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Contestualizzazione del libro XXII

Nel documento La figura di Andromaca nell'Iliade (pagine 72-76)

3. ANDROMACA NEL LIBRO XXII

3.1. Intenti

3.1.1. Contestualizzazione del libro XXII

Alle vicende del VI libro seguono gli scontri tra i due eserciti e le vittorie riportate dai Troiani. Ettore infuria in battaglia e riporta numerosi successi, nonostante la sua morte imminente venga costantemente adombrata213. La superiorià dell’esercito Troiano induce Agamennone a persuadere Achille perchè ritorni al combattimento (libro IX), ma il Pelide è irremovibile e nel giorno successivo di battaglia (il terzo, che occuperà i libri XI-XVIII) le sconfitte degli Achei si susseguono e le forze dei guerrieri vengono dimezzate per le ferite inflitte ad Agamennone, Diomede e Odisseo. Proprio in questa situazione di pericolo, Nestore invita Patroclo a chiedere ad Achille il permesso di indossare la sua armatura e di combattere in sua vece. Grazie all’inganno di Era ai danni di Zeus, gli Achei riescono a ribaltare le sorti ed Ettore

213 Tra i vari accenni, si può citare Il. VIII. 473ss; XI. 208-9; XV. 68. Si veda Redfield 1975, 136-59.

rimane ferito. Malgrado questo episodio, l’eroe Troiano raggiunge l’apice della sua gloria nel libro XVI, ma Omero ricorda ancora una volta che il suo destino è segnato (Il. XV. 612-14). I libri XVI- XVII mettono in scena l’ἀριστεία di Patroclo e la sua morte successiva, dovuta al colpo infertogli prima da Apollo, poi da Euforbo ed infine da Ettore. La morte dell’amico è straziante per Achille, che, spinto da desiderio di vendetta, ritorna in battaglia. A questo punto Polidamante consiglia ad Ettore di rientrare a Troia ma l’eroe non accoglie il suggerimento prudente dell’amico, ma, in punto di morte, rimpiangerà tale scelta (Il. XVIII. 270-2)214.

[…] ἀσπασίως γὰρ ἀφίξεται Ἴλιον ἱρὴν

ὅς κε φύγῃ, πολλοὺς δὲ κύνε ς καὶ γῦπες ἔδονται Τρώων· αἲ γὰρ δή μοι ἀπ᾽ οὔατος ὧδε γένοιτο.

Achille, dunque, furibondo e vendicativo, semina morte e terrore tra i Troiani, per poi infliggere il colpo fatale ad Ettore, descritto con dovizia di enfasi.

Poco prima del duello, Ettore realizza l’impari forza che lo pone in svantaggio rispetto al semidio, e durante il soliloquio dei vv. 98ss del libro XXII l’eroe riconosce di aver commesso un errore nel non aver dato ascolto al saggio consiglio di Polidamante215,

vv. 100-105: Πουλυδάμας μοι πρῶτος ἐλεγχείην ἀναθήσει, ὅς μ᾽ ἐκέλευε Τρωσὶ ποτὶ πτόλιν ἡγήσασθαι νύχθ᾽ ὕπο τήνδ᾽ ὀλοὴν, ὅτε τ᾽ ὤρετο δῖος Ἀχιλλεύς. ἀλλ᾽ ἐγὼ οὐ πιθόμην· ἦ τ᾽ ἂν πολὺ κέρδιον ἦεν. νῦν δ’ ἐπεὶ ὤλεσα λαὸν ἀτασθαλίῃσιν ἐμῇσιν, αἰδέομαι Τρῶας καὶ Τρῳάδας ἑλκεσιπέπλους, 105 μή ποτέ τις εἴπῃσι κακώτερος ἄλλος ἐμεῖο·

214 Questo passo è molto importante perché mostra l’eccessiva sicurezza di Ettore che comporterà la sua morte, come Andromaca riconoscerà ai vv. 458-9.

Il v. 105 rientra tra quei versi che esemplificano il collegamento tra il libro VI e il XXII. Ettore, infatti, aveva dato voce al suo senso di vergogna di fronte ai Troiani e alle Troiane al v. 442 del libro VI216, e lo stesso verso è pronunciato a ridosso della sua

morte: αἰδέομαι Τρῶας καὶ Τρῳάδας ἑλκεσιπέπλους. L’eroe, quindi, prima di morire, ribadisce il suo codice morale, il timore della critica del popolo Troiano che l’aveva trattenuto dal prestare ascolto alla moglie ma ha anche l’acume di riflettere retrospettivamente sulla sua sventatezza, ἀτασθαλίη, altro concetto cardine del libro XXII217. L’eroe ipotizza allora una tregua col nemico, a cui prometterebbe Ἑλένην καὶ

κτήμαθ᾽ ἅμ᾽ αὐτῇ (v. 114). Ma anche qualora lo supplicasse, il Pelide non avrebbe mai compassione di lui, ma lo ucciderebbe γυμνὸν218ἐόντα/αὔτως ὥς τε γυναῖκα (vv.

124-125). Ettore, infatti, aggiunge:

οὐ μέν πως νῦν ἔστιν ἀπὸ δρυὸς οὐδ᾽ ἀπὸ πέτρης τῷ ὀαριζέμεναι, ἅ τε παρθένος ἠΐθεός τε

παρθένος ἠΐθεός τ᾽ ὀαρίζετον ἀλλήλοιιν (vv. 126-128).

