• Non ci sono risultati.

Puntualizzazioni sulla formula

Nel documento La figura di Andromaca nell'Iliade (pagine 76-109)

3. ANDROMACA NEL LIBRO XXII

3.1. Intenti

3.1.3. Puntualizzazioni sulla formula

Nel paragrafo precedente ho esposto uno degli intenti di questo capitolo, quello di mettere in evidenza la dizione formulare della scena sotto esame, trattando alcune

224 De Jong 2012, 173.

considerazioni che sono sorte sulla scia dei grandi studi di Parry, ovvero che nonostante la formularità dei poemi omerici, il poeta ha spesso piegato la rigidità di questa dizione per conferire ai versi effetti drammatici ed estetici. Un passo che esemplifica questo assunto è proprio quello relativo ad Andromaca. Parry stesso era consapevole della potenzialità creativa delle formule225, ma il merito della critica

successiva è quello di aver ampliato lo spazio dedicato al riconoscimento di questa originalità poetica. Tra gli studi più degni di nota si può enumerare quello di Hainsworth del 1964, “Strucure and Content in Epic Formulae: The Question of the Unique Expression”. Per sintetizzare il suo pensiero, cito le sue parole:

If the diction provided by the regular formulae is inadequate to cover all possible needs, in due course the crisis of composition is bound to arise when pre-existing phraseology is missing for the shape needs. At this point the poet must either break down or create a phrase226. […] The evidently large proportion of wholly isolated unique phrases in Homer implies some degree of creativiy inspired only by context227.

Bisogna menzionare anche lo studio di Hoekstra del 1965 che ha mostrato la flessibilità del linguaggio formulare e l’errore di vedere nella formularità un tratto esclusivo in Omero, quando l’unicità di certe frasi è palese e non può essere ignorata228. Sulla scia di questi studi e, soprattutto, su quello di Segal del 1971,

“Andromache’s Anagnorisis: formulaic artistry in Iliad 22.437-476”, cercherò di mettere in rilievo l’arte formulare di cui parla Segal stesso.

3.2. vv. 437-446.

La morte di Ettore, la cui decrizione iniziava al v. 25, suscita, come già accennato, la reazione del popolo troiano, e dopo le espressioni di dolore di Priamo ed Ecuba, il libro XXII si chiude con una scena interamente dedicata ad Andromaca.

225 “Homère lui-même ait fait des combinaisons originales de mots”, Parry 1928a, 64. Simile pensiero è espresso sempre da Parry 1928b, 205-206. Per una discussione sull’oralismo rimando al primo capitolo del saggio del 1999 di Di Donato, Esperienza di Omero.

226 Hainsworth 1964, 161. 227 Hainsworth 1964, 163.

228 Hoeckstra stabilisce con grande fermezza il potere creativo ed immaginativo di Omero, pg. 7. Per una sintesi del lavoro di Hoeckstra si consiglia anche la recensione di Russo del

Ὣς ἔφατο κλαίουσ’, ἄλοχος δ’ οὔ πώ τι πέπυστο Ἕκτορος· οὐ γάρ οἵ τις ἐτήτυμος ἄγγελος ἐλθὼν ἤγγειλ’ ὅττί ῥά οἱ πόσις ἔκτοθι μίμνε πυλάων, ἀλλ’ ἥ γ’ ἱστὸν ὕφαινε μυχῷ δόμου ὑψηλοῖο 440 δίπλακα πορφυρέην, ἐν δὲ θρόνα ποικίλ’ ἔπασσε. κέκλετο δ’ ἀμφιπόλοισιν ἐϋπλοκάμοις κατὰ δῶμα ἀμφὶ πυρὶ στῆσαι τρίποδα μέγαν, ὄφρα πέλοιτο Ἕκτορι θερμὰ λοετρὰ μάχης ἐκ νοστήσαντι νηπίη, οὐδ’ ἐνόησεν ὅ μιν μάλα τῆλε λοετρῶν 445 χερσὶν Ἀχιλλῆος δάμασε γλαυκῶπις Ἀθήνη. κωκυτοῦ δ’ ἤκουσε καὶ οἰμωγῆς ἀπὸ πύργου·

