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Risultato e contratto di lavoro del dirigente

SOMMARIO. – 1. Dalla responsabilità dirigenziale alla pianificazione del risultato. – 2. Gli

esiti della scelta procedimentale sulla formazione degli obiettivi. – 3. Le incertezze del- l’art. 5, d.lgs. n. 150/2009. – 4. Il ruolo del provvedimento unilaterale nell’elaborazione dell’obiettivo. – 5. Segue. Il provvedimento di incarico e il suo coordinamento con il Piano della Performance. – 6. Provvedimento unilaterale e contratto accessivo: gli esiti sulla determinazione dell’obiettivo. – 7. Contratto accessivo, effetti obbligatori e perfor- mance individuale. – 8. Integrazione del contratto accessivo e formulazione dell’o- biettivo. – 9. Contenuti e limiti dispositivi dell’accordo che integra il contratto accessi- vo. – 10. La struttura dell’accordo di integrazione: la proposta. – 11. Segue. La struttu- ra dell’accordo di integrazione: l’accettazione. – 12. La corretta esecuzione dell’obbligo nel formulare la proposta. – 13. Segue. Programmazione, stasi politica e tecniche di tu- tela. – 14. Svolgimento delle trattative, illegittima interruzione e dovere di trasparenza. – 15. Assenza dell’obiettivo annuale: conseguenze contrattuali e istituzionali. – 16. Segue. Esercizio del potere organizzativo e tecniche di controllo.

1. Dalla responsabilità dirigenziale alla pianificazione del risultato Giunti a questo punto dell’indagine, è oramai chiara la rilevanza che la peculiare sinergia tra valutazione e responsabilità assume – sebbene con scel- te non sempre coerenti – nell’architettura della riforma sul lavoro pubblico: il suo apporto permette di valorizzare “la concreta legislatività dell’organiz- zazione”, al cui cospetto “il principio di legalità, cioè la predeterminazione legislativa dell’azione amministrativa, è fatalmente destinato a retrocedere”1.

1 In tali termini si esprime ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, 1992, 40. Sul punto v.

anche CASSESE, Che cosa vuol dire “amministrazione di risultati”?, in GDA, 2004, 941 ss., che rimarca come il diverso atteggiamento del principio di legalità venga compensato con la “misurazione del fenomeno amministrativo”: è questa – si aggiunge – l’essenza della com- plessa espressione “amministrazione di risultati”, che rende assolutamente imprescindibile un effettivo e adeguato sistema di valutazione del risultato. Al riguardo, v. pure ORSI BAT-

Lo spazio lasciato aperto dalla privatizzazione dei poteri datoriali viene colmato, così, da regole intrinseche di razionalità organizzativa destinate a indirizzare i medesimi poteri verso la ricerca di una sintesi tanto complessa quanto determinante per il corretto svolgimento dell’azione amministra- tiva: quella tra le istanze democratiche, collegate all’attuazione del progetto politico, e il vincolo teleologico imposto dall’art. 97 Cost., il cui ubi consi-

stam si esprime nell’assicurare il buon andamento e l’imparzialità. Ed è

proprio a garanzia della virtuosa ricerca di tale equilibrio che il dirigente è investito della “funzione passiva di sopportazione del rischio” correlato al risultato; un risultato, tra l’altro, valutato mediante il riferimento sia agli obiettivi sia agli standard: il parametro, quest’ultimo, per misurare l’og- gettivo grado di buon andamento dell’organizzazione. Sicché, l’esito cui es- sa deve approdare e sul quale è incentrata la responsabilità dirigenziale si esprime nel conseguimento degli obiettivi pianificati, in modo da raggiun- gere gli standard connessi ai servizi.

