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Sulla scia di quanto dettoci da Wallerstein al termine del punto 2.1 in quest’ultimo paragrafo andremo ad analizzare alcuni comportamenti peculiari che

mostrano degli ulteriori gradi di integrazione e compenetrazione tra Stato e

capitale. Come nel caso del terzo paragrafo ci atterremo a quanto detto nella

47

Samir Amin, Lo sviluppo ineguale. Saggio sulle formazioni sociali del capitalismo periferico

[1973], Einaudi, Torino 1977. Si veda in particolare la terza sezione, pp. 136-207.

48 K. Marx, Il Capitale. Libro terzo, cit., pp. 395 e 696. 49 K. Marx, Il Capitale. Libro primo, cit., p. 45.

43

premessa iniziale, ovvero che gli esempi storici a cui si fa riferimento non hanno

pretesa di delineare un panorama completo ed organico. Non è quindi mia

intenzione descrivere un quadro teoricamente unitario a livello complessivo. Da

ora fino alla fine del terzo paragrafo («Fatti storici, tracce, congetture») ci muoveremo a volo d’uccelo al di sopra di ordini di grandezza storici, geografici

ed istituzionali tra loro eterogenei che tratteremo come fossero indizi che, per quanto rilevanti, non ci permetteranno di dire l’ultima parola sul dubbio sollevato

dal secondo capitolo della tesi che rimane quindi aperta ad ulteriori

approfondimenti possibili.

***

Come accennato poco sopra ripartiremo adesso dalla citazione estratta da

una discussione tra Immanuel Wallerstein e Fernand Braudel (3.1). Wallerstein

individua almeno due tendenze peculiari del rapporto tra lo Stato e il regime di

accumulazione: il favoreggiamento dei monopoli privati e la spinta che alle volte lo Stato dà alla ricerca scientifica e all’innovazione in un’ottica efficacemente

imprenditoriale per poi cederne i risultati, di fatto, all’imprenditoria privata.

Per rimanere nel solco di quest’ultima tipologia di relazione tra Stato e capitale si

può andare a leggere quanto detto da Mariana Mazzucato nel suo testo Lo stato

innovatore («stato imprenditore» nell’originale inglese). Durante tutto il procedere del testo l’economista inglese ci illustra con dovizia di particolari come

lo Stato sia il principale incubatore dell’innovazione teconologica, perlomeno da

44

facilmente comprensibile in quanto storicamente gli stati muovono e investono in

ricerca quantità tali di denaro da potersi assumere «rischi di impresa» ben più alti

di quelli delle imprese stesse.

Tra i vari casi storici che affronta la Mazzucato quello indubbiamente più rilevante riguarda l’iPhone e la Apple in generale. È infatti nel quinto capitolo del

testo («Lo Stato dietro l’iPhone»)50 che l’autrice ci racconta di come tutte le singole componenti dell’oggetto simbolo della Apple siano state in realtà

sviluppate in sede di ricerca pubblica statunitense: quando militare, quando

universitaria. Il fatto che Apple sia poi legalmente riuscita ad entrare in possesso

di tali tecnologie, le abbia assemblate e vi abbia costruito sopra una narrazione che ha già fatto scuola, nulla toglie all’intelligenza di Steve Jobs ma si tratta di un

processo che si colloca nel mondo del marketing e non in quello della ricerca

scientifica.

Di fronte a situazioni come queste emerge di fatto un’attitudine simil-

protezionista (o pre-protezionista) da parte dello Stato il quale, anticipando

indirettamente denaro ai privati, facendo ricerca al posto loro, finisce per

proteggere capitali potenzialmente deboli e troppo esposti al rischio di impresa

che successivamente possono generare profitto a partire dai soldi investiti

direttamente dallo Stato.

***

45

Com’è noto lo Stato da sempre ha posto (quando più quando meno) misure

protezionistiche dirette a difesa dei capitali nazionali. Per tornare all’epoca della

rivoluzione industriale cito qui lo storico economico francese Paul Mantoux il

quale ci dice che:

nulla sarebbe più inesatto dell’affermare che l’industria cotoniera inglese è progredita senza beneficiare della minima protezione della concorrenza straniera. Infatti, le proibizioni che avevano quasi arrestato l’iniziale sviluppo di questa industria, vennero più tardi applicate a suo vantaggio. L’importazione dei tessuti stampati di cotone, qualunque ne fosse la provenienza, rimase vietata. Nessuna misura di portezione avrebbe potuto essere più completa, dato che assicurava ai produttori un assoluto monopolio sul mercato nazionale. La proibizione non era estesa ai filati, né ai tessuti non colorati, e la Compagnia delle Indie continuava a introdurre in Inghilterra alcuni articoli stranieri, come le mussole di Dacca, rinomate per la loro finezza. Ma i fabbricanti inglesi non tardarono a protestare contro questa forma di toleranza commerciale. Chiesero a più riprese e, infine, ottennero che fossero stabiliti dazi d’importazione su tutti i tessuti di provenienza straniera.51

