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Concretizzare la teoria delle capacita: l'esperienza di Abitare Solidale

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Academic year: 2021

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INDICE

RINGRAZIAMENTI p. 3

PREFAZIONE 4

INTRODUZIONE 5

PARTE PRIMA: RIFERIMENTI TEORICI

1.

Amartya Kumar Sen 7

Introduzione

1.1

Storia del Bengala occidentale 8

1.2

Sen: origini e formazione 11

1.3

Sen e l’economia del benessere 14

1.4

Sen e l’eguaglianza 17

1.5

Sen e la libertà 19

1.6

Sen e le nuove politiche sociali 21

Conclusioni 25

PARTE SECONDA: LE POLITICHE SOCIALI

2.

Il welfare state 26

Introduzione

2.1

Le politiche sociali: definizione 26

2.2

Il fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS) 30

2.3

L’evoluzione del sistema di welfare state europeo 31

2.4

I modelli di welfare state 37

2.5

L’Italia: da un welfare passivo al welfare delle capacità 41

Conclusioni 43

3.

Le politiche abitative 45

Introduzione

3.1

La questione abitativa 46

3.2

La domanda abitativa 49

3.3

Gli indicatori del disagio sociale 51

3.4

La questione abitativa e le politiche sociali 58

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3.6

Il social housing 63

PARTE TERZA: IL PROGETTO

4.

“Abitare Solidale” 66

Introduzione

4.1

Che cos’è Abitare Solidale 67

4.2

Il contesto in cui si sviluppa 68

4.3

La storia 71

4.4

I destinatari 75

4.5

Le finalità 76

4.6

Gli strumenti 78

4.7

Il progetto: funzionamento e procedure 80

4.8

I risultati 82

4.9

In futuro 83

CONCLUSIONI 85

APPENDICE 88

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3

RINGRAZIAMENTI

Con queste poche righe ringrazio le persone che hanno reso possibile la stesura della tesi presentata:

un ringraziamento a Gabriele Danesi, ideatore e coordinatore del progetto Abitare Solidale per la documentazione fornita e per la fantastica presentazione che ha voluto offrire del progetto, che è stata per me fonte d’ispirazione.

Ringrazio anche il relatore della tesi, il Professor Alessandro Balestrino, per la sua meticolosa e stimolante attenzione nella correzione e per la sua preziosa disponibilità. E' stato un fondamentale punto di riferimento per la stesura della tesi.

Ringrazio anche tutti coloro che mi sono stati vicini nel mio percorso universitario e per avermi sopportato, incoraggiato e spronato: la mia famiglia (tutta), Riccardo e la sua famiglia, i miei amici, le mie colleghe e Giuditta. Senza il vostro appoggio non ce l’avrei fatta.

Infine ringrazio vivamente tutti i professori che hanno saputo trasmettermi la passione per la propria materia e la voglia di approfondirla. Credo che un professore dovrebbe fare soprattutto questo e nel mio percorso universitario ne ho trovati molti.

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PREFAZIONE

L’idea dalla quale è scaturita la seguente tesi di laurea nasce dalla mia esperienza professionale come Assistente Sociale territoriale presso l’Azienda Usl 5 di Pisa, nello specifico nella Zona Valdera1

.

Da circa due anni mi occupo del settore Adulti e quotidianamente mi trovo a lavorare con nuclei in difficoltà, per la maggior parte si tratta di casi aggravati da precarie condizioni economiche.

Trovare con loro e per loro soluzioni significative in un contesto come quello odierno dove i bisogni aumentano e si diversificano e dove le risorse economiche a disposizione degli enti e delle istituzioni sono scarse e assenti, diventa per noi operatori una vera sfida.

La presentazione che venne fatta alla nostra Zona del progetto Abitare Solidale da parte del suo ideatore fu per me significativa: mi convinsi che era necessario attivare la nostra creatività di operatori e promuovere una cittadinanza di tipo attiva, al fine di trasformare alcuni tipologie di bisogni in opportunità per l’intera comunità.

Lo scopo prefisso è stato quello di dare concretezza all’approccio delle capacità teorizzato dall’economista indiano Sen, attraverso la descrizione di un progetto radicato nella realtà ma innovativo come quello di Abitare Solidale, al fine di promuovere buone prassi all’interno di una politica sociale più efficace.

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INTRODUZIONE

La tesi di seguito presentata ha l’obiettivo di proporre e mettere a fuoco, come una grande lente di ingrandimento che lentamente si avvicina dal generale (riferimento teorico) al particolare (progetti concreti), nuovi modelli di politiche sociali.

Modelli in linea con le recenti teorizzazioni dell’economista e filosofo indiano A. K. Sen, premio Nobel per l’economia, che propone un nuovo sistema di welfare, detto “welfare delle capacità”: una teoria che valuta lo sviluppo e il benessere di un Paese non solo in termini economici, ma che fa riferimento alla capacità degli individui di essere e di fare ciò a cui danno valore, di essere liberi di fare delle scelte che essi stessi considerano importanti.

Nel primo capitolo dedicato ad un’analisi teorica del pensiero di Sen, ci concentreremo sull’importanza che tali teorizzazioni stanno avendo sulle attuali politiche sociali internazionali.

Nel secondo capitolo verrà analizzato il percorso di realizzazione dei sistemi di welfare europei (prevedendo anche una comparazione tra vari sistemi di welfare) e l’impatto che la teoria di Sen ha avuto sulle attuali politiche sociali nazionali determinando il passaggio da politiche passive a politiche di tipo attive.

Nel terzo capitolo verrà messa a fuoco la questione abitativa: spiegheremo a grandi linee di che cosa si tratta, quali sono i soggetti direttamente interessati e gli indicatori del disagio sociale che fanno emergere la domanda abitativa (povertà, deprivazione, vulnerabilità familiare, immigrazione e condizione giovanile); vedremo poi come le politiche sociali in Italia hanno trattato la questione abitativa soffermandoci sulla necessità di una governance complessa e multilivello per ottenere buoni risultati.

Infine definiremo e chiariremo il concetto di social housing come strumento alternativo per rispondere al problema abitativo attraverso la collaborazione tra soggetti pubblici e privati.

Il quarto e ultimo capitolo è incentrato sulla descrizione di un progetto che fa del social housing il suo punto di forza: Abitare Solidale.

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Abitare solidale rappresenta infatti un esempio concreto, attuale e innovativo di politiche attive che considerano l’individuo nella sua globalità, che non prevede scambi di tipo economici tra individui, ma che prevede come unico vincolo quello di tipo solidaristico.

Abitare Solidale rappresenta, quindi, un’opportunità per trasformare il problema abitativo in un’occasione di incontro tra persone e per creare un rete sociale di aiuto, sostegno e cooperazione.

Il punto di forza del progetto è favorire l’incontro tra risorse e bisogni complementari. L’obiettivo è mettere in contatto individui con necessità diverse, ma conciliabili, che possono coabitare aiutandosi a vicenda, rispettando le reciproche esigenze e abitudini, condividendo risorse e abilità e collaborando in modo responsabile nella quotidianità. In un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, una coabitazione così strutturata potrebbe essere una soluzione efficace a due tipi di problemi sociali: da un lato le difficoltà e l’emarginazione a cui rischiano di andare incontro le persone che non hanno un reddito sufficiente per poter accedere ad affitti o mutui o che faticano ad “arrivare a fine mese”; dall’altro l’isolamento di quanti hanno perso, oppure vivono, lontano dai loro affetti e devono affrontare ogni problema o incombenza quotidiana in totale solitudine.

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PARTE PRIMA: RIFERIMENTI TEORICI

1.

