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Il contributo del multiculturalismo indiano al dibattito sull’evoluzione dello Stato contemporaneo

STATO MULTICULTURALE E “DIVERSITÀ SOCIALE”: IL CONTRIBUTO DELL’UNIONE INDIANA

6. Il contributo del multiculturalismo indiano al dibattito sull’evoluzione dello Stato contemporaneo

In un mondo globalizzato, in cui le società stanno diventando sempre più multiculturali, le aggregazioni sociali e politiche “geneticamente multiculturali”, come l’India, rappresentano oggetti privilegiati di studio delle scienze sociali. In effetti, dopo la prima fase di globalizzazione “aggressiva”, lo Stato, pur dovendo rinunciare al carattere assoluto della sovranità intesa in maniera tradizionale, permane pur sempre come l’elemento di aggregazione principale ed ineliminabile per le comunità politiche a tutte le latitudini. In quest’ottica, l’esperienza costituzionale indiana, con la sua capacità di fornire soluzioni concrete al problema della diversità, può rappresentare un prototipo di Stato multiculturale, utile non solo per le democrazie nuove o in via di consolidamento, ma anche per le democrazie occidentali e in particolare per gli Stati europei, con la loro tradizione essenzialmente monoculturale. In altra sede46 ho individuato in maniera analitica i

contributi specifici che questa esperienza istituzionale, poco presente sinora nel dibattito dottrinale e scarsamente “teorizzata” dagli stessi studiosi indiani, può offrire per una costruzione dello status teorico dello Stato multiculturale. Può essere utile in questa sede ripercorrere alcune di quelle considerazioni, accennando sinteticamente ai due filoni nei quali determinare il contributo dell’esperienza indiana: un primo riguardante soprattutto aspetti di metodo (come costruire una nozione di Stato multiculturale), un secondo inerente più specificamente a indicazioni di carattere istituzionale (che consentono di individuare le “fondamenta” dello Stato multiculturale).

Sotto il primo profilo va ribadito un dato iniziale che riguarda, per così dire, l’an dello Stato multiculturale: l’esperienza della “più grande democrazia del mondo” dimostra la percorribilità di un processo di costruzione e stabilizzazione dello Stato in un contesto multiculturale che si basi non sulla ricerca dell’uniformità (raggiunta o simulata in passato anche ad un alto prezzo in termini sociali), ma sull’accettazione e sulla valorizzazione della diversità culturale. In tal senso, va sottolineato come, senza esser declamato in altisonanti enunciazioni, l’ethos della Costituzione indiana del 1950 sia concentrato tutto nel motto spesso riferito all’Unione di Unity in diversity, che illustra una compagine statale non solo e non tanto “tollerante” rispetto alle diversità (secondo un approccio legato ad una versione tutta novecentesca del pluralismo), quanto basata sulla diversità sociale come elemento imprescindibile dello stesso tessuto connettivo dello Stato.

La considerazione della diversità come componente strutturale della Stato comporta però una scelta metodologica di fondo: l’abbandono delle tradizionali concezioni moniste della sovranità (tipiche dell’approccio westfaliano) in quanto incapaci, nel loro riduzionismo, di governare società complesse, a favore di un pluralismo non solo politico, ma anche sociale (riconoscimento di gruppi e comunità culturali) ed istituzionale.

Dal punto di vista della teoria dello Stato un simile approccio comporta il riconoscimento del declino dello Stato-nazione monoculturale e il profilarsi di una nuova forma di Stato, definibile come Stato multiculturale (attualmente declinato in vario modo, attraverso le locuzioni Stato aperto, o State-Nation nella versione anglosassone). Per quanto

45 Dopo un lungo processo di gestazione il ventinovesimo Stato dell’India è stato creato nel marzo 2014.

La legge istitutiva del nuovo Stato è l’Andhra Pradesh Reorganisation Act, del primo marzo 2014, che modifica il territorio del vecchio Stato dell’Andhra Pradesh, di cui il Telangana faceva parte.

