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I CONTRATTI AGRAR

Nel documento Il mercato fondiario in Italia (pagine 82-91)

MOBILITÀ FONDIARIA E POLITICA DELLE STRUTTURE

6. I CONTRATTI AGRAR

Le caratteristiche economiche e l'evoluzione della legislazione italiana in tema di affitto di fondi rustici possono essere esaminate a partire dalle singole norme contenute nei contratti. Le norme nascono dalla necessità di garantire la giusta convenienza nello scambio del bene tra i due contraenti. Le dinamiche economiche settoriali e generali sono il primo fattore che contribuisce a determinare l’insieme delle norme. Non mancano peraltro altri fattori legati ad esempio alle con- suetudini locali che influenzano la stipula dei contratti. Inoltre non si può dimenticare l’intervento dello Stato che solitamente per mezzo di una specifica legislazione detta alcune norme valide per tutti i contratti.

Nel nostro Paese il contratto d'affitto di fondi rustici è stato regolato fino agli inizi di questo secolo nella sfera dei rapporti di diritto privato. È soltanto a partire dal primo dopoguerra che si cominciano a definire i criteri per attuare specifici interventi legislativi, volti a regolare la condu- zione dei fondi rustici con il sistema dell'affitto. Malgrado l’istituto dell’affitto abbia ormai una precisa veste giuridica che impone il rispetto di alcune regole, è ancora frequente in certe zone il ricorso a forme consuetudinarie basate su accordi verbali. Si tratta di forme contrattuali spesso molto diverse dai contratti d'affitto regolati da una precisa legislazione o stipulati in base a capito- lati che possono regolamentare localmente i rapporti tra concedente e concessionario. La diffusio- ne di queste differenti pratiche varia in funzione del radicamento di certe tradizioni locali e delle concezioni giuridiche, economiche e politiche che si manifestano nel tempo. È molto importante ricordare che i rapporti regolati in modo autonomo rispetto alle disposizioni di legge possono avere maggiore diffusione proprio quando queste ultime sono apertamente in contrasto con i segnali pro- venienti dal mercato. Di fatto discipline legislative troppo rigide perdono di significato quando sono necessari profondi mutamenti del quadro strutturale o quando la materia non riveste più gran- de importanza per la collettività.

Dall’ultima importante modifica - la legge n. 203 del 1982 - è scaturito un nuovo indirizzo per la materia contrattualistica. L’ormai famoso articolo 45 consente di stipulare contratti in deroga alle norme vigenti con l’assistenza delle organizzazioni professionali che si fanno garanti dell’ac- cordo. In alcune provincie sono anche stati siglati degli accordi collettivi allo scopo di ricondurre a regole comuni i singoli contratti, spesso molto diversificati tra loro. Purtroppo il numero di provin- ce che ha scelto la strada dell’accordo collettivo non è molto elevato. Nella tabella 6.1 si riporta l’elenco delle 16 province e delle 2 regioni che hanno provveduto a siglare un capitolato, ricordan- do che non sempre i documenti sono stati approvati da tutte le organizzazioni locali dei concedenti e dei concessionari. Le notizie sugli accordi sono state ricavate dalla stampa agricola specializzata e da riviste di giurisprudenza, per cui vi possono essere alcune lacune soprattutto per quanto riguarda l’eventuale data di revisione dell’accordo.

Alla fine del 1996 è stato presentato anche l’accordo collettivo nazionale, messo a punto negli ultimi due anni unitariamente dalla Federazione nazionale della proprietà fondiaria e dalle tre prin- cipali organizzazioni professionali di agricoltori (Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione Italiana Agricoltori), ma purtroppo siglato senza l’approvazione della Coldiretti. Si tratta dell’unico neo in un’iniziativa che ha il pregio di stimolare la definizione di accordi collettivi a livello locale e l’ulteriore diffusione dei patti in deroga. L’accordo nazionale, composto di sei articoli, fissa alcu- ne regole che le organizzazioni firmatarie saranno tenute a rispettare nella stipula dei contratti per i prossimi cinque anni. Le norme generali potranno essere opportunamente adattate alle realtà locali con specifici protocolli di intesa.

definiti al momento della cessione temporanea del fondo con particolare riferimento alle norme contenute in alcuni accordi collettivi. Alla fine del capitolo viene fatto il punto sulla più recente evoluzione legislativa e sugli effetti che sta creando sulle aspettative degli operatori del settore.