AMARTYA KUMAR SEN

INTRODUZIONE

Amartya Kumar Sen è un esempio di intellettuale che, con le sue teorizzazioni sul piano economico, filosofico e sociale, ha contribuito a diffondere a livello mondiale una vera e propria “rivoluzione culturale” definendo un innovativo concetto di “sviluppo” che è andato poi ad incidere sulle nuove politiche sociali e di Welfare in tutto il mondo. Sen parte dall’idea secondo la quale l’analisi economica, politica e sociale dovrebbe concentrarsi sulle concrete capacità degli individui (capability approach) di ottenere ciò che essi realmente desiderano per la propria vita.

Si tratta, più che di un vero e proprio impianto teorico sistematico, di una cornice interpretativa che si presta ai vari utilizzi, sia di tipo micro che macro: sul versante micro fornisce una prospettiva per valutare le condizioni di benessere individuale, risultando quindi utile per gli studi di welfare economics e per l’analisi dell’uguaglianza e della povertà (per esempio il filosofo politico che si vuol occupare del concetto di libertà individuale o di teoria della giustizia).

Sul versante macro tale prospettiva analitica presenta grandi potenzialità per un’analisi comparata degli assetti sociali, delle politiche e delle trasformazioni sociali (fornisce nuovi indicatori per i confronti comparati dello sviluppo che non vogliono tener conto solamente degli indicatori di tipo economici)2.

I suoi contributi a favore di un concetto di sviluppo che non tenga conto solo ed esclusivamente del profilo economico e che si concentri su temi come quello della libertà e dell’eguaglianza rispondono all’esigenza teorica della tesi che qui intendo presentare, ovvero di intervenire sulle attuali Politiche Sociali territoriali al fine di:

1. trovare soluzioni alternative agli interventi economici da parte di quei professionisti che si dedicano alla risoluzione di problematiche

2 Sen A. (1999) Development as Freedom, Oxford University Press, Oxford; trad. it., 2000, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano.

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economiche (assistenti sociali) in un momento in cui le risorse a disposizione sono scarse/assenti;

2. potenziare e sostenere progetti basati sulla solidarietà all’interno di una comunità e non sullo scambio di tipo economico;

3. modificare la mentalità generale di tipo consumistico a favore di principi di valore con l’obiettivo di superare la visione comune sempre più individualista.

Il capitolo verrà strutturato andando inizialmente a descrivere la storia del paese in cui è nato e cresciuto Sen (Bengala Occidentale) e dove è nata in lui l’attitudine allo studio, in quanto tendenzialmente ognuno di noi rappresenta il risultato del contesto storico, culturale, sociale ed economico in cui vive (profondamente influenzati dai valori e dalla storia che la cultura di appartenenza ci trasmette fin dalla nascita) e, inoltre, perché alcuni avvenimenti storico-sociali dell’India hanno rappresentato dei motivi di riflessione per l’autore.

In secondo luogo verrà analizzata la storia personale di Sen: le sue origini e la sua formazione. Un lungo percorso di studi e di ricerche che lo ha portato ad ottenere una ventina di lauree honoris causa, a presiedere a numerose associazioni scientifiche fra le più prestigiose e a rendere note le proprie pubblicazioni, che consistono in una dozzina di libri e circa 200 articoli pubblicati nelle maggiori riviste scientifiche.

Verranno, poi, argomentate alcune delle idee cardine dell’autore: concetto di sviluppo, di libertà e di eguaglianza.

Per concludere verrà sottolineata l’importanza a livello internazionale delle tesi portate avanti da Sen per le nuove politiche sociali.

1.1 STORIA DEL BENGALA OCCIDENTALE3

Amartya Kumar Sen nasce il 3 novembre del 1933 a Santiniketan, una piccola cittadina nel Bengala occidentale, in India, a circa 180 km da Calcutta.

Il Bengala Occidentale è uno Stato dell'India orientale che insieme al Bangladesh, con cui confina ad est, forma la regione etnico linguistica del Bengala.

3 Il contenuto di questo paragrafo è basato sull'articolo “West Bengal” dell'Enciclopedia britannica disponibile on-line (http://www.britannica.com/EBchecked/topic/640088/West-Bengal/46237/History)

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Le prime tracce di civilizzazione risalgono ad almeno quattromila anni fa, quando l’intera regione venne occupata dalle prime popolazioni.

Infatti pare che l’origine della parola “bengala” derivi da una delle prime tribù che vi si costituirono attorno all’anno 1000 a.C., la tribù chiamata “Bang”.

Il primo regno si formò nel VII secolo a.C. e fu il regno Magadha. Tra il III e il VI secolo d.C. il regno Magadha fu sede dell’impero Gupta e il primo re indipendente del Bengala fu Shashanka, che regnò fino al VII secolo.

Successivamente ad un periodo di anarchia, la dinastia buddista dei Pala governò le regione per quattrocento anni, dopo i quali il regno passò alla dinastia Sena, di religione Indù.

L’islam arrivò in Bengala nell’ XII secolo per opera dei missionari Sufi e si espanse in seguito alle conquiste musulmane in India.

Nei successivi cento anni la regione venne governata da dinastie di sultani e feudatari sotto il sultanato di Delhi.

I primi contatti con i mercanti europei avvennero alla fine del XV secolo. La loro influenza crebbe fino a quando la Compagnia delle Indie Orientali ottenne il diritto di tassazione nelle subah (provincie) bengalesi in seguito alla Battaglia di Palassey (1757), quando Siraj ud-Dulah, l'ultimo nababbo indipendente, venne sconfitto dai britannici. La Presidenza del Bengala venne costituita nel 1765 ed includeva tutti i territori britannici delle Province Centrali.

Calcutta, una città del Bengala tra le più densamente popolate, venne scelta come capitale dell'India Britannica nel 1772.

Il rinascimento bengalese e il movimento di riforma socio-culturale Brahmo Samaj ebbero un grande impatto sulla vita culturale ed economica del Bengala.

Il fallito tentativo di ribellione del 1857 iniziò a Calcutta e portò al trasferimento dell'autorità alla monarchia britannica, amministrata dal viceré dell'India.

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Tra il 1905 e il 1911 venne fatto un tentativo di dividere la provincia del Bengala in due zone, la cosiddetta partizione del Bengala. Il Bengala giocò un ruolo importante nel movimento d'indipendenza indiano, nel quale gruppi rivoluzionari come Anushilan Samiti e Jugantar erano dominanti. Attacchi armati contro il Raj britannico dal Bengala raggiunsero l'apice quando Subhash Chandra Bose guidò l'esercito nazionale indiano dall'Asia sudorientale contro i britannici.

Quando l'India ottenne l'indipendenza (1947), il Bengala venne diviso in base alla religione: la parte occidentale andò all'India e prese il nome di Bengala Occidentale, mentre la parte orientale andò al Pakistan con il nome prima di Bengala Orientale e poi di Pakistan Orientale, fino alla guerra che vide l'indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971.

Nel 1950 il Principato di Cooch Behar si unì al Bengala Occidentale dopo che il re Jagaddipendra Narayan firmò l'annessione all'India. Nel 1955 la città di Chandannagar, ex zona franca francese, passò sotto il controllo del Bengala Occidentale. Successivamente anche porzioni di Bihar vennero annesse al Bengala Occidentale. Negli anni cinquanta il governo decise di spostare le industrie dal Bengala ad altre parti del paese aumentando le imposte, come ad esempio quella sul trasporto delle merci; questa notevole pressione fiscale durò fino agli anni ottanta e, specie dal 1950 al 1969, fu la causa dello scarso sviluppo di industrie manifatturiere nel Bengala Occidentale. Tra gli anni settanta e gli anni ottanta una grave carenza di energia elettrica, scioperi e un violento movimento naxalita4 danneggiò gran parte delle infrastrutture, dando vita ad un periodo di stagnazione economica.

La guerra di liberazione del Bangladesh causò l'afflusso di milioni di rifugiati nel Bengala Occidentale che ne misero in crisi le infrastrutture.

La politica bengalese cambiò notevolmente quando la sinistra vinse le elezioni nel 1977 sconfiggendo il Congresso Nazionale Indiano. La sinistra, guidata dal Partito comunista indiano, governò lo Stato per i successivi trent'anni.