riguarda la teoria giuridica tout court ciò comporterà anche la valorizzazione di un “pluralismo giuridico” volto a prendere in considerazione la pluralità delle fonti di produzione giuridica che in un ordinamento multiculturale possono manifestarsi, senza escludere forme di coordinamento e di gerarchizzazione fra le stesse. Esse non potranno però seguire uno schema astratto, ma dovranno adattarsi alle modalità del contesto in cui si trovano ad operare. In termini generali, quindi, la prospettiva dello Stato multiculturale tende ad evitare ogni aprioristica esclusione di norme e precetti provenienti da ordinamenti giuridici diversi da quello statale47.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, l’individuazione delle “fondamenta” su cui edificare lo Stato multiculturale, si possono trarre almeno tre utili indicazioni in tema di forma di Stato: la preferenza per lo «Stato composto», la necessità di articolare i rapporti fra sovranità e territorio secondo il principio dell’asimmetria (federalismo o regionalismo “asimmetrici”, per intenderci), una tutela dei diritti che valorizzi al contempo le identità individuali e quelle collettive (operando una sintesi della vecchia contrapposizione fra liberals e communitarians).

Per quanto riguarda la preferenza per lo Stato composto come struttura tipica della Stato multiculturale non è necessario spendere molte parole, in quanto la sua grande diffusione deriva da una trasformazione di rapporti fra sovranità e territorio ampiamente consolidata, ma bisogna invece sottolineare come l’esempio dell’Unione indiana, sulla cui definizione come Stato federale ancora oggi si discute, invita a non attardarsi in controversie nominalistiche e definitorie, ed in tal senso gli stessi teorici dello State-Nation sottolineano come lo Stato federale e lo Stato regionale siano sostanzialmente fungibili ai fini di una efficace gestione della diversità etnico-culturale.

Difficilmente prescindibile appare invece, venendo al secondo punto, il requisito dell’asimmetria, ovvero della potenziale differenziazione, sia nell’articolazione territoriale che nelle competenze assegnate alle diverse unità territoriali, all’interno delle strutture dello Stato multiculturale. Fondamentale appare anche, alla luce del successo del federalismo “dinamico” o “contrattuale” in India, la previsione di meccanismi costituzionali che consentano una potenziale flessibilità nelle procedure di riorganizzazione territoriale dello Stato, dipendenti dal riconoscimento di identità di tipo culturale con rilevanza territoriale, ovvero forme di negoziazione centro-periferia in merito al riparto di funzioni e competenze (del tipo dell’art. 116 della Costituzione italiana, per intenderci).

In base a queste due prime indicazioni appare evidente come uno Stato-nazione di carattere unitario (costruito sul modello francese) avrà grandi difficoltà a rispondere in maniera efficace alle istanze della società multiculturale, anche se non è da escludere che un’attenta utilizzazione di strumenti di asimmetria e di negoziazione con le comunità culturali possa garantire una certa stabilità, evitando o contenendo processi disgregativi. In tal senso anche l’assetto costituzionale del governo locale può svolgere un ruolo importante in tale direzione, se orientato verso l’applicazione di principi di diversificazione organizzativa adattata ai contesti locali (va superata però, anche in questo caso, la rigida simmetria del pouvoir municipal ereditata in molti ordinamenti di civil law dal modello francese).

Per quanto riguarda il terzo aspetto (quello relativo al sistema dei diritti) la sfida che lo Stato multiculturale deve raccogliere è quella di raggiungere una sintesi fra i contrapposti approcci liberal e communitarian, che rappresentano un’antitesi radicale fra una tutela dei diritti intesa in senso individualistico ed una concezione organicistica della società volta a privilegiare la dimensione comunitaria e collettiva. Anche in questa direzione l’esperienza recente del sub-continente indiano fornisce utili indicazioni attraverso il suo peculiare approccio, volto non tanto (secondo la tipica forma mentis del diritto occidentale) a

47 Sulle modalità di riconoscimento delle norme non-statali negli ordinamenti contemporanei cfr. S.P.

DONLAN,L.HECKENDORN (eds), Concepts of Law, London, Ashgate, 2014.