Non è possibile conversare con lui, letteralmente “né dalla quercia né dalla pietra”, come conversano tra loro un ragazzo ed una ragazza. Il modulo è proverbiale ed allude ad un conversare ‘partendo dalle origini’, ‘fare discorsi lunghi’219. Si ricorderà

che il verbo ὀαρίζω era stato proprio quello impiegato da Omero alla conclusione dell’incontro dei due sposi nel VI libro. Nel momento che precede lo scontro letale, Ettore utilizza proprio quel verbo che rimanda da vicino alla sua ultima conversazione con l’amata ed evoca momenti pacifici in un momento atroce. Questi due passi sono gli unici che attestano l’utilizzo di ὀαρίζω nei poemi omerici220. Il verbo è connesso

con ὄαρ, moglie, e l’etimologia presuppone una conversazione con la moglie, o comunque “il s’agit de tendre conversation entre homme et femme”221. Ma Ettore

rifiuta l’immagine di questo mondo accogliente ed amoroso, calcando quel contrasto

216 Vd. § 2.7.1.

217 Vd. § 3.3.1.

218 Si vedrà come anche questo termine avrà risonanza nelle parole di Andromaca. Vd. infra p. 110.

219 Cerri-Gostoli 20117, 1145.

220 Ma cfr. Van Nortwick 2001, 222 per alcune considerazioni sulle occorrenze di termini collegati al verbo.

dominante tra maschile e femminile, estremizzato dal paragone con la donna impiegato proprio per raffigurare la degradazione dell’identità maschile (“nudo come una donna”).

3.1.2. Reazioni dei famigliari di Ettore

Il primo a vedere Achille παμφαίνονθ᾽ ὥς τ᾽ ἀστέρ᾽ ἐπεσσύμενον πεδίοιο, v. 26, è Priamo:

ᾤμωξεν δ᾽ ὃ γέρων, κεφαλὴν δ᾽ ὅ γε κόψατο χερσὶν ὑψόσ᾽ ἀνασχόμενος, μέγα δ᾽ οἰμώξας ἐγεγώνει λισσόμενος φίλον υἱόν (vv. 33-35).

L’anziano si dispera e prega il figlio perché non affronti ἀνέρα τοῦτον/οἶος ἄνευθ᾽ ἄλλων (vv. 38-39). Il padre di Ettore anticipa quanto dirà Andromaca proprio nel momento che precede la vista del corpo del marito trascinato dai cavalli222 ed allo

stesso tempo riprende la supplica della moglie all’amato di restare presso le mura (μίμν᾽ ἐπὶ πύργῳ, v. 431). Un’altra eco del libro VI si trova anche nei vv. 59-60: πρὸς δ᾽ ἐμὲ τὸν δύστηνον ἔτι φρονέοντ᾽ ἐλέησον

δύσμορον.

Priamo scongiura Ettore di avere pietà di lui, sentimento che aveva costituito il tema portante delle parole di Andromaca durante l’addio223. Tuttavia la commovente

preghiera di Priamo οὐδ᾽ Ἕκτορι θυμὸν ἔπειθε, v. 78, e nemmeno lo farà quella di Ecuba, che sulla scia del marito versa lacrime, mostra il petto al figlio e lo supplica di avere rispetto per il seno e pietà per lei (vv. 82-3):

‘Ἕκτορ τέκνον ἐμὸν τάδε τ᾽ αἴδεο καί μ᾽ ἐλέησον αὐτήν

222 Andromaca rifletterà sull’indole di Ettore che lo portava a correre molto avanti (πολὺ προθέεσκε, v. 459. Vd. § 3.3.1.

223 Il tema della pietà è talmente pervasivo nelle parole di Andromaca che Burkert 1955, 86- 90 ha giustamente individuato nell’ἔλεος la cifra del discorso di Andromaca e nella αἰδώς,

Entrambi i genitori, quindi, non riescono a smuovere l’animo di Ettore, e se l’accorata richiesta si chiude con il fallimento del loro tentativo (οὐδ᾽ Ἕκτορι θυμὸν ἔπειθον, v. 91), dopo che il corpo del figlio è stato oltraggiato da Achille, la scena si riapre con il loro lamento, a cui fa seguito, alla vista dello scempio, quello di tutta la città (vv. 405- 409). […] ἣ δέ νυ μήτηρ τίλλε κόμην, ἀπὸ δὲ λιπαρὴν ἔρριψε καλύπτρην τηλόσε, κώκυσεν δὲ μάλα μέγα παῖδ᾽ ἐσιδοῦσα· ᾤμωξεν δ᾽ ἐλεεινὰ πατὴρ φίλος, ἀμφὶ δὲ λαοὶ κωκυτῷ τ᾽ εἴχοντο καὶ οἰμωγῇ κατὰ ἄστυ.

Lo schema che si delinea prevede i lamenti di Priamo e di Ecuba, intervallati dalla nota sulla coralità cittadina del pianto. Nel dettaglio: la madre, prima descritta mentre si strappa i capelli e getta via il bel velo, si dispera gemendo; segue la reazione del padre, la descrizione dei suoi movimenti (vv. 412-415) e del suo lamento (vv. 416- 428), a cui fa coda la costernazione dei cittadini (ἐπὶ δὲ στενάχοντο πολῖται, v. 429), che rappresenta il sottofondo al pianto di Ecuba: Τρῳῇσιν δ᾽ Ἑκάβη ἁδινοῦ ἐξῆρχε γόοιο, v. 430.

All’afflizione di Ecuba, però, non segue quella di Andromaca, benchè sia introdotta sulla scena: la donna, quindi, compare “as a climactic third”224 dopo Ecuba e Priamo,

ma Omero interrompe la ripetitività dei γόοι precedenti, frustrando le aspettative dell’uditorio e riservando un’intera scena alla sua ἀναγνώρισις ed alla conseguente disperazione (vv. 437-515).

Nel documento La figura di Andromaca nell'Iliade (pagine 72-76)

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