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e contenuti della prestazione

SOMMARIO: 1. L’incentivazione del personale non dirigente: inclusione nel ciclo di ge- stione delle performance e dubbi interpretativi. – 2. La prestazione di lavoro tra stan- dardizzazione e rischio di gestione: autonomia individuale e integrazione organizzativa. – 3. Obiettivi, comportamenti e performance individuale. – 4. Valutazione della perfor- mance individuale, risultato “finale” e vincoli procedurali. – 5. Performance individuale e obbligazione lavorativa. – 6. Obbligazione premiale, performance individuale e interes- si del dipendente. – 7. Il consenso del dipendente nel conferimento degli obiettivi e dei comportamenti organizzativi. – 8. Contenuti, struttura e funzione dell’atto di assegna- zione dell’obiettivo. – 9. Effettività del confronto negoziale e asimmetria informativa. – 10. Il ruolo prodromico della dimensione collettiva nel negoziato individuale sugli obiet- tivi. – 11. Segue. Gli spazi della partecipazione sindacale. – 12. La problematica scelta di generalizzare la valutazione. – 13. Trattativa negoziale e tutela del valutato.

1. L’incentivazione del personale non dirigente: inclusione nel ciclo di gestione delle performance e dubbi interpretativi

Neanche l’indagine sui parametri per pianificare e valutare il risultato esau- risce i problemi a esso correlati. Come si è cercato di far emergere, l’attuale quadro normativo sul lavoro nelle pubbliche amministrazioni, per garantire il conseguimento degli standard di buon andamento, disciplina intensamente le dinamiche organizzative strumentali alla loro realizzazione, condizionandone la relativa esplicazione. Tale approccio è sublimato dall’introduzione – effet- tuata con il ciclo di gestione delle performance – di un procedimento diretto a proiettare tutte le leve organizzative disponibili verso un progressivo incre- mento della “qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche”1.

Si giunge, così, a una delle scelte maggiormente discusse del d.lgs. n. 150/2009, che include nel procedimento introdotto dall’art. 4, d.lgs. n. 150/2009 anche una peculiare esplicazione delle capacità del privato dato- re di lavoro: l’incentivazione del personale non dirigente.

Comprendere le ragioni di questa scelta è agevole: il ricorso alla premia- lità rappresenta una particolare tecnica di gestione del personale, che, af- fiancandosi ai poteri datoriali, mira a rendere l’attività lavorativa non avul- sa dal contesto in cui si inserisce. Ciò valorizzando modalità di integrazio- ne organizzativa del lavoro estranee a prototipi prestabiliti e calibrate esclu- sivamente sulla professionalità del singolo dipendente: un’esigenza, del re- sto, avvertita da tempo nelle moderne organizzazioni private2.

Più articolati, invece, sono gli esiti di tale opzione. La fitta trama di vin- coli destinata all’impiego degli incentivi, con lo scopo di presidiarne la stru- mentalità verso un risultato conforme agli standard, incide problematica- mente sia sugli assetti giuridici del potere organizzativo rimesso al dirigen- te sia sugli equilibri contrattuali del personale non dirigente.

Per comprendere le difficoltà di cui si discorre, è sufficiente considerare che il quadro normativo elaborato dal legislatore delegato si incentra sulla nozione di performance individuale, la quale – è opportuno chiarirlo subito – va nettamente distinta, al di là dell’analogia nominalistica, da quella dei di- rigenti. Tuttavia, questa distinzione non è espressa con chiarezza, tanto che i risvolti più oscuri della pervasiva disciplina elaborata dal d.lgs. n. 150/2009 investono proprio la relazione tra performance individuale del dipendente, prestazione e risultato finale. Un rapporto su cui è indispensabile procede- re con prudenza; l’incertezza legislativa, infatti, ha prodotto interpretazioni che mettono a dura prova il valore euristico del contratto di lavoro e il suo fungere da criterio ordinatore del lavoro pubblico: idoneo, in quanto tale, ad assicurare una virtuosa ed equilibrata integrazione della prestazione in-