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La ripresa economica dello Stato iniziò dopo le riforme economiche indiane introdotte nella metà degli anni novanta dal governo centrale e l'elezione di un nuovo capo del governo riformista, Buddhadeb Bhattacharjee, nel 2000.

A partire dal 2007 alcuni gruppi di attivisti hanno organizzato piccoli attacchi terroristici in varie parti dello Stato, mentre gli scontri con l'amministrazione vertono sull'acquisizione dei terreni industriali in diversi luoghi sensibili.

Il 10 aprile 2011 è avvenuta l'elezione che si è conclusa con la vittoria del Trinamool Congress Party (TMC) guidato da Mamata Banerjee, una figura politica emersa negli ultimi anni per la dura lotta al partito comunista. Il TMC era alleato con il partito al potere in India, il Congress Party. La vittoria del movimento di Mamata Banerjee, Primo Ministro nel Bengala Occidentale e Ministro delle Ferrovie della federazione, sancì la fine del più longevo governo comunista democraticamente eletto della storia. Il TMC ha ottenuto più del 60% dei consensi durante i vari turni di votazione aggiudicandosi 186 seggi su 274 ma, grazie alle alleanze, negli anni successivi, fino al 2014, ne ha controllati 227.

1.2 SEN: ORIGINI E FORMAZIONE5

Proveniente da una dinastia di professori universitari, A. K. Sen frequenta, nell’età giovanile, la scuola nella sua città natia.

La scuola frequentata da Sen è stata fondata nel 1863 da Devendranāth Tagore, come rifugio per la meditazione aperto a chiunque (Ashram). Il figlio di Tagore, Rabindranath, nel 1901, decise di crearvi una scuola per resuscitarvi l’antico sistema di educazione indiana, basato sulla comunione fra maestro e discepoli, a contatto con la natura; infatti le lezioni si svolgevano all’aperto. Tagore Rabindranath la diresse fino alla sua morte (1941) e nel 1922 divenne un’università dedicata all’avvicinamento tra Oriente e Occidente6.

Tale scuola era una scuola ideale dove venivano insegnate le culture del mondo, dove l'enfasi era posta sullo stimolo alla curiosità, più che sulla competizione e l'eccellenza, e dove era fortemente scoraggiato l'interesse nei voti e per gli esami.

5

Il contenuto di questo paragrafo è basato, fra l’altro, sulle informazioni di www.guidaindia.com, un sito d’informazioni giornalistiche sull’India.

6 Sull’argomento vedi anche M. C. Nussbaum, Non per profitto. Perchè le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011.

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L'insegnamento era straordinariamente aperto alle influenze e agli apporti di tutto il mondo, pur senza tralasciare nulla dell'eredità culturale indiana, che anzi rappresentava il miglior esempio contro una visione separatista della cultura, con le sue ricche ed eterogenee tradizioni, in anni che videro il popolo indiano frammentarsi e scontrasi in comunità religiose e nazionaliste7.

Le carneficine che seguirono le spartizioni del territorio indiano nel 1947 segnarono profondamente Amartya K. Sen, che divenne conscio del pericolo nascosto nelle culture fortemente identitarie e delle conseguenze tragiche a cui portava l'estrema povertà della sua gente.

Infatti quando l'India venne divisa nel 1947, il Bengala venne spezzato in due lungo un confine religioso: la parte occidentale, induista, rimasta sotto il governo dell'India e la parte orientale, musulmana, congiunta al Pakistan come provincia chiamata Bengala orientale (poi ribattezzata Pakistan orientale), con una propria capitale a Dacca.

La divisione del Bengala diede origine ad uno degli esodi numericamente più importanti della storia. Milioni di indù migrarono dal Pakistan orientale, mentre migliaia di musulmani vi si trasferirono. L'immigrazione dei rifugiati fu la causa di una crisi abitativa e alimentare in Bengala Occidentale che durò per più di trent'anni.

L'emergenza dei rifugiati fu al centro delle politiche bengalesi successive alla divisione del 1947, ma né la destra né la sinistra sono mai riuscite a risolvere completamente i problemi causati dalla divisione, che in alcuni casi hanno dato vita a movimenti politici, socio-economici ed etnici.

A. K. Sen nel 1951 si inscrive al Presidency College di Calcutta e qui vi rimane sino al 1953.

In quegli anni il giovane Sen sente il richiamo alla solidarietà e all'impegno egualitario della sinistra, pur non appartenendo a nessun partito politico, in quanto la carestia che aveva segnato il Bengala nel 1943, uccidendo 2/3 della popolazione in maniera selettiva, colpendo solamente la popolazione più povera, lo aveva portato a riflettere su alcune questioni come quelle delle politiche sociali, delle ineguaglianze economiche e della povertà.

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In India quindi Sen termina la formazione accademica di primo livello e nel 1959 ottiene il Dottorato in Economia al Trinity College dell’Università di Cambridge.

Qui la discussione accademica si concentra soprattutto sui pro e i contro delle teorie economiche Keynesiane e Sen la sceglie appositamente perché vi coesistono economisti di opposte visioni politiche in perfetta tolleranza reciproca. Quasi subito (1956) inizia a lavorare come professore e ricercatore presso la nuova Università di Calcutta che lascia per poi tornare a Cambridge.

Nel 1963 è nuovamente in India per insegnare all' Università di Delhi, dove resterà fino al 1971. Sen prosegue la sua carriera insegnando alla London School of Economics e poi all'Università di Harvard (economia e filosofia).

Dal 1998 fino al 2003 torna al Trinity College di Cambridge, dove ricopre la carica di

Master, una delle più alte posizioni accademiche del Regno Unito.

Nello stesso anno (1998) gli viene conferito il premio Nobel per l'Economia, per i suoi studi nel campo dell’economia del benessere; ma il suo contributo è stato considerevole anche in altri settori, come la teoria dello sviluppo, i problemi della misurazione della dispersione nella distribuzione del reddito, la teoria delle scelte collettive e l’individuazione delle cause delle carestie.

Nella motivazione del premio si legge che il suo lavoro ha contribuito a restituire una dimensione etica all'economia e alle discipline collegate.

Centrale nel suo pensiero il concetto di capability, che attribuisce a ciascun uomo un valore fondamentale per l'intera umanità: una rivoluzione, per le concezioni dell'economia e del welfare, che apre nuove prospettive per l'approccio con la povertà e con l'emancipazione dei deboli e delle donne.

Nel 2004 torna ad insegnare nuovamente ad Harvard, dove è tuttora attivo nel ruolo di

Thomas W. Lamont University Professor, e Professor of Economics and Philosophy.

1.3 SEN E L’ECONOMIA DEL BENESSERE

È curioso riflettere su come il pensiero di un economista possa farci rivalutare le attuali politiche sociali, in quanto il modo in cui egli interpreta e definisce alcuni concetti (la

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libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale) può indurre ad alcune riflessioni sul piano teorico.

Sen propone un cambiamento prospettico del welfare nel quale capacità e

funzionamenti sono gli obiettivi delle politiche pubbliche, all'interno di un quadro in cui

valori centrali siano la libertà, l’uguaglianza, le pari opportunità e la dignità umana. Nelle proprie opere Sen sostiene che c’è un filo conduttore tra etica ed economia, affermando, cioè, che la stessa economia potrebbe essere più incisiva se prestasse maggiore attenzione alle considerazioni di natura etica che influenzano il comportamento e il giudizio sociale umani.

Nella teoria economica corrente svolge un ruolo primario il comportamento razionale dove per razionalità si intende coerenza interna delle scelte e massimizzazione dell’utilità: l’uomo economico agisce perseguendo il proprio interesse personale.

In economia, una scelta è considerata razionale se la soluzione prescelta implica un’utilizzazione ottimale delle risorse a disposizione.

