Capitolo 1 Definizione dell’oggetto di studio: di che cosa parliamo quando parliamo di revisione
1.3. Il metalinguaggio della revisione: ambito didattico
1.3.2 Contributi/definizioni da manualistica e libri di testo per l’insegnamento della scrittura in ambito
Dovendo scegliere un punto di partenza per illustrare i molteplici contributi alla definizione di revisione nell’ambito della scrittura originale (perlopiù nell’area di lingua inglese), è sembrato utile iniziare con un testo che è stato ed è ancora riferimento e guida imprescindibile per chiunque voglia intraprendere un progetto di scrittura, almeno in lingua inglese. Nel suo The Elements of
Style, Strunk (1999) parla di revisione come parte integrante della scrittura e commenta che solo
in rari casi la prima stesura di un testo è quella definitiva. Dopo aver incoraggiato l’uso del computer per redigere il testo e apportarvi ogni eventuale modifica successiva, soprattutto per la possibilità di salvare versioni diverse di uno stesso testo, l’autore contempla l’eventualità che, per certi scrittori, sia più agevole e produttiva la revisione su carta. Nel breve paragrafo dedicato alla revisione, Strunk conclude con un commento incoraggiante per ogni scrittore, ma che può essere naturalmente applicato anche a ogni traduttore: “Remember, it is no sign of weakness or defeat that your manuscript ends up in need of major surgery. This is a common occurrence in all writing, and among the best writers” (p. 72).
Il ruolo prominente della revisione nella didattica della scrittura anglo-americana è confermato dalla ricca bibliografia a essa dedicata ed efficacemente riassunta e analizzata criticamente in
51
Horning (2002). Operando qui una selezione dei contributi che possono apportare ulteriori elementi alla definizione del concetto di revisione, non si può omettere di citare il lavoro di Murray (1998) interamente dedicato alla revisione, che l’autore descrive innanzitutto come “the reordering of experience so that it reveals meaning. It is the great adventure of the mind” (p. 2), successivamente come “the craft of selection” (ivi, p. 41) e infine come “the craft of letting go” (ivi, p. 229).
In linea con l’idea di revisione come mezzo di espressione del significato di un testo è anche la definizione formulata da Osborn (1991), che la descrive come “an ongoing, conceptual, recursive process continually employed by writers to make meaning of texts, both those read and those written” (p. 261).
In un’ampia trattazione su varie tipologie di revisione, Mulderig (1995) si sofferma in particolare su due modalità di affrontare questa fase di lavoro sul testo, la prima dedicata ai suoi aspetti più macroscopici, la seconda finalizzata al controllo puntuale di paragrafi, frasi e singole parole:
Macro revision Revision that focuses on the larger elements that make an essay successful, including the sharpness of its focus, the clarityof its organization, and the appropriateness and specificity of its supporting evidence.
Micro revision Revision that deals with smaller changes, such as improving the clarity and conciseness of sentences, refining parallel constructions, and making diction more specific. (p. 200)
Una dicotomia simile, e particolarmente utile per sfatare certe convinzioni errate degli studenti di scrittura ‒ ma anche di traduzione – è quella che Breidenbach (2006) compie fra “deep revision” e “final editing”. Mentre la prima
deals with the essentials of good writing like choosing a genre and point of view that suit the situation and purpose of a piece of writing; having a clever, fresh idea or a mesmerizing tale to tell; considering readers’ expectations, knowledge and opinions, and getting the tone right (p. 203)
l’editing finale o “superficiale” di un testo (che comporta, per esempio, correggere errori ortografici, tipografici e grammaticali, eliminare ripetizioni, sistemare la punteggiatura), benché importante nel garantire una lettura agevole e piacevole di qualsiasi testo, viene paragonato dall’autrice a un disinfestante: “Editing is akin to pest control – clearing the piece of bothersome bugs”(ibid.).
52
Una più recente descrizione del ruolo e del valore benefico della revisione nel processo di scrittura è quella formulata da Earnshaw (2007):
Revision is important as it concentrates the mind on the practice rather than the theory of story writing. The notion of revising is useful to the writer as it implies that whatever is written can usually be improved upon; and it helps that mental transition from being a consumer of texts (the casual, even the critical reader) to being a practitioner. Being a practitioner not only helps you to focus on the art (craft) of making, but it informs your reading of published work, and invites you to ask new questions of it. (p. 96)
Di nuovo a confermare la centralità della revisione, Sorenson (2010) presenta questo processo come il luogo in cui si svolge “the really tough part of writing”. Nel descrivere ciò che una buona revisione è in grado di operare, l’autrice usa queste parole: “Revision adds variety, emphasis, coherence, transition, and detail. Revision eliminates wordiness, irrelevancies, and inconsistencies. Revision polishes, hones, and perfects” (p. 33)
Il contributo di Hacker e Sommers (2010) sottolinea infine il carattere sequenziale dell’attività di revisione, precisando che
Revising is rarely a one-step process. Global matters – focus, purpose, organization, content, and overall strategy – generally receive attention first. Improvements in sentence structure, word choice, grammar, punctuation, and mechanics come later. (p. 20)
Dal repertorio molto più scarno offerto dall’editoria italiana in merito alla didattica della scrittura nelle sue varie forme, proviene la definizione data da La Forgia (2013) che descrive così la fase della revisione di un testo:
un momento molto difficile perché richiede di riuscire a considerare quanto si è scritto con un atteggiamento distaccato (soprattutto emotivamente) e resistere alla tentazione di riscrivere tutto ex novo. (p. 146)
La stessa tentazione verso la riscrittura, frenata tuttavia da tempi ed esigenze editoriali, anima le imperdibili pagine che Fruttero e Lucentini (2003) dedicano alla revisione (in questo caso di una traduzione) nel loro “manuale involontario di scrittura”, descrivendo ciò che accade nell’animo e nella mente del revisore che si trovi a lavorare su una cattiva traduzione. In questo caso la revisione diventa un rattoppare, un rimediare il rimediabile, significa sposare la filosofia del male minore:
53
Si è costretti a scendere tutta la scala dei compromessi, lasciando intatto l’aggettivo scialbo, l’avverbio fuorviante, il participio sballato, livellando tutto verso il basso, senza pietà. Perfino la sintassi conviene che resti traballante, sgangherata, elusiva. La meta è ottenere una omogeneità di grado infimo, una leggibilità appena fuori dal pelo del magma. Si tampona, si rappezza, si cuce e ricuce, con una praticità chirurgica che diventa di pagina in pagina, di capitolo in capitolo, una sorta di risentito cinismo. (pp. 56-57)
Alla revisione del testo vengono dedicate alcune pagine anche in Ballerio (2009) che attribuisce a questa fase di lavoro la capacità di valutare la coerenza interna dello scritto e la rispondenza agli obiettivi comunicativi. Oltre a porre l’accento sull’importanza della cura redazionale come fase separata e distinta dalla revisione tout-court e sulla necessità del distacco dal testo per guadagnarne in oggettività e freschezza di sguardo, l’autore sottolinea di nuovo come la revisione sia un processo trasversale che interessa il testo a vari livelli:
Spesso si pensa che rivedere un testo significhi togliere i refusi e correggere le sviste. La revisione dovrebbe essere invece un controllo del testo a tutti i livelli: dovete verificare la sua rispondenza alla situazione comunicativa, il contenuto informativo, l’ordine definito, lo stile adottato e le scelte redazionali, sia sul piano dell’informazione, sia sul piano della relazione. (p. 134)