2 Sin dai primi anni ’90, numerose analisi testimoniano quanto detto nel testo; trattandosi

di un tema ampiamente esaminato dalla letteratura, si rinvia, senza nessuna pretesa di esau- stività, a: AA.VV., I poteri del datore di lavoro nell’impresa, Atti del Convegno di Studi di Ve- nezia, 12 aprile 2002, Cedam; BARBERA, Trasformazioni della figura del datore di lavoro e fles-

sibilizzazione delle regole del diritto, in DLRI, 2010, 203 ss.; CARABELLI, Organizzazione del

lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e posttaylorismo, in DLRI, 2004,

1 ss.; PERSIANI, Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collabora-

zione lavorativa, in DL, 1998, I, 203 ss.; PROIA, Flessibilità e tutela «nel» contratto di lavoro

subordinato, in DLRI, 2002, 411 ss.; SPAGNUOLO VIGORITA (a cura di), Qualità totale e diritto

del lavoro, in QDLRI, 1993; TREU, Politiche del lavoro, il Mulino, 2001, 15-74; L. ZOPPOLI, La

corrispettività nel contratto di lavoro, Esi, 1991, 345-405; ID., Contratto, contrattualizzazione

dividuale nell’assetto organizzativo delle pubbliche amministrazioni. Lo dimostra l’opinione di chi, dall’attuale disciplina sul lavoro pubblico, desu- me la doverosa inclusione del risultato organizzativo nella performance in- dividuale del personale non dirigente. Con l’effetto di “trasformare” l’ob- bligazione lavorativa in un’“obbligazione influenzata dal risultato”3: nel

senso che il risultato finale “influenza, in parte, elementi della struttura si- nallagmatica e non, del rapporto, attinenti alla prestazione”4.

Le incertezze collegate alla nozione di performance individuale e al suo ruolo chiave nel proiettare sia la gestione premiale sia la prestazione lavo- rativa verso il conseguimento della performance organizzativa non si esau- riscono in quelle appena richiamate. A esse, in particolare, si aggiungono le perplessità riguardanti il debito contrattuale del dipendente pubblico, i cui confini sono resi estremamente sfumati: significativa è l’intersezione tra l’in- cisiva regolamentazione del potere disciplinare e l’esito negativo della per- formance5. L’intento perseguito dal legislatore è di improntare la discipli-

na del potere dirigenziale da ultimo indicato a esigenze efficientistiche6, ma

è altrettanto evidente che le prescrizioni destinate al versante passivo della prestazione lasciano profilare un’intricata connessione tra il debito contrat- tuale e la performance individuale. Ne deriva il rischio, aggravato dalla non chiara relazione tra performance individuale del dipendente e risultato, di contaminare l’adempimento della prestazione lavorativa con elementi com- pletamente estranei ed esterni ai tradizionali obblighi contrattuali del dipen- dente pubblico.

Appare chiaro come la scelta di includere l’incentivazione del personale nel procedimento introdotto dall’art. 4, d.lgs. n. 150/2009 – rendendola stru- mentale a risultati oggettivamente efficaci ed efficienti – alimenti interpreta- zioni inclini a destabilizzare gli equilibri assiologici del contratto di lavoro, i quali sembrerebbero interamente fagocitati dal ciclo di gestione delle per- formance. Senza poi contare che, procedendo in questa direzione, il prin-

3 V. PATRONI GRIFFI, Sistemi di valutazione collettiva e rispetto degli standard, in PEREZ

(a cura di), Il Piano Brunetta e la riforma della pubblica amministrazione, Maggioli, 2010, 43.

4 Al riguardo, v. ancora PATRONI GRIFFI, Sistemi di valutazione collettiva e rispetto degli standard, in PEREZ (a cura di), Il Piano Brunetta e la riforma della pubblica amministrazione, Maggioli, 2010, 44.

5 V. TULLINI, L’inadempimento e la responsabilità disciplinare del dipendente pubblico: tra obblighi giuridici e vincoli deontologici, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –

229/2014, 4.

cipio dell’esclusiva responsabilità dirigenziale nel raggiungere un risultato allineato agli standard verrebbe messo in seria discussione.