Tab. 7.1 - Elenco degli accordi collettivi siglati dalle organizzazioni di categoria dal 1987 ad oggi Data firma Revisione Data firma Revisione

Accordi provinciali: Accordi regionali:

Alessandria 1993 1996 Lombardia 1993 – Bergamo 1995 – Sardegna 1997 – Brescia 1992 – Como 1993 – Lecco 1993 – Pavia 1995 – Trento 1995 – Treviso 1992 – Verona 1989 – Vicenza 1992 – Pordenone 1997 – Bologna 1991 1997 Ferrara 1988 1994 Parma 1993 – Ravenna 1987 – Cosenza 1991 –

La determinazione del canone può avvenire secondo modalità molto diversificate. Normalmente si distinguono tre tipi di accordo - il canone in denaro, il canone in prodotti e il cano- ne come percentuale sulla produzione lorda vendibile - a cui corrisponde una diversa partecipazio- ne del proprietario fondiario ai rischi d'impresa (Galletto, 1990). Nel primo caso l'invarianza del canone esclude il proprietario da eventuali extraprofitti derivanti da annate particolarmente favore- voli in termini di rese o prezzi, in compenso i rischi sono minimizzati e legati soprattutto alla solvi- bilità dell'affittuario. Per quest'ultimo la situazione è esattamente opposta, in quanto può usufruire di tutto il margine in più derivante nelle annate favorevoli, ma rischia di sottoremunerare i fattori produttivi da lui immessi nel ciclo produttivo nelle annate meno favorevoli. Va sottolineato che il canone fisso in denaro consente il massimo grado di libertà nelle scelte gestionali all’affittuario. Al fine di evitare che la fissazione del canone porti alla creazione di rendite a favore di uno dei due contraenti, tanto più probabili quanto più lunga è la durata del rapporto, in molti casi viene imposta la clausola della rinegoziazione periodica del canone.

Per ovviare a questo inconveniente vi è la possibilità di collegare il canone ai prezzi di un paniere di prodotti agricoli per cui le variazioni ponderate dei prezzi consentono di variare automa- ticamente il livello del canone anno per anno (canone in denaro con riferimento a prodotti). In que- sto caso il proprietario fondiario rimane escluso dai rischi (e benefici) derivanti dalla variabilità delle rese e partecipa ai rischi connessi all'andamento del mercato. Comunque si rilevano almeno due inconvenienti anche nel caso del canone indicizzato. In primo luogo nel caso di contratti di lunga durata lo sviluppo tecnologico, favorendo un graduale aumento delle rese, determina una posizione di quasi-rendita per l'affittuario. Secondariamente le modifiche nella struttura degli inter- venti di sostegno al reddito possono generare effetti perversi sulla indicizzazione del canone. È il caso del sistema di aiuti al reddito previsto dalla riforma MacSharry che per compensare la dimi-

nuzione dei prezzi concede delle compensazioni ettariali, inducendo comunque una riduzione del canone legato al prezzo dei prodotti.

L ' a ffitto a quote prevede la corresponsione di una quota parte della produzione lorda vendi- bile al concedente. In molti casi è prevista anche la partecipazione del proprietario fondiario alle spese di coltivazione. Quindi la scelta del riparto della produzione dipende, oltre che da consue- tudini locali e qualità dei terreni, anche dal grado di compartecipazione alle spese di coltivazio- ne. Ovviamente in questo caso il canone dipende molto dal tipo di colture che si intende coltiva- re e dall'impiego efficiente dei mezzi tecnici, quindi il grado di interessenza del concedente nella gestione è normalmente superiore rispetto agli altri tipi di canone. Di conseguenza diminuisce il grado di libertà del concessionario e aumenta anche il numero di clausole da introdurre alla sti- pulazione del contratto. È evidente che con l'affitto a quote e la partecipazione del proprietario fondiario alle spese e alla gestione si passa gradualmente da un contratto di scambio ad un con- tratto associativo.

