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La «crisi» come strumento governamentale

Infine bisogna dire che anche le «crisi» rientrano tra quegli strumenti di

dominio, e di governo delle persone, utili a rimettere in moto l'accumulazione e a

stabilire rapporti di forza maggiormente favorevoli per i capitali più forti a

discapito di quelli più deboli.73 Complementarmente durante le crisi le classi

dominanti sono capaci di mettere in campo strategie comunicative volte alla

colpevolizzazione delle vittime delle crisi stesse. E come ci dice Gallino nel

parlare della gestione delle conseguenze della crisi del 2008

dalla primavera 2010 in avanti la narrazione ufficiale e mediatica della crisi è stata rivolta a un diverso scopo di governo: la diffusione tra la popolazione di un senso di colpa [...] «Abbiamo individuato i responsabili della crisi: siete voi stessi» - ecco il messaggio trasmesso dai governi ai

73 Riguardo le crisi come momento consustanziale dello sviluppo del capitalismo si veda

l'antologia K. Marx, Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti, a cura di Vladimiro Giacchè, DeriveApprodi, Roma 2009.

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cittadini - «per oltre una generazione siete vissuti al di sopra dei vostri mezzi». Riferendosi a un sistema sanitario che assicura cure adeguate a ciascuno, pressoché gratis; pensioni pubbliche, a loro dire, eccessivamente generose; l'istruzione gratuita o erogata a fronte di tasse d'iscrizione minime [...] codeste tecnologie della governamentalità, miranti a creare nel maggior numero di persone un profondo senso di colpa facendo loro credere di avere davvero contribuito, loro e soprattutto i loro genitori, a prosciugare il bilancio dello Stato, hanno avuto un rimarchevole successo. 74

Questo meccanismo di dominio basato sulla violenza simbolica, che fa da

apripista ideologico alla violenza economica, ce lo spiega bene Bourdieu in

quanto secondo il sociologo francese

uno degli effetti della violenza simbolica è il trasmutarsi delle relazioni di dominazione e sottomissione in relazioni affettive [...] riconoscimento del debito si trasforma in riconoscenza [...] come si vede particolarmente bene nel rapporto tra generazioni75

Si tratta di strategie che fondandosi su un uso massivo dei media, riescono ad

innescare un effetto fortemente pervasivo nella psicologia di massa. Un esempio

di questo tipo di costruzioni discorsive ce lo danno ripetutamente i media.

74

«Nella Ue, non meno che negli Usa, i bilanci pubblici erano stati semisvuotati nel biennio precedente dalle spese e dagli impegni di spesa assunti per fornire un sostegno considerato indispensabile agli enti finanziari. Ricordiamo che il totale di tali spese e impegni ha toccato i 4.600 miliardi di Euro [Pil totale Ue 14.000 miliardi ca.] secondo una dichiarazione resa nell'autunno 2011 dal presidente della Ce, Barroso» - «L'asserto di aver vissuto al di sopra dei propri mezzi non ha in realtà il minimo fondamento. In massima parte la spesa previdenziale e sanitaria è finanziata direttamente dai cittadini e dalle imprese con i loro contributi, non dallo Stato». L. Gallino, Il colpo di stato di banche e governi, cit., pp. 243-245.

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Specificamente riporto un passo di un articolo pubblicato da Alessio Alesina e

Francesco Giavazzi affermati economisti del panorama accademico e giornalistico

odierno:

insomma quegli anni sono stati per molti greci una grandiosa festa di consumi e di vacanze (pensionamenti a cinquantenni). Se quei prestiti fossero invece stati impiegati in investimenti produttivi, e ci fosse stata qualche liberalizzazione, oggi la Grecia sarebbe in grado di ripagarli e il reddito pro capite sarebbe ben più alto di quello che è. Invece sono stati spesi in consumi, privati (grazie ad un’evasione fiscale endemica dei ricchi) e soprattutto pubblici.76

Per comprendere il forte contenuto ideologico di queste affermazioni ci vengono

in soccorso i dati OCSE che ci dicono che la Grecia è il paese col maggior numero

di ore lavorate per anno in Europa (non UE) e che la Germania è il paese col

minor numero di ore lavorate in Europa.7778 E sempre consultando la banca dati

OCSE si può scoprire che in Grecia si va in pensione alla stessa età che in

Germania o in Francia.79

Per allargare lo sguardo ad ulteriori strumenti ideologici ed economici che i

gruppi sociali dominanti hanno messo in campo durante la gestione della crisi possiamo invece consultare i dati dell’Eurostat i quali ci dicono che esattamente

da quando le «teorie dell'austerità espansiva» sono state messe in pratica nei

76 A. Alesina, F. Giavazzi, Crisi della Grecia, ideologia e numeri, Corriere della Sera, 14 Luglio

2015.