La natura esclusiva della responsabilità in esame, dunque, intende garan- tire la costante tensione dell’organizzazione verso un esito finale della strut- tura qualificato da un’effettiva efficacia ed efficienza, obbligando il dirigente a depurare tutte le manifestazioni esplicative delle proprie competenze di- rettive da ogni possibile elemento di parzialità: dove – è opportuno tenerlo presente – la parzialità è tale nella misura in cui impedisce di pervenire al buon andamento del servizio2. Ne deriva una responsabilità oggettiva,

fondata sull’autonomo esercizio dei poteri datoriali e dotata di un’estensio- ne alquanto peculiare, poiché – come si è osservato – solo a determinate condizioni i fattori endogeni all’organizzazione possono escluderne la con- figurazione.

Tutto questo impone di approfondire l’incidenza di tale assetto sui pa- rametri per valutare il risultato e da cui dipende la sua pianificazione. Al riguardo, particolare attenzione merita la formazione dell’obiettivo, che, in funzione delle risorse disponibili, delinea il percorso per realizzare un certo standard: non va tralasciato, infatti, che esso, nel declinare il programma po-

TAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto d’impiego con enti pubblici, in

DLRI, 1993, 461 ss. e, successivamente, ORSI BATTAGLINI, CORPACI, Sub art. 4, in CORPACI,

RUSCIANO, L. ZOPPOLI (a cura di), La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del

processo nelle amministrazioni pubbliche (D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29). Commentario, in NLCC, 1999, 1096 ss.; A. ZOPPOLI, Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione, Esi,

2000, 335 ss. Più recentemente, SPINELLI, Il datore di lavoro pubblico. Autonomia organiz-

zativa e poteri del dirigente, Cacucci, 2012,43-55.

litico, specifica una delle eventuali e variegate alternative, tutte egualmente legittime, per implementare la missione pubblica. Ciò spiega perché la co- stituzione dell’obiettivo offre un contributo determinante nell’individuare la strategia organizzativa più adeguata a conciliare le aspettative dell’orga- no di indirizzo e la doverosa conformità dei servizi al buon andamento. Tanto che la sua definizione assume un ruolo decisivo nell’impianto siste- matico elaborato dal legislatore, producendo esiti non trascurabili sia sul- l’effettiva possibilità di imputare al dirigente il rischio connesso alla dire- zione organizzativa sia sullo sviluppo della logica istituzionale collegata al risultato3.

2. Gli esiti della scelta procedimentale sulla formazione degli obiettivi Dall’indagine sulla costruzione dell’obiettivo, dunque, non ci si può esi- mere; tuttavia, procedere in questa direzione significa confrontarsi con un quadro normativo estremamente articolato e, soprattutto, caratterizzato dal- l’intensa presenza legislativa. È stato già osservato che il d.lgs. n. 150/2009 – dopo la stasi prodotta dall’approccio maieutico del d.lgs. n. 286/19994

inaugura una stagione normativa segnata dal tentativo di rilanciare la valu- tazione, attraverso una meticolosa disciplina delle sue dinamiche struttura- li: il legislatore individua sia le competenze dei suoi protagonisti sia le mo- dalità per coordinare attività di indirizzo e di gestione, proiettandole verso il conseguimento di risultati idonei a soddisfare le aspettative dell’utenza5.

3 È opportuno ricordare (v., più diffusamente, il par. 8 del cap. I.) che la relazione tra valu-

tazione e responsabilità di risultato svolge un ruolo di primo piano nell’attuare l’art. 97 Cost.

4 Di approccio maieutico parla Dente (L’evoluzione dei controlli negli anni ’90, in LPA,

1999, I, 1217), secondo cui il d.lgs. n. 286/1999 si limita a definire le linee essenziali dell’attività di controllo, devolvendo ampia autonomia ai singoli enti ed escludendo ogni possibile intervento certificatorio o sanzionatorio di soggetti terzi ed esterni. Tale scelta intende fare dei controlli interni uno strumento di supporto allo svolgimento dell’attività decisionale, per porre al centro della vita organizzativa dell’ente gli organi che ne sono in- vestiti. Ciò allo scopo di valorizzare – secondo alcuni eccessivamente – il ruolo assunto dai protagonisti dell’organizzazione, soprattutto dalla componente politica, nello sviluppo dei sistemi di controllo.