Si dà per scontata la razionalità dell’agente economico: perché questa razionalità possa essere esercitata, occorre una percezione corretta e completa dell’insieme di opportunità di consumo su cui esercitare la scelta; se l’agente economico è il produttore, la scelta razionale riguarderà le possibilità offerte dalla tecnologia disponibile in un certo istante che deve essere perfettamente conosciuta.

Interessante è vedere come Sen abbia rivoluzionato il concetto di “benessere” e abbia proposto un framework al fine di poter cambiare il modo in cui viene considerato e valutato lo sviluppo.

Iniziamo, però, a definire che cosa intendiamo per economia del benessere da cui parte la rivisitazione di Sen: è quella branca dell’economia che studia le ragioni e le regole di fenomeni sociali per formulare soluzioni che portino all’ottimo sociale. E’ il filone della teoria economica che affronta gli aspetti normativi, ovvero ciò che riguarda il “cosa dovrebbe essere”, la formulazione di giudizi sulla desiderabilità di diverse linee d’azione.

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Si differenzia dall’economia positiva in quanto quest’ultima ha una funzione descrittiva rispetto al sistema economico ed elabora modelli per prevedere come l’economia cambierà o quali effetti produrranno politiche diverse; ci dice “che cos’è” un sistema economico e descrive il suo funzionamento.

L’economia normativa fa comunque uso dell’economia positiva: non è, infatti, possibile esprimere giudizi circa la desiderabilità di una politica se non si hanno chiare le sue conseguenze.

Una buona analisi di economia normativa cerca di rendere espliciti i valori o le finalità che essa incorpora, enunciando le sue asserzioni nella forma “se questi sono gli obiettivi …, allora questa è la migliore politica possibile”.

La questione normativa più importante per l’economia del benessere è costituita dalla scelta organizzativa di un sistema economico (cosa si dovrebbe produrre, come dovrebbe realizzarsi la produzione, per chi e chi dovrebbe prendere tali decisioni). Le risposte vengono fornite tramite i due teoremi dell’economia del benessere:

1°: se un’economia è perfettamente concorrenziale è anche Pareto-efficiente. L’efficienza paretiana è la condizione per cui non è possibile modificare una data allocazione delle risorse tra gli individui in modo tale da migliorare la situazione di qualcuno senza peggiorare quella di qualcun altro. 2°: esistono numerose allocazioni delle risorse che sono Pareto-efficienti. Ogni allocazione delle risorse Pareto-efficiente può essere ottenuta tramite il funzionamento di un mercato in concorrenza perfetta, data una certa ridistribuzione delle risorse iniziali.8

La rivisitazione proposta da Sen con il capability approach consiste nel porre attenzione, parlando di benessere individuale o collettivo, non tanto sulle variabili solitamente usate a tale scopo (reddito, consumo, etc.) quanto su ciò che Sen chiama “capability to function”9, vale a dire le effettive opportunità che gli individui hanno di essere e di fare ciò che realmente vogliono, intendendo la qualità della vita come libertà reale di vivere la vita cui si attribuisce valore.

8

Joseph E. Stiglitz (2003) Economia del Settore Pubblico- volume primo- Fondamenti teorici, Seconda edizione italiana a cura di Alessandro Balestrino e Giuseppe Pisauro, Editore Ulrico Hoepli Milano, pp. 19-21, 29-53.

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Il concetto di capability non ha una precisa data di nascita, ma rappresenta l’esito di un percorso di studi condotto da Sen, inizialmente intrapreso per contrastare alcuni assunti stringenti dell’economia neoclassica, di matrice teorica utilitaristica e sintetizzabili nel connubio tra welfarismo, consequenzialismo e ordinamento-somma. 10

Per welfarismo intendiamo l’attenzione esclusiva che la teoria neoclassica pone sulla valutazione dello stato di benessere, inteso come utilità individuale; per

consequenzialismo viene indicato il principio secondo il quale la bontà di un’azione è

valutata esclusivamente sulla base delle conseguenze che produce; mentre

l’ordinamento-somma rappresenta l’idea che il benessere generale (collettivo) è dato

semplicemente dalla somma del benessere di ogni individuo, senza porre attenzione al problema distributivo.

Attraverso una serie di studi sull’impossibilità di coniugare l’idea di libertà con il concetto di efficienza paretiana11, riflettendo sul concetto di eguaglianza12 e sull’analisi dei fondamenti della razionalità “oltre l’utilitarismo”13, Sen arriva a completare l’insieme di elementi necessario per costruire la cornice teorica del capability approach, che poi trova una definitiva formulazione come prospettiva analitica negli anni successivi14.

Grazie agli studi di Sen si viene infatti a delineare un nuovo concetto di sviluppo che si differenzia da quello di crescita.

Lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un miglioramento della qualità della vita. Ed è proprio l'attenzione posta sulla qualità, più che sulla quantità, a caratterizzare gli studi di questo economista.

10

Sen A., Williams B. (1982) Utilitarianism and beyond, Cambridge University Press; trad. it. 1984 “Utilitarismo e oltre”, Il Saggiatore, Milano.

11

Sen A. (1970) “The Impossibility of a Paretian Liberal”, in Journal of Political Economy, vol. 78, gennaio-febbraio.

12

Sen A. (1982) Choice, Welfare and Measurement, Basic Blackwell, Oxford; trad. it. 1986 “Scelta, benessere, equità”, Il Mulino, Bologna.

13

Sen A., Williams B. (1982) Utilitarianism and beyond, Cambridge University Press; trad. it. 1984 “Utilitarismo e oltre”, Il Saggiatore, Milano 11.

14

Sen A. (1985) Commodities and Capabilities, North-Holland, Amsterdam;

Sen, A. (1992) Inequality Reexamined, Oxford University Press, Oxford;trad.it. “La diseguaglianza. Un riesame critico”, 1994, Il Mulino, Bologna.

Sen A. (1993) “Capability and Well-Being”, in Sen A., Nussbaum M., a cura di, The quality of life, World Institute for Development Economics Research (WIDER), United Nations University, Clarendon Press, Oxford.

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Gli studi di Sen sui fenomeni della povertà e delle carestie rimangono un passaggio obbligato per chi si occupa di economia del benessere: Sen è stato, infatti, il primo a mostrare che non la scarsità di cibo, ma vincoli formali al suo accesso sono più spesso stati causa di morte per fame di migliaia di persone, nonché a suggerire l'inadeguatezza della variabile reddito quale unico indicatore del livello di sviluppo di un Paese o del grado di povertà della popolazione.

Le altre teorie pongono l’accento sulla massimizzazione del reddito, delle utilità, dei beni, mentre Sen considera questi ultimi essenziali, ma in un’ottica strumentale: la libertà di scelta è il parametro più adeguato per permettere alle persone di fare scelte di valore.

Sen, però, non è "solo" un economista, ma anche un filosofo politico di rilievo, che partecipa al dibattito filosofico angloamericano sulla società giusta con contributi non di rado illuminanti: partendo da un’analisi critica dell’economia del benessere Sen ha sviluppato un approccio nuovo alle teorie dell’eguaglianza e della libertà.

1.4 SEN E L’EGUAGLIANZA

In “La Diseguaglianza” (1994)15 Sen parte dalla premessa fondamentale che gli

individui sono del tutto diversi gli uni dagli altri, che vige un’assoluta “diversità umana” e che, quindi, la misurazione della diseguaglianza dipenda dalla variabile focale, cioè dai parametri assunti per definire la diseguaglianza stessa (reddito, ricchezza, felicità etc.).

Sen riconosce la complessità del soggetto e la multidimensionalità delle condizioni del vivere, infatti crede che ognuno di noi presenti caratteristiche proprie tali per cui donne e uomini avranno bisogno di input diversi sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo per raggiungere lo stesso livello di benessere; che ogni essere umano abbia una storia, memoria e identità diversa e distinta dagli altri individui e che la qualità di vita di ciascuno dipenderà quindi da dimensioni che attengono ad aspetti materiali, mentali, sociali, politici, culturali e che è a questa complessità che l’approccio della capacità fa riferimento.