Andromaca non è al corrente di quanto avvenuto. Esclusa dalla τειχοσκοπία, e al riparo nelle sue camere, ignara, tesse un manto nell’attesa del marito e ordina alle ancelle di preparare un bagno perché egli possa ristorarsi al suo ritorno229. L’inizio

del v. 437 è formulare, “così diceva piangendo” e ci si attenderebbe una conclusione del verso simile a quella del v. 429, con una nota sul lamento del popolo troiano: ὣς ἔφατο κλαίων, ἐπὶ δὲ στενάχοντο πολῖται. Il verso 429, infatti, presenta la formula tipicamente utilizzata per esprimere il dolore collettivo230, ed è funzionale a marcare

la qualità rituale di queste scene di lamento che appaiono, proprio grazie alla dizione formulare, ancora più solenni231. Come già accennato, la sequenza dei lamenti di

Priamo di Ecuba e del popolo troiano è interrotta dall’ἀναγνώρισις di Andromaca, e questa interruzione è segnalata proprio dalla mancanza di formularità del v. 437:

229 Vd. Ciani-Avezzù 1987, 91 per un commento delicato all’esclusione di Andromaca dall’uccisione di Ettore, alla quale, come nota Avezzù, Omero ha conferito dettagli talmente vividi da rendere questa morte uno spettacolo da vedere. Ma la donna non lo vede, appunto, si vedrà che ella sente.

230 Così come avverrà per Il. XXIV. 722-3; 746-7; 760-1; 776. Vd. infra, cap. 4. 231 Così Segal 1971a, 36.

all’emisitichio tradizionale che descrive Ecuba piangente, ὣς ἔφατο κλαίουσ(α), non è affiancato, infatti, il cordoglio di Andromaca, ma ἄλοχος δ’ οὔ πώ τι πέπυστο/Ἕκτορος, di impianto non formulare. E’ così introdotta la “sposa di Ettore”232 che “nulla ancora sapeva”233. Non solo ἄλοχος è distanziata da Ἕκτορος,

ma il nome dello sposo si trova in marcato enjambement, così da creare una circonlocuzione molto pregnante: “formula and narrative structure here work in close cooperation”234. La preminenza data al termine ‘sposa’ prelude, grazie al

supporto della sintassi, all’imminente distruzione dell’identità di Andromaca a seguito della morte di Ettore che, rendendola vedova, annulla il suo status di moglie: l’effetto così ottenuto è altamente patetico.

The opening ἄλοχος quietly defines that secure life which […] virtually dissolves before our eyes 235.

Di fatto, nel libro XXII, Andromaca non è mai chiamata per nome. Anche il v. 438 è introdotto da una negazione: “non era infatti venuto nessuno come messaggero fidato ad annunciarle che suo marito si era trattenuto fuori dalle porte”236. E’ stato

segnalato dai commentatori che la menzione del messaggero richiama da vicino il

232 Tutti i commentatori optano per questo tipo di concordanza, ovvero di Ἕκτορος come genitivo di ἄλοχος, piuttosto che di Ἕκτορος come genitivo di πέπυστο. Se, infatti, il senso fosse “la donna nulla sapeva del marito”, ci si aspetterebbe un participio affiancato al nome proprio, come per esempio si trova in Il. XIII. 521-2: οὐδ᾽ ἄρα πώ τι πέπυστο βριήπυος ὄβριμος Ἄρης υἷος ἑοῖο πεσόντος. Ho trovato ulteriori passi che vedono πυνθάνομαι con participio, a sostegno della lettura che predilige ἄλοχος con Ἕκτορος: Il. XVII. 377-9: δύο δ᾽ οὔ πω φῶτε πεπύσθην/ἀνέρε κυδαλίμω Θρασυμήδης Ἀντίλοχός τε/Πατρόκλοιο θανόντος ἀμύμονος; Il. XVII. 425-7: ἵπποι δ᾽ Αἰακίδαο μάχης ἀπάνευθεν ἐόντες/κλαῖον, ἐπεὶ δὴ πρῶτα πυθέσθην ἡνιόχοιο/ἐν κονίῃσι πεσόντος ὑφ᾽ Ἕκτορος ἀνδροφόνοιο e Il. XIX. 321-2: οὐ μὲν γάρ τι κακώτερον ἄλλο πάθοιμι/οὐδ᾽ εἴ κεν τοῦ πατρὸς ἀποφθιμένοιο πυθοίμην. Ritengo che Il. XI. 497-8 ricalchi la struttura del verso sotto indagine: οὐδέ πω Ἕκτωρ/πεύθετ᾽: qui πυνθάνομαι è utilizzato in modo assoluto, proprio come in XXII. 437. E’ utile, infine, proporre in parallelo la struttura di Il. XVII. 401-2: οὐδ᾽ ἄρα πώ τι/ᾔδεε Πάτροκλον τεθνηότα δῖος Ἀχιλλεύς: Achille divino ancora non sapeva di Patroclo morto. La ricerca dell’effetto patetico che si trova nel libro XXII, nel caso di Patroclo e Achille non esiste. Andromaca, infatti, non è citata in quanto tale, ma in qualità di moglie di Ettore, dettaglio dalla forte carica emotiva, come si vedrà nel corso della discussione.

