3. Le politiche abitative
4.2 Il contesto in cui si sviluppa
L’attuale contesto socio-economico italiano caratterizzato, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, da un invecchiamento della popolazione, da importanti migrazioni e da una forte crisi economica/occupazionale ha fatto sì che i bisogni di una pluralità di soggetti, definiti come deboli e a rischio povertà/marginalità siano in costante aumento e che la contrazione delle risorse a loro destinate renda inadeguato il sistema di servizi, azioni ed assistenza finalizzati a garantire l’accesso al diritto alla casa o, sull’altro fronte, a favorire la permanenza presso il proprio domicilio di proprietari o affittuari anziani.
Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito da un lato al ridursi drasticamente delle risorse destinate al sociale, soprattutto a quelle destinate alla prevenzione del disagio e, dall’altro, ad un aumento inversamente proporzionale dei soggetti fragili a rischio nuove povertà e/o esclusione sociale, che spesso non rientrano nella classica definizione di utenti in carico ai sistemi di assistenza e quindi esclusi dai tradizionali servizi d’aiuto: parliamo, quindi, di lavoratori atipici, ex imprenditori, genitori separati/divorziati. L’eterogeneità dei bisogni ha, negli ultimi anni, messo letteralmente in ginocchio un sistema di Welfare impegnato a sostenere categorie specifiche e standardizzate di persone (anziani non autosufficienti, disabili, tossicodipendenti..), ma non in grado di avere un approccio dinamico, capace di adattarsi ai mutamenti in corso. Un sistema che attualmente sta provando a contrastare i danni, non riuscendo a fare prevenzione. Il progetto di Abitare Solidale ha cercato, quindi, di sviluppare procedure, servizi e strategie che, basandosi sui principi del mutuo aiuto, della cittadinanza attiva, e della sussidiarietà orizzontale, facilitassero il costituirsi di una rete di protezione sociale più efficace, fondata sul reciproco scambio di utilità e di servizi tra individui, agendo quindi “in economia”.
La casa diventa non solo un tetto sotto cui abitare, ma anche una possibilità. Una possibilità di relazioni, di legami con la comunità, di riscatto, di cambiamento.
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Dall’analisi dei dati demografici e socio-economici scaturiva per l’ideatori del progetto in primis la necessità di rinnovare i servizi ed approcci a favore della Terza e Quarta Età; infatti nel 2008, anno di avvio della progettazione, nella sola Firenze 30.373 anziani vivevano soli, secondo i dati dell’Ufficio Statistica comunale, e l’80% in case medio grandi. Ciò determinava “spreco del patrimonio abitativo”, problemi manutentivi57, incremento di incidenti domestici58, insorgere di tensioni intergenerazionali59, ma soprattutto il rischio di perdita di autonomia e di istituzionalizzazione. Il Piano Sanitario Regionale prevedeva inoltre per il 2020 un “aumento dell’indice di vecchiaia e quello di dipendenza” “con un’incidenza crescente della spesa pubblica sanitaria” per assistenza agli anziani (p. 5). Una simile previsione è contenuta PSSIR 2012-2015: “nei prossimi anni il numero di anziani residenti (in Toscana) aumenterà dagli attuali 867.00 a 962.000 di circa il 10%” con un “aumento dei bisogni socio-sanitari” .
La propria casa, luogo di affetti e di vita ideale, senza un adeguato sistema di servizi e vigilanza costante rappresenta, per l’anziano solo, onere eccessivo e concreta fonte di rischio. Soprattutto in mancanza di un’adeguata assistenza familiare, non compensabile in toto dai servizi tradizionali60 e aggravata dalle trasformazioni urbane e dall’indebolirsi delle relazioni di buon vicinato. Maturava quindi il senso dell’opportunità di una rete di protezione sociale più efficace, che prevenisse la non- autosufficienza e l’istituzionalizzazione, integrando servizi pubblici e del volontariato con il coinvolgimento di nuovi attori che operassero per una maggiore coesione e tutela sociale senza costi aggiunti per la Comunità, ma a fronte di un reciproco scambio di utilità e benefici tra individui. La casa poteva costituire il volano per un patto di reciproca mutualità, di una forma di obbligazione sociale, grazie alla quale il bisogno di assistenza leggera, di socialità dell’anziano si incontrasse con la necessità di alloggi espressa da soggetti (singoli o famiglie) a rischio di povertà relativa ed esclusione sociale, donne vittime di violenza e della tratta.