15 Sen, A. (1992) Inequality Reexamined, Oxford University Press, Oxford;trad.it. “La diseguaglianza. Un riesame critico”, 1994, Il Mulino, Bologna.

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Successivamente, nel terzo capitolo dell’opera, Sen argomenta riguardo ai due temi cruciali del suo pensiero: i funzionamenti e le capacità.

Con l’espressione “funzionamenti” (functioning) Sen intende “stati di essere e di fare”: ciò che una persona fa e ciò che è (essere ben nutriti, avere rispetto di sé, etc.). Rappresentano i risultati acquisiti dall'individuo sul piano fisico ed intellettivo, come quello della salute, della nutrizione, della longevità, dell'istruzione e riflettono le varie cose che un individuo è in grado di essere e che ritiene degno di fare nella propria vita. Il funzionamento comprende due componenti: una dinamica, poiché richiama alle azioni che l’individuo compie e una statica, laddove il concetto rimanda all’idea di uno stato di esistenza o di essere.

Con l’espressione “capacità” (capabilities) Sen intende invece la libertà di scegliere fra una serie di vite possibili: se, per esempio, lo star bene indica un funzionamento, la libertà individuale di acquisire quel funzionamento rappresenta la capacità.

La capacità esprime una idoneità o abilità di carattere generale (poteri interni del soggetto), ma può essere intesa anche come potenzialità e opportunità, nel senso di condizioni esterne al soggetto favorevoli alla capacità di funzionare nel modo che l’individuo ritiene più consono.

La capacità rappresenta le varie combinazioni di funzionamenti (stati di essere o di fare) che la persona può acquisire e per questa ragione riflette la libertà dell’individuo di condurre un certo tipo di vita piuttosto che un altro.

La conclusione a cui Sen perviene è che il grado diseguaglianza di una determinata società storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di capabilities, per poter acquisire fondamentali funzionamenti, ossia un’adeguata qualità della vita o well-being generale (cioè non ristretto entro parametri strumentali o economici).

Sen non intende quindi ignorare aspetti quali il reddito, i beni o le utilità, ma la teoria delle capacità ritiene che la libertà di scelta rappresenti la condizione essenziale per permettere alle persone di fare scelte di valore.

I beni dovrebbero essere semplicemente considerati come gli strumenti per raggiungere determinate capacità.

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L’esempio concreto citato da Sen è quello dell’atto del digiunare.

Digiunare per scelta (per protesta per esempio) è ben diverso dal digiunare per la mancanza di beni di prima necessità.

La differenza sta nell’essere o meno nella condizione di poter scegliere.

Le istituzioni politiche e sociali dovrebbero permettere alle persone di scegliere e di sviluppare le capacità individuali, di garantire, cioè, quelle che Sen definisce le capacità primarie, intese come quelle capacità che permettono di soddisfare dei bisogni essenziali.

Sen, con la sua teoria dei funzionamenti, prevede la fornitura pubblica di alcuni beni essenziali come l’istruzione, la sicurezza, la sanità affinché l’aumento del tenore di vita e del potere d’acquisto assicurino l’aumento della libertà.

Sen collega il valore eguaglianza al valore libertà.

1.5 SEN E LA LIBERTA’

Nel suo testo pubblicato nel 1999 e intitolato (secondo la traduzione italiana) “Lo

sviluppo è libertà”16 Sen comincia sostenendo una teoria dello sviluppo umano considerato in termini di libertà (“development as freedom”): come processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani che richiede che siano eliminate le principali forme di illibertà (miseria, tirannia, intolleranza, autoritarismo, deprivazione sociale etc.).

Sen sostiene fortemente l'adozione di un concetto sostanziale di libertà, cioè una visione della libertà che tenga conto sia delle capacità intese come potenzialità proprie del soggetto, sia capacità intese come condizioni favorevoli esterne: come abilità concreta di fare qualcosa e di essere qualcuno.

Parla dunque di una libertà effettiva (di scegliersi, cioè, una vita a cui si dia valore), che rappresenta il criterio in base al quale valutare gli assetti politico-sociali e orientare le politiche pubbliche.

Le riflessioni sulla libertà e quelle sulle capacità vengono viste come le due facce delle stessa medaglia.

16 Sen A. (1999) Development as Freedom, Oxford University Press, Oxford; trad. it., 2000, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano.

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In Lo sviluppo è libertà Sen fornisce un’organizzazione sistematica di alcuni temi su cui indagava da almeno trent’anni.

Ripropone un concetto cruciale della tradizione filosofica dell’antica Grecia, quello della eudaimonìa, cioè di uno stato d’animo, tutto interiore e spirituale, che rende sereno chi lo prova. Un concetto che quindi si contrappone all’idea dell’economia del benessere, che guarda solamente al benessere materiale.

Sen infatti ribadisce più volte che i livelli di reddito della popolazione vanno tenuti presente nella misura in cui indicano la possibilità di acquistare beni e servizi e quindi di avere un certo tenore di vita, ma che non rappresentano un indicatore adeguato di alcuni aspetti fondamentali come la libertà di vivere a lungo o la possibilità di trovarsi un lavoro decente.

Ciò sta a significare che il PIL (il valore monetario totale dei beni e servizi prodotti in un Paese da parte di operatori economici residenti e non residenti nel corso di un periodo di tempo, generalmente un anno, e destinati al consumo dell'acquirente finale, agli investimenti privati e pubblici, alle esportazioni nette), considerato dalle società moderne come il valore numerico che indica lo stato di un paese e il benessere dei suoi abitanti, non ci direbbe niente rispetto alla qualità di vita delle persone, al loro

well-being, inteso come benessere personale e come il sentirsi meglio, per esempio, dopo

aver aiutato una persona.

Occorre valutare, secondo Sen, anche il grado di libertà delle persone, perché la mancanza di alcune libertà (politiche, civili, sociali) limitano fortemente la libertà prima di scelta e poi d’azione delle persone.

Il valore libertà viene riconosciuto come intrinseco allo sviluppo: è uno degli obiettivi da far raggiungere ad ognuno.

In questo caso potremmo distinguere due tipologie di libertà sostanziali: la “libertà da..” e la “libertà di..”.

Nella prima potremmo includere per esempio l’essere in grado di sfuggire ad alcune privazioni (fame, sete, malattia, morte prematura) e nella seconda l’essere in grado di fruire dei vantaggi del saper leggere e fare i conti, della partecipazione politica, della libertà di parola etc.

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Ma la libertà ha anche un valore strumentale rispetto allo sviluppo, in quanto viene vista come un mezzo: come per esempio la libertà di stampa, senza la quale né i cittadini né i governi sarebbero a conoscenza dei veri problemi del paese e quindi non potrebbero porvi rimedio adeguatamente; in questo caso si tratterebbe di un valore strumentalmente di “protezione”.

1.6 SEN E LE NUOVE POLITICHE SOCIALI

Le teorie seniane trovano un riconoscimento importante, soprattutto negli ultimi anni, nell’ambito della valutazione e dell’individuazione del benessere individuale e dell’assetto sociale e nell’individuazione di adeguate politiche sociali.

L’approccio è innovativo per il suo tentativo di proporre strumenti che possano cambiare il modo convenzionale in cui viene considerato e valutato lo sviluppo e il nuovo concetto di benessere rappresenta il fondamento teorico del paradigma dello sviluppo umano promosso dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite nei Rapporti di Sviluppo Umano che sono pubblicati con cadenza annuale, dove viene introdotto il concetto di “sviluppo umano” nella discussione sulle politiche economiche nel 1990.

Nell’ambito di tale programma, lo Sviluppo Umano viene presentato

contemporaneamente, come un nuovo criterio di interpretazione e di valutazione della condizione umana, che guarda al modo in cui vivono le persone e alle opportunità che esse hanno a disposizione, e come un traguardo del processo di Sviluppo complessivo.