Tutto ciò impone di procedere con estrema cautela nel ricostruire sia i contenuti della performance individuale di chi non è dirigente sia le moda- lità con cui essa contribuisce a conseguire il risultato finale. Il che induce ad aver ben chiari gli assetti attraverso cui il contratto realizza la difficile mediazione tra il piano della “giustizia commutativa e quello della giustizia distributiva”7; tali assetti dovranno fare da necessario sfondo alla ricostru-

zione della disciplina sulla valutazione e sull’incentivazione del personale: solo un rapporto così impostato, infatti, consentirà al contratto di lavoro di esprimere tutte le sue potenzialità, bilanciando le moderne esigenze dell’or- ganizzazione con la sua valenza razionalizzante.

2. La prestazione di lavoro tra standardizzazione e rischio di gestione: autonomia individuale e integrazione organizzativa

Per sviluppare il percorso indicato, è opportuno procedere gradualmen- te, considerando che – secondo posizioni pacifiche in letteratura – il contrat- to di lavoro permette di “organizzare in modo continuativo la prestazione orientandola verso obiettivi produttivi utili”8. Un’utilità che assume un si-

gnificato ben preciso, esprimendo l’aspirazione a integrare e raccordare la prestazione nella struttura etero-organizzata in cui si svolge9. Al connotato

funzionale del contratto di lavoro, l’attività del dipendente non è certo re- frattaria10: il problema, piuttosto, è il limite della mediazione. Un tema tanto

7 V. L. ZOPPOLI, Contratto, contrattualizzazione contrattualismo: la marcia indietro del diritto del lavoro, in RIDL, 2011, I, 184.

8 V. L. ZOPPOLI, La corrispettività nel contratto di lavoro, Esi, 1991, 347.

9 Sul punto v. GHERA, Diritto del lavoro, Cacucci, 2010, 44 ss. Ma anche PERSIANI, Con- tratto di lavoro e organizzazione, Cedam, 1966, 260-324 e, più recentemente, ID., Considera-

zioni sulla nozione e sulla funzione del contratto di lavoro subordinato, in RIDL, 2010, I,

455 ss. Nel senso espresso v. pure CARABELLI, Organizzazione del lavoro e professionalità:

una riflessione su contratto di lavoro e posttaylorismo, in DLRI, 1 ss.

10 Si tratta di una posizione sostenuta in letteratura già a partire dagli studi di MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in RDC, 1954, I, 185 ss. Secondo l’A.,

non potendo il comportamento negozialmente dovuto essere refrattario agli interessi credi- tori, è naturale ritenere “imprescindibile l’instaurazione di un rapporto di profonda tensione tra lavoro e aspirazione datoriale anche se mediata dall’organizzazione a ciò predisposta e dalle connesse variabili insite nella sua attuazione”. Quanto detto trova ampio riscontro in giurisprudenza, v., per tutte, Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15781.

delicato quanto conflittuale a fronte della crescente intensità con cui il per- sonale prende parte al progetto produttivo e la cui principale testimonianza è offerta dalla crescente autonomia nell’eseguire le mansioni11.

Ne deriva un quadro complesso, ma dagli studi sulla struttura dell’ob- bligo di lavoro si evince che la predetta mediazione è affidata ai parametri con i quali appurare l’esatto adempimento12. In particolare, sebbene l’ete-

rodirezione qualifichi l’obbligo scaturente dal contratto di lavoro13, le moda-

lità professionali con cui la prestazione va eseguita trovano la propria fonte nella diligenza, che definisce sia come svolgere l’attività lavorativa sia la quantità di impiego prestato nell’unità di tempo14. Sicché, entrambi i piani

di contatto tra lavoro e organizzazione sono soggetti all’effetto “standardiz- zante” della diligenza: un esito conseguito tramite modelli astratti di condot- ta selezionati attraverso i criteri stabiliti dall’art. 2104 c.c. L’individuazione di tali modelli rappresenta una questione dibattuta15, ma la centralità siste-

matica del loro compito – definire la “normale” conformità della prestazione

11 Il problema è stato già affrontato nel par. 10 del cap. II, a cui si rinvia per gli ulterio-

ri approfondimenti bibliografici.

