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I “NUOVI DIRITTI”: LIBERTÀ RELIGIOSA E INTERCULTURALITÀ Federica Bott

5. Il ruolo dei “nuovi diritti” alla libertà religiosa

Il pericolo del radicamento di forme d’intolleranza e d’imposizione rappresenta l’ostacolo maggiore alla costruzione di una società inclusiva e che possa poggiare le sue basi su di una pacifica convivenza.

Tali derive di ordine concettuale trovano concretezza, oltre che nei partiti le cui linee politiche sono sfociate nella destra estrema europea, come supra evidenziato, anche – e in maniera altrettanto pervasiva – in quelle componenti religiose più ortodosse e votate all’intransigenza su base religiosa.

Il riferimento ai fatti avvenuti a seguito dell’11 settembre 2001 e agli attacchi di rivendicazione di matrice – sommariamente configurata come – religiosa, subiti in tempi recenti da Belgio, Francia e Inghilterra è qui inevitabile.

Un conflitto, questo, che in realtà ha basi più politiche che di fede, e si è trasformato in un contrasto tra culture19 (occidentale e altra), nel quale comunque il fattore religioso ha

acquisito un ruolo rilevante, con connotati di negatività laddove riferito alla cultura minoritaria, e di positiva rappresentanza se invece rivolto alla cultura maggioritaria.

Il concetto di cultura che utilizzeremo per sviluppare le nostre considerazioni è meramente funzionale a delimitarne il campo di indagine e siamo consapevoli che esso non riflette una definizione condivisa.

Riteniamo che l’assenza di una definizione giuridica di cultura – per certi aspetti – rappresenti un falso problema; infatti, se da un lato è certamente auspicabile che si individui in maniera precisa e univoca tale concetto, dall’altro, un’argomentazione intensamente polarizzata in tale senso, si sostanzierebbe in un defatigante e sterile esercizio di intelletto tabellesco, che allontanerebbe l’attenzione da quella che è la vera questione che andremo ad affrontare.

Esattamente come l’uccisione di Francesco Ferdinando non rappresenta altro che il casus belli dello scoppio della prima guerra mondiale, così l’affannosa ricerca di una definizione giuridica del concetto di cultura, finisce per assumere una primazia concettuale ingiustificata, per di più attinente alla forma piuttosto che al contenuto.

Sottraendosi, quindi, da un tal esercizio stilistico, la nostra linea d’indagine esaminerà, prima, quei “nuovi diritti” relativi alla libertà religiosa che sono venuti alla luce in conseguenza della multiculturalità, per poi analizzare in che modo e con quali limiti essi possano concorrere alla costruzione di una società integrata e non frazionata in segmenti. In altri termini interculturale.

Per tale ragione utilizzeremo il termine cultura in senso lato, come cioè quel «[…] complesso di valori, tradizioni, costumi, credenze ed abiti mentali che connotano una determinata comunità sociale»20.

Per quel che ci interessa in questa sede, religione e cultura appaiono legati da un doppio filo21.

19 S.P. HUNTINGTON, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, traduzione a cura di SERGIO MINUCCI,

Garzanti, Milano, 2000.

20 S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l’antropologo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p. 53 e la bibliografia

ivi citata.

21 Per un approfondimento su questo legame e sull’utilizzo della laicità come strumento di risoluzione dei

conflitti, v.: S. PRISCO, Le radici religiose dei diritti umani e i problemi attuali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale,

Rivista telematica (www.statoechiese.it), gennaio 2011, pp. 1-13, ma anche ID., Diritti e culture tra riconoscimenti e

tensioni. Una prospettiva giuridico-comparata, in Filosofia dei diritti umani, vol. 44, 2015, pp. 19-28 e l’ampia

Da un lato, infatti, taluni degli elementi che costituiscono il concetto di cultura come sopra definito sono, se non sovrapponibili, almeno prossimi al fenomeno religioso, dall’altro, quest’ultimo finisce per incidere – ove più, ove meno – anche sugli altri elementi costitutivi che sono – o dovrebbero essere – scevri da una connotazione o un’influenza di matrice confessionale. In conseguenza di ciò, il fenomeno religioso è riuscito a caratterizzare un’identità politica e inevitabilmente il diritto da quest’ultima prodotto22.

Spesso, e sempre più spesso, si è legato il tema della diversità culturale (e religiosa) a quello dell’immigrazione, ma quest’ultima è solo una delle possibili fonti di diversità culturale23, infatti la comunità sociale, a prescindere dal fattore dell’immigrazione, non può

non dirsi già di suo religiosamente variegata, giacché, accanto alle religioni tradizionali di maggioranza e minoranza24, esistono gruppi di atei e agnostici più o meno organizzati e

riconosciuti a seconda degli ordinamenti nei quali operano, o più semplicemente di laici. Le compagini sociali, già prima degli avvenimenti del 2001, erano sottoposte a tensioni nate sotto il focolaio dell’appartenenza religiosa sia in termini di maggioranze, che tendono a imporsi, sia di minoranze che hanno lottato o lottano tutt’oggi per trovare voce.

