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Kahneman e Ripe descrivono il processo di consulenza come “l’attività prescrittiva il cui

obiettivo principale consiste nel guidare gli individui nel processo decisionale nel loro migliore interesse” (Kahneman & Ripe, 1998). Si tratta di un canale di comunicazione e di uno

strumento con il quale più di ogni altro si è in grado di arginare gli errori sistematici che possono suggestionare le scelte di investimento.

Attraverso il processo di consulenza traspare l’educazione finanziaria e comportamentale del cliente e vi è un passaggio di informazioni fondamentali a quest’ultimo per poter permettere una presa ottimale di scelte di investimento. Questo processo presenta però dei limiti di efficacia che possono essere superati unicamente attraverso una corretta comunicazione verbale e un corretto passaggio di informazioni tra investitore e consulente e viceversa. Si parla di tecniche di “debiasing” quando si fa riferimento ad azioni intraprese allo scopo di rendere gli individui consapevoli degli errori cognitivi ai quali sono soggetti nel corso di un processo decisionale (Linciano, 2012). La consulenza finanziaria dovrebbe avere come scopo quella di informare il cliente sulle possibili scelte a sua disposizione come anche sui rischi che comportano queste scelte. Inoltre, il consulente dovrebbe aiutare il cliente a correggere o indirizzare le proprie aspettative e accompagnarlo nelle decisioni di investimento in base alle sue esigenze e ai suoi obiettivi finanziari di lungo termine.

L’educazione finanziaria può però generare un’information overload, ovvero l’incapacità degli investitori di acquisire ed elaborare informazioni ricevute (Lacko & Pappalardo, 2004). Può anche correggere la percezione delle informazioni sanando alcuni errori cognitivi ma generandone dei nuovi come per esempio rafforzare l’atteggiamento di ottimismo, della fiducia di sé e dell’illusione del controllo. Tutto questo porta poi ad una visione distorta della percezione del rischio (Willis, 2008). A tal proposito la Commissione Europea (2010) ha pubblicato un rapporto su dati raccolti da 6'000 risparmiatori retail di 8 paesi europei, dal quale scaturisce l’incompleto passaggio di informazioni tra intermediario finanziario e soggetti destinatari: è emerso che la comprensione dei clienti, delle caratteristiche dei prodotti finanziari nei quali investono e la considerazione di alternative per l’investimento è generalmente molto bassa. In particolare, la decisione di investimento sembrerebbe guidata in gran parte dalla famigliarità con il prodotto e l’intermediario distributore.

L’assistenza dell’intermediario ha dunque lo scopo di educare l’investitore. Attraverso la trasparenza informativa il consulente deve integrare un servizio di consulenza mirato a ridurre gli errori cognitivi e l’emotività cercando di rendere il cliente il più razionale possibile. Per una corretta formulazione di una proposta di investimento il consulente deve profilare il cliente, ovvero capire quale sia la propensione al rischio e la tolleranza alle perdite di quest’ultimo. Per fare ciò il consulente pone al cliente dei questionari i quali racchiudono degli scenari pessimistici e ottimistici per capire come quest’ultimo reagirebbe di fronte a determinate situazioni. Questi supporti hanno lo scopo di distinguere nel processo di profilatura le preferenze oggettive verso il rischio dalla capacità emotiva e dalla capacità finanziaria di assumere rischio (Linciano, 2012) così da poter garantire una rilevazione della tolleranza al

rischio attendibile che servirà poi a mettere in atto una proposta di investimento personalizzata ed adeguata al consumatore finale.

A tal proposito ogni cliente ha la possibilità di optare per delle scelte individuali di investimento prese in modo autonomo oppure di seguire le proposte di investimento consigliate dal consulente. La scelta viene presa in base a diversi fattori, come le proprie conoscenze dei mercati finanziari, la disponibilità economica, la fiducia in sé stessi e negli intermediari finanziari. Come detto in precedenza il consulente dovrebbe aiutare l’investitore a non incappare nelle trappole mentali che forniscono una visione distorta della realtà, è anche vero però che essendo i consulenti delle persone umane, sono anch’essi soggetti agli errori cognitivi e comportamentali che alimentano uno scostamento delle aspettative e dei risultati effettivamente realizzati. Come accennato infatti nel capitolo sulla finanza comportamentale, non si può escludere che anche i soggetti professionalmente più competenti e con anni di esperienza alle spalle non subiscano distorsioni derivati da effetti di inquadramento e dell’applicazione di trappole mentali che semplificano in modo inesatto problemi complessi (Linciano, 2012).