12 La letteratura sul tema è molto ampia; da ultimo v. AA.VV., Il diritto del lavoro nel sistema giuridico privatistico (atti delle giornate di studio di diritto del lavoro), Parma, 4-5 giugno 2010, Giuffrè, 2011, e, in particolare, v. la relazione di VISCOMI, L’adempimento

dell’obbligazione di lavoro tra criteri lavoristici e principi civilistici, pubblicata anche in DLRI, 2010, 595 ss. Sul punto v. pure i contributi contenuti in CESTER, MATTAROLO (a cura

di), Diligenza e obbedienza del prestatore di lavoro. Art. 2104, Giuffrè, 2007.

13 La considerazione è diffusa nel dibattito scientifico; tra gli autori che più hanno ap-

profondito il tema, v. GHERA, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rappor-

to di lavoro, in DLRI, 2006, 1 ss. Per riflessioni più specifiche sul potere direttivo, v., per

tutti, DE LUCA TAMAJO, Profili di rilevanza del potere direttivo del datore di lavoro, in ADL,

2005, 467 ss.; FERRANTE, Direzione e gerarchia nell’impresa (e nel lavoro pubblico privatizza-

to). Art. 2086, Giuffrè, 2012; PERULLI, Il potere direttivo dell’imprenditore, Giuffrè, 1992.

14 Su tali aspetti, v. le sempre attuali riflessioni di GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rap- porto di lavoro, Jovene, 1963, in particolare cap. I. In termini analoghi si esprime VISCOMI,

Diligenza e prestazione di lavoro, Giappichelli, 1997, 137 ss.

15 Si è già avuto modo di rimarcare (v. il par. 12 del cap. II, nota 108) come la letteratu-

ra che più si è occupata del tema (v. VISCOMI, Diligenza e prestazione di lavoro, Giappichel-

li, 2010 e ID., L’adempimento dell’obbligazione di lavoro tra criteri lavoristici e principi civi-

listici, in DRI, 2010, 595 ss.) rinvenga nel contratto collettivo la fonte degli standard di di-

ligenza: in particolare – si evidenzia – “... i sistemi di inquadramento, nel correlare la retri- buzione al ruolo professionale, identificano la professionalità che il creditore acquista sul mercato e attribuita a un lavoratore della medesima qualifica, mentre i sistemi disciplinari de- finiscono, a contrario, la figura modello di buon lavoratore, per quanto riguarda le modali- tà relazionali connesse alla disciplina del lavoro o le modalità tecniche connesse all’esecu- zione del lavoro ...” (in tal senso, v. VISCOMI, L’adempimento dell’obbligazione di lavoro tra

alle pretese creditorie – non è in discussione. Naturalmente, ciò non significa abilitare la diligenza a integrare il contenuto dell’obbligazione, bensì ricono- scerle la complessa funzione di perimetrare la responsabilità del dipendente lungo il crinale del rapporto tra lavoro e organizzazione.

L’integrazione organizzativa perseguita con il contratto di lavoro è con- trobilanciata da una peculiare costruzione della posizione giuridica del di- pendente. Questa includerà l’obbligo di svolgere le mansioni secondo le di- rettive del datore di lavoro, ma non quello di assorbire autonomamente tutte le variabili del sistema produttivo. Le eventuali disfunzioni organizzative po- tranno essere imputate al prestatore di lavoro solo se riconducibili alla no- zione di adempimento qualitativamente e quantitativamente esatto. Con la conseguenza che la capacità di assorbire le variabili frapposte tra le direttive datoriali e l’esecuzione della prestazione assumerà rilievo giuridico, sul piano dell’inadempimento, solo qualora sia disattesa la professionalità intrinseca in uno specifico tipo di attività: l’utilità organizzativa del lavoro, quindi, potrà essere imputata al prestatore solo entro i confini strutturali della responsa- bilità contrattuale, ricadendo sul datore di lavoro o su chi ne interpreta il ruolo – è il caso del dirigente nel lavoro pubblico – il rischio connesso allo svolgimento “dell’attività lavorativa secondo diligenza ed eseguendo le di- rettive da lui impartite”16.