233 οὔ πώ τι: ‘not yet at all’ (De Jong 2012, 173). 234 Segal 1971a, 36.

235 Segal 1971a, 38.

236 Anche al libro VI Andromaca era stata menzionata con una negazione, poiché Ettore si era diretto al suo palazzo e non l’aveva trovata lì. Vd. supra p. 18.

libro III, dove Elena viene a conoscenza del duello tra Paride e Menealo in seguito all’annuncio di Iris messaggera, nelle vesti di Laodice: Ἶρις δ᾽ αὖθ᾽ Ἑλένῃ λευκωλένῳ ἄγγελος ἦλθεν (v. 121). La situazione inversa presentata nel nostro passo non fa altro che costituire un tassello che si unisce a quelli già esaminati nei primi due capitoli, che vedono le figure di Elena e Andromaca costruite volutamente come opposti. L’emistichio πόσις ἔκτοθι μίμνε πυλάων, richiede due considerazioni: (1) il termine πόσις richiama l’attenzione che era stata posta su ἄλοχος, così che menzionare moglie e marito nell’arco di due versi contribuisce a riportare alla mente la relazione dei due sposi proprio nel momento in cui si sta dissolvendo. (2) Il verso è il principio di un arretramento temporale che proseguirà fino al v. 447, creando una tensione significativa con μυχῷ δόμου ὑψηλοῖο del v. 439. I due sintagmi (ἔκτοθι μίμνε πυλάων e μυχῷ δόμου ὑψηλοῖο) si trovano nella stessa posizione, a fine verso, con la congiuzione ἁλλά che demarca ulteriormente l’opposizione dei due luoghi che connotano gli sposi: lo spazio esterno ed esposto di Ettore, in contrasto con l’alto palazzo di Andromaca, luogo chiuso e raccolto, che, come si è visto, rappresentava la sfera adibita alle donne237. Inoltre, μυχῷ δόμου ὑψηλοῖο costituisce una formula che

ricorre spesso in Odissea ed ogni volta rappresenta lo spazio intimo in cui le coppie dormono o fanno l’amore238. Non si tratta, allora, unicamente del nido di Andromaca,

ma anche del nido d’amore degli sposi. Sarà proprio in questo luogo privato che la donna verrà a conoscenza del destino del marito la cui morte rappresenta anche la distruzione del simbolo di questo luogo. Il v. 438, si è detto, costituisce il principio di un ampliamento cronologico ed apre una finestra sulle azioni di Andromaca durante l’assenza del marito, impegnato nel duello con Achiile. Questo espediente conferisce pathos alla situazione poiché non si tratta soltanto di una finestra sul passato prossimo, ma sulla quotidianità della donna in assenza del marito239. E l’immagine

che viene restituita è quella di una donna che vive in funzione del ritorno dell’amato sposo. Andromaca, infatti, lavorava ad un manto ed aveva ordinato alle ancelle di preparare un bagno caldo perché Ettore si potesse ristorare al suo ritorno.