L’arrivo di nuove religioni di recente insediamento portate dall’immigrazione e con esse l’introduzione di nuove culture, ha tuttavia inciso pesantemente e ulteriormente su questo processo, portando scompiglio e mettendo ancora di più alla prova dei fatti un relativismo culturale sempre più orientato nella direzione dell’imperialismo culturale.

Raggiungere il consenso per intersezione (overlapping consensus) sui diritti umani che via via le nuove culture rivendicano, richiede il riconoscimento da parte di queste ultime delle radici culturali occidentali del discorso sui diritti e della specificità della nozione di diritto soggettivo, per distinguerla dalla mera attribuzione d’immunità o libertà a determinati individui25. Per uscire da questa impasse di dominazione occidentale, che trova nel

liberalismo occidentale il suo fondamento e al fine di vedere valorizzate anche le altre culture, occorre pensare a queste come entità in continua trasformazione, reinterpretando le tradizioni culturali seppure «nella piena consapevolezza che vi saranno buchi neri, zone di irriducibili reciproche imperscrutabilità»26. Solo la concettualizzazione di bisogni e

interessi, in una forma tale da individuare tecniche giuridiche per garantirli e proteggerli, consente alle culture altre di riconoscere nel linguaggio occidentale dei diritti la capacità di formulare rivendicazioni27.

22 Questo intersecarsi tra valori religiosi e diritto positivo è messo in luce con particolare evidenza nelle

questioni più prettamente etiche, laddove cioè i legislatori affrontano tematiche delicate come il fine vita, l’aborto, la fecondazione assistita, le unioni omosessuali civili, e nelle quali le norme emanate spesso sono il frutto di scelte politiche ancorate più a valori tradizionali della confessione di maggioranza che a un effettivo sentire della comunità.

23 B.PAREKH, A New Politics of Identity, Pelgrave-Macmillan, Basingstoke-New York, 2008, p. 81.

24 Sul termine minoranza, in questo senso v. la celebre definizione di Francesco Capotorti per cui essa è

«un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri – essendo di nazionalità dello Stato – possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono dal resto della popolazione, e mostrano, anche solo implicitamente, un senso di solidarietà, diretta a preservare la loro cultura, tradizioni, religione o lingua». F. CAPOTORTI, Il regime delle minoranze nel

sistema delle Nazioni Unite e secondo l’art. 27 del Patto sui diritti civili e politici, in Rivista Int. dir. Uomo, V, 1992, pp.

107-108. Per una rassegna delle principali definizioni di minoranza v.: V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie e identità

culturali, Giuffrè, Milano, 2001, p. 54 ss.

25 C.TAYLOR, Conditions of an Unforcerd Consensus on Human Rights, in J.R.BAUER,D.A.BELL (eds), The East

Asian Challenge for Human Rights, Cambridge University Press, Cambridge, 1999,p. 126 e p. 136.

26 B. DE SOUSA SANTOS, Diritto ed emancipazione sociale, Città aperta, Troina (EN), 2008, p. 222 e p. 230. Tra

gli autori che sottolineano in maniera ancor più severa la difficoltà del raggiungimento di un percorso in tal senso, si veda la condivisibile posizione di S. PRISCO, Le radici religiose, cit., p. 13.

27 Ad esempio, nota lucidamente Gianfranco Anello, riferendosi all’ambito dei trattamenti sanitari, che

«non si può non rilevare con interesse come all’interno del patrimonio giuridico culturale islamico si possano rintracciare coordinate di valorizzazione dei diritti fondamentali della persona umana e della sua dignità analoghe a quelle occidentali, ma soprattutto, a dispetto di alcune etichettature pregiudiziali, articolate

Non a caso, la risposta a questo conflitto culturale che gli operatori europei del diritto di stampo occidentale, peraltro similarmente rinvenibile, ma con motivazioni diverse, anche in altri Continenti – come abbiamo sentito dalle relazioni che hanno preceduto questa Seconda sessione e come sentiremo a proposito in particolare specie dell’India – è stata quella di tradurre in senso giuridico le rivendicazioni di tutela espresse in capo ai diversi gruppi di soggetti istanti e riconducibili in modo schematico a due insiemi, che per onestà terminologica utilizzeremo al plurale: maggioranze e minoranze28.