77 http://stats.oecd.org/Index.aspx?DatasetCode=ANHRS 78

Si prende in questo caso come «controaltare» la Germania in quanto spesso portata come esempio di rigore economico proprio dagli economisti mainstream.

79 http://www.oecd.org/els/emp/ageingandemploymentpolicies-

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cinque paesi «più in crisi» dell'UE il rapporto debito/pil (stabile o in diminuzione

dal 1995) è aumentato vertiginosamente.80

A fronte di ciò credo sia giusto ricordare che Alesina è stato tra i più importanti

teorizzatori e sostenitori dell'austerità espansiva di cui sopra.81 E credo sia

altrettanto giusto ricordare che Alesina, come molti economisti mainstream,

continui a sostenere la validità di tali teorie nonostante siano state evidentemente

smentite dai fatti. 82 Smentite che a tratti hanno assunto addirittura toni

imbarazzanti, come nel caso del celebre articolo Growth in a time of debt83 di Reinhart84 e Rogoff,85 la cui attendibilità scientifica è stata minata dalla revisione

dei calcoli (svolta da tre laureandi dell’Università del Massachussets) del foglio excel alla base dell’articolo.86

80

https://www.google.it/publicdata/explore?ds=ds22a34krhq5p_&met_y=gd_pc_gdp&idim=country :el:uk:it&hl=it&dl=it#!ctype=l&strail=false&bcs=d&nselm=h&met_y=gd_pc_gdp&scale_y=lin&i nd_y=false&rdim=country_group&idim=country:el:it:es:pt:ie&ifdim=country_group&hl=i

81 A. Alesina, S. Ardagna, Large changes in fiscal policy: taxes versus spending:

http://www.nber.org/papers/w15438.pdf

82 P. Krugman, Night of the Living Alesina http://krugman.blogs.nytimes.com/2013/03/13/night-of-

the-living-alesina/?_r=2

83 L'articolo [2010] individua, sulla base di modelli econometrici, una legge tendenziale per la

quale «se il debito estero lordo di un paese raggiunge il 60% del prodotto interno lordo, il pil di quel paese calerebbe di due punti percentuali annui, mentre per livelli di debito estero superiori al 90%, la crescita del pil sarebbe circa dimezzata» [dall'abstract dell'articolo]. E' interessante notare che la soglia debito/pil ipotizzata come meno gravosa per le economie nazionali (60%) è esattamente la stessa scelta nel fiscal compact (2012) come obiettivo da raggiungere in seguito al

taglio del debito pubblico, pianificato nell'arco di un ventennio

http://www.nber.org/papers/w15639.pdf

84 Carmen Reinhart, professoressa di International Finacial System alla Harvard Kennedy School. 85

Kenneth Rogoff, professore di economia all'università di Harvard, ex dirigente della Federal Reserve, capo economista del F.M.I. dal 2001 al 2003.

86 Conversazione tra Emiliano Brancaccio e Federico Rampini sul «caso Reinhart-Rogoff»,

http://www.emilianobrancaccio.it/2013/05/09/brancaccio-e-rampini-sul-caso-reinhart-rogoff/ Si veda anche Vittorio Daniele, L'austerità espansiva e i numeri (sbagliati) di Reinhart e Rogoff http://www.economiaepolitica.it/primo-piano/lausterita-espansiva-e-i-numeri-sbagliati-di-reinhart- e-rogoff/ Cfr. inoltre Keynes Blog Il debito pubblico deprime la crescita? Il clamoroso errore di

Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff https://keynesblog.com/2013/04/18/il-debito-pubblico-