Accanto alla definizione del canone secondo la libera contrattazione delle parti, vi è la possi- bilità di determinarlo per via legislativa, come succede tuttora in Italia per una parte dei contratti d'affitto. La necessità di intervenire con una disciplina legislativa in materia è legata essenzialmen- te a particolari condizioni economiche e politiche tipiche di alcuni periodi storici. Le basi teoriche dell'intervento legislativo in materia, per quanto concerne l'Italia, possono essere fatte risalire al periodo tra le due guerre quando la disparità del potere contrattuale a favore dei concedenti rispetto ai concessionari era piuttosto forte e si rifletteva su livelli del canone d'affitto tanto più elevati, quanto maggiore era la concorrenza tra gli affittuari. Per cercare di ovviare a queste distorsioni Serpieri propose che la determinazione del canone contemplasse non soltanto la redditività del capitale fondiario, ma anche la giusta remunerazione del lavoro svolto dall'affittuario (Saccomandi, 1972). Lo Stato doveva, quindi, garantire "equi" redditi a tutte le figure economiche sulla base di ipotesi di perfetta concorrenza sui mercati e assenza di fattori di influenza extramercantili.

Le vicende susseguitesi nel dopoguerra hanno gradualmente spostato la determinazione del canone al di fuori dell'accordo tra i contraenti, prima offrendo la possibilità di rivolgersi alle Commissioni tecniche provinciali per ottenere una determinazione del canone secondo equità ed infine stabilendolo per via amministrativa sulla base della qualità dei terreni e della redditività fon- diaria. In particolare la legge n. 567 del 1962 rappresenta "il vero atto di nascita del sistema dell'e- quo canone per l'affitto dei fondi rustici" (Casadei, 1989) in quanto i canoni calcolati dalle Commissioni diventano obbligatori. I criteri seguiti nella formazione delle tabelle dei canoni d'af- fitto per zone agrarie omogenee, per qualità e classi dei terreni e per tipi di azienda riguardano i dati economici e produttivi del fondo a cui va aggiunta la finalità sociale della equa remunerazione del lavoro dell'affittuario e della sua famiglia (art. 3 della legge n. 567/62).

Come noto, quest'ultimo provvedimento, fu ulteriormente modificato con la legge n. 11 del 1971, con la motivazione che le Commissioni di fronte alle difficoltà estimative nell'applicare i cri- teri suggeriti dalla legge del 1962 facevano riferimento essenzialmente ai valori di mercato, che a loro volta incorporavano anche gli elementi di rendita monopolistica che si intendeva contrastare proprio con la legge n. 567. La scelta di utilizzare come base perequativa il reddito dominicale rivalutato iscritto al Catasto - confermata dalla legge n. 203 del 1982 - ha portato a scegliere quindi un criterio essenzialmente politico nella definizione del canone equo (Saccomandi, 1972; Casadei, 1989).

Il risultato, tuttora visibile, di tale scelta ha comportato la determinazione di canoni piuttosto esigui e molto distanti dalla realtà del mercato fondiario. Secondo i principi economici una forte disparità tra prezzo d'uso delle risorse determinato esogenamente e prezzo di mercato comporta inefficienze più o meno gravi nell'allocazione delle risorse.

modificato sensibilmente il quadro di riferimento per la determinazione dei canoni d'affitto, rein- troducendo alcuni meccanismi di calcolo ricordati precedentemente. Negli accordi provinciali di Ravenna, Ferrara, Vicenza, Pavia, Bergamo e Brescia si fa esplicito riferimento a determinate quantità di prodotti, mentre a Bologna vengono indicati i valori minimi. A Pordenone il riferimento ai prodotti è più generico e si tiene conto dello stato di produttività del fondo. Anche a Verona il riferimento è generico ma si assicura che il canone non superi 1/3 della produzione lorda vendibile, a Cosenza sono stabiliti valori minimi e massimi in funzione della zona altimetrica. Per la provin- cia di Alessandria sono stabiliti per ogni tipologia colturale i canoni minimi e massimi per le zone di collina e per quelle di pianura riferiti a terreni privi di fabbricati rurali. Solo per i vigneti la determinazione del canone fa riferimento a determinate quantità di prodotto che variano in funzio- ne del tipo di vitigno. A Treviso i canoni minimi e massimi dei vigneti e dei seminativi sono stabi- liti per ogni regione agraria. In tutti i casi sono previsti vari coefficienti di adeguamento in funzio- ne della presenza di miglioramenti fondiari, di colture particolari e della fertilità del suolo. A Trento si fa riferimento ai valori tabellari previsti per l’equo canone con la possibilità di aumentare il livello per le coltivazioni arboree in funzione del tipo di aree e di varietà. Per l'aggiornamento sono previste due procedure: variazioni annuali deliberate dalla Commissione tecnica provinciale o variazioni delle quotazioni medie dei vari prodotti presi a riferimento per la determinazione del canone. Al riguardo l’accordo nazionale stabilisce che il canone venga pattuito liberamente tra le parti che sono invitate a modificare i meccanismi di determinazione qualora intervengano sensibili modifiche nelle politiche di sostegno. Infine sono previste maggiorazioni del canone per durate contrattuali superiori a quelle minime.