Dal 1787 al 1813, i diritti doganali passarono dal 16,5% all’85% ad

valorem per il calicò e dal 18% al 44% per le mussoline.52

51

Paul Mantoux, La rivoluzione industriale. Saggio sulle origini della grande industria moderna

in Inghilterra [1906. Edizione francese riveduta ed aggiornata del 1961], Editori Riuniti, Roma

1971, p. 298. 52 Ivi, p. 321.

46

Si parla in questo caso di dazi elevatissimi che servirono a proteggere la nascente

industria inglese di modo che si potesse affermare su scala globale potendo così

inondare di merci la periferia dell’Impero.5354

E d’altra parte non poteva essere altrimenti in quanto, come riporta Ashton, agli

albori dell’industria inglese

buona parte delle unità industriali erano costituite da piccole imprese familiari o da società di due o tre amici e nella grande maggioranza delle industrie il capitale fisso richiesto non era superiore a quello che un artigiano o persino un operaio potevano procurarsi coi propri guadagni.55

I capitali industriali si caratterizzavano per essere in larga maggioranza piccoli o

piccolissimi, problema che spinse le classi dominanti inglesi a mettere in moto

meccanismi legali ed economici da una parte volti a tutelare la produzione nazionale e dall’altra orientati alla centralizzazione dei capitali che avrebbero

finalmente posto delle notevoli barriere in entrata al mercato. Il contesto in cui

agivano queste forze economiche doveva mutare affinché si potesse raggiungere

quello stato di sviluppo tecnologico che secondo Gèrard Jorland caraterrizza lo

scarto tra una società protoindustriale e una società industriale compiuta e

secondo il filosofo francese tale compimento si dà quando:

53

Sulle conseguenze socio-economiche dell’utilizzo delle colonie come mercati esclusivamente di sbocco ritorneremo più approfonditamente nel quinto paragrafo del capitolo analizzando le differenze che intercorsero proprio tra la conduzione di rapporti economici integralmente subalterni che l’Inghilterra impose all’India a differenza dei rapporti effettivamente competitivi che intratteneva con le colonie americane. Tale differenza non da poco fu probabilmente una delle principali cause dell’accelerazione indipendentista dei fuuturi Stati Uniti d’America.

54 A scanso di equivoci sulla vetustità del testo di Mantoux segnalo che le fonti a cui fa riferimento riguardo i dazi sono le risoluzioni votate dal parlamento inglese.

47

una società dispone di strumenti di produzione così durevoli da avere una vita economica inferiore alla loro vita tecnica.56

Però, come appunto ci spiega Jorland, per giungere ad uno stadio in cui le

macchine sono talmente durevoli da essere sostituite per vetustità tecnologica

servono investimenti ingenti in ricerca e sviluppo e per portarli a termine servono

o grandi capitali privati o grandi capitali pubblici.

Riportiamo ora l’ultimo esempio di atteggiamento protettivo da parte dello

stato nei confronti del capitale. In questo caso i protagonisti sono addirittura la

Federal Reserve statunitense e le garanzie che dai tardi anni Ottanta ha cominciato

a dare al mercato finanziario:

la risposta della Federal Reserve alla grave crisi borsistica del 1987 che chiariva come il nuovo governatore della banca centrale fosse disposto a renderla una prestatrice di prima istanza ogni qualvolta i mercati fosseo messi a rischio nei loro guadagni speculativi: i mercati erano periodicamente inondati di liquidità.57

Quanto dice Bellofiore ben illustra come, in epoca di rivalsa neoliberale, la

Federal Reserve comincia a proporsi non più come un soggetto che «copre le

spalle» di aziende che magari si sono spinte in speculazioni improvvide

garantendone la non fallibilità, ma addirittura la Federal Reserve comincia ad

immettere periodicamente denaro liquido nei mercati, tramuntadosi da garante in

56 Fernand Braudel, Una lezione di storia cit., p. 84.

57 Riccardo Bellofiore, La crisi capitalistica, la bararie che avanza, Asterios Editore, Trieste 2012,

48

ultima istanza a prestarice di prima istanza. Va da sé che un atteggiamento del

genere non poté che favorire le tendenze speculative delle aziende che si

sentivano in questo modo preventivamente protette. Non per caso tali misure si

collocano al centro di un trentennio che dal 1980 al 2007

ha visto crescere il Pil mondiale di due volte in termini reali, mentre nel medesimo periodo gli attivi finanziari sono cresciuti di nove volte. 58

