada? (Él, p. 68).
La donna è costretta a lottare contro un marito folle, che la sottopone a una «dominación brutal, aplastante y casi destructora»; la voce di Lui equivale a un «clarín de guerra», che le fa vivere un «presente de lucha». Come abbiamo visto, il testo è cosparso di metafore e di immagini legate
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all’ambito militare e a quello della guerra, che contribuiscono a intensificare la drammaticità del racconto.
Mercedes Pinto racconta che Lui, un giorno, le rivela di essere consapevole del suo carattere brusco e freddo mostrato verso i suoi famigliari:
Yo sé que tengo endurecidos los sentimientos para todos los afectos […] (Él p. 35).
In questo caso, tradurre letteralmente «sentimenti induriti» non sarebbe risultato efficace né corretto in italiano; perciò, ho utilizzato l’espressione «mi sono indurito». Ho ritenuto, infatti, che la perdita del sostantivo «sentimenti» non creasse problemi nell’economia della frase, dal momento che il verbo «indurirsi» racchiude in sé il significato che si vuole esprimere. Ho, inoltre, sostituito il termine «afectos» con «cari», più comune in italiano:
Io so che mi sono indurito nei confronti di tutti i miei cari.
La donna confida nell’appoggio e nella comprensione almeno di sua madre, ed è convinta che, al suo arrivo, le sofferenze patite a causa di Lui «avrebbero conosciuto un po’ di pace». La frase spagnola utilizzata dall’autrice è «tendrían un paréntesis»: ho deciso di tradurla con un’espressione equivalente in italiano, che rispecchia esattamente il significato del testo di partenza. La protagonista spera che la madre la comprenda e che si schieri dalla sua parte, ma questo non accade. Lui si rivolge alla suocera con queste parole:
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Il verbo spagnolo «sermonear» richiama, d’immediato, il termine italiano «sermone», ma ho preferito tradurlo utilizzando la parola «paternale»:
Non è cattiva, ma ha bisogno che tu le faccia una bella paternale.
«Sermone» rimanda all’ambito sacro, mentre «paternale» è un termine più adatto al contesto: l’uomo è riuscito, ancora una volta, a screditare la moglie, convincendo persino la suocera delle sue ragioni. Si rivolge alla donna come se stesse parlando di una bambina capricciosa che ha bisogno di una sgridata.
Come ho evidenziato in precedenza, il testo presenta molte ripetizioni, tipiche del parlato, che, il più delle volte, ho mantenuto in traduzione; in alcuni casi, tuttavia, esse rischiavano di appesantire troppo la narrazione. Per questo motivo, per esempio, ho deciso di non tradurre sempre il pronome personale «yo», ma di lasciarlo implicito nella desinenza verbale.
Quando Lui non riesce a prendere sonno, Mercedes Pinto è costretta a raccontargli delle storie:
Y yo […] contaba hasta enterado el día la historia «de aquella muchacha tan feliz que bailando, bailando, se rompió los zapatos, que eran de oro…» (Él, p. 42).
Ho scelto di non ripetere il verbo «bailando», utilizzando, invece, un’espressione che rende più scorrevole la narrazione:
E io […] raccontavo, finché non faceva giorno, la storia «di quella ragazza così felice che, a suon di ballare, si ruppe le scarpe, che erano d’oro…».
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In questo caso, dal momento che la protagonista sta raccontando una favola al marito, la ripetizione non ha la funzione di enfatizzare un concetto: eliminandola in traduzione, dunque, non c’è stata alcuna perdita significativa.
Nella parte finale del romanzo, Lui viene dimesso dal manicomio, e la narratrice sfoga la sua rabbia nei confronti di tutti i medici, gli avvocati e i giudici che si sono lasciati ingannare da quella che lei definisce «enfermedad disimuladora». Il marito è, infatti, riuscito abilmente a farsi benvolere da tutti, mascherando la sua infermità mentale; in particolare, la donna accusa il medico che le aveva mostrato solidarietà e comprensione, di aver firmato il certificato di buona salute di Lui per salvaguardare se stesso e la sua reputazione. La donna è convinta che soltanto nel caso in cui il marito commetta un delitto, tutte le persone che lo hanno difeso sarebbero costrette a ricredersi; tuttavia, egli resterebbe comunque impunito, dal momento che verrebbe giudicato irresponsabile a causa della sua pazzia. La protagonista lancia una vera e propria maledizione verso tutti coloro che lei reputa codardi, dato che, intimoriti da Lui, non si sono voluti esporre, ma gli hanno parlato alle spalle:
[…] ¡Anatema sobre vosotros los cobardes que no levantasteis la voz para defenderme! […] Anatema, anatema sobre aquellos sobre los que desarraigaron mis pies del adorado suelo en que nací…Anatema mil veces sobre los hombres ruines que no supieron levantar la voz viril para defender mi verdad (Él, pp. 90-91).
