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I conti dello Stato e la Tesoreria nell’ultimo scorcio del XVI secolo

II.4 L’Hacienda milanese nella seconda metà del Cinquecento

II.4.2. I conti dello Stato e la Tesoreria nell’ultimo scorcio del XVI secolo

Nel quindicennio conclusivo del Cinquecento, dalla sospensione dell’Orduña alla nomina del Parravicino, la Tesoreria dello Stato fu guidata con incarichi ad interim da due patrizi milanesi: Gerolamo Casati e Ferrante Cignardi.

Originario di un’antica famiglia proprietaria di beni tra Monza e l’alta Martesana, il Casati aveva inizialmente intrapreso la carriera delle armi attorno al 1550, dando buona prova di sé al punto da meritarsi una menzione d’onore da Filippo II, vent’anni più tardi. Nel 1564 era stato nominato Commissario generale della cavalleria leggera e nel 1574 aveva avuto l’onore di ospitare nel suo palazzo di Monza Enrico III Valois, di passaggio a Milano per recarsi a cingere la corona di Francia, dopo la morte di re Carlo IX105. Quando fu nominato tesoriere dal duca di Terranova, nell’estate del

1583106, si trovò dunque a esercitare il suo primo incarico nell’amministrazione civile

dello Stato. La ventennale esperienza maturata quale commissario generale della cavalleria leggera dovette però agevolargli il compito e non è difficile immaginare che dietro la scelta operata dal governatore vi fosse proprio la volontà di giovarsi delle capacità maturate dal Casati nelle operazioni di pagamento delle truppe, da sempre nota dolente nell’attività della Tesoreria, soprattutto dacché si era proceduto all’ac- corpamento della sezione militare con quella civile. Inoltre il Casati si era anche occu- pato della riscossione presso le comunità dello Stato del denaro necessario al sosten- tamento di alcune compagnie di fanteria del tercio ordinario, il che gli aveva consen- tito di approfondire le proprie conoscenze in materia107. Era stato poi responsabile

della cassa dello Stato e durante la prigionia dell’Orduña gli era stata affidata la guida

IDEM, Le dinastie italiane nell’età moderna, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 13-90. Su Milano, cfr. RIZZO,

Centro spagnolo, cit., pp. 330-342; IDEM, Milano e le forze del principe, cit., pp. 734 e sgg; come pure le recenti considerazioni esposte da G. SIGNOROTTO, Lo Stato di Milano nell’età di Filippo II. Dalle guerre

d’Italia all’orizzonte confessionale, in Filippo II e il Mediterraneo, a cura di L. LOTTI e R. VILLARI,

Roma–Bari, Laterza, 2003, pp. 25-56.

105A. BORROMEO, Casati, Gerolamo, in DBI, vol. 21, 1978, pp. 253-254. Figlio di Giovanni Battista

Casati e Orsola de Capitani di Lavello, Gerolamo era nato attorno al 1530. Dopo la lunga carriera mili- tare e l’ingresso nella Tesoreria, nel 1586 entrò anche a far parte del Consiglio dei Sessanta. Non risulta invece, diversamente da quanto sostenuto dal Borromeo, che nel 1588 avesse ottenuto la titolarità della Tesoreria. A partire dal 1587 il figlio Alfonso fu ambasciatore presso la Confederazione Elvetica, dando inizio a una vera e propria dinastia di ambasciatori presso il piccolo ma strategico Stato transalpino. Sulle relazioni fra Svizzera e Milano in questo periodo si veda A. ANNONI, I rapporti fra lo Stato di Milano e i

popoli della Confederazione elvetica nei secoli XV e XVI, in Archivio Storico Lombardo, IX (1970), pp. 287-

312; SIGNOROTTO, Lo Stato di Milano, cit., pp. 35 e sgg.; e D. MAFFI, Confesionalismo y Razón de Estado

en la Edad Moderna. Il caso della Valtellina (1637-39), in Hispania Sacra, LVII (2005), pp. 467-489 con la

bibliografia ivi citata. Secondo F. ARESE, Elenchi dei Magistrati Patrizi di Milano dal 1535 al 1796, in Archi-

vio Storico Lombardo, LXXXIV (1957), pp. 148-199, Gerolamo faceva parte del ramo dei Casati conti di

Borgolavezzaro (p. 188).