Per quanto riguarda la durata del contratto si sottolinea la correlazione con lo stato di conser- vazione del suolo, infatti durate medio-lunghe assicurano l’interesse del conduttore per il manteni- mento di una buona fertilità del suolo durante la maggior parte del periodo. Soltanto in vista della scadenza del contratto l'affittuario può essere spinto a consumare le riserve di fertilità. Nei contratti di breve durata gli anni di fine contratto ricorrono più spesso e quindi risulta più frequente, in linea teorica, uno stato di cattiva conservazione della fertilità naturale del terreno. Per contro va ricorda- to che la possibilità di rinnovo del contratto dovrebbe incentivare l'uso oculato del fondo da parte dell'affittuario.

La definizione di una certa durata del contratto può creare una differenza di valore dei terreni affittati rispetto a quelli liberi da vincoli contrattuali. La diversità dei valori verrebbe generata dalla posizione di monopsonio temporaneo in cui si trova l'affittuario e la relativa quasi rendita capitaliz- zata costituisce appunto la differenza fra il prezzo del fondo affittato e quello libero. Tale divario è tanto più elevato quanto più elevati sono i vincoli di natura giuridica che limitano la possibilità di risolvere un contratto alla sua naturale scadenza. La differenza tra valori fondiari dovrebbe corri- spondere al cosiddetto premio di escomio, ovvero all'indennizzo spettante al concessionario per la cessazione anticipata del contratto.

Gli interventi legislativi in Italia riguardanti la durata sono noti: a partire dal 1939 si sono sus- seguiti provvedimenti che hanno prorogato la scadenza dei contratti protraendola sino agli anni novanta (Favaretti, 1985). Tale prerogativa venne riservata soltanto alla categoria dei coltivatori diretti. Le conseguenze di questa scelta sono comprensibili: da un lato si crea disaffezione nei pro- prietari fondiari disponibili a concedere in affitto i propri terreni e dall'altro si alimenta un mercato parallelo caratterizzato da canoni più elevati della norma e da durate dei contratti estremamente ridotte. Inoltre si altera il mercato delle compravendite dal momento che la scarsa disponibilità di terra affittabile induce molti potenziali affittuari a rivolgersi all’acquisto, come unica alternativa per sviluppare la propria impresa.

Negli accordi collettivi in deroga la durata del contratto viene generalmente commisurata all'ordinamento produttivo o a particolari colture e può variare da meno di un anno (colture interca-

lari a Verona) fino a 15 anni (colture frutticole a Ravenna). A Vicenza si indicano durate ottimali generalizzate di 6 o 9 anni a seconda che si tratti di aziende intere o di ampliamento di aziende in proprietà, a Brescia tali valori non dovrebbero essere inferiori rispettivamente a 4 e 9 anni, a Bergamo 5 e 9 anni, a Pavia sono stabiliti in 3 e 9 anni, ad Alessandria a 2 e 6-9 anni, mentre a Trento 5 e 9-12 anni. Pordenone fissa i termini minimi rispettivamente a 3 e 6 anni e include la durata inferiore all’anno per le colture stagionali. A Ferrara la durata è stabilita in 1-3 anni per i contratti di arrotondamento, 3-6 anni per i fondi rustici con colture prevalentemente estensive e 6- 12 anni per fondi rustici con colture prevalentemente ortofrutticole o che abbisognano di importan- ti trasformazioni agrarie. L’accordo siglato per la provincia di Bologna prevede in generale una durata di 5 anni sia per i fondi rustici soggetti a normale rotazione agraria che per l’ampliamento dell’impresa agricola; in presenza di condizioni strutturali che consentono l’esercizio di un’impre- sa agricola valida, sotto il profilo tecnico-economico, la durata non deve invece essere inferiore a 9 anni. A Treviso la durata minima del contratto viene fissata in funzione della dimensione dei terre- ni affittati: per le superfici inferiori a 1,5 ettari tale durata viene stabilita in 3 anni mentre per superfici superiori sale a 5 anni; nel caso di terreni con fabbricati rurali utilizzati dall’affittuario come abitazione od adibiti a stalla la durata del contratto è di 7 anni. A Cosenza per i fondi rustici soggetti a normale rotazione agraria la durata non deve essere inferiore a 10 anni mentre per quelli destinati a colture ortovitifrutticole e florovivaistiche non deve essere inferiore a 8 anni. A Ravenna la durata del contratto deve essere compresa tra un minimo di 7 ed un massimo di 12 anni: sono concesse durate superiori per le aziende a carattere frutticolo (10-15 anni) ed inferiori per i terreni soggetti a rotazione (3-6 anni). Specifico riferimento ai terreni ubicati nei territori delle Comunità Montane viene fatto negli accordi provinciali di Bergamo e Brescia. Negli accordi delle province di Alessandria, Bergamo, Brescia, Pavia, Pordenone e Trento sono consentite durate dei contratti diverse da quelle viste in precedenza nel caso i terreni, in base a piani o strumenti urbanistici, abbiano una destinazione diversa da quella agricola, pur mantenendo la possibilità di essere colti- vati. Infine nell’accordo nazionale vengono definite durate contrattuali differenziate a seconda della destinazione economica e della vocazione produttiva del fondo: minimo nove anni per l’affit- to di fondi che consentono l’esercizio di un’impresa agricola valida; minimo cinque anni per fini di ampliamento; inferiore all’anno nel caso delle coltivazioni stagionali.