5 La necessità di inserire la valutazione in un “ciclo direzionale integrato”, per consen-

tirne un uso proficuo in termini di qualità del risultato, era ben nota in letteratura già pri- ma del d.lgs. n. 150/2009: eloquente è l’indagine svolta in MERCURIO, A. ZOPPOLI (a cura

di), Politica e amministrazione nelle autonomie locali. La comunicazione nel ciclo direzionale

Ne deriva un procedimento – denominato “ciclo di gestione della per- formance” – diretto a instaurare relazioni giuridicamente rilevanti tra atti- vità diverse per funzione e per natura giuridica6. Tra le eterogenee com-

ponenti del procedimento si stabilisce, così, un sistema di connessioni che conferisce rilievo normativo proprio al loro coordinamento: ciascuna parte del ciclo, presuppone la precedente e, contestualmente, condiziona l’ado- zione della successiva7.

Per chiarire la natura giuridica delle connessioni prima indicate, è utile considerare che l’art. 74, d.lgs. n. 150/2009, nel qualificare la disciplina sul ciclo di gestione delle performance come attuativa dell’art. 97 Cost., vi rin- viene un principio generale dell’ordinamento. L’opzione legislativa, al di là dei dubbi correlati all’individuazione normativa dei suddetti principi8, at-

tribuisce all’art. 4, d.lgs. n. 150/2009 e alle ulteriori disposizioni del capo II, riportate nel medesimo art. 74, comma 19, il compito di implementare

zia – può esprimersi solo in un contesto organizzativo improntato alla valorizzazione e allo sviluppo organico delle risorse umane: essa, singolarmente considerata, non migliora in alcun modo la qualità dell’organizzazione (v., in tal senso, anche il Rapporto ARAN, Valuta-

zione delle performance e contratti collettivi). Del resto, è proprio per integrare le varie fasi

del ciclo di gestione organizzativa che si è progressivamente affermato un metodo di lavoro basato sui programmi e sugli obiettivi. Sul punto, v. D’AURIA, La valutazione dei dirigenti,

in SCHLITZER (a cura di), Il sistema dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni,

Giuffrè, 2002, 101 ss. A ulteriore conferma di quanto detto, v. anche le analisi socio-orga- nizzative, tra cui DEL VECCHIO, Dirigere e governare le amministrazioni pubbliche: economici-

tà, controllo e valutazione dei risultati, Egea, 2001 e le sempre attuali riflessioni di ZANDA, La

valutazione dei dirigenti, Cedam, 1984 sul tema del Management by objectives.

6 Le attività costituenti il ciclo di gestione delle performance sono riconducibili nella

sfera sia pubblicistica sia privatistica: nella prima, rientrano le attività di programmazione strategica (sulla cui natura v. FORTE, Il principio di distinzione tra politica e amministrazio-

ne, Giappichelli, 2005, in particolare cap. III); nella seconda – come verrà chiarito meglio

in seguito – rientrano sia le attività per individuare gli obiettivi annuali dei dirigenti e del personale sia le attività per erogare gli incentivi.

7 La scelta legislativa è apparsa da subito molto discutibile (v., tra i tanti, REBORA, Chi ge- stirà il cambiamento, in RS, 2009, 137 ss.), poiché la dettagliata disciplina del ciclo di gestione

delle performance ne irrigidisce il funzionamento e non attribuisce importanza alle differenze tra le varie amministrazioni. Ciò con il rischio di contraddire le stesse finalità dell’art. 3, com- ma 4, d.lgs. n. 150/2009: è stato già chiarito (v. il par. 5 del cap. I) che il conseguimento dei bisogni espressi dalla collettività impone di ridimensionare il rapporto tra organizzazione e intervento legislativo, nel senso di conferire alla prima maggiore autonomia.

8 Sui problemi collegati all’auto-qualificazione legislativa dei principi generali dell’ordi-

namento, v., da ultimo, TROJSI, Le fonti del diritto del lavoro tra Stato e Regione, Giappi-

chelli, 2013, 108-124.