237 Vedi supra n. 30.

238 De Jong 2012, 175. 239 De Jong 2012, 174.

3.2.1. La filatura.

La filatura riveste un ruolo significativo. Innanzitutto si collega nuovamente alla già menzionata scena del libro III, dove Elena è introdotta proprio mentre tesse: ἣ δὲ μέγαν ἱστὸν ὕφαινε/δίπλακα πορφυρέην, πολέας δ᾽ ἐνέπασσεν ἀέθλους/Τρώων θ᾽ ἱπποδάμων καὶ Ἀχαιῶν χαλκοχιτώνων/οὕς ἑθεν εἵνεκ᾽ ἔπασχον ὑπ᾽ Ἄρηος παλαμάων (vv. 125-128). Entrambe le donne tessono un manto (ἱστὸν ὕφαινε v. 125 = v. 440) e questo manto è doppio, tinto di porpora240 (δίπλακα πορφυρέην v. 126 =

v. 441, sintagma che compare unicamente in questi due passi ed in medesima posizione). La formularità del primo emistichio è così funzionale ad evidenziare la diffente natura dei ricami. Natura eccezionale, enfatizzata da linguaggio unico e non formulare di θρόνα ποικίλ(α)241: sintagma, anch’esso, adoperato soltanto in questo

passo. Andromaca, dunque, ricamava fiori variopinti242, mentre Elena tesseva

immagini di guerra tra Troiani e Achei, in lotta per lei. Per la moglie di Ettore, infatti:

the battle scenes are not reducible to art. They are too much part of a terrible present243.

Le due donne, quindi, vengono sempre evocate tramite questi costanti richiami a distanza, ed ancora una volta l’intento è quello di contrapporle. Ad alimentare questo contrasto non è solo l’azione in sè, ma anche il contenuto stesso del ricamo, poiché è in linea con le rispettive personalità. Ed Omero, per altro, rivela il contenuto di quanto è ricamato dalle donne dei poemi solo in due occasioni, cioè nei due passi sotto esame. L’una, per l’appunto, ricama l’esito di quanto ha generato, tipico del suo senso di colpa: i πολέας ἀέθλους che i due popoli soffrivano a causa sua (v. 128)244. L’altra, invece, decora il manto di fiori colorati, simbolo di vitalità e speranza,

240 Griffin 1990, 368, ritiene che il color porpora abbia un significato nefasto, ma come nota De Jong sulla scia di Reinhold 1970, 16, è molto probabile che la connotazione sia piuttosto quella di un manto purpureo in quanto regale e prezioso.

241 Segal 1971a, 40.

242 Cfr.Leaf, Richardson e De Jong ad loc. per maggiori dettagli sul sostantivo θρόνον e per le successive riprese.

243 Segal 1971a, 41.

che evocano un’atmosfera serena come quella che traspare in altri versi iliadici, dove il passato nostalgico appare fugacemente per acuire la durezza del presente burrascoso245. Qui, infatti, i fiori suggeriscono

the season of new life and rebirth just when Andromache sees before her death and blasted hopes”246.

Infine, un’altra ragione che rende questi versi dedicati al ricamo ancora più rilevanti, è il fatto che mostrano Andromaca assolvere i suoi compiti di brava moglie, obbedendo a ciò che Ettore le aveva suggerito nel libro VI (vv. 490-2), proprio nel momento in cui il suo ruolo di moglie si dissolverà. Il richiamo al passo del sesto è lampante: ἀμφιπόλοισι κέλευε/ἔργον ἐποίχεσθαι (VI. 491) è riecheggiato al v. 442 κέκλετο δ’ ἀμφιπόλοισιν ἐϋπλοκάμοις κατὰ δῶμα/ἀμφὶ πυρὶ στῆσαι τρίποδα μέγαν. Alla luce di questo, ἄλοχος, al v. 437, si connota di ulteriore tragicità247.

La seconda occupazione domestica descritta riguarda il bagno che Andromaca ordina alle ancelle per il ritorno di Ettore248. E’ stato sottolineato come il dettaglio del bagno

preparato per Ettore rimanda a Il. XVIII. 343ss, dove Achille incita i compagni aἀμφὶ πυρὶ στῆσαι τρίποδα μέγαν, formula identica nel nostro passo, perché Patroclo possa essere lavato dalle ferite249. Il passo del libro XXII, allora, richiamarebbe alla mente il

libro XVIII e il rito per lavare il corpo esanime di Patroclo, creando “un’eco ominosa”250. Mentre l’uditorio è consapevole della morte di Ettore, Andromaca fa

preparare il bagno per un Ettore che lei si immagina torni vivo dalla battaglia: μάχης ἐκ νοστήσαντι (v. 444). Ma questa espressione è sempre utilizzata per guerrieri che

245 De Jong 2012, 98, alla quale rimando per ulteriori passi in cui si fa riferimento ad uno stadio di vita di Troia precedente all’arrivo dei Greci.