In effetti, sebbene il numero di donne che si rivolgono ai centri anti-violenza in Toscana sia in crescita (secondo il II Rapporto sulla violenza di genere: 1761 casi nel 2009/2010; 2033 nel biennio 2011/2012) la percentuale tra denunce e casi reali (24%) rimane bassa, motivata anche dall’insufficienza di soluzioni abitative post-emergenza. Mancando
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IRPET, Speciale Censimenti n. 7, Le Abitazioni, p. 15-17.
58 Piano Sanitario Regionale PSR (Regione Toscana) 2008-2010, p. 79. 59 Piano Regionale Sociale, PRS 2006-2010, p. 20.
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opportunità di emancipazione dal luogo della violenza (95% perpetrata dentro casa da parenti o partner) e di autonomia, troppe vittime non denunciano i propri aguzzini, con esiti tristemente noti.
Il problema abitativo tocca poi i soggetti a rischio nuove povertà: se nel 2008 gli esiti tangibili della crisi in questo ambito non erano ancora né chiari, né quantificabili, già nel 2011 il 5,2%61 delle famiglie toscane risultava in condizioni di povertà relativa e secondo il “Dossier 2010 sulle Povertà in Toscana” l’assenza di risorse generava gravi criticità per l’accesso alla casa. Dal Rapporto “Abitare in Toscana” nel biennio 2009/2010 si apprende che vi sono state 22.000 domande inevase di alloggi ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), 18.000 istanze di sfratti e 2.400 esecuzioni (l’87% per morosità incolpevole).
In breve, l’assenza di politiche abitative adeguate all’esigenze delle persone ha caratterizzato un mercato abitativo in cui “l’intervento pubblico è praticamente assente”62 con un crescente numero di domande disattese e conseguente disagio sociale. Il convergere di tutti questi elementi e il progressivo affinamento delle metodologie progettuali attraverso tavoli di lavoro partecipativi, portò, nella primavera del 2008 alla definizione di un intervento che si poneva i seguenti obiettivi di base:
1. Invertire i ruoli, ovvero far acquisire al volontariato una maggiore autonomia rispetto al pubblico nella fase di elaborazione ed erogazione di servizi ed interventi, in virtù dell’autorevolezza acquisita sul campo, il tutto sempre in un’ottica di sussidiarietà, dialogo ed integrazione.
2. Integrare, in una comune ridefinizione e rimodulazione dei sistemi di protezione sociale e senza sovrapposizioni antieconomiche, competenze, figure professionali diverse: volontari, psicologi, consulenti legali, architetti, assistenti sociali, amministrativi etc.
3. Ricercare efficacia, adeguatezza ed economicità d’intervento attraverso l’ibridazione delle risorse economiche (pubbliche e private) e, soprattutto, del volontariato; ottimizzazione del patrimonio abitativo esistente.
4. Sviluppare azioni sociali che, pur in un definito e circoscritto settore d’intervento, fosse in grado di rispondere ad istanze diverse, espresse da un altrettanto eterogeneo e variegato panorama di portatori di bisogni.
61 Report povertà delle famiglie, Istat, 2012.
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5. Avviare una piccola rivoluzione culturale, sostituendo i tradizionali rapporti di natura economica tra le persone, con legami più solidi fondati sui principi di reciprocità, coesione sociale e solidarietà, capaci di trasformare i soggetti tradizionalmente considerati deboli, da semplici beneficiari a erogatori di servizi, a protagonisti di nuovi modelli di welfare di comunità.