Impegni ad aumentare la durata nel caso di imprenditori affittuari con età inferiore a 35 anni sono indicati a Bologna e Cosenza. A Vicenza si cerca di favorire un prolungamento della durata proponendo aumenti del canone del 5% per ogni anno in più rispetto alla durata ottimale mentre a Ferrara per i contratti di durata superiore a 12 anni si prevede un aumento del canone del 10%. Anche a Pordenone il canone viene genericamente maggiorato per durate contrattuali superiori a quelle minime. Analogamente nell’accordo nazionale si prevedono maggiorazioni del canone per durate contrattuali superiori a quelle minime.

A Bergamo, Brescia, Bologna, Pordenone, Trento e Verona viene esplicitamente indicato che il contratto non può essere rinnovato tacitamente, mentre a Alessandria, Cosenza, Pavia e Vicenza è previsto il tacito rinnovo. A Bergamo, Brescia, Treviso, Verona e Vicenza si fa formale riferimen- to alla continuazione del contratto anche nel caso di morte, revoca o di impedimento del concessio- nario operante in un'impresa familiare coltivatrice.

Nella stipulazione dei contratti vengono inserite norme per la conservazione della fertilità e come garanzia viene richiesto un deposito cauzionale. Si è visto come la durata del rapporto possa influire sullo stato di fertilità del suolo, va aggiunto che anche un livello troppo elevato del canone può, in teoria, condurre ad un eccessivo sfruttamento del suolo. Per prevenire eventuali deteriora- menti del fondo vengono stabilite apposite clausole contrattuali che possono riguardare l'impiego di colture miglioratrici e il rispetto di particolari avvicendamenti colturali. Peraltro va segnalato che tali obblighi possono vincolare negativamente la libertà di scelta dell'affittuario e impedire, in

determinate circostanze, i necessari adattamenti rispetto alle mutate esigenze di mercato e al cam- biamento tecnologico. Per questo motivo buona parte di queste condizioni non viene più eviden- ziata nei contratti, lasciando posto a più generiche dichiarazioni riguardanti la buona conduzione del fondo.

Gli accordi collettivi non sempre prevedono clausole relative alla conservazione del fondo. Generici riferimenti si trovano negli accordi siglati a Vicenza, Pavia e Brescia. Gli accordi più recenti fanno riferimento esplicito alla scelta di mettere a riposo i seminativi in base alla regola- mentazione comunitaria. In particolare a Cosenza viene espressamente vietata tale possibilità senza l'accordo del concedente.

Infine i miglioramenti fondiari effettuati dall'affittuario o dal proprietario costituiscono una materia piuttosto complessa che di solito viene attentamente definita nel contratto. Peraltro nel pas- sato le norme contrattuali al riguardo erano particolarmente differenziate. Infatti in taluni contratti non veniva presa in considerazione l'eventualità di miglioramenti da parte dell'affittuario e dall'al- tro lato vi era una tipologia contrattuale, il cosiddetto contratto a miglioria, che prevedeva uno stretto legame tra migliorie e cessione in affitto del fondo, laddove il locatore si impegnava ad ese- guire una serie di migliorie lungo l'arco di durata del contratto.

L'interesse dell'affittuario per i miglioramenti varia in funzione dell'orizzonte temporale entro

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