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Il Regolamento per la cura dei beni comuni che è stato adottato per la prima volta a Bologna costituisce la base ed il modello del testo reperibile sul sito di Labsus adottato da molte amministrazioni con varianti legate ai contesti locali. Un altro tipo di Regolamento, latore degli stessi principi di sussidiarietà, amministrazione condivisa e

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governance collaborativa pur con significative differenze di contenuto ed impostazione,

è quello che è stato adottato dal comune di Chieri. Prima di operare il confronto tra le due famiglie di Regolamenti, è opportuno chiarire alcuni aspetti comuni che ispirano entrambi. Il primo concetto è quello di rapporto con la comunità di riferimento che si pone come un soggetto in teoria aperto, ma in pratica dai confini determinati e individuati attraverso specifici criteri. Il punto comune di tutti i Regolamenti è di proporsi come una nuova modalità di gestione di beni pubblici, per quanto la nozione di beni comuni comporti anche la possibilità di estendere tale modalità a dei beni privati, come richiamato esplicitamente in alcuni Regolamenti. La caratteristica dei beni pubblici coinvolti nel Regolamento è che in essi gli stessi soggetti ne operano la fruizione e la gestione si opera in modo collettivo (Nivarra, 2012). In base a questa definizione è determinante chiarire quali siano i beni comuni oggetto del Regolamento. L’individuazione è normata da procedure che prevedono, come nel caso di Bologna, la partecipazione attiva dei cittadini ma che si conclude sempre con l’espressione della volontà dell’ente pubblico. Il comune infatti può decidere in via univoca e quasi discrezionale se il Regolamento può essere applicato ad un bene specifico dando vita ad un patto di collaborazione. Nel modello di Regolamento di Chieri i soggetti legittimati a proporre i patti non sono i singoli cittadini ma un nuovo soggetto definito come “soggettività autonome o collettività civiche” (Angiolini, 2016).

Il Regolamento liberamente scaricabile dal sito di Labsus è una riedizione del 2017 del Regolamento adottato a Bologna. Rispetto al testo originale, il nuovo Regolamento si presenta in una versione più essenziale che consente una maggiore facilità di personalizzazione e adattamento (Giglioni, 2017). Sono state inoltre recepite anche altre esigenze manifestate come una maggiore chiarezza nella distinzione delle materie e degli strumenti dei patti dai rapporti lavorativi subordinati o dagli appalti pubblici. Inoltre,

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nel periodo tra il 2014 e il 2017 si è registrata una densificazione legislativa riguardo alle norme sulla partecipazione, sul baratto amministrativo, gli atti di pianificazione delle Città metropolitane e i patti con le città del governo. Per questo motivo, osserva Giglioni, si sono ridotti gli ambiti di applicazione del Regolamento poiché, grazie alla crescita dell’attenzione nei confronti delle politiche urbane, la legislazione superiore ha provveduto a normare alcuni vuoti in cui poteva inserirsi il Regolamento come risposta. Il Regolamento è costituito da 24 articoli suddivisi in 7 capi. Il primo capo è composto da 5 articoli che definiscono le disposizioni generali in cui, dopo aver illustrato le finalità e gli oggetti di applicazione del Regolamento, sono fornite le definizioni di alcuni termini ricorrenti nel testo normativo e di alcuni principi ispiratori. Nella definizione dei cittadini attivi è specificata la loro possibile appartenenza ad associazioni o gruppi ma anche a formazioni di tipo imprenditoriale o la possibilità di singolo cittadino, titolare di una situazione soggettiva di rilevanza pubblica, anche se agente con uno scopo di lucro (Bonapace, 2016). Nel secondo capo sono invece specificate delle disposizioni di carattere procedurale che dettagliano il patto di collaborazione, lo strumento attraverso cui è attuata la gestione condivisa. Nell’art. 6 comma 2 è specificata la necessità di provvedere alla definizione di una specifica struttura amministrativa che abbia in carico la gestione dei processi derivati dal Regolamento. L’Ufficio per l’amministrazione condivisa, non sempre presente nelle versioni di Regolamento adottate dai vari comuni, è concepito come una struttura di raccordo in grado di coordinare le attività dei vari uffici per attuare le proposte di collaborazione. Nel comma 6 dell’art. 7 è prevista anche una procedura di tutela e sanzione per l’Ufficio per l’amministrazione condivisa in caso di inerzia e mancanza di collaborazione da parte degli altri uffici. Questa clausola, assente nel Regolamento di Bologna e in gran parte delle altre versioni del Regolamento in vigore, è stata introdotta probabilmente come contrappeso per evitare le situazioni di stallo e