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Poco importa che nel frattempo le politiche economiche dell’UE, e più in generale

dei paesi occidentali, si siano fondate sull'idea del dover ridurre il prima possibile

il debito pubblico, andando a tagliare principalmente la spesa sociale a danno

delle classi sociali più deboli. Ciò che realmente importa è che (come nel caso

greco) si possa affermare che se in un determinato sistema capitalistico nazionale

si tende a privilegiare lo sfruttamento intensivo, a discapito dello sviluppo

tecnologico delle forze produttive (si legga più plusvalore assoluto e meno

plusvalore relativo), la colpa non può che essere dei lavoratori e non, magari, di

una classe dirigente incapace di dirigere. Complementarmente ciò che è invece

tragicamente necessario alla perpetuazione dello status quo è che gli intellettuali

organici alle classi dominanti lavorino bene, al fine di costruire un senso comune

volto a collocare in una dimensione mitologica e mistificatoria le radici di

un'ennesima accumulazione per espropriazione, che nel caso specifico ha assunto

la forma della «crisi dei debiti sovrani».87

Il ruolo dell’intellettuale in questi casi risulta quindi particolarmente

importante nella gestione degli equilibri politici. Il lavoratore intellettuale, che nella società capitalistica non è più «l’intellettuale tradizionale» ma il gramsciano

«intellettuale organico», è in primis un «creatore» di discorso pubblico, un

87

«Gli intellettuali sono i «commessi» del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè del consenso «spontaneo» dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale». A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana [1975], Einaudi, Torino 2007, p. 1519. Cfr. inoltre ivi, p. 1513 «Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale del mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico: l'imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell'industria, lo scienziato dell'economia politica, l'organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto ecc. ecc. Occorre notare il fatto che l'imprenditore rappresenta un'elaborazione sociale superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè intellettuale)».

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lavaoratore intellettuale la cui funzione sociale si esplica nel rendere più lineari e

«oliati» i meccanismi di egemonia discorsiva dei gruppi sociali dominanti. Va da

sé che il lavoratore intellettuale non è riducibile ad una sola figura specifica ma ad

una grande varietà di soggetti il cui minimo comun denominatore è ben descritto

(oltre che da Gramsci) dalle seguenti parole di Pierre Bourdieu:

l’intellettuale si costituisce come tale intervenendo nel campo politico in

nome dell’autonomia e dei valori specifici di un campo di produzione

culturale giunto a un alto grado di indipendenza rispetto ai poteri [...] in questo egli si distingue dallo scrittore del XVII secolo che gode delle prebende di Stato.88

Ed è proprio l’«alto grado di indipendenza» di cui parla Bourdieu a spiegarci

come il grado di sviluppo crescente del sistema capitalistico permetta un alto

grado di indipendenza che è ache indipendenza economica, non solo del singolo

intellettuale, ma anche dello specifico settore in cui esso si muove e lavora. Sono

queste le premesse che permettono che si creino gli spazi per far germogliare, all’interno di specifiche nicchie socio-culturali, figure di lavoratori intellettuali

che possono permettersi di non dipendere dalle prebende di Stato permettendo

così, alla figura del lavoratore di intellettuale, di rivendicare una propria

autonomia dai gruppi dominanti.

88 Pierre Bourdieu, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario [1992], il Saggiatore, Milano 2015, p. 195.

66

4

L’accumulazione originaria come dispositivo di dominio

Arrivati a questo punto abbiamo visto una sostanziale implementazione

del concetto di accumulazione originaria. Abbiamo visto come, a partire dalla definizione di accumulazione originaria, ci siamo allontandoci dall’idea per cui

nella sua concretezza storica, ma la lettura che ne dà Marx è ben lontana dalla

rappresentazione ideologica che ne propone la borghesia in quanto

nell'economia politica quest'accumulazione originaria gioca all'incirca lo stesso ruolo del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il genere umano. Se ne spiega l'origine raccontandola come aneddoto del passato. C'era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite diligente, intelligente e soprattutto risparmiatrice e dall'altra c'erano degli sciagurati oziosi che sperperavano tutto il proprio e anche di più. Però, la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l'uomo sia stato dannato a mangiare il suo pane col sudore della sua fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare. Fa lo stesso!89

Cosa si nasconde quindi dietro alla creazione artificiosa di una mitologia

dell'accumulazione originaria? Nell'individuare questa torsione tra analisi

scientifica e rappresentazione ideologica Marx ci fornisce un utile punto di

89 Ivi, p. 787.

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partenza per interrogarci su come dal concetto di accumulazione originaria si

possa pervenire a una struttura formale (più generale) utile a comprendere la

logica sottostante a dinamiche storiche di ordini di grandezza anche molto

variabili.