106ASMi, RCS, s. II, lib. 7, ff, 41v-42r, atto di nomina del 7 luglio 1583.

107AGS, E, leg. 1253, doc. 19, Milano, 18 aprile 1581: Copia de la librança del Commissario general

Pedro Antonio Lunato en el Comissario Cassato. Nel documento il Casati era definito «commissario depu-

tado a pagar los ocho sueldos cada dia a las compañias de ynfanteria española que aloxa en este estado». Il veedor general dell’esercito, Diego Garcia de Pradilla, in una lettera indirizzata al re lamentava il fatto che il Casati non depositava in Tesoreria il denaro riscosso dalle comunità e destinato al soldo delle truppe, lasciando intendere come tale prassi, oltre a essere contraria alle norme esistenti, fosse foriera di abusi e lasciasse aperta la strada ad ampie possibilità di arricchimento illecito: Ivi, doc. 17, missiva del 5 maggio 1581.

temporanea della Tesoreria, dove aveva dimostrato, secondo il governatore, buone capacità. Le disponibilità economiche, infine, non gli mancavano, come testimonia la cospicua sicurtà di 50.000 scudi versata al momento di assumere l’incarico di teso- riere108.

Alla sua morte, avvenuta nell’aprile del 1594, gli subentrò il genero Ferrante Cignardi, persona unanimemente ritenuta «dell’integrità et sufficienza necessaria» a dirigere la Tesoreria e per questo collocato dal connestabile di Castiglia al vertice del delicato ufficio. Il Cignardi poteva inoltre unire a tali qualità una buona esperienza in materia finanziaria, nonché consistenti mezzi economici: condizioni indispensabili, come sappiamo, per affrontare l’impegno109. Membro del patriziato cittadino e figura

di spicco dell’amministrazione finanziaria milanese, egli faceva parte dei decurioni della città110e dal 1592 ricopriva il posto di questore ‘breve’ del Magistrato straordina-

rio; da tempo, inoltre, esercitava funzioni di supporto all’interno della Tesoreria sotto la guida del suocero. Nel dicembre del 1592 Ferrante era stato chiamato a far parte, con il Vicario di provvisione Gerolamo Caimi e i decurioni Giulio Dardanone e Ales- sandro Schiaffini, della commissione ristretta deputata all’analisi della proposta di Antonio Zerbi per l’istituzione del Banco di Sant’Ambrogio111. Un incarico, questo,

che bene illustra la considerazione di cui il futuro tesoriere godeva negli ambienti della finanza e della pubblica amministrazione lombarde.

Le sostanze e le qualità personali del Cignardi e del Casati non garantirono loro, tuttavia, un agevole ‘maneggio’ dell’ufficio durante gli anni in cui furono chiamati a dirigerlo. Per la Tesoreria milanese l’ultimo scorcio del secolo fu infatti un periodo decisamente difficile e delicato, non meno di quello trascorso sotto la gestione di Pedro López de Orduña. Né i proventi ordinari dello Stato, né i socorros inviati da Madrid e dalle altre province italiane della Monarchia erano sufficienti a consentire il pagamento delle accresciute spese militari, sicché i tesorieri furono costretti a ricor- rere ripetutamente al credito, attingendo sia ad assegnazioni sulle entrate fiscali (in

108ASMi, RCS, s. II, lib. 7, ff. 41v-42r. La sicurtà poteva essere finanziata anche da soci, amici o parenti

del tesoriere, sicché essa, di per sé, non bastava a garantire delle effettive sostanze di questi. È chiaro, però, che difficilmente poteva aver accesso al credito e a somme di tali entità chi non possedeva un patrimonio di una certa consistenza.