La soluzione proposta è quella che i governi agiscano prima che insorgano determinati problemi che ostacolano lo sviluppo delle capacità umane fondamentali, intervenendo per impedire quelle situazioni che ostacolano la realizzazione piena degli individui. L’impostazione teorica di Sen ha cambiato e sta cambiando il modo di intendere il benessere e le condizioni di deprivazione, infatti le politiche nazionali e internazionali non limitano più l’attenzione agli aspetti economici, ma tengono conto di meccanismi sottostanti ai processi che conducono a vivere una vita buona.

Per esempio sul piano occupazionale le politiche europee stanno tenendo di conto dell’approccio delle capacità, in quanto rappresenta un cambiamento non solo teorico,

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ma anche sostanziale sia nell’individuazione dei problemi che nella ricerca delle soluzioni. L’idea è quella di incentivare le politiche attive del lavoro ovvero sostenere quegli interventi che vanno ad incidere direttamente sul mercato del lavoro creando nuova occupazione o intervenendo a scopo preventivo o curativo sulle possibili cause della disoccupazione; scoraggiando gli interventi di politiche passive del lavoro, ossia quelle misure che concernono le prestazioni monetarie a favore dei disoccupati (“ammortizzatori sociali”).

Inoltre la teoria dei funzionamenti rappresenta un tema importante per le politiche pubbliche, in quanto essa prevede per esempio la fornitura pubblica di alcuni beni essenziali come la sanità, l’istruzione e la sicurezza sociale.

Ciò garantirebbe, secondo Sen, la trasformazione da una semplice crescita dell’economia in un aumento generale di benessere della popolazione.

Da un lato l’iniziativa privata, incentivata e sostenuta, assicurerebbe l’aumento della ricchezza; dall’altro, la rete dei servizi pubblici garantirebbe che questo incremento possa convertirsi realmente in un aumento del tenore di vita e del potere d’acquisto per la popolazione.

Nel 2008 il Presidente francese Sarkozy, insoddisfatto dello stato attuale delle informazioni statistiche sull’economia, ha commissionato uno studio sulla ricerca di indicatori alternativi al PIL e ha istituito la Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale, presieduta dal premio Nobel per l’economia nel 2001 Joseph Stigliz (Columbia University), e con la collaborazione dello stesso Sen e dell’economista Jean Paul Fitoussi (Istitut d’Etudes Politiques de Paris), per identificare i limiti del Pil come indicatore della performance economica e del progresso sociale e valutare i problemi legati alla sua misurazione.

Il rapporto finale17 ha avuto il grande pregio di portare il tema delle misure di benessere alternative al Pil nell’agenda politica internazionale.

I risultati del lavoro (2009) hanno dimostrato che il Pil deve necessariamente essere correlato ad altre informazioni sulla ricchezza prodotta, ma anche che le misure

17 Vedi “Rapporto della Commissione Sarkozy sulla misura della performance dell’economia e del progresso sociale” (2011), disponibile on-line sul sito www.comitatoscientifico.org.

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macroeconomiche debbano essere affiancate a misure sulla qualità della vita e a misure di sostenibilità.

La Commissione, quindi, ha individuato una serie di dimensioni che dovrebbero essere considerate (condizione di vita materiale, salute, istruzione, attività personali incluso il lavoro, partecipazione alla vita politica, legami e relazioni sociali, ambiente, insicurezza economica e fisica) e ha voluto dare al benessere una definizione multidimensionale, prevedendo una serie di raccomandazioni di base:

1° raccomandazione: nel valutare il benessere materiale, si guardi al reddito e ai

consumi piuttosto che alla produzione. È possibile infatti che la produzione si espanda

mentre diminuisce il reddito o viceversa.

2° raccomandazione: enfatizzare il punto di vista delle famiglie, in quanto i dati OCSE hanno dimostrato che i redditi familiari, per esempio, sono cresciuti meno rispetto ai redditi pro-capite.

3° raccomandazione: si considerino il reddito e i consumi insieme al patrimonio, perché se una famiglia investe la propria ricchezza nell’acquisto di beni di consumo incrementa il suo benessere oggi a scapito del suo futuro.

4° raccomandazione: dedicare maggiore attenzione alla distribuzione del reddito, del

consumo e della ricchezza, perché l’aumento del reddito medio potrebbe non verificarsi

in maniera uniforme tra i gruppi

5° raccomandazione: estendere le misure del reddito alle attività non di mercato e quindi al lavoro non pagato. Molti dei servizi che le famiglie producono per se stesse non sono considerate misure ufficiali del reddito e della produzione.

6° raccomandazione: la qualità della vita delle persone dipende dalle condizioni

obiettive e dalle capability infatti è necessario tener di conto sia della dimensione

oggettiva che di quella soggettiva.

7° raccomandazione: gli indicatori pluridimensionali della qualità della vita

dovrebbero valutare le diseguaglianze in modo complessivo in tutte le dimensioni

componenti (genere, età, gruppi socio-economici), tenendo in particolare considerazione le disuguaglianze che sono sorte più di recente, come quelle legate all’immigrazione.

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8° raccomandazione: le indagini statistiche dovrebbero essere progettate per valutare i

legami tra i vari ambiti della qualità della vita per ogni persona e questa informazione

dovrebbe essere utilizzata in sede di pianificazione delle politiche nei vari campi.

9° raccomandazione: gli uffici di statistica dovrebbero fornire le informazioni utili per

l’aggregazione dei dati relativi ai diversi aspetti della qualità della vita, permettendo la

costruzione di indici diversi sebbene ci siano richieste per la formulazione di un unico indice sintetico.

10° raccomandazione: misure del benessere oggettivo e soggettivo forniscono

informazioni chiave sulla qualità di vita delle persone. Gli uffici di statistica dovrebbero

includere nei questionari domande finalizzate ad acquisire le valutazioni della vita delle persone, le sensazioni e le proprietà emotive (felicità, soddisfazioni, sensazioni positive e negative).

11° raccomandazione: la valutazione della sostenibilità richiede un sistema ben

identificato di indicatori.

12° raccomandazione: gli aspetti ambientali della sostenibilità meritano un follow-up

separato sulla base di un ben scelto insieme di indicatori fisici: in particolare vi è la

necessità di un indicatore della nostra vicinanza ai livelli pericolosi di danno ambientali (cambiamento climatico, per esempio).

CONCLUSIONI

Le questioni teoriche sopradescritte possono rappresentare un valido spunto di riflessione per tutti gli operatori che quotidianamente si occupano del “sociale”, sia a livello teorico (sociologi, statistici, economisti etc.) che a livello pratico (assistenti sociali, funzionari pubblici, volontari).

In particolar modo è doveroso tener presente tali premesse come suggerimento per orientare le nuove politiche sociali in un periodo storico nazionale, come quello attuale, dove la scarsità di risorse economiche e le trasformazioni demografiche (invecchiamento della popolazione, immigrazione, nuovi modelli familiari..) ed occupazionali (lavoro precario, aumento dei disoccupati, cassa-integrati..) stanno

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facendo nascere nuovi bisogni ed è quindi opportuno mettere in atto nuove strategie di intervento flessibili al cambiamento.

Nei capitoli successivi vedremo come siamo arrivati alle attuali politiche sociali nazionali e ci soffermeremo su un loro aspetto caratteristico per la sua attualità e problematicità: le politiche abitative.

PARTE SECONDA: LE POLITICHE SOCIALI

2.

IL WELFARE STATE

INTRODUZIONE

Nel primo capitolo abbiamo visto come le teorizzazioni di A. K. Sen siano un valido stimolo di riflessione per le attuali politiche sociali a livello mondiale e come l’approccio delle capacità trovi applicazione, annualmente dal 1990, negli Human Development Reports del “Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite”, incentrati sui

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costrutti delle capacità e funzionamenti come parametri di misurazione dello sviluppo e della povertà umana.