Gli assetti ricostruiti, derivando da una disciplina inderogabile, esclu- dono alterazioni a livello individuale17. Una preclusione indiscutibile, ma che

va attentamente definita; essa, in particolare, deve essere rapportata a un contratto che, come categoria dogmatica, rappresenta pur sempre lo stru- mento esplicativo del principio privatistico per il quale ogni individuo valuta e regolamenta i propri interessi18.

La diligenza sottrae all’autonomia individuale la competenza nel defini- re l’apporto organizzativo integrante l’esatto adempimento; il che significa escludere dalle materie negoziabili i criteri per determinare l’assetto delle

16 V. CARABELLI, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e posttaylorismo, in DLRI, 1 ss.

17 V. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in DLRI, 1991,

455 ss.; ID., Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro,

in ADL, 1995, 63 ss.

18 V. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in DLRI, 1991,

485 e MARESCA, Autonomia e diritti individuali nel contratto di lavoro (rileggendo “autono-

mia individuale e le fonti del diritto del lavoro”), in DLRI, 1992, 101. Da ultimo v. VISCOMI,

Autonomia privata tra funzione e utilità sociale: prospettive giuslavoristiche, in DLM, 2012,

457; L. ZOPPOLI, Contratto, contrattazione, contrattualismo: la marcia indietro del diritto del

responsabilità giuridiche interne al contratto di lavoro. Ciò al chiaro fine di impedire patologiche dilatazioni della nozione di inadempimento, in cui includere ogni caso di mancato assorbimento delle variabili organizzative. Tuttavia, tale finalità, rilevante nella fisiologia del contratto, non impedisce un’esplicazione dell’autonomia individuale volta a intervenire sull’intensità con cui la prestazione si raccorda al relativo contesto di svolgimento. È la stessa opzione contrattualistica ad ammettere la possibilità di operare in que- sto modo sull’attività lavorativa: la natura dell’atto costituente il rapporto di impiego, diversamente, vedrebbe pregiudicata la sua intima essenza.

Alle parti del contratto, dunque, non è preclusa la facoltà di progettare l’esecuzione del lavoro anche incrementando i livelli qualitativi e quantita- tivi rispetto a quelli imposti dalla diligenza. Il problema, piuttosto, riguar- da i limiti di tali manifestazioni dell’autonomia individuale: la pianificazio- ne di una più intensa integrazione organizzativa, estranea a schemi omolo- ganti e concentrata sulle capacità del singolo, deve rispettare i richiamati assetti sistematici del contratto di lavoro. La natura eteronoma che li carat- terizza conferisce all’attività negoziale in esame uno spazio necessariamen- te derivato, circoscrivendone la sfera operativa solo agli ambiti non sogget- ti ai predetti vincoli19. Pertanto, l’apporto qualitativo e quantitativo della

prestazione definito in sede individuale non potrà diventare il fulcro di tut- ti quei circuiti che rinvengono nella diligenza il proprio baricentro sistema- tico. Salvo che, ed entro i limiti in cui, la determinazione operata in sede individuale trovi una sua legittimazione nei modelli generali e astratti im- posti dalla diligenza stessa20.

19 V. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in DLRI,

1991, 455 ss.

20 Le considerazioni espresse nel testo sono confermate dai consolidati orientamenti

della giurisprudenza sul c.d. scarso rendimento(tra le numerose sentenze v. Cass. 19 ago- sto 2000, n. 11001; Cass. 5 marzo 2003, n. 3250; Cass. 3 maggio 2003, n. 6747; Cass. 9 set- tembre 2003, n. 13194; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3876; Cass. 22 gennaio 2009, n. 1632; Cass. 17 settembre 2009, n. 20050; Cass. 1° dicembre 2010, n. 24361; Cass. 29 dicembre 2011, n. 29994; Cass. 12 giugno 2013, n. 14758; Cass. 4 settembre 2014, n. 18678). Il cui tratto più significativo va rinvenuto nel tentativo di chiarire che il rendimento diverso da quello programmato non assume rilievo in sé, ma solo in quanto risulti inattuato il livello di rendimento normale. Ciò, chiaramente, presuppone il confronto con i modelli compor- tamentali a valenza generale imposti dalla diligenza. I problemi collegati allo scarso rendi- mento sono stati molto approfonditi anche in letteratura, su cui v. DEL PUNTA, Disciplina del

licenziamento e modelli organizzativi delle imprese, in DLRI, 1998, 713-714; DELFINO, Il li-

cenziamento per scarso rendimento e la rilevante negligenza imputabile al lavoratore, in DRI,