109AGS, VI, leg. 401-3, ordinanza del connestabile di Castiglia, Milano, 26 aprile 1594. Un mese più

tardi il governatore avrebbe sollecitato invano Filippo II a ratificare la nomina del Cignardi, assegnando- gli la titolarità dell’ufficio con tutte le onoranze connesse: AGS, E, leg. 1285. doc. 58, il connestabile al re, Milano, 17 maggio 1594. Cignardi aveva sposato Virginia, figlia di Gerolamo Casati, cui il padre aveva lasciato due redditi di 73 lire annue sul dazio della macina di Milano. Redditi che la donna, rimasta vedova, avrebbe successivamente venduto: ASCMi, D’Adda-Salvaterra, cart. 73/2, alienazione rogata dal notaio Carlo Magni, Milano 6 aprile 1605.

110Cfr. ARESE, Elenchi dei Magistrati cit., p. 189.

111Le scarne indicazioni biografiche su Ferrante Cignardi sono fornite in una lettera del governatore

a Filippo II, inviata il 17 maggio 1594 (AGS, E, leg. 1285, doc. 58) e in una consulta del Consiglio d’Ita- lia del 23 febbraio 1595: AGS, SP, leg. 1796, doc. 249. Nonostante le pressanti richieste, il re non accon- sentì a concedere al nuovo tesoriere le normali spettanze in termini di emolumenti; questi infatti continuò a godere delle onoranze dovute ai maestri del Magistrato straordinario, sicché dovette accontentarsi, per così dire, di un extra di 300 scudi annui. Sulla partecipazione del Cignardi alla menzionata commissione e sul significato del Banco nel contesto economico-finanziario dello Stato di Milano, si veda COVA, Il

primis il mensuale), sia a prestiti contratti con banchieri e finanzieri. D’altro canto, come sappiamo, la situazione ereditata dall’Orduña si presentava già molto compro- messa. Il 1580 aveva fatto segnare un passivo record di 963.000 scudi e anche il bilan- cio del 1581 si era chiuso in rosso, con un deficit di circa 328.000 scudi, al quale si sommava il residuo arretrato, che portava il disavanzo totale a poco più di 569.000 scudi112. Già nell’agosto del 1583, a poche settimane dall’entrata in carica, Gerolamo

Casati ricevette dunque dal governatore i primi ordini per provvedere denaro, attin- gendo alle liquidità disponibili nelle fiere di cambio o alle anticipazioni degli impre- sari sul dazio della mercanzia e della gabella grossa di Cremona113. Nel 1586 il deficit

annuo era sceso a 180.000 scudi, ma l’emergenza continuava a sussistere «stante il poco credito in che si trova la camera, et la debile sostanza, che tengono i mercanti di questa città, con quali si soleva negotiare».

Di fronte alla temporanea chiusura dei cordoni della borsa da parte degli hombres de negocios lombardi, per ripianare il disavanzo il governatore ordinò al Magistrato

112Il dato sul 1580 in C. RILEY, Le finanze di Milano nell’età di Filippo II, relazione dattiloscritta negli

Atti del Convegno Istituzioni e attività finanziarie cit., p. 193. Il disavanzo prospettato al re nel bilancio previsionale di quell’anno era stato pari a 1.150.000 scudi, cresciuti poi nei mesi successivi a causa di cospicue spese straordinarie (fra cui più di 450.000 scudi di soccorsi all’esercito spagnolo di ritorno dalle Fiandre), fino a toccare la quota di circa 1.700.000 scudi, ai quali nuove rimesse da Madrid, tagli, prestiti e anticipi d’imposta concessi dalle comunità dello Stato riuscirono a contrapporre soltanto 740.000 scudi, lasciando pertanto un disavanzo effettivo di oltre 963.000 scudi: AGS, E, leg. 1252, doc. 136, relazione del ragionato generale Giovanni Giacomo Trecchi, presumibilmente nell’estate del 1580. Per l’anno suc- cessivo il riferimento è in AGS, E, leg. 1253, doc. 26, Bilance [sic] summario de las Rentas, y gastos del

estado de Milán. L’ammontare di 569.000 scudi, segnalato anche da RIZZO, Finanza pubblica cit., p. 320, è