***

L’ultima tipologia di «convivenza pacifica» tra capitale e Stato che

passeremo in rassegna è quella in cui, in un contesto di possibile sviluppo, Stato e

capitale agiscono di concerto ma a causa di scarse capacità imprenditoriali

borghesi il patto che si viene a creare tra stato e capitali privati genera un’accumulazione originaria rallentata e dilatata su tempi lunghi. È questo il caso

della Russia zarista a cavallo tra Otto e Novecento che ci viene descritto dalle

parole di Charles Bettelheim:

la mancanza di ogni reale iniziativa politica della borghesia russa nei confronti dello zarismo – che le nega quasi tutti i diritti politici – è dovuta alla sua dipendenza economica dallo zarismo stesso. Il processo d’industrializzazione relativamente rapido che si sviluppa negli ultimi anni del XIX secolo e negli anni che precedono la Prima guerra mondiale ha in effetti solo parzialmente come base l’accumulazione dei profitti

58 Luciano Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino 2011, pp. 162-164

49

industriali e l’espansione del mercato interno. Questo processo di industrializzazione dipende in parte dagli investimenti stranieri, in parte dalle finanze statali, dai prestiti della banca di Stato, dalle commesse di servizi pubblici, ecc. L’espansione industriale della Russia poggia ancora, in larga misura, su un’«accumulazione primitiva» (un’espropriazione progressiva delle masse contadine) di cui lo zarismo è lo strumento politico ed ideologico59

Questo dinamiche mostrano come i rapporti tra Stato e capitale possano assumere

forme diversissime la cui caratterizzazione è data da chi tra i due soggetti

rappresenti, di caso in caso, il volano dinamico. Riportando qui un passaggio di

Lewis Mumford possiamo vedere come nel secondo Ottocento, gli Stati Uniti siano attraversati dall’utopia urbana sviluppista che sarcasticamente Mumford

chiama Coketown rifacendosi a Charles Dickens. In questo caso sono i capitali

privati a trainarsi dietro lo Stato che, nella narrazione di Mumford appare addiritura disinteressato a seguirli nell’opera di urbanizzazione:

la fabbrica divenne il nucleo del nuovo organismo urbano. Ogni altro elemento le era subordinato. Persino i servizi pubblici, come il rifornimento dell’acqua, e quel minimo di uffici governativi indispensabile all’esistenza di una città.60

In questo caso il ruolo dello Stato è addirittura ancillare e talmente indifferente

rispetto alle angherie del capitale da innescare potenzialmente delle rinnovate

59

Charles Bettelheim, Le lotte di classe in URSS 1917-1923 [1974], Etas Libri, Milano 1975, p. 59.

60 Lewis Mumford, La città nella storia. Volume terzo [1961], Tascabili Bompiani, Milano 1981, p. 571.

50

forme di accumulazione originaria ma, a differenza del caso russo, un’accumulazione originaria non improduttiva favorita dalla connivenza di uno

«stato minimo». Avremo modo in ogni caso di vedere casi simili a questo nel

51

3

Accumulazioni originarie: fatti storici, tracce e congetture

Ci riallacciamo ora a quanto detto ai punti 1.4 e 1.5. Dopo un excursus, «in

Marx e oltre Marx», al di dentro della nozione di accumulazione originaria siamo

arrivati a concludere che questa si può esprimere in numerose forme concrete e

nel porre le basi del regime di accumulazione essa continua, una volta avviato il

ciclo di accumulazione, a perpetuarsi in maniera frazionata (vedi Dobb, 2.4).

Proseguiamo quindi il nostro iter storico per andare ad individuare, nella

contemporaneità a noi più vicina, quelle forme di espropriazione che più assomigliano all’accumulazione originaria, fatta eccezione per il caso di inizio

novecento che ci porta Giovanni Arrighi riguardo la proletarizzazione dei

contadini della Rhodesia.