246 Segal 1971a, 40. Cfr. anche l’articolo di Pantelia del 1993, nel quale la studiosa analizza le scene di filatura nei poemi, Dorati 1998, 41-2, sulla donna al telaio come immagine tradizionale del ruolo femminile e Lorimer 1950, 397ss.

247 Cfr. Segal 1971a, 39-40.

248 I guerrieri fanno spesso il bagno, una volta rientrati dal un combattimento: cfr. Il. V. 905 e X. 574-9, cfr. anche De Jong 2012, 176.

249 Richardson 19962, 155. 250 Richardson 19962, 155.

non sono destinati a sopravvivere251. Il richiamo del corpo defunto di Patroclo e

questa formula, quindi, creano un forte scarto tra la reale condizione di Ettore e l’illusoria attesa di Andromaca.

I vv. 445-6 costituiscono un punto cruciale da un punto di vista drammatico: il narratore commenta apertamente la condizione di Andromaca: “povera donna, non pensava che lontano dal bagno Atena dagli occhi azzuri lo aveva ucciso per mano di Achille”. La stessa formula, νηπίη, οὐδ’ ἐνόησεν, ricorre spesso nell’Iliade, ma generalmente è un intermezzo che va a correggere, spesso in modo critico e polemico, un atteggiamento erroneamente ottimistico dei personaggi252. Qui,

invece, l’intento è simpatetico. Ed infatti lo scoliasta annota:

αὔξει τὸ πάθος· τοσοῦτον γὰρ ἀπέχει τοῦ ἐννοεῖν τι τῶν συμβεβηκότων ὡς καὶ λουτρὰ τῷ ἀνδρὶ παρασκευάζειν, μονονουχὶ ὁρῶσα τὸν Ἕκτορα· διὸ καὶ ἐπεφώνησεν ὁ ποιητὴς συμπαθῶς τὸ νηπίη, οὐδ’ ἐνόησεν, ὥσπερ ἐλεῶν τὴν ἄγνοιαν αὐτῆς253.

“La donna è talmente lontana dal sapere cosa è accaduto che prepara il bagno al marito, quasi vedendo Ettore”. Per questo, secondo lo scoliasta, Omero ha aggiunto il commento νηπίη, οὐδ’ ἐνόησεν, “come se compatisse la sua ignoranza”. Questa è l’unica volta in cui pronuncia un commento di tale natura in un momento in cui le aspettative si oppongono bruscamente alla realtà254. Così facendo, “accresce il

pathos”. Ancor più interessante è che νήπιος è declinato al femminile νηπίη

251 Richardson 19962, 155, cfr. Il. V. 157, XVII. 207 e XXIV. 705. De Jong 2012, 176, nota come il verbo stesso, νοστέω, inizialmente indicasse ‘to come out of something safe and sound’, ma chiaramente non sarà così per Ettore.

252 Il. II. 38: il commento è sulla sicurezza di Agamennone, che pensava avrebbe conquistato la rocca di Priamo in quel giorno; V. 406: qui νήπιος è Diomede, che dovrebbe sapere che non vive a lungo chi combatte contro gli dei, e l’esclamazione è di Dione; XX. 264: il commento è nuovamente del narratore: Achille è νήπιος a credere che i doni degli dei possano essere sottomessi, e XX. 466: Troo Alastoride prega Achille di risparmiarlo, ma, νήπιος, non sapeva che non lo avrebbe persuaso. In questi ultimi casi ad essere νήπιος è un guerriero e il commento di Omero risulta più distaccato. Un passo in cui il narratore risulta più simpatetico è XVI. 46-47, nel quale νήπιος è Patroclo, sul quale cfr. Di Benedetto 19982 30-31 e più in generale pgg. 26-32 per una trattazione organica ed esaustiva sul termine e sulle sue occorrenze in Omero.