quasi certamente superiore, sia pure di poco, a quello reale, sebbene la documentazione non consenta di determinare con precisione la differenza. Quel valore, infatti, è il risultato della somma del passivo eredi- tato dal 1580, pari a 214.500 scudi (evidentemente frutto di ulteriori interventi da Madrid, che ridussero il disavanzo or ora ricordato di 960.000 scudi), e del deficit relativo al 1581, pari a 328.000 scudi (206.700 scudi di saldo negativo fra entrate e uscite, nonché 121.300 scudi di assegnazioni anticipate sul bilancio del 1582). Da tale somma l’estensore del bilancio detraeva tuttavia alcune imprecisate «pardidas de dinero [...] que ha pagado el Tesorero de deudas suyas», oltre a non specificate nuove rimesse inviate dalla Spa- gna; tutto ciò avrebbe abbassato il disavanzo di circa 183.000 scudi. Tale detrazione non può però essere accolta per intero nella nostra analisi, dal momento che l’intervento di Madrid è da considerarsi esterno alla struttura del bilancio lombardo; diverso è il caso dei debiti privati del tesoriere, che andrebbero invece conteggiati se ne fosse nota la consistenza. È presumibile, comunque, che il grosso della somma in que- stione fosse composto dal soccorso spagnolo e che quindi il disavanzo globale non fosse di molto inferiore ai ricordati 569.000 scudi. Il caso è illuminante circa le difficoltà che si incontrano nell’esame dei bilanci in antico regime, di cui si è già avuto modo di parlare. A questo proposito, convengo con le perplessità sollevate da RIZZO(Finanza pubblica cit., p. 320, n. 43) circa i dati elaborati per gli anni ’80 da RILEY(The

State of Milan cit., p. 201), secondo il quale nel 1583 il disavanzo dello Stato era di soli 8.851 ducati e nel

1587 si registrava addirittura un saldo positivo di 25.000 scudi.

113ASMi, RCS, s. XVI, lib. 4, ff. 51v-52r, 63, 77, 123v e 124r, lettere del duca di Terranova al Magi-

strato ordinario, Milano, 1 agosto, 30 agosto, 5 settembre 1583, 23 gennaio 1584: alle prese con l’impel- lente necessità di pagare gli arretrati alle guarnigioni dello Stato, il governatore suggerì innanzitutto l’uti- lizzo del denaro dovuto agli appaltatori del dazio della mercanzia (fra cui Cesare Negrolo) e della gabella grossa di Cremona per gli anticipi da loro concessi in precedenza. Tali somme, che sarebbero dovute con- fluire in un’apposita cassa di deposito, dovevano dunque entrare in possesso del tesoriere e servire al paga- mento del soldo. I dazieri sarebbero stati poi rimborsati con i proventi di alcuni redditi camerali apposi- tamente alienati. Lo stratagemma non consentì tuttavia di risolvere l’emergenza e il Casati ricevette l’or- dine di prendere denaro a cambio in fiera e di attingere a ulteriori anticipazioni presso i dazieri, facendosi garante di tutte le operazioni necessarie.

ordinario di tagliare le spese superflue (a partire dal pagamento dei ‘debiti vecchi’), di incassare i crediti vantati nei confronti di alcuni operatori finanziari e di altri debitori, e di accelerare l’iter delle cause per i restauri agli appaltatori dei dazi114. Quanto alle

spese militari, ogni giorno più pressanti, il luogotenente regio poteva ancora contare sulle rimesse da Madrid – 25.000 scudi erano appena pervenuti a Milano attraverso la mediazione dell’ambasciatore spagnolo a Genova – ma, essendo quest’ultime ormai insufficienti, dovette rivolgersi alle comunità dello Stato, stipulando accordi per la concessione di cospicui anticipi sul mensuale115. Si trattava tuttavia di soluzioni prov-

visorie e di breve respiro, che certo non potevano risolvere i guai strutturali dell’Ha- cienda lombarda. Due anni più tardi, in un momento di grande ristrettezza d’oro sul mercato milanese e dunque di ulteriori difficoltà nel sovvenzionamento delle truppe – pagate di norma in metallo giallo – lo stesso tesoriere fu incaricato di procurarsi monete auree alla fiera di Bisenzone, sfruttando i titoli di credito vantati da alcuni grossi hombres de negocios cui doveva subentrare una volta versato quanto loro dovuto in pezzi d’argento giunti con una rimessa dalla Spagna116.