9 Le disposizioni in questione, riferite a specifiche fasi del ciclo di gestione delle per-

un valore costituzionale, specificando le caratteristiche che gli assetti orga- nizzativi devono avere per preservare la funzione istituzionale della valuta- zione10. Ciò consente di annoverare tali prescrizioni tra le disposizioni im-

perative dell’art. 1418, comma 1, c.c.11: un’ipotesi che, per costante giuri-

sprudenza, ricorre ogni qual volta “si è al cospetto di norme adottate in at- tuazione di valori Costituzionali”12.

Di conseguenza, sia le connessioni tra i tasselli del procedimento rego- lamentato dall’art. 4, d.lgs. n. 150/2009 sia le prescrizioni a essi destinate rappresentano vincoli giuridici inderogabili, idonei a condizionare il legit- timo sviluppo del ciclo delle performance. Più specificamente, precluden- do la possibilità di destrutturarlo, i vincoli di cui si discorre impediscono di approdare a una valutazione della performance utilizzabile per erogare premi o appurare responsabilità, qualora essi non fossero stati rispettati: è questo l’effetto maggiormente rilevante della tecnica procedimentale im- posta dal d.lgs. n. 150/2009 nonché l’esito ultimo della nullità derivante dal- la sua violazione. Il ricorso ai sistemi premianti e l’accertamento delle even- tuali responsabilità, rappresentando le fasi terminali del ciclo in esame, pre- suppongono l’esistenza di una performance validamente costituita e valuta- ta. Pertanto, l’inosservanza della complessiva disciplina sul procedimento introdotto dall’art. 4, d.lgs. n. 165/2001 o su talune delle sue fasi, violando norme imperative, proietta il patologico sviluppo del ciclo in questione sui suoi terminali conclusivi, implicandone la nullità.

Potrebbe obiettarsi che l’art. 4, d.lgs. n. 165/2001, diversamente da quan- to accade per la premialità, non contempla la responsabilità di risultato, ma a tale rilievo sarebbe agevole opporre l’esistenza di un altro dato normati- vo, capace di estinguere ogni dubbio. L’art. 21, comma 1, fondando la re- sponsabilità dirigenziale sul “mancato raggiungimento degli obiettivi accer-

tato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del

decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15” (mio il cor- sivo), instaura un nesso di presupposizione inderogabile tra la medesima responsabilità e la “misura della performance”, che, per essere correttamen- te svolta, presuppone il rispetto di tutte le fasi del procedimento a valle del quale si colloca13.

10 In tali termini, v. quanto già osservato per gli obiettivi nel par. 4 del cap. II.

11 È opportuno precisare che l’art. 1418, comma 1, c.c. sanziona con la nullità ogni vio-

lazione di norme imperative.

12 V. Cass. 18 luglio 2003, n. 11256 già menzionate nel par. 4 del cap. II.

13 L’inderogabilità dell’art. 21 deriva dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, che con-

In definitiva, le considerazioni espresse rendono evidente che la proget- tazione degli obiettivi destinati a formare la performance deve rispettare tut- ti i vincoli procedurali imposti dall’art. 4, d.lgs. n. 150/2009: solo tale con- formità permette di includerli nel ciclo disciplinato dall’articolo appena men- zionato, facendone l’oggetto di una valutazione strumentale a liquidare gli incentivi e ad accertare la responsabilità contemplata dall’art. 21, d.lgs. n. 165/2001. Diversamente, la loro formulazione, in sé anche legittima, non consentirebbe né di corrispondere i premi economici né di rilevare la re- sponsabilità di risultato, poiché in entrambi i casi risulterebbe violato l’art 1418 c.c.