In generale si è notato come al crescere delle conoscenze finanziarie del cliente aumenterebbe la propensione a prendere decisioni di investimento in autonomia discostandosi così dalle raccomandazioni ricevute dal consulente. Bucker-Koenen e Koenen (2011) hanno notato come la probabilità di accettare le raccomandazioni fatte dal consulente sia negativamente correlata al grado di educazione finanziaria. Si è inoltre notato come altri fattori influiscono sulla propensione a seguire le raccomandazioni di investimento date dal consulente: il grado di fiducia nel corretto funzionamento dei mercati e nelle regole che lo disciplinano è positivamente correlato alla scelta di investimento presa in base alle raccomandazioni dell’intermediario finanziario (Georgarkos & Inderst, 2010), così come sono positivamente correlate le dimensioni del patrimonio da gestire e l’avversione al rischio dell’investitore: maggiore è la fiducia nei mercati, il patrimonio da gestire e più una persona è avversa al rischio maggiori saranno le possibilità che questa si affidi alle raccomandazioni di investimento di un consulente (Gentile, Linciano, & Siciliano, 2006). Al contrario vi è una relazione negativa con la fiducia in sé stessi: maggiore è la fede che un investitore ricopre nelle proprie capacità personali, minore è la probabilità che questo si affidi alle competenze dell’intermediario finanziario (Georgarkos & Inderst, 2010).

Esiste dunque per gli intermediari finanziari molto margine di manovra per accaparrarsi la fiducia degli investitori e lasciare che questi si facciano guidare ed accompagnare nelle loro scelte di investimento. La fiducia va coltivata nel tempo, attraverso un’immagine limpida dell’azienda, attraverso competenze che possono venire esposte durante il processo di consulenza e attraverso un comportamento etico e corretto verso i mercati e verso i clienti. La differenza sostanziale viene espressa durante il colloquio di consulenza: risulta dunque importante approfondirne le diverse fasi.

Il processo di consulenza si divide in tre principali fasi: la prima è quella di preparazione della decisione di investimento, la seconda è quella della decisione di investimento dopo di che segue il feed back e la revisione del portafoglio (Tschümperlin Moggi, 2018).

5.1. Preparazione della gestione di investimento

La fase della preparazione di investimento si divide in due micro-compiti: è necessario come primo passo conoscere il cliente, ovvero capirne le personalità finanziarie, quali sono le esigenze e gli obiettivi di investimento, quale è la tolleranza al rischio e l’orizzonte temporale. Il secondo micro-compito è quello di elaborazione delle informazioni raccolte e di sviluppo dell’informativa sulla politica di investimento e della strategia del cliente.

In questa prima fase risulta fondamentale fare un’analisi sistematica di tutti i mercati rilevanti e fare un’accurata valutazione delle prospettive di rischio e di rendimento dei diversi scenari rapportandole alle aspettative del cliente. È necessario capire quali sono i desideri del cliente, quali sono i suoi limiti temporali, finanziari, di conoscenza e di capacità di rischio così da poter sviluppare una proposta personalizzata in base alle sue esigenze.

5.1.1. Conoscenza del cliente

La fase di racconta di informazioni comporta un dialogo molto aperto tra consulente e cliente. L’investitore deve dare il maggior numero di informazioni possibili all’intermediario finanziario per permettere a quest’ultimo di poter sviluppare una proposta di investimento adatta dalle proprie caratteristiche. Molte banche e società di investimento per svolgere questa fase del colloquio di consulenza utilizzano come supporto dei questionari i quali hanno come obiettivo la raccolta del maggior numero di informazioni sugli investitori. Per poter elaborare una proposta ottimale è infatti molto importante capire quale è il patrimonio totale del cliente, capire che rapporto quest’ultimo ha con il rischio e in generale con gli investimenti, quali sono le sue esperienze passate in ambito di investimenti e quali sono i suoi obiettivi e le sue spese future. Trattandosi di informazioni molto personali è necessario che il cliente abbia totale fiducia nel consulente e che ci sia uno scambio limpido di informazioni. L’efficacia della consulenza nell’orientare correttamene le scelte degli investitori può incontrare un limite nella modalità e nella tipologia di informazioni acquisite dal consulente per la classificazione del cliente. I questionari sottoposti per profilare il cliente durante questa fase consentono di valutare la capacità economica di sopportazione del rischio ma danno informazioni limitate sulla tolleranza al rischio del cliente stesso (Linciano, 2012).

In questa fase del ciclo di vita della consulenza possono emergere vari bias descritti nei capitoli precedenti. Alcuni sono correlati alla fiducia o all’avversione al rischio degli investitori: il cliente tende a sopravvalutare i rischi conosciuti e a sottovalutare rischi che prima non teneva in considerazione. In questa fase sia il consulente che il cliente devono portare particolare attenzione al modo in cui percepiscono le informazioni per evitare l’effetto framing descritto nel capitolo 3.3.6.