Con il seguente capitolo intendo definire in linea di massima che cosa s’intende con il termine “Politiche Sociali”, qual è la sua fonte nazionale di finanziamento e qual è stata l’evoluzione storica dei sistemi di welfare europei, per poi focalizzare l’attenzione sul contesto italiano e su come l’approccio delle capacità abbia notevolmente influito sulle politiche sociali nazionali negli ultimi dieci anni.

2.1 LE POLITICHE SOCIALI 18: DEFINIZIONE

Con il termine politiche sociali intendiamo tutte quelle politiche pubbliche (azioni politiche attuate dai diversi sistemi per rispondere a problemi a rilevanza collettiva) che cambiano a seconda dei periodi storici o dei paesi.

A causa dell’elevata influenza di agenti esterni il concetto di Politica Sociale non può avere un unico significato perché è soggetto a mutamenti storici, culturali e temporali. Inoltre non esiste un solo settore di Politica Sociale, per questo si parla di Politiche

Sociali.

Le Politiche Sociali rappresentano quella parte di politiche pubbliche che, con l’obiettivo di risolvere problemi e raggiungere obiettivi di carattere sociale, hanno a che fare con il benessere dei cittadini, ovvero con le condizioni di vita degli individui, le risorse e le opportunità a loro disposizione nelle varie fasi della loro esistenza (fasi del ciclo di vita).

I problemi e gli obiettivi di politica sociale interessano:

- Le norme e le regole relative alla distribuzione di particolari risorse e opportunità ritenute rilevanti per le condizioni di vita e per questo meritevoli di essere garantite dallo Stato.

- La cittadinanza sociale che si declina in diritti civili (XIII secolo), politici (XIX secolo) e sociali (XX secolo).

18 Gran parte del contenuto di questo capitolo è tratto dal testo di Ferrera M., Le Politiche Sociali,2012, Il Mulino, cap.1.

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Per cittadinanza sociale facciamo riferimento alla nozione classica sviluppata dal sociologo inglese T.H. Marshall nel 1950: “La cittadinanza è lo status conferito a coloro che sono pieni membri di una comunità. Tutti coloro che posseggono questo status sono uguali in rapporto ai diritti e doveri dei quali lo status è dotato”.19

I principi a cui fa riferimento il concetto di cittadinanza si fondano in primo luogo sulla nozione di diritti/doveri e sul principio di uguaglianza, ma anche sul concetto di cittadinanza come appartenenza ad una comunità, ad una società, ad un territorio, ad uno Stato.

In questo senso è possibile individuare due prospettive della cittadinanza: la cittadinanza come status, che identifica la prospettiva marshalliana e del liberalismo classico, dove l’attenzione è rivolta in primo luogo ai diritti formali e alle condizioni socio-economiche per l’esercizio di questi diritti da parte del singolo cittadino; la cittadinanza come pratica, legata al repubblicanesimo, caratterizzata da un’enfasi rispetto ad una dimensione attiva della cittadinanza, intesa come partecipazione alla vita e al governo della società.

Nella caratterizzazione delle politiche sociali si possono evidenziare altri due temi rilevanti, oltre a quelli di benessere e di cittadinanza: il bisogno e il rischio.

Il bisogno indica la carenza o la mancanza di qualcosa necessario per la realizzazione del benessere. Un bisogno sanitario, per esempio, nasce da un deficit di salute, che crea l’esigenza di un’assistenza (per rispondere alla carenza e realizzare il benessere).

Il rischio, invece, indica l’esposizione a determinati eventi che possono accadere (es. la malattia) che quando si realizzano minano il benessere generando un bisogno.

A partire da questi concetti (benessere, cittadinanza, rischio e bisogno) è possibile definire la struttura e il concetto di Welfare State.

Rispetto alla nozione di Welfare State si tende oggi a privilegiare la nozione di sistemi

di welfare (o regimi di welfare) con la quale si intende il sistema complessivo di

19 Marshall T.H., (1950), Citizenship and social class, ora in T. H. Marshall e T. Bottomore, Citizenship and Social Class, op. cit, p.84.

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promozione e difesa del benessere individuale risultante dall’azione congiunta e interdipendente dello Stato (redistribuzione), del mercato (scambio) e della famiglia (reciprocità).

La definizione che Ferrera nel 1993 da del Welfare State è la seguente: “il Welfare State

è un insieme di interventi pubblici connessi al processo di modernizzazione, i quali forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale, introducendo specifici diritti sociali e specifici doveri di contribuzione finanziaria.”

La nascita della definizione di Welfare State, infatti, va ricollocata sullo sfondo di un processo di trasformazioni economiche, sociali e politico-istituzionali che le scienze sociali definiscono come “processo di modernizzazione”.

Questo processo ha interessato, con tempi e modalità differenti, le società occidentali a partire dal XIX secolo, trasformando la loro struttura produttiva e occupazionale (industrializzazione), i loro modelli di organizzazione sociale (urbanizzazione,

trasformazione delle famiglie, miglioramento del tenore di vita e alfabetizzazione di massa) e i loro sistemi politici e amministrativi.

Il Welfare State nasce come risposta alla nuova configurazione di rischi e bisogni originati dal processo di modernizzazione.

Attraverso le politiche di Welfare State lo stato fornisce dunque protezione contro rischi e bisogni attraverso tre modalità che sono l’Assistenza, l’Assicurazione e la Sicurezza

Sociale, che si distinguono per la differente azione sociale rispetto all’accesso alla

protezione pubblica, alla natura delle prestazioni e alle differenti forme e fonti di finanziamento.

L’Assistenza (pubblica o sociale) è un intervento pubblico a carattere condizionale e

discrezionale, volto, cioè, a rispondere in modo mirato a specifici bisogni individuali e a

categorie circoscritte di bisognosi.

È selettiva e residuale (Poor laws, XVII sec.).

Ciò che caratterizza l’assistenza come modalità di protezione sociale è il fatto che le sue prestazioni sono subordinate all’accertamento, da parte pubblica, di due condizioni: un bisogno manifesto e l’assenza di risorse per farvi fronte.

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L’Assicurazione Sociale è un intervento pubblico che mira all’erogazioni di prestazioni

standardizzate in maniera automatica e imparziale, in base a precisi diritti/doveri

contributivi e secondo modalità specializzate e standardizzate.

L’assicurazione sociale è prevalentemente associata all’idea di una diretta ed esplicita partecipazione contributiva a qualche schema obbligatorio.

Rappresenta un nucleo centrale del moderno Welfare State.

La Sicurezza sociale è un sistema di protezione esteso a tutti i cittadini volto a favorire

prestazioni uniformi, corrispondenti ad un minimo nazionale e capaci di garantire una

vita degna, non connessa ai doveri di contribuzione e incentrata sul concetto di cittadinanza. Rappresenta, quindi, una copertura universale (estesa a tutti i cittadini) e prestazioni uguali per tutti, senza un legame tra contribuzione e fruizione di benefici.

ASSISTENZA ASSICURAZIONE SICUREZZA

COPERTURA Universale ma

selettiva

Occupazionale Universale

CONDIZIONI D’ACCESSO

Stato di bisogno Storia contributiva Cittadinanza/

residenza

PRESTAZIONI Connesso al

bisogno

Contributive/retributive Omogenee

FINANZIAMENTO Fiscale Contributivo Fiscale

Le principali politiche sociali si distinguono in:

- Politiche pensionistiche, che interessano principalmente la vecchiaia - Politiche sanitarie, che interessano il rischio di malattie

- Politiche del lavoro, che interessano il rischio di disoccupazione

- Politiche di assistenza sociale, che interessano vari ambiti del vivere sociale e varie figure

- Politiche per la casa, che interessano il rischio di vagabondaggio.

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Il Fondo Nazionale per le politiche sociali, istituito con la Legge 449/199720, è la fonte nazionale di finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come successivamente incorporato dalla Legge Quadro di riforma del settore (Legge 328/200021).