253 ΣAbT ad XXII. 442-5= Erbse 1977, 348.

unicamente in due casi: nel qui presente, ed in una similitudine diretta a Patroclo espressa da Achille255. Per Andromaca, dunque, è l’unica volta in cui Omero

interviene direttamente, mostrando un’accorata partecipazione priva di riprovazione o presa di distanza che traspaiono negli altri passi. Il dettaglio τῆλε λοετρῶν, poi, è una nota che ribadisce il divario tra il luogo sicuro e raccolto di Andromaca e lo spazio esterno di Ettore, oltre a ribadire l’inutilità del bagno preparato per il marito, così come l’ingannevole speranza che l’ha generato. La critica256 ha notato come la

clausola τῆλε λοετρῶν rimandi al “death far away motif” che si trova in molti passi dell’Iliade257, e qui subisce uno sviluppo particolare:

here the poet has with great skill made use of the motif of ‘far away from home’ for Hector, who was killed in his own homeland: he is slain far from the comforts prepared for him by his loving wife258.

La struttura del verso, quindi, indica chiaramente la dialettica esterno-interno259,

poiché i θερμὰ λοετρά sono citati nel verso immediatamente precedente: si ha quindi prima la menzione del bagno come luogo caldo e accogliente, e subito dopo, invece, tramite l’avverbio τῆλε, è evocato il luogo di morte, lontano, appunto, dai bagni caldi. Segal parla infatti di come la “hopefulness” dei θερμὰ λοετρά venga corretta dalla “confortless reality” di τῆλε λοετρῶν260. Inoltre, come ha sensibilmente notato Di

Benedetto, al v. 445 i λοετρά non sono qualificati affettuosamente come caldi poiché tale commento, nelle parole del narratore, sarebbe risultato irridente261, mentre si è

visto come la cifra del passo sia proprio l’immedesimazione simpatetica. Simile è il

255 Il. XVI. 8: ‘τίπτε δεδάκρυσαι Πατρόκλεες, ἠΰτε κούρη/νηπίη. In questa istanza, l’aggettivo possiede chiaramente meno enfasi poiché non è pronunciato dal narratore e per di più è declassato a termine di paragone.

256 De Jong 2012 e Richardson 19962 ad loc.

257 Per esempio in Il. XI. 816-18, dove Patroclo prova pietà per coloro che sono destinati a morire τῆλε φίλων καὶ πατρίδος αἴης, oppure Il. XVI. 538, in cui il motivo ha lo scopo di un rimprovero; XX. 389, dove lo scopo è di provocare dolore per rendere la morte lontana da casa ancora più amara; XI. 814, dove costituisce fonte di lamento. Cfr. Griffin 1980, 106-12 per ulteriori passi.

258 Griffin 1980, 110.

259 Sviluppando il tema già notato ai vv. 439-440 e più in generale il tema che aveva pervaso l’incontro di Ettore e Andromaca nel VI. Vedi supra.

260 Segal 1971a, 42.

commento di Griffin, il quale nota anche come lo stile del poeta si allontani dalla “dispassionate manner of the narration” per farsi più partecipe262.

Alla luce delle considerazioni fino ad ora tratte, risulta evidente il richiamo indiscutibile al libro VI. Ettore aveva indotto Andromaca a ritornare a casa, perché si desse da fare con i lavori e perché le ancelle facessero altrettanto, ed Andromaca nel XXII mette in pratica quanto le era stato suggerito. Se non che nel VI la donna era devastata da un oscuro senso di morte per il marito (“tornata a casa, fra le ancelle diede inizio al lamento”, v. 499) e, dunque, la moglie con le ancelle piangeva prematuramente un Ettore ancora vivo. Nel XXII lo stato d’animo di Andromaca è totalmente invertito, ed il suo ottimismo risulta ancora più commovente perché rivolto ad un Ettore che è oramai morto. L’ambientazione della prima parte del XXII è all’interno del palazzo, dove Andromaca attende speranzosa il marito; nel VI si era precipitata sulla torre nel timore della sua morte. Anche in questo caso, la donna ha premonizioni invertite: Ettore è morto, ma lei sta preparando un bagno caldo per lui. 3.2.2. Disparità di conoscenza.