114ASMi, RCS, s. XVI, lib. 5, f. 81: il governatore al Magistrato ordinario, Milano 5 luglio 1586. Il

duca di Terranova contava di recuperare 25.600 scudi da Pietro Doria, 22.000 da Rinaldo Tettoni e 20.000 da Nicolò Grimaldi. Il risparmio ipotizzato con la sospensione dei pagamenti di alcuni debiti arretrati era stimato invece in 10.000 scudi. Più difficile capire le ragioni della direttiva sui restauri; si può ipotizzare, comunque, che la Camera contasse di chiudere a proprio vantaggio la maggior parte dei contenziosi aperti con i dazieri.

115ASMi, RCS, s. XVI, lib. 5, f. 81, il governatore al Magistrato ordinario, Milano, 3 ottobre 1586: il

duca di Terranova annunciava l’ingresso nei forzieri della Tesoreria di una rimessa di 25.000 scudi, parte in pezzi d’oro non coniato, parte in doppie di Spagna. La quota in lingotti doveva essere convertita in argento per sfruttare il vantaggio del cambio. Il 14 dicembre di quello stesso anno il luogotenente regio comunicava al Magistrato ordinario (Ivi, ff. 164v-165v) l’avvenuta sottoscrizione di un contratto stipulato con la città di Milano, che si impegnava a fornire anticipatamente 25.000 scudi d’oro sulla sua quota di

mensuale del 1587, prendendo a cambio la somma, ma caricando interessi e spese sulla Camera. Un mese

più tardi anche le altre comunità dello Stato si impegnarono a fornire un anticipo sulla rata di mensuale di quell’anno per un totale di 30.000 scudi, alle stesse condizioni ottenute da Milano e con la clausola aggiuntiva di uno sconto dell’8% sulla somma da versare qualora non fosse stato necessario ricorrere al prestito per procacciarla: Ivi, ff. 172r-173v. Il tema degli anticipi sul mensuale è stato affrontato, per i primi anni del ’600, da GIANNINI, Città e contadi cit., pp. 191-208.

116ASMi, RCS, s. XVI, lib. 6, ff. 66-67r, il duca di Terranova al Casati, Milano, 18 ottobre 1588: il

governatore dispose che si saldassero a Milano due crediti (rispettivamente di 40.000 e 12.000 scudi) che il marchese Pompeo Litta e il finanziere genovese Tommaso Fieschi dovevano recuperare da terzi alla suc- cessiva fiera di Piacenza. Il tesoriere avrebbe versato loro le somme in ducatoni d’argento, utilizzando parte di una rimessa di 300.000 scudi inviata da Madrid come saldo di un prestito concesso a Filippo II dal duca di Mantova. In cambio il Casati si sarebbe fatto consegnare dai due creditori gli opportuni reca-

piti per poter andare in fiera e incassare il corrispettivo in monete d’oro. L’operazione non doveva appa-

rire sui registri contabili della Tesoreria, che si sarebbe limitata a indicare in entrata e in uscita il passag- gio della rimessa per il duca di Mantova. Due giorni più tardi il duca di Terranova stabiliva un’analoga procedura per recuperare 50.000 doppie d’oro sul mercato milanese dal banchiere Alessandro Porro: Ivi, f. 67, il governatore al Casati, 20 ottobre 1588. In precedenza il governatore aveva già tentato di soppe- rire alla «penuria, che è in questo Stato de ori», ordinando al tesoriere di far cambiare a Milano in duca- toni 15mila scudi sui 25mila inviati come soccorso dalla Spagna: ASMi, Miscellanea storica, cart. 64, il duca di Terranova al Magistrato ordinario, Milano, 3 ottobre 1586. In merito alle operazioni finanziarie realizzate nelle fiere si veda, con un’attenzione specifica al caso di Piacenza (Bisenzone), J. GENTILDA