Queste parole racchiudono tutta l’amarezza e tutta la collera che Mercedes Pinto prova verso le persone vigliacche che le hanno rovinato la vita, costringendola persino ad abbandonare la sua patria. Il termine «Anatema», che per gli antichi Greci rappresentava un’offerta a una divinità, e nel Cristianesimo assunse il significato di «scomunica», nell’uso comune è utilizzato con il significato di «maledizione», come in questo caso. Questa parola viene ripetuta più volte, contribuendo, così, ad aumentare la drammaticità dello sfogo della donna; in italiano, ho tradotto «anatema» con l’aggettivo «maledetti», riferito a
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coloro che sono rimasti indifferenti alle sofferenze della Pinto. La donna chiama in causa anche i santoni con i quali ha avuto a che fare definendoli «médicos de automóviles raudos y bocinas sonoras». Quest’ultima espressione è quella che mi ha creato più problemi, dal momento che, letteralmente, per la narratrice, questi sono i medici «di automobili rapide e clacson sonori». Evidentemente, il riferimento all’ambito automobilistico sottintende un significato più profondo: dottori incompetenti e inesperti pretendono di fare diagnosi pur non avendo le capacità né i titoli necessari per essere considerati medici. Dunque, ho interpretato questa metafora traducendo le espressioni riferite ai santoni con due aggettivi: «tromboni» e «sputasentenze». Una mancata preparazione e specializzazione adeguate non impediscono a questi dottori di visitare i propri pazienti e di esprimere giudizi saccenti, con parole enfatiche ma vuote. Sono proprio questi santoni, infatti, a non voler vedere la pazzia di Lui, scambiandola per malvagità; più volte, nel corso dell’opera, la Pinto si riferisce a questi personaggi definendoli «médicos de los frascos de sanguijuelas» o «imitadores científicos». Al contrario, gli specialisti competenti sono, per lei, «hombres salvadores», di cui la donna sente sempre più il bisogno:
Y yo sabía que la ciencia me defendería; que había alguien que con voz de autoridad irrefutable diagnosticaría claramente; que existen hombres consagrados a la Psiquiatría que me sacarían de la mano de aquel pozo de tinieblas en que me encerraba la ignorancia y la rutina… (Él, p. 33).
Pero cada vez echaba yo más de menos a los doctores especializados… (Él, p. 67).
Nelle ultime pagine del romanzo, dopo lo sfogo contro tutti quelli che non hanno saputo né voluto aiutarla e difenderla, la protagonista dimostra tutto il suo valore e la sua determinazione:
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Pero, ¡oh!, sociedad rastrera que haces estos conmigo, ¡no importa! Que en mi alma de mujer existe la semilla heroica que vuestros padres no pudieron sembraros y sobre la cadena de los dolores, tal vez el tiempo corone un día las sienes pálidas que vosostros, indiferentes a mi agonía, ¡supisteis taladrar…! (Él, p. 91).
La donna, qui, si rivolge in modo diretto alla società, che lei definisce «rastrera»: il primo significato di questo aggettivo è «strisciante», ma, in questo caso, l’accezione è quella di «vile». Dal momento che quest’ultimo aggettivo si impiega, generalmente, per riferirsi alle persone, ho preferito tradurlo con il termine più generico di «ipocrita». L’autrice rivendica il possesso del «seme eroico» che i genitori di coloro che si sono dimostrati indifferenti e codardi non hanno «seminato» nei propri figli: attraverso una metafora naturalistica legata alla semina, Mercedes Pinto contrappone la sua forza e la sua audacia alla debolezza e alla vigliaccheria di questi uomini. Successivamente, racconta di essere scappata dalla sua patria insieme ai figli:
Yo huí por los caminos de la vida y no sabía adónde. Sólo sabía que llevaba conmigo un equipaje de amores inocentes y más puros que nardos en capullos […] (Él, p. 91).
I figli sono, per la donna, «un bagaglio di amori innocenti e più puri delle tuberose in boccio». Non è la prima volta che la Pinto utilizza una metafora legata alla natura e, in particolare, ai fiori: lei stessa, in precedenza, si era paragonata a delle piante e a delle foglie.
Subito dopo, la protagonista esprime il suo timore per ciò che li attende:
Pero esto era el oasis y allá fuera, en el desierto de la vida, los lobos rugidores nos aguardaban con las centellas de los ojos puestas en la