5.1.2. Elaborazione delle informazioni raccolte

Segue dunque la fase di elaborazione delle informazioni nella quale il consulente discute delle varie opzioni di investimento possibili con il cliente. In base alla propensione al rischio, agli obiettivi prefissati e all’orizzonte temporale del cliente il consulente propone le varie opzioni di

investimento e dei fornitori. Viene così costruito un portafoglio che definisce i rischi da assumere per realizzare gli obiettivi di investimento che rispettino le esigenze concordate. In questa fase sia il consulente che il cliente possono incappare nell’errore di utilizzare dei rendimenti storici per avere un’idea dell’andamento futuro dei vari assets. Possono inoltre insorgere bias correlati alla capacità di rischio del cliente come un’eccessiva protezione o la tendenza a dare più peso a informazioni che confermano le proprie opinioni ignorando invece le indicazioni che contrastano i propri pensieri. La valutazione degli investimenti dipende sempre dalle esperienze pregresse in situazioni analoghe, sta infatti al consulente riuscire a guadagnarsi la fiducia del cliente e tentare di dimostrare con dati obiettivi che le esperienze passate non per forza influenzano e intaccano quelle future.

La selezione dei titoli deve essere accurata e deve essere fatta in modo da diversificare il più possibile il portafoglio. In questa fase il processo decisionale del cliente è influenzato dall’elevato carico cognitivo dovuto allo sforzo del sistema 2 di memorizzazione delle informazioni fornite. Il cliente si trova dunque in un momento nel quale può incappare in diversi bias comportamentali: tende infatti a selezionare unicamente attivi con i quali ha famigliarità, inoltre l’effetto ancoraggio può portare il cliente a non valutare in modo obiettivo un dato investimento a causa di un’ancora precedentemente creata e presa come punto di partenza per l’analisi dei fatti. Il conservatorismo può inoltre indurre nell’errore di non adeguare le aspettative e le opinioni già formulate sulla base di nuove informazioni. Tutte queste bias, se non gestite fanno sì che il cliente si crei un portafoglio non ottimale per le sue esigenze e possibilità.

5.2. Decisione di investimento

Alla fine della fase precedente si giunge alla formulazione di una strategia che comporta una decisione di investimento. Sia il cliente che il consulente devono avere la stessa visione delle aspettative di rendimento e della misura dei rischi che il soggetto destinato ad acquistare ha. La strategia scelta deve infatti corrispondere alle esigenze del cliente e vi deve essere un accordo tra i due soggetti sugli obiettivi a lungo termine prefissati. A questo punto viene implementato il portafoglio considerato adeguato al cliente. Questa è una fase molto sensibile per quest’ultimo in quanto possono scaturire influenze intrinseche come la paura o l’avidità, la sopravvalutazione di sé e l’illusione del controllo. L’investitore può essere indotto a pensare che non sia il momento giusto di effettuare tali investimenti e il sentimento di paura può far sì che determinati rischi vengano sopravvalutati portando il soggetto economico a chiedere delle coperture più alte rispetto a quelle che il suo profilo di rischio richiede.

Da parte del consulente invece possono insorgere degli errori nell’operato come ritardi nell’inserimento degli ordini di borsa stabiliti con il cliente, il mancato rispetto delle decisioni di investimento o l’insistenza in merito ad azioni di copertura. È dunque molto importante riuscire a tenere una posizione razionale e obiettiva della situazione, informare in anticipo il cliente dei rischi che sta correndo e prepararlo ai diversi scenari che si potrebbero presentare in futuro.

5.3. Dopo la decisione di investimento

Nella fase finale del ciclo di vita della consulenza viene fornita una continua assistenza al cliente durante il percorso di investimento, questo comporta il monitoraggio e la valutazione regolare della performance globale del portafoglio. Sia le teorie classiche che quelle più nuove sostengono che una delle chiavi del successo di un portafoglio sia la diversificazione.

In caso di scostamenti dalla strategia di investimento concordata con il cliente è possibile che in questa fase sia necessario un ribilanciamento degli investimenti in modo da rispettare sempre il profilo di investimento e di rischio del cliente.

L’intermediario finanziario in questa fase potrebbe essere esposto a delle bias come l’eccessiva negoziazione che causa una riduzione delle performance del cliente dovuta ai costi di transazione oppure l’avversione al rischio che porta a non aprire posizioni in perdita se non al contrario l’eccessiva avidità che insorge con l’aumentare del potenziale di guadagno del portafoglio. In questa fase è inoltre importante verificare che il profilo del cliente sia sempre aggiornato, in quanto quest’ultimo varia con il cambiamento delle fasi di vita del soggetto economico.

Dal canto suo l’investitore può sentire un senso di coinvolgimento con l’investimento, ovvero si sente particolarmente vincolato dalla propria decisione di investimento iniziale non riuscendo ad intraprendere le azioni necessarie nel caso emergano nuove informazioni in contrasto con quelle precedenti.

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