SILVA, Banque et crédit en Italie au XVIIesiècle, Tome I, Les foires de changes et la dépréciation monetaire,

Paris, Colin, 1969, passim; DEMADDALENA, Operatori lombardi sulle fiere dei cambi cit., pp. 93-136; G. FELLONI, All’apogeo delle fiere genovesi cit., pp. 551-567; J. I. MARTÍNEZRUIZ, Mercato creditizio e profitti

Tra il 1590 e il 1591 il problema della mancanza di fondi con cui provvedere alle paghe dei militari si ripropose in tutta la sua gravità, costringendo nuovamente il governatore a ricorrere agli anticipi sul mensuale. Ancora una volta fu la città di Milano a sorreggere l’esausta Tesoreria generale, garantendo in due tranches 50.000 scudi sulle mesate dell’imposta relative al 1591 e al 1592. Poco dopo anche il contado di Milano si impegnò a versare 60.000 scudi, scontandoli sulle quote del 1592. Anche in questa circostanza gli interessi sull’eventuale prestito contratto con i banchieri per raccogliere le somme richieste e le possibili differenze valutarie venivano a pesare sulla Camera Regia117.

Non minori furono i problemi cui dovette far fronte Ferrante Cignardi a partire dalla primavera del 1594, quando fu chiamato a occupare il posto di guida della Teso- reria, rimasto vacante dopo la morte del suocero. Si era allora alla vigilia della nuova sospensione dei pagamenti disposta da Madrid, un provvedimento che palesava le gravi difficoltà della politica di potenza perseguita dal rey prudente e che avrebbe imposto pesanti misure restrittive per il riordino dei conti della Monarchia118. Le fasi

finali del conflitto con la Francia stavano provocando un nuovo salasso alle già esau- ste casse della Camera milanese, sulle quali venne a gravare l’onere di garantire la liquidità necessaria a sostenere l’esercito. Tra il febbraio 1595 e quello 1596, al Cignardi fu ordinato di provvedere con 1.200.000 ai costi straordinarii della campa- gna di Borgogna (condotta senza soverchia fortuna dal connestabile di Castiglia), ma

‘Bisenzone’ (1589-1621), in Storia Economica, V (2002), n. 1, pp. 107-132. Sui meccanismi delle fiere di

cambio rinviamo al recente lavoro di C. MARSILIO, Le fiere di cambio nella prima metà del XVII secolo. Evo-

luzione di una antica istituzione economica e nuove opportunità di guadagno sul mercato del reddito europeo,

in Banca, crédito y capital. La Monarquía Hispánica y los antiguos Países Bajos (1505-1700), a cura di C. SANZ

AYÁNe B. J. GARCÍAGARCÍA, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2006, pp. 59-82. La presenza a Milano dell’importante asentista genovese Tommaso Fieschi e la sua partecipazione attiva alle forniture del- l’esercito di stanza in Lombardia è confermata da G. DORIA, Consideraciones sobre las actividades de un

«factor-cambista» genovés al servicio de la Corona española, in Dinero y Crédito (siglos XVI al XIX). Primer coloquio internacional de historia económica, en honor de Ramón Carande, Madrid, 1978, pp. 279-293.

117ASMi, RCS, s. XVI, lib. 7, ff. 34, 84 e 86r-87v, il governatore al Magistrato ordinario, Milano,

dicembre 1590, 6 e 24 luglio 1591.

118Sulla bancarotta del 1596 cfr. C. J. DECARLOSMORALES, Las bancarrotas del Rey Prudente. La

Hacienda Real de Castilla y los negocios financieros de Felipe II, Madrid, Dilema, 2006; e SANZAYÁN, La

estrategia cit., pp. 85-95. Circa le relazioni generali fra la Corona e gli hombres de negocios durante le

sospensioni dei pagamenti, si veda della stessa C. SANZAYÁN, La evolución de las suspenciones de pagos en

el siglo XVII, in EADEM, Estado, monarquía y finanzas. Estudios de historia financiaria en tiempos de los

Austrias, Madrid, Cepc, 2004, pp. 39-64; C. ÁLVAREZNOGAL, La estrategia de la Real Hacienda en la nego-