2010, 181 ss.; ICHINO, Sullo scarso rendimento come fattispecie anfibia, suscettibile di costi-

Diversamente, l’opportunità di “scegliere il proprio progetto di vita” fi- nirebbe con l’alimentare il dislivello di potere intrinseco al rapporto lavora- tivo, negando la sua ragion d’essere21. Rinunciando all’effetto stabilizzante

della diligenza, gli assetti della responsabilità contrattuale rischierebbero di essere eccessivamente polarizzati sull’interesse individuale del datore di la- voro22: solo preservando gli ambiti legislativi della responsabilità contrat-

tuale si evita questo pericolo, creando, altresì, le condizioni per rendere frut- tuosa la richiamata dinamica negoziale.

3. Obiettivi, comportamenti e performance individuale

Sullo sfondo delle coordinate teoriche individuate, è possibile indagare sia le tecniche legislative per mettere in rapporto esecuzione del lavoro e organizzazione sia la loro relazione con il contratto di lavoro; un’analisi in- dispensabile a chiarire uno degli aspetti più controversi della disciplina sul- la valutazione del personale: il ruolo assunto dal risultato finale. A tal fine, è opportuno concentrare l’attenzione sulla prima delle questioni indicate, osservando che, nel recepire una diffusa prassi di fonte collettiva, la recen- te legislazione sul lavoro pubblico conferma il ruolo degli obiettivi e dei comportamenti organizzativi, mediandone la funzione tramite l’inedita no- zione di performance individuale disciplinata dall’art. 9, comma 2, d.lgs. n. 150/2009.

Per chiarire i contenuti della predetta disposizione, è utile il riferimento

2003, II, 694 ss.; MARAZZA, Lavoro e rendimento, in ADL, 2004, 539 ss.; NANNIPIERI, Licen-

ziamento per scarso rendimento, minimi di produzione e onere della prova, in RIDL, 1996, II,

172 ss.; NAPOLI, La stabilità reale del rapporto di lavoro, FrancoAngeli, 1980, 184; NOGLER,

La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento tra i «principi costitu- zionali», in DLRI, 2008, 627 ss.; PISANI, Licenziamento e fiducia, Giuffrè, 2004, 157 ss.;

TREU, Onerosità e corrispettività nel rapporto di lavoro, FrancoAngeli, 1968, 196 ss.; VI- SCOMI, Diligenza e prestazione di lavoro, Giappichelli, 1997, 293 ss. Sul regime del licen-

ziamento per scarso rendimento dopo la legge n. 92/2012 e il d.lgs. n. 23/2015 v., rispetti- vamente e per tutti, GARGIULO, Il licenziamento “economico” alla luce del novellato articolo

18, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 203/2014 e CESTER, I licenziamenti nel Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 273/2015.

21 V. D’ANTONA, L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in DLRI, 1991,

486.

22 Rischi che sono messi in luce da SUPIOT, Homo juridicus. Saggio sulla funzione an- tropologica del diritto, Bruno Mondadori, 2006, 126 ss.

al comma 1 dell’art. 19, d.lgs. n. 150/2009, che, qualificando gli esiti della valutazione sulla performance individuale come presupposto per erogare la retribuzione premiale, genera una connessione ricca di conseguenze.

L’incentivo economico ha la funzione di compensare lo scostamento mi- gliorativo della prestazione rispetto al proprio rendimento medio. La sua erogazione richiede, oltre all’esatto adempimento, un incremento, qualita- tivo o quantitativo, della collaborazione offerta con l’attività lavorativa23. A

tale interpretazione induce il consolidato orientamento della giurispruden-

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