3.1 – Potenza analitica e limiti teorici dell’analisi harveyana

A una visione «estesa» dell'accumulazione originaria fa da sponda il

concetto di «accumulazione per espropriazione» (dispossession) teorizzato da

Harvey.61 Secondo il geografo inglese si devono leggere come dinamiche

61

Riguardo la categoria di «accumulazione per espropriazione» si veda David Harvey, Introduzione al Capitale. 12 lezioni sul primo libro e sull'attualità di Marx, La casa Usher, Firenze-Lucca 2014, p. 298-301, cfr. inoltre D. Harvey, L'enigma del capitale e il prezzo

52

analoghe, e integrate, sia le «classiche» espropriazioni (che continuano ad

avvenire regolarmente nel «terzo mondo») sia le privatizzazioni di servizi pubblici

e i tagli alla spesa sociale che le classi dirigenti hanno avviato nel centro

dell'impero nella recente epoca di rivalsa neoliberale. Come ci spiega Harvey questi colossali spostamenti di ricchezza hanno effettivamente condotto decine di

milioni di persone in condizioni di indigenza, non solo nelle periferia del sistema

mondo ma anche, «scandalosamente», nel cuore del sistema-mondo:

nel corso degli ultimi vent'anni, negli Stati Uniti il rapporto tra le entrate nazionali e la ricchezza detenuta dall'1% della popolazione più benestante è raddoppiato, e quello relativo allo 0,1% della popolazione più ricca è addirittura triplicato. Il rapporto tra il reddito dei dirigenti e quello dei lavoratori salariati, che negli anni Settanta era di 30:1, ha superato negli ultimi anni il valore di 350:1.62

Se questi spostamenti di ricchezza hanno di fatto prodotto l’immiserimento di

grandi moltitudini umane questo non vuol dire, secondo chi scrive, che tutti i processi che descrive Harvey siano effettivamente riconducibili all’accumulazione

originaria. Non c’è dubbio che Harvey abbia avuto il merito scientifico (e

politico) di intravedere tali similitudini ma non tutto si può ricondurre alle medesime categorie sennò l’accumulazione originaria perderebbe la sua

peculiarità e verrebbe pressoché in automatico sostituita da quella che sembra essere invece un’ottimizzazione della capacità da parte del capitale di estrarre a

62 «Là dove il neoliberalismo ha prosperato (come in Messico e in India a partire dal 1990 circa)

molti miliardari sono finiti nella lista degli uomini più ricchi del mondo stilata dalla rivista "Forbes". Il messicano Carlos Slim ha guadagnato posizioni sfruttando l'ondata di neoliberalismo che il Messico ha conosciuto negli anni Novanta, e oggi è quotato come uno degli uomini più ricchi al mondo» David Harvey, Introduzione al Capitale p. 278-279.

53

tutti i livelli plusvalore assoluto e relativo. Cercherò quindi di distinguere quanto di ciò che dice Harvey è riconducibile all’accumulazione originaria e quanto è più

«semplicemente» riconducibile a una mutazione dell’equilibrio dei rapporti di

forza tra le classi sociali.

***

Secondo Harvey si devono ricondurre all’accumulazione by dispossesion

fenomeni politico-economici tra i più disparati. Ad esempio rientrano nella

categoria quei fondi di private equity statunitensi esclusivamente volti a

privatizzare aziende pubbliche smembrandole di tutti gli assets. Fondi che

licenziano quanti più lavoratori possibile al fine di reimmettere sul mercato quelle

stesse aziende così ristrutturate, ricavandone enormi profitti. In maniera analoga

Harvey fa riferimento al caso della United Airlines (seconda compagnia aerea

mondiale) che nei primi anni 2000 entra in crisi e dopo aver dichiarato bancarotta

si rivolge al tribunale fallimentare, concorda il sollevamento da qualunque

obbligo pensionistico verso i propri dipendenti avviando così un evidente

processo di proletarizzazione.63 Secondo l’opinione di chi scrive qui non siamo di fronte ad elementi che ci riconducono all’accumulazione originaria ma che invece

ci riportano al riassestamento dei rapporti di forza tra i gruppi sociali.

Pur non muovendosi nella direzione dell’accumulazione originaria in

senso stretto è comunque interessante operare una breve digressione

63 Ivi, p. 297.

54

approfondendo il discorso sullo squilibrio tra salari di cui parla Harvey.