Scorrendo a ritroso il primo libro del Capitale scopriremo che non a caso il

capitolo XXIII si intitola «La legge generale dell'accumulazione capitalistica» e,

in linea con la dialettica di sussunzione e naturalizzazione, per Marx

l'accumulazione originaria rappresenta proprio la prassi necessaria affinché

l'accumulazione capitalistica si possa realizzare, esprimendo concretamente le

potenzialità intrinseche alla «formula universale del capitale» (D-M-D').90 Ed è

proprio da questa prospettiva che si può vedere come l'accumulazione originaria

permetta alla borghesia di appropriarsi di quelle ricchezze che, insieme al

proliferare delle free hands, costituiscono le condizioni di partenza irrinunciabili

per mettere in pratica le tecniche fissatorie utili a collocare il profitto nella sfera

della produzione. Fondamentalmente non si dà accumulazione senza plusvalore e

non si dà plusvalore senza pluslavoro, perché come ci dice Marx nel suo lungo

«dialogo» con E. G. Wakefield:

nelle colonie la proprietà di denaro, mezzi di sussistenza, macchine ed altri mezzi di produzione non imprime ancora all'uomo il marchio del capitalista, quando manchi il complemento, cioè il lavoratore salariato, l'altro uomo che è costretto a vendersi volontariamente. [Wakefield] Ha

90 Ivi, pp. 163-172. Trattasi peraltro della stessa formula che su scala maggiore, e forse più

suggestiva, Arrighi ci propone come rappresentativa dei cicli sistemici di accumulazione nel loro complesso: «l'aspetto principale di questo modello è costituito dall'alternanza di epoche di espansione materiale (le fasi D-M dell'accumulazione del capitale) e di epoche di rinascita e di espansione finanziaria (le fasi M-D') [...]. Insieme le due epoche o fasi formano un intero ciclo sistemico di accumulazione (D-M-D')». G. Arrighi, Il lungo xx secolo cit., p. 12.

68

scoperto poi che il capitale non è una cosa, ma un rapporto sociale fra persone mediato da cose.91

A fronte di ciò se analizziamo la «Tendenza storica dell'accumulazione

capitalistica»92 ci renderemo conto di come il percorso che Marx teorizza lasci

ampi spazi alla pressoché continua ricorsività storica dell'accumulazione

originaria. L'iter è ben noto: espropriazione dei mezzi di produzione, sussunzione

prima formale e poi reale dei lavoratori al capitale, centralizzazione dei capitali

che porta i capitalisti a divorarsi a vicenda e infine «le campane che suonano a

morto: gli espropriatori vengono espropriati».93 Il modello di sviluppo storico del

capitale che Marx ci propone è quindi fermamente ancorato all'idea di tendenze

ben individuabili e organizzate in passaggi intermedi piuttosto nitidi che non

possono che culminare con la creazione della proprietà sociale, in quanto forma

giuridica adeguata a una futura conduzione sociale della produzione.

Il fatto che non si sia realizzata l'espropriazione degli espropriatori non impedisce

però di analizzare gli eventi successivi alla luce dell'evidente concretizzazione dei

restanti passaggi intermedi. Penso si possa affermare (in linea con l'ostinato rifiuto

di Marx a «prescrivere ricette per l'osteria dell'avvenire»)94 che il sistematico

riproporsi di accumulazioni originarie è reso solo ulteriormente più variegato dai

rimodellamenti concretamente subiti dalla «Tendenza storica dell'accumulazione

91 K. Marx, Il Capitale. Libro primo, cit., p. 842. 92 Titolo del paragrafo di Marx, Ivi, pp. 836-839. 93

Ibidem

94

K. Marx, Il Capitale. Libro primo cit., dal poscritto alla seconda edizione del 1873, p. 19. Riguardo l'antideterminismo economico di Marx e Engels cfr. inoltre la lettera di Engels a J. Bloch del 20 settembre 1890: «Del fatto che si attribuisca talvolta al lato economico più rilevanza di quanta convenga, siamo in parte responsabili anche Marx ed io. Di fronte agli avversari dovevamo accentuare il principio fondamentale, che essi negavano, e non sempre c'era il tempo, il luogo e l'occasione di riconoscere quel che spettava agli altri fattori che entrano nell'azione reciproca. Ma appena si arrivava alla descrizione di un periodo storico, e perciò a un'applicazione pratica, le cose cambiavano, e nessun errore era qui possibile».