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inerzia che, come documentato dalla ricerca illustrata in seguito nel presente capitolo, hanno depotenziato il Regolamento rendendolo inattivo e al fine di svincolare la sua applicazione dalla volontà politica. Nel secondo capo sono distinte le due tipologie di patti di collaborazione: gli ordinari e i complessi. I patti ordinari, di modesta entità, possono essere suggeriti dallo stesso comune. Le proposte per i patti complessi sono di norma inserite in un elenco che è approvato dalla parte politica che ne determina l’interesse generale e che si esprime anche in merito alla qualità e fattibilità della proposta di collaborazione. Nel processo di approvazione del patto sono menzionati dei percorsi di democrazia partecipativa con il coinvolgimento della comunità di riferimento e per la conoscenza e presa in carico dei suoi bisogni. Il terzo capo esplicita una serie di condizioni a cui i patti di collaborazione relativi a immobili e spazi pubblici devono sottostare in termini di garanzia di sostenibilità, fruibilità e aderenza ai principi dell’amministrazione condivisa precedentemente espressi. Nel quarto capo sono presentate le forme di sostegno che possono comprendere la facoltà di sostenere economicamente gli interventi oggetto del patto di collaborazione e l’impegno a facilitare la copertura delle spese per le polizze assicurative tramite convenzioni con società assicurative o a provvedere direttamente alla copertura assicurativa di cittadini iscritti in un apposito registro. Quest’ultima clausola, inserita nella recente rivisitazione del Regolamento, tende ad affrontare un elemento deterrente alle iniziative di cittadinanza attiva che si è recentemente spesso riproposto anche in altri programmi di regolamentazione del volontariato. Citiamo al riguardo la polemica intercorsa tra il Dipartimento Tutela Ambiente del Comune di Roma e alcune associazioni di volontariato per il decoro urbano come Retake Roma. Il Comune ha ribadito l’obbligo per i cittadini di dotarsi di una polizza assicurativa a proprio carico per poter svolgere azioni di cura e manutenzione del verde anche occasionali. Le azioni della cittadinanza attiva erano

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motivate da uno stato di necessità poiché il verde pubblico urbano versava in uno stato di abbandono a causa di una serie di difficoltà nel procedere a nuovi bandi per l’affidamento delle manutenzioni legate agli scandali di Mafia Capitale (Pietroletti, 2018). Altre forme di sostegno contemplano l’attribuzione di vantaggi economici quali la copertura di spese, l’uso gratuito di immobili comunali, la disponibilità di strumenti e risorse umane per lo svolgimento di attività inerenti al patto. All’articolo 4 è invece ribadita l’esclusione di ogni tipo di finanziamento o erogazione economica diretta nei confronti dei cittadini contraenti il patto per prevenire utilizzi impropri del Regolamento in violazione dei principi ispiratori e che ne possano configurare l’uso come uno strumento per aggirare i vincoli previsti dalle procedure pubbliche. Altra forma di sostegno sono le agevolazioni fiscali che comprendono la possibilità di effettuare iniziative ed intraprendere azioni di autofinanziamento. Questa clausola estende quindi la possibilità in precedenza prevista solo per le associazioni di volontariato costituite anche alle formazioni informali o ai singoli cittadini. Un altro intervento compreso tra le forme di sostegno è la formazione, al fine di promuovere il Regolamento e la cultura dell’amministrazione condivisa all’interno delle scuole come menzionato all’articolo 14. È prevista inoltre la possibilità che si possano stipulare patti di collaborazione tra il Comune, genitori, alunni e istituzione scolastica. Nel capo V vengono affrontate le materie della comunicazione, trasparenza e valutazione. L’aspetto della comunicazione è stata una questione centrale per determinare il livello di efficacia dell’attuazione del Regolamento nei singoli contesti fin dalle prime applicazioni. Infatti, le città dove non è stata data pubblicità al Regolamento sono quelle dove si è registrata una minore quantità di patti di collaborazione stipulati. La lettura di questa informazione è duplice può essere correlata ad una mancanza di volontà politica nel sostegno attivo alla policy dell’amministrazione condivisa. Pertanto, nel prototipo del 2017, è considerato fondamentale che i comuni offrano pubblicità alle opportunità offerte

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dal Regolamento. All’articolo 23 (Capo VII disposizioni finali e transitorie) è ribadito l’impegno dell’amministrazione di dotarsi di una apposita sezione sul sito istituzionale. Per quanto riguarda la valutazione, non è specificato da chi questa debba essere prodotta. La valutazione, presumibilmente prodotta dagli stessi contraenti, riguarda degli obiettivi di processo come la coerenza interna e la realizzazione degli obiettivi del patto stesso. In particolare, descrive informazioni riguardanti gli obiettivi e indirizzi, le azioni e i servizi resi, i risultati raggiunti e le risorse utilizzate. Il processo descritto è più un monitoraggio che una valutazione, secondo la definizione dal Project Cycle Management (PCM)17.