3. Le incertezze dell’art. 5, d.lgs. n. 150/2009

Dopo aver chiarito gli esiti dei vincoli procedurali derivanti dal d.lgs. n. 150/2009, è possibile concentrare l’attenzione su una delle disposizioni più discusse del procedimento in questione. Il riferimento, in particolare, è all’art. 5, d.lgs. n. 150/2009, i cui contenuti hanno sollevato numerosi dub- bi in letteratura, riconducibili, principalmente, al suo primo comma14: elo-

quente è la tesi che polarizza sull’organo di indirizzo politico-amministra- tivo la competenza nell’assegnare gli obiettivi a tutto il personale senza al- cuna distinzione15. Con l’ovvia conseguenza, dato il tenore della disposi-

zione, di affidare la definizione degli obiettivi a un atto unilaterale, rispetto a cui solo il dirigente deve essere unicamente sentito.

La lettera della disposizione – come si accennava – è sicuramente poco chiara, ma non sembrano sussistere solidi elementi per farne il fulcro del- l’intera sequenza attributiva degli obiettivi: al contrario, questa ricostruzio- ne implicherebbe numerose difficoltà.

Per illustrarle, è sufficiente evidenziare che gli obiettivi menzionati dall’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 150/2009 sono tarati su base triennale. Ciò mentre la lett. d) del suo secondo comma, nel definire i requisiti indispen- sabili, a rendere gli obiettivi integrabili nel ciclo di gestione delle perfor-

14 L’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 150/2009 prescrive che “gli obiettivi sono programmati

su base triennale e definiti, prima dell’inizio del rispettivo esercizio, dagli organi di indiriz- zo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell’amministrazione che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative”.

15 Propende per tale lettura VILLA, La retribuzione di risultato nel lavoro privato e pub- blico: regolazione ed esigibilità, in RIDL, 2013, I, 451 ss.

mance16, impone la loro riferibilità “ad un arco temporale determinato, di

norma corrispondente a un anno”. L’incertezza sulla proiezione temporale dell’obiettivo non è di poco conto; la performance organizzativa, al pari di quella individuale, va valutata con periodicità annuale17 e non triennale co-

me, invece, indurrebbe a sostenere l’enfasi sul solo comma 1 dell’art. 5, d.lgs. n. 150/2009: non a caso, il d.lgs. n. 150/2009 prescrive di rendicontare ogni anno i risultati scaturenti dall’implementazione degli obiettivi assegnati18.

Va aggiunto, inoltre, che il comma 1 dell’art. 5, d.lgs. n. 150/2009, se in- terpretato nelle modalità prima precisate, si porrebbe in aperta contraddi- zione anche con la scelta, sancita nell’art. 16, d.lgs. n. 165/2001, di conferi- re al dirigente generale il compito di assegnare gli obiettivi e le correlate risorse. E contrasterebbe, altresì, con gli artt. 5 e 6, d.lgs. n. 300/1999, che attribuiscono al capo dipartimento e al segretario generale funzioni equiva- lenti a quelle appena richiamate. Certo, il tema delle competenze nel con- ferire gli obiettivi è articolato e va adeguatamente approfondito, ma sin da ora bisogna osservare che le disposizioni citate rappresentano vincoli legi- slativi di cui tenere doverosamente conto.

I dubbi esposti spingono a verificare la praticabilità di una diversa stra- da nell’interpretare l’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 150/2009; un percorso dove il riferimento agli obiettivi va inteso in una prospettiva multiforme: consi- derando, cioè, i diversi tipi di obiettivi necessari al funzionamento del ciclo delle performance. Tale approccio trova il suo immediato fondamento giu- ridico nell’art. 15, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 150/2009, che, precisando gli atti del medesimo ciclo rimessi alla competenza politica, permette di legge- re l’art. 5, comma 1, tramite la lente dell’art. 10, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2009 e di ricorrere alla disposizione da ultimo indicata sia per definire e meglio calibrare il perimetro della prima sia per identificare gli obiettivi cui essa si riferisce.