69

capitalistica». Si pensi, nel caso della polarizzazione delle ricchezze, alle

costituzioni democratico-repubblicane e al Welfare State dell'età dell'oro;95 per

quanto riguarda invece la sussunzione reale dei lavoratori al processo capitalistico,

si possono ricordare come evidenti controtendenze le lotte del movimento operaio

tra otto e novecento. Ovviamente non tutte le controtendenze e i contromovimenti

innescati dai processi di accumulazione hanno la stessa rilevanza e soprattutto non

producono tutti gli stessi effetti. Se si pensa appunto alle conquiste ottenute dal

movimento operaio queste, oltre a non rappresentare dei risultati immutabili, sono

state (come più in generale i conflitti sociali) motore dello sviluppo produttivo in quanto, con l’aumentare del costo del lavoro, hanno imposto ai gruppi sociali

dominanti di investire maggiormente nell’ambito della ricerca industriale di modo

da poter sopperire alla quota di profitto andata persa con l’aumentare del monte

salari. Inoltre i conflitti sociali svolgono il ruolo di riassestamento parziale delle

tensioni socio-economiche e se le classi dominanti sanno gestirne l’incedere

accettandone parte delle richieste questo porterà da una parte ad una

redistribuzione più equa della riccheza prodotta (e quindi ad uno svantaggio per i gruppi dominanti) ma dall’altra parte produrrà un sistema a tenuta più elevata, un

sistema più stabile. Sono questi esempi di egemonia in atto per cui i gruppi

dominanti si trovano obbligati a dover gestire le avvisaglie di una possibile crisi

organica e provano a sfruttare gli strumenti a loro disposizione per perpetuare la

tenuta di equilibri socio-economici più profondi ed è appunto in quadro di

equilibrio egemonico sostanziale che tali spinte vengono riassorbite in quanto

70

le funzioni del comando divengono funzioni del capitale, funzioni di sfruttamento di un processo lavorativo sociale che deve registrare l’impatto reale della cooperazione antagonistica operaia.96

Nonostante il tono spiccatamente ideologico della citazione di Tino Costa è

comunque utile il concetto di «cooperazione antagonistica operaia» che rende l’idea di una razionalità interna sia ai soggetti sociali antagonistici sia di una

razionalità gestionale da parte dei gruppi sociali dominanti.

***

Arrivati a questo punto possiamo provare ad allargare il campo osservato e se proviamo a guardare dall’alto i processi descritti cercando di affiancarli alle

astrazioni teoriche fin qui prodotte e inserendoli in una visione «geografica»,

questi appariranno come un dipanarsi come un continuo concatenarsi di «sviluppi

ineguali», composto da una miriade di cicli di accumulazione dal volume

enormemente variabile. E non per caso Hobsbawm, parlando della rivoluzione

industriale in Gran Bretagna, ci dice che le origini di questa

non si possono esaminare semplicemente come un problema di storia britannica in quanto l’albero del moderno sviluppo capitalistico si è sviluppato in una particolare regione d’Europa, ma le sue radici hanno tratto alimento da un’area molto più ampia di scambio e di accumulazione primitiva che comprendeva tanto e colonie d’oltremare legate da vincoli

96 Tino Costa, introduzione ad AA.VV., Il capitale e lo stato. Crisi della «gestione della crisi»,

71

formali quanto le economie «dipendenti» dell’Europa orientale formalmente indipendenti.97

Già quindi nell’epoca dell’avvento dell’industria Hobsbawm individuava i tratti di

un sistema-mondo inesorabilmente ancorato a forme di strutturazione fondate su

un sistematico sviluppo ineguale e si deve quindi stare attenti a non pensare, come

detto nella premessa, che esista realmente un momento zero, un idolum tribus, che in maniera inequivocabile segna l’univoco inizio del mondo capitalista, tale

mondo si è creato per il progressivo accumulo di pratiche, capitali ed istituzioni

mutuate da epoche precendenti in cui fu rodata parte degli strumenti che poi il

capitale saprà comporre in un processo. E infatti come ci dice Braudel:

il capitalismo è una vecchia avventura. Quando inizia la rivoluzione industriale il capitalismo ha ormai un lungo passato fatto di esperienze non solo commerciali. Non bisogna quindi farsi ipnotizzare da un

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