Il Fondo Sociale, in particolare, va a finanziare un sistema articolato di Piani Sociali Regionali e Piani Sociali di Zona che descrivono, per ciascun territorio, una rete integrata di servizi alla persona rivolti all’inclusione di soggetti in difficoltà o, comunque, all’innalzamento della qualità della vita.

Questa modalità d’intervento ridisegna un nuovo sistema di welfare che intende partire da una visione d’insieme delle problematiche, per operare sugli specifici settori, sempre tenendo conto delle interdipendenze tra i fenomeni sociali e tra le politiche pubbliche.

Tra le risorse del Fondo Nazionale una parte delle quote è riservata, come previsto dalla 285/199722, per la realizzazione di progetti destinati ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Le risorse contenute nel FNPS finanziano due aree d’intervento:

• Da una parte interventi economici alle persone e alle famiglie che vengono gestiti attraverso l’INPS

• Dall’altra contribuiscono a finanziare la rete integrata di servizi sociali territoriali: questa parte viene ripartita tra le Regioni, che a loro volta e in base alle proprie normative e programmazioni sociali, attribuiscono le risorse ai comuni (“finanziamento a cascata”). Sono questi ultimi gli enti responsabili dell’erogazione dei servizi ai cittadini, organizzati e programmati all’interno dei Piani Sociali di Zona, dentro i quali più comuni possono associarsi per una gestione integrata dei propri servizi.

20 Per maggiori approfondimenti vedi Legge 27 dicembre 1997, n. 449: “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”.

21

Vedi Art.20, comma 8, Legge 8 novembre 2000, n.328: “ Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

22 Per ulteriori approfondimenti vedi Legge 21 agosto 1997, n. 285: “ Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”.

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A fronte del proprio ruolo di capofila della filiera dei finanziamenti, il Ministero si occupa di monitorare sia l’andamento della spesa per i trasferimenti monetari, sia della spesa territoriale dei servizi.

La gestione delle risorse nazionali per le politiche sociali risponde agli obiettivi generali fissati dalla citata Legge 328/2000 e alla definizione e all’aggiornamento di un complesso sistema di analisi dei bisogni sui quali il Ministero è impegnato attraverso la definizione di metodologie per l’analisi della domanda sociale finalizzata ad una più ampia conoscenza dei fabbisogni sul territorio, l’analisi del fenomeno della povertà in Italia, l’analisi dell’impatto del federalismo sulle politiche sociali.

2.3 L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI WELFARE STATE EUROPEO

Il Welfare State europeo ha subito una traiettoria evolutiva suddivisa in cinque fasi:

1) INSTAURAZIONE (1880-1920): il primo modello di welfare state è

rintracciabile nelle misure di assistenza ai poveri, al tempo socialmente emarginati, sviluppatosi in diversi Paesi europei (primo fra tutti l’Inghilterra) a partire dal 1600 che interessavano situazioni di indigenza, mendicità etc.

La chiave di svolta è costituita dall’introduzione, in quasi tutti i Paesi europei, dell’assicurazione obbligatoria, alla fine del 19° secolo, che comportò interventi uguali per tutte le persone facenti parte di una certa categoria.

Le manifestazioni operaie e la nascita dei primi partiti socialisti furono decisivi per l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro i vari rischi sociali a cui gli operai erano esposti.

Mentre le misure d’aiuto ai poveri si basavano su interventi occasionali, residuali e discrezionali e su base prevalentemente locale, l’assicurazione obbligatoria offriva prestazioni standardizzate fondate su precisi diritti individuali e su base prevalentemente nazionale.

Delegando l’amministrazione degli schemi assicurativi ad organi bipartiti o tripartiti (datori di lavoro e lavoratori, con o senza lo stato), l’assicurazione obbligatoria inaugurò la prima forma di collaborazione tra le due forze antagoniste dello sviluppo capitalistico.

Il primo schema assicurativo era contro gli infortuni, poi si arrivò alla vecchiaia e all’invalidità.

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Germania (1883 malattia, 1884 infortuni sul lavoro, 1889 vecchiaia ed invalidità) Danimarca (1891 pensioni)

Austria (1887 infortuni sul lavoro, 1888 malattia) Norvegia (1894 infortuni sul lavoro)

Finlandia (1885 infortuni sul lavoro) Italia (1898 infortuni sul lavoro) Francia (1898 infortuni sul lavoro)

L’assicurazione riguardò inizialmente gli infortuni sul lavoro perché alla fine del 1800 erano aumentati molto gli infortuni a causa del forte sviluppo dell’industria, ma anche perché era lo schema meno osteggiato dai socialisti che, inizialmente, non erano sempre favorevoli all’intervento dello Stato.

Successivamente l’assicurazione obbligatoria riguardò anche i rischi contro la vecchiaia, la malattia e l’invalidità e solo in un terzo momento venne introdotta l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, che segnò la rottura completa con la tradizione liberale conservatrice che considerava la disoccupazione come il risultato di un’incapacità individuale e non come un rischio sociale, legato a processi sociali e di mercato.

Si possono quindi distinguere due tipi di fattori che hanno determinato la nascita delle varie assicurazioni sopra descritte.

I primi sono detti “fattori cornice”, costituiti da problemi funzionali, quali garantire la riproduzione e l’integrazione sociale delle masse lavoratrici, il rapido sviluppo industriale, con la conseguente disponibilità crescente di risorse economiche e, infine, la razionalizzazione degli apparati statali, che mise a disposizione le necessarie risorse amministrative.

I secondi sono detti “fattori specifici”, che sono quelli di carattere politico-istituzionale: fattori che considerano le modalità attraverso i quali i movimenti operai determinarono l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria.

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Nei regimi monarchico-autoritari, in cui il potere del Parlamento non è prevalente rispetto a quello del Re, l’assicurazione obbligatoria fu concessa dall’alto con finalità di controllo sociale e di auto-legittimazione.

Gli strumenti assicurativi furono introdotti in epoca relativamente precoce e a livelli di modernizzazione piuttosto arretrati, generalmente prima della democratizzazione del suffragio. Questa situazione si verificò nella Germania di Bismark, in Austria, in Finlandia, in Svezia e, in parte, in Italia.

Nei regimi parlamentari, in cui il potere del Parlamento è prevalente nei confronti di quello del Re, l’assicurazione obbligatoria dovette aspettare che il partito operaio la includesse nel proprio programma politico e raggiungesse un peso parlamentare sufficiente per imporne l’introduzione.

Gli schemi assicurativi furono introdotti dopo la democratizzazione del suffragio. Questa situazione si verificò in Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda.

2) CONSOLIDAMENTO (1920-1945): nel periodo tra le due guerre in molti paesi

i rischi assicurativi vengono estesi e consolidati, per includere nuovi segmenti della popolazione oltre ai lavoratori dipendenti.

Assume inoltre crescente importanza il ruolo della famiglia e il tema delle responsabilità e delle dipendenze familiari.

In questa fase nascono gli assegni familiari, una forma di assicurazione la cui titolarità spettava al capo-famiglia lavoratore, ma le cui prestazioni erano definite in base ai familiari a carico.

L’introduzione avvenne in Belgio nel 1930, in Francia 1932, in Olanda nel 1933, in Italia nel 1936-37, in Finlandia nel 1943.

In molti paesi l’Assicurazione contro le malattie venne estesa ai componenti familiari (il Paese pioniere fu la Norvegia nel 1906) e quella pensionistica venne estesa ai superstiti (in Germania a partire dal 1911).

In questa fase di consolidamento del Welfare State si evidenzia il passaggio dalla nozione più ristretta di “assicurazione dei lavoratori” a quella più ampia di “assicurazione sociale”, che riconosce una definizione più estesa dei rischi e dei possibili beneficiari della protezione.

Si fa strada, insieme all’idea di risarcimento in base ai contributi versati, anche l’idea di una protezione minima in base ai bisogni, indipendentemente dalla contribuzione.

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