“neutralizzare” i conflitti fra dimensione individuale e comunitaria, quanto a garantire forme di eguaglianza sostanziale attraverso il riconoscimento, ma soprattutto il sostegno, di gruppi e comunità culturali (si veda il caso del laicismo celebrativo o ameliorative secularism in India, che ha contribuito a limitare la conflittualità fra le molte comunità religiose presenti). In merito va sottolineato come l’approccio dell’ordinamento indiano abbia consentito peraltro di ridurre parzialmente il ruolo dei giudici che risultano attualmente, nel multiculturalismo di impronta occidentale, i principali soggetti cui spetta il compito di risolvere i conflitti fra dimensione individuale e collettiva (laddove quest’ultima sia riconosciuta). Una situazione, quest’ultima, nella quale sono non di rado costretti a vestire panni altrui (situazione illustrata paradigmaticamente dalla definizione di «giudice antropologo»)48. Naturalmente nell’approccio aperto e pluralistico dello Stato multiculturale

il ruolo delle Corti rimane importante, sebbene esse non siano più l’unica istanza verso cui si incanalano i conflitti della società multiculturale. Inoltre, nello Stato multiculturale i giudici possono giovarsi anche dell’elaborazione di principi di diritto positivo o rifarsi a prassi ordinamentali, riducendo in tal modo l’alto grado di soggettività che caratterizza oggi gli interventi giurisdizionali in materia di multiculturalismo, fortemente criticati, ad esempio, dai teorici della cultural defense49.

Sul piano della forma di governo l’esempio indiano indica una preferenza per il parlamentarismo, soprattutto in considerazione delle maggiori possibilità di mediazione assicurate dal modello parlamentare che favorisce, come ricorda A. Lijphart, una gestione consociativa delle problematiche multiculturali. Qui, però, l’elemento centrale appare soprattutto la necessità di un riconoscimento “politico” della soggettività delle comunità etnico-culturali, con le dovute precauzioni in termini di scelta fra tipi di comunità e strumenti di riconoscimento. Ad esempio in India si è optato per una partecipazione “protetta” (attraverso seggi riservati ai diversi livelli della rappresentanza politica) per le comunità tribali e per le classi svantaggiate, mentre si è evitato di assegnare un ruolo politico alle comunità religiose alle quali, nel contempo, è stato assicurato un pieno sviluppo a livello sociale.

Tirando le somme, mi sembra che il contributo più interessante in termini pratico- teorici che il prototipo indiano possa fornire all’elaborazione di una nozione di Stato multiculturale riguardi l’elemento fondante di questa forma di Stato: il riconoscimento delle diversità culturali come punto di partenza per l’elaborazione dell’ordinamento costituzionale e come strategia istituzionale volta a garantire la coesione della stessa compagine statale. Nella versione indiana tale riconoscimento è stato declinato in termini di un vero e proprio “investimento” sulla diversità culturale; una scelta forte che comporta un’estensione dell’approccio multiculturale dalla semplice sfera dei diritti a quella dell’assetto delle istituzioni dello Stato, sia sotto il profilo territoriale che sotto quello politico.

Lungi dall’essere un modello precostituito, da riprodurre automaticamente in altri contesti, il multiculturalismo costituzionale indiano va visto invece come uno dei rari esempi di costruzione plurale di uno Stato basato su molteplici identità e su un’idea di coesione nazionale che radicata nel riconoscimento delle diversità, ben illustrato dal motto «Unità nella diversità», così lontano da quell’ «E pluribus unum» sul quale si fondava il modello federale di maggior successo dell’età moderna.

48 I. RUGGIU, Il giudice antropologo. Costituzione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano,

FrancoAngeli, 2012.

POST-MULTICULTURALISM AND THE RISE OF CULTURE IN EUROPE

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