L’art. 10, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2009 individua un primo tipo di obiettivi in quelli strategici, che, elaborati in coerenza con la program- mazione finanziaria e di bilancio19, specificano gli interessi su cui incentra-

16 Per ulteriori approfondimenti, v. il par. 4 del cap. II.

17 Eloquente è l’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 150/2009, dove si afferma che “le amministra-

zioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale”. Sulla scia del dato normativo appena richiamato, il requisito dell’annualità è stato valorizzato anche dalla Corte dei Conti con le sentenze 5 marzo 2013, n. 991 e 14 gennaio 2014, n. 9.

18 V. art. 10, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2009.

19 La formulazione degli obiettivi programmatici triennali, pur dovendo rispettare i vin-

re l’azione dell’ente pubblico nell’arco di un triennio: è la natura triennale della programmazione che consente di rinvenirvi l’esplicazione della com- petenza riportata nella prima parte dell’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 150/2009. A questa categoria di obiettivi se ne affianca un’altra: gli “obiettivi finali e intermedi” in relazione ai quali identificare gli indicatori per misurare la “performance dell’amministrazione”20.

Il dato normativo, non c’è dubbio, è vago e per meglio comprenderne i contenuti è utile considerare, per un verso, che l’art. 10, comma 1, lett. b), impone, mediante la performance organizzativa, di valutare annualmente i risultati complessivi dell’amministrazione e, per altro verso, che gli obietti- vi “finali e intermedi” vanno distinti, per esplicita previsione legislativa, da quelli destinati alla dirigenza. Ciò significa che gli obiettivi “finali e inter- medi” dell’art. 10, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2009 sicuramente non so- no tarabili su base triennale, ma, altrettanto sicuramente, non identificano gli obiettivi organizzativi dei dirigenti: essi, dunque, si differenziano sia da quelli programmatici calibrati sul triennio sia da quelli rilevanti ai fini della responsabilità ex art. 21, d.lgs. n. 165/2001.

Pertanto, gli obiettivi “finali e intermedi” non possono che svolgere una funzione mediana. Attraverso il loro apporto, le scelte strategiche plurien- nali sono tradotte nei piani che, per ognuna delle tre annualità, il ciclo in- trodotto dall’art. 4, d.lgs. n. 150/2009 deve realizzare. In questo si esprime il senso del carattere finale e intermedio menzionato dal legislatore: finale perché gli obiettivi strategici annuali sono destinati a esaurirsi entro l’anno; intermedi perché, allo stesso tempo, compongono una pianificazione trien- nale. L’annualità dell’art. 5, comma 2, lett. d), va riferita, anzitutto, a tali obiettivi, non essendo, al contrario, correlabile agli obiettivi programma- tici: un’alternativa che, in quanto smentita da un dato normativo esplici- to21, implicherebbe un contrasto insanabile all’interno della disposizione.

Gli obiettivi “intermedi e finali”, a differenza di quelli programmatici in senso stretto, vanno formulati all’inizio di ogni esercizio di valutazione e fanno da sfondo all’elaborazione di obiettivi operativi dettagliati, mediante

seconda dell’amministrazione di riferimento; modalità definite da articolate regolamenta- zioni settoriali sviluppate in funzione delle peculiarità intrinseche ai singoli comparti. Il d.lgs. n. 150/2009, per questa ragione, non individua né il contenuto della partecipazione dirigenziale alla pianificazione degli obiettivi in questione né i termini del raccordo con la programmazione finanziaria. Sicché, entrambi gli aspetti procedurali, pur necessari, sono diversamente declinabili da amministrazione ad amministrazione.

20 Tanto prevede la seconda parte dell’art. 10, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2009. 21 Il riferimento è al comma 1 dell’art. 5, d.lgs. n. 165/2001.

cui tradurre, insieme ai connessi indicatori, le scelte strategiche annuali in specifiche opzioni organizzative22. È evidente che la diretta incidenza del

programma annuale sulla formulazione degli obiettivi va limitata alla sola dirigenza apicale, tenuta ad attuare il complessivo programma politico e ga- rantire il complessivo buon andamento dell’amministrazione. Mentre, nel

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