Per concludere questa prima parte, si può proporre qualche considerazione sulle ‘not yet scenes’: le già citate scene di Il. XI. 497-501, XIII. 521-5, XVII. 377-90263 e il non

ancora menzionato passo ai vv. 401-11. La struttura è sempre la medesima: i personaggi in questione non sono mai a conoscenza di quanto avvenuto, a differenza della maggioranza che invece conosce la situazione, e le persone che si trovano ancora all’oscuro di quanto poi scopriranno, sono anche quelle che più intimamente verranno colpite. In molti casi, poi, oltre ad essere ignari, i personaggi si distinguono per le loro aspettative positive, ed è intuitivo quanto tali premesse creino maggior scarto con la futura presa di coscienza. Trasimede ed Antiloco, per esempio, ritenevano che Patroclo fosse ancora vivo (ἀλλ᾽ ἔτ᾽ ἔφαντο/ζωὸν ἐνὶ πρώτῳ ὁμάδῳ Τρώεσσιμάχεσθαι) ed Achille davvero non si aspettava che l’amico fosse morto (οὐδ᾽

262 Griffin 1980, 110.

ἄρα πώ τι/ᾔδεε Πάτροκλον τεθνηότα δῖος Ἀχιλλεύς)264. A proposito di questi versi,

già gli scoliasti si espressero:

εἴωθε συμπάθειαν ἐγείρειν διὰ τούτων, ἐπὰν οἱ τὰ μέγιστα δυστυχοῦντες ἐν ἀγνοίᾳ τῶν κακῶν εἶεν καὶ ἐπὶ φιλανθρωποτέρων φέρωνται ἐλπίδων, ὡς Ἀνδρομάχη καὶ Δόλων καὶ νῦν Ἀχιλλεύς265.

Gli antichi, dunque, proposero il parallelismo tra l’ignoranza di Achille e quella di Andromaca e commentarono la capacità di Omero “di suscitare συμπάθεια in questo modo, che qualora quelli che soffrono terribilmente si trovino in uno stato di ἄγνοια dei loro mali, vengano trascinati verso tenere speranze”. Ed analizzando le scene citate in cui i personaggi non sono ancora a conoscenza della morte dei loro cari, l’unica che può reggere il confronto con il pathos conferito alla scena di Andromaca, è appunto quella di Achille. Ma il confronto è impari, perché i versi di Andromaca costituiscono uno dei passi in assoluto più patetici di tutto il poema. Si è messo in luce con quale maestria Omero susciti la συμπάθεια citata nello scolio, e con quanta sofisticatezza sia presentata la donna, ignara delle sue disgrazie e avvolta da tenera speranza, sentimenti ancora più penosi se visti in contrapposizione a quelli di timore e sgomento del VI e drammatizzati ulteriormente proprio da questa inversione strategica.

Le altre scene non possiedono una tale ricchezza di dettagli e contrasti e questo sarà ancora più evidente nella fase di ἀναγνώρισις.

3.3. L’ἀναγνώρισις di Andromaca: vv. 447-459. κωκυτοῦ δ’ ἤκουσε καὶ οἰμωγῆς ἀπὸ πύργου· τῆς δ’ ἐλελίχθη γυῖα, χαμαὶ δέ οἱ ἔκπεσε κερκίς· ἣ δ’ αὖτις δμῳῇσιν ἐϋπλοκάμοισι μετηύδα· δεῦτε δύω μοι ἕπεσθον, ἴδωμ’ ὅτιν’ ἔργα τέτυκται. 450 αἰδοίης ἑκυρῆς ὀπὸς ἔκλυον, ἐν δ’ ἐμοὶ αὐτῇ στήθεσι πάλλεται ἦτορ ἀνὰ στόμα, νέρθε δὲ γοῦνα 264Il. XVII. 379-380 e Il. XVII. 404-405:

πήγνυται· ἐγγὺς δή τι κακὸν Πριάμοιο τέκεσσιν. αἲ γὰρ ἀπ’ οὔατος εἴη ἐμεῦ ἔπος· ἀλλὰ μάλ’ αἰνῶς δείδω μὴ δή μοι θρασὺν Ἕκτορα δῖος Ἀχιλλεὺς 455 μοῦνον ἀποτμήξας πόλιος πεδίον δὲ δίηται, καὶ δή μιν καταπαύσῃ ἀγηνορίης ἀλεγεινῆς ἥ μιν ἔχεσκ’, ἐπεὶ οὔ ποτ’ ἐνὶ πληθυῖ μένεν ἀνδρῶν, ἀλλὰ πολὺ προθέεσκε, τὸ ὃν μένος οὐδενὶ εἴκων.

In questi versi si trova la descrizione della reazione fisica di Andromaca dopo aver udito l’urlo straziante della suocera. Dal v. 450, invece, è la donna stessa a

Nel documento La figura di Andromaca nell'Iliade (pagine 76-109)

Documenti correlati