I diritti fondamentali29, intesi come «quei diritti soggettivi che spettano universalmente a

“tutti” gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone capaci d’agire»30 sono, peraltro, divenuti il pretesto a un uso spesso indiscriminato di

richieste di tutela di tutto ciò che si rivendica come diritto da attuare e tutelare31. Parlare di

inflazione dei diritti non è cosa nuova e può risultare fuorviante dal momento che a tutt’oggi si registra un «diffuso disinteresse verso l’emergere di bisogni che giustificano la tematizzazione di nuovi diritti, o, almeno, una ridefinizione delle modalità di attuazione e tutela di diritti già riconosciuti e affermati»32. Tale pensiero assolutamente condivisibile, non

toglie tuttavia dall’imbarazzo il giurista che oggi si trova a dovere fare i conti di fatto con un’«espansione anomica del repertorio dei diritti fondamentali (che) solleva un’incontestabile aporia: se tutto è fondamentale, niente è fondamentale»33.

regolamentazioni pratico-razionali attraverso le quali trovare soluzioni di transazione tra i protocolli etico- sanitari occidentali e i codici di comportamento tradizionali, secondo prassi più adeguate al caso di specie e alla volontà, ove correttamente interpretata, delle parti interessate». G. ANELLO, Multiculturalità, “diritti” e

differenziazioni giuridiche: il caso dei trattamenti sanitari, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica

(www.statoechiese.it), 16/2013, p. 15.

28 Qui è doverosa una precisazione, sebbene possa sembrare ovvia. I termini “maggioranze” e

“minoranze” non corrispondono necessariamente a un’idea di prevaricazione delle prime sulle altre; sappiamo ad esempio che in campo di distribuzione della ricchezza questa equazione non funzioni.

29 Nell’uso corrente, “diritti umani”, “diritti inviolabili”, “diritti costituzionali” e “diritti fondamentali”

sono termini utilizzati in modo promiscuo ma equivalente, e stanno a indicare diritti che dovrebbero essere riconosciuti a ogni individuo in quanto tale: ciò sembrerebbe attestare, proprio a livello di un senso e “sapere comune”, l’intimo e complesso rapporto che da sempre lega tra loro e indissolubilmente diritto naturale e diritto positivo.

30 «Inteso per “diritto soggettivo” qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni)

ascritta ad un soggetto da una norma giuridica, e per “status” la condizione di un soggetto prevista anch’essa da una norma giuridica positiva quale presupposto della sua idoneità ad essere titolare di situazioni giuridiche e/o autore degli atti che ne sono esercizio». L. FERRAJOLI, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, in D.

ZOLO (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza identità diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 263-292.

31 Così: C. DOUZINAS, The End of Human Rights. Critical Legal Thought at the Turn of the Century, Hart,

Oxford, 2000, p. 1.

32 T. MAZZARESE, Minimalismo dei diritti: pragmatismo antiretorico o liberalismo individualista?, in Ragion Pratica,

2006, n. 26, pp. 179-208.

33 D. ZOLO, Fondamentalismo umanitario, in M.IGNATIEFF, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli,

Milano, 2003, p. 140. Sostiene Luigi Ferrajoli che, essendo “fondamentali” i diritti attribuiti da un ordinamento giuridico a tutte le persone fisiche in quanto tali, o in quanto cittadini o in quanto capaci di agire e, essendo la previsione di tali diritti da parte del diritto positivo di un determinato ordinamento condizione della loro esistenza o vigore in quell’ordinamento, se fosse stabilito come universale un diritto assolutamente futile, come per esempio il diritto ad essere salutati per strada dai propri conoscenti o il diritto di fumare, esso sarebbe un diritto fondamentale. L. FERRAJOLI, Diritti fondamentali, Un dibattito teorico, (a cura di E.VITALE),

Laterza, Roma-Bari, 2002, pp. 5-6, il quale propone la seguente definizione di “diritti fondamentali”: «sono ‘diritti fondamentali’ tutti quei diritti soggettivi che spettano universalmente a ‘tutti’ gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone capaci di agire; inteso per ‘diritto soggettivo qualunque aspettativa positiva (a prestazioni) o negativa (a non lesioni) ascritta ad un soggetto da una norma giuridica positiva quale presupposto della sua idoneità ad essere titolare di situazioni giuridiche e/o autore degli atti che ne sono esercizio»; definizione che prescinde dalla natura degli interessi e dei bisogni tutelati con il loro riconoscimento quali diritti fondamentali.

Nonostante che in realtà di “anomico” ci sia ben poco, dato che come vedremo i “nuovi” diritti che sono venuti a profilarsi negli ultimi decenni godono di ben specifiche denominazioni, non possiamo togliere veridicità a tale asserzione, soprattutto laddove si voglia fare ordine tra questi in un’ipotetica gerarchia dei diritti.

Cercheremo nel prosieguo di questa nostra introduzione ai lavori di questa Seconda sessione di individuare quali sono le risposte date dal diritto positivo e le maggiori contraddizioni che possono sorgere nel processo di integrazione e di avvio a un effettivo processo di interculturalità.

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