Appoggiando il proprio discorso su cifre analoghe a quelle di Harvey, Carlo

Formenti ci dice che

fino agli anni Novanta questo fenomeno [lo squilibrio progressivo dei salari] veniva spiegato in base alla teoria Sbtc. (skill-based technological change), secondo la quale i quadri superiori guadagnano sempre più perché la rivoluzione informatica ha spostato la domanda di lavoro verso i soggetti a elevata competenza che le università non riescono a sfornare al ritmo richiesto, mentre i salari dei lavoratori esecutivi calano a causa dell’emigrazione dei loro posti di lavoro verso i paesi in via di sviluppo. 64

Ma a detta di Formenti si tratta di una tesi «truccata» e che non spiega tutto, nel

momento in cui, dopo il 2000, anche i salari dei laureati hanno iniziato a scendere.

E a sostegno di quanto dice Formenti riporto un passo de Lo stato innovatore dove

Mariana Mazzucato ci dice che Ricardo o Marx (e più in generale gli economisti classici) studiavano in maniera sistematicamente unitaria l’innovazione e la

distribuzione, per esempio sulla base dello della meccanizzazione sul rapporto

salario/profitto. Secondo la Mazzucato, sbagliando, per decenni si sono trattate le

due materie separatamente e si è tornati solo oggi a vederle in maniera collegata

grazie

64 Carlo Formenti, La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 171.

55

soprattutto grazie all’approccio del deskilling e alla consapevolezza che l’innovazione tende a favorire chi ha competenze elevate, lasciando indietro quelli con scarse competenze65

***

Tornando ad Harvey e all’accumulazione by dispossession l’analisi del

geografo inglese risulta più interessante quando si concentra sulle conseguenze

dell'indebolimento, o dell'inesistenza, delle rappresentanze sindacali nelle aree di

quei paesi segnati da un recente e imperioso sviluppo. È infatti così che si

vengono a creare le «aree speciali» in cui i capitali privati (esteri o nazionali)

possono agire in maniera meno controllata, realizzando così maggiori profitti.

Dinamiche di questo tipo si possono riscontrare a tutt'oggi, ad esempio, in India

con le «Special Economic Zones», aree create ad hoc dai governi federali per

accelerare lo sviluppo del settore manifatturiero, attirando capitali e offrendo

come contropartita vincoli meno stringenti sul piano ambientale e del diritto del

lavoro. Inoltre molte di queste Zone sono sorte su terreni espropriati ai contadini

indiani, le cui proteste sono state sistematicamente represse, culminando nel

«Massacro di Nandigram» del marzo 2007, durante il quale quattordici contadini

sono stati uccisi e diverse decine sono rimasti feriti per mano della polizia

indiana.66

Sempre Harvey ci porta ad esempio l'industria automobilistica giapponese che

negli anni ottanta cercò di inserirsi nella filiera produttiva inglese e nel farlo evitò

65 M. Mazzucato, Lo stato innovatore cit..

56

di aprire i propri stabilimenti nelle zone più sindacalizzate del paese. In tal modo

le varie compagnie avrebbero potuto edificare stabilimenti meno vincolati dalla

legislazione sul lavoro. Tale processo fu ovviamente favorito dalle politiche dei

governi Thatcher.67

E sempre secondo Harvey (che in questo caso porta indubbiamente l’esempio più calzante a sostegno della sua accumulation by dispossesion) non vi

è dubbio che in Cina, in seguito alle politiche di Deng Xiaoping, si sia verificata

una colossale accumulazione originaria. Un'accumulazione originaria

assolutamente «classica» nei metodi e nei risultati ma ben diversa nelle sue

origini, in quanto non provocata da una pressione imperialistica esterna ma

dall'intervento dello stato e del ruolo guida del P.C.C.. Ciò ha infatti comportato

la trasformazione di grandi masse contadine in proletariato urbano sottopagato, un controllo preventivo sugli investimenti esteri per indirizzarli in città e regioni scelte appositamente per impiegare quella manodopera, e lo sviluppo di una rete mondiale di relazioni commerciali per far fruttare il valore delle merci nonostante il boom del mercato interno.68

Secondo chi scrive le argomentanzioni di Harvey attorno alla Cina risultano più pregnanti non tanto per l’individuazione di maggiori similitudini «estetiche» con

l’accumulazione originaria quanto perché queste forme di accumulazione

67

Ivi, pp. 286-287.

68 Ivi, p. 296. Per un approccio complessivo alla «svolta» politico-economica, che a livello globale

ha caratterizzato gli anni '80, si veda almeno D. Harvey, Breve storia del neoliberismo [2005], il saggiatore, Milano 2007.

57

originaria sono direttamente riconducibili all’emergere di nuove o radicalmente

rinnovate strutture statali.

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