4. ANDROMACA NEL LIBRO XXIV
4.3. Il secondo lamento di Andromaca
4.3.3. vv 739-5
τὼ καί μιν λαοὶ μὲν ὀδύρονται κατὰ ἄστυ, 740 ἀρητὸν δὲ τοκεῦσι γόον καὶ πένθος ἔθηκας Ἕκτορ· ἐμοὶ δὲ μάλιστα λελείψεται ἄλγεα λυγρά. οὐ γάρ μοι θνῄσκων λεχέων ἐκ χεῖρας ὄρεξας, οὐδέ τί μοι εἶπες πυκινὸν ἔπος, οὗ τέ κεν αἰεὶ μεμνῄμην νύκτάς τε καὶ ἤματα δάκρυ χέουσα. 745
Successivamente alla presa di coscienza di Andromaca rispetto al futuro del figlio, la donna mette in luce il motivo per cui il popolo Troiano piange Ettore: non era dolce
367 ΣbT ad XXII. 735b = Erbse 1977, 635. 368 Ferrari 1986, 68.
in battaglia369. Probabilmente dietro a questa considerazione si cela il disappunto
della prospettiva femminile nei riguardi di un eccessivo ardore nella lotta370.
I vv. 740-2 sono strutturati su tre cola in crescendo i cui soggetti sono coloro che più soffrono per la morte dell’eore troiano: il popolo, i genitori, ed Andromaca. Il rilievo conferitole non è tale unicamente per l’ordine in cui è posta la sua figura, ma anche per l’interruzione data dall’apostrofe in posizione incipitaria ad Ettore che precede ἐμοὶ δὲ μάλιστα, incrementandone l’enfasi371. Anche in questo caso non si può non
pensare al libro VI, quando Ettore aveva proposto una scala di valori che culminava con Andromaca: Ettore aveva dichiarato la sua pena non tanto per i Troiani, o per i genitori, quanto per Andromaca, qualora un Acheo l’avesse resa schiava.
Il lamento della giovane vedova si avvia alla chiusura e l’immagine che ci viene presentata dalle parole magistrali di Omero è straordinaria nel suo pathos. Ad Andromaca resterà un dolore insanabile, dilatato in uno spazio senza fine grazie all’utilizzo del tempo futuro (λελείψεται). La donna non avrebbe desiderato altro che ricevere un’ultima parola che sempre avrebbe potuto ricordare come conforto alla sua costante sofferenza. L’eternità del suo dolore è riproposta tramite l’avverbio temporale αἰεί che esprime la volontà di cristallizare il ricordo di Ettore.
A proposito dei vv. 743-5, gli scoliasti notarono il realistico bisogno, nel dolore, di trovare conforto:
ταῦτα βιωτικά· γλυκὺ γὰρ ἐν πένθεσιν αἱ τελευταῖαι τῶν φίλων φωναὶ πρὸς παραμυθίαν.372
Nei momenti di sofferenza le ultime parole della persona cara risultano essere una dolce consolazione. Andromaca, al termine del poema, raggiunge tragicamente il suo epilogo: tutto ciò che la tormentava e che la impauriva, cioè il timore della solitudine e dell’abbandono, si realizzano impietosamente. La moglie di Ettore nel suo ultimo verso annuncia il carattere inconsolabile delle lacrime che verserà instancabilmente. Viene così confermata la prima descrizione attraverso la quale Omero aveva
369 A questo proposito Ferrari parla di “aretalogia” del defunto presentata con lo scopo di motivare il compianto (Ferrari 1986, 68).
370 Vd. § 3.3.1
introdotto Andromaca sulla scena: una donna che piangeva disperata: γοόωσά τε μυρομένη τε (Il. VI. 373).
Ad Andromaca resterà unicamente un profondo senso di desolazione, un’inguaribile sofferenza abbacinante e commovente:
“ma a me soprattutto rimarrà un dolore penoso perché non sei morto nel letto tendendomi le braccia né mi hai detto una parola saggia di